Attenzione: contiene spoiler della serie Gomorra.
Capodichino, un volo charter ha appena terminato le operazioni di atterraggio. È l’ultimo della giornata, e di lì a 5 ore sarebbero regolarmente iniziate le procedure di imbarco per i voli del giorno successivo. I pochi passeggeri del charter vagano in completa solitudine per l’aeroporto, e in coda a questa processione laica si staglia una figura abbastanza ingombrante: spalle larghe, mani nelle tasche, giaccone felpato, cappuccio che copre quasi totalmente il capo e proietta la sua ombra sul naso. Cammina a testa bassa, con passo rapido e silenzioso, una discrezione sospetta considerando che in aeroporto sono rimasti solo gli addetti alle pulizie. Fuori dall’aeroporto lo accoglie una Volvo V90, con un autista che gli apre la portiera posteriore. L’autovettura color argento si perde nella notte napoletana, eccezionalmente tempestosa.
Qualche ora dopo Ciro di Marzio è seduto comodamente sulla sua poltrona a due posti, color oro e rosso scuro. È lo stesso divano che donna Imma e don Pietro avevano provato tempo fa, salvo rispedirlo al mittente dopo averci trovato le cimici. Don Ciro ricorda quella come una delle primissime operazioni di sabotaggio ai danni della famiglia Savastano, ormai scomparsa. Dopo anni di apprendistato, di strategie e di polvere, Ciro siede adesso sul gradino più alto della piramide. Fuma una sigaretta, e finalmente sul volto gli si riesce a leggere la stessa serenità che attraversa Scampia da diversi anni.
Non c’è più nessuno ad ostacolare il suo commando: don Pietro fatto fuori più che facilmente, O’Mulatt, il primo dell’Alleanza a venire meno, trivellato in periferia, la banda di Cap’e Bomber, Track e Cardill caduta nell’ennesimo trappolone dell’Immortale, che prima li ha scatenati contro i Savastano e poi, fatta la tara alla reale pericolosità del baby clan, li ha sterminati appoggiando Genny nel famoso tentativo di blitz a Roma da parte dei ragazzi del rione. Genny, invece, per perseguire la sicurezza del suo primogenito, ha deciso di emigrare in Messico, dove alleatosi con il Cartello e abilmente supportato nelle trattative diplomatiche dall’ex sindaco di Giugliano, Michele Casillo, gestisce il traffico di cocaina lontano dalle vicende napoletane. Con Ciro, che adesso ha decisamente il coltello dalla parte del manico, ha idealmente firmato un patto di non-belligeranza, una sorta di nuova alleanza. I termini però sono del tutto inediti: «sei ormai solo e poco protetto, ma ti lascio in vita, a patto che tu vada a costruirmi il giro oltreoceano».
L’Immortale va ormai per la cinquantina e si limita a muovere i fili dei burattini senza uscire di casa. In un ennesimo atto di egoismo, impedisce alla quasi 30enne Maria Rita di sistemarsi. Maria Rita rappresenta l’unica figlia, l’ultimo appiglio al mondo dei sentimenti, e Ciro non vuole che un altro uomo si impossessi della sua vita. È un amore quasi morboso: lei cerca di scappare, lui la blocca, lei cerca di farsi una vita, lui glielo vieta.
«Di’ a verita’, sta qualche uagliuncell che te fa a cort. Dill a’papa’ che l’accir».
Tanti pretendenti alla mano di Maria Rita si sono presentati alla corte di don Ciro. Tutti sono stati respinti, nessuno ha mai superato la prima barriera, quella dell’interrogazione: «Chi si’? D’aro vien? A chi appartien’? Comm l’e’ cunusciut a Maria Rit? Che pienz e purta’ rind’a sta cas?». Nel giro di dieci minuti, tutti facevano marcia indietro con la coda fra le gambe. Ma oggi O’Pit, alla corte di Ciro, ha scortato un uomo diverso da tutti gli altri.
È molto alto, spalle larghe, molti tatuaggi e i capelli lunghi raccolti in una coda. Ma è soprattutto nel suo sguardo che si legge qualcosa di diverso: una calma e una sicurezza che quasi sfocia in malcelato fastidio. Il faccia a faccia prosegue più del dovuto, Ciro è incuriosito, gli sembra di riconoscerlo. Nel suo atteggiamento legge uno spirito di sfida, e la sfida ha un sapore al quale da sempre non riesce a sottrarsi. Gli sembra la persona giusta per dare un erede maschio alla famiglia. «Mi chiamo Erik, nato in Svezia ma cresciuto in Italia, non appartengo a nessuno. Non ci siamo conosciuti, Maria Rita ha conosciuto me». Ciro concede un insperato lascia-passare ad Erik e gli lascia frequentare Maria Rita, ma non senza interrogarlo almeno una volta a settimana.
Capodichino, estate 2016. Aurelio de Laurentiis ha ceduto Gonzalo Higuaín al Guangzhou Evergrande. Nessuno aveva sfiorato la clausola rescissoria di 100 milioni: non l’Arsenal, non il PSG, non il Barcellona, non il Manchester City. Il passaggio di Gonzalo al Guangzhou è il ruggito con il quale il campionato cinese tuona nelle orecchie di chi ancora non crede che a quelle latitudini facciano sul serio. 20 milioni l’anno per il Pipita, marketing alle stelle, coppia da sogno con Jackson Martínez. I tifosi napoletani mugugnano, siamo ad Agosto e il Napoli ha appena venduto la sua anima al diavolo denaro, mentre tutti gli altri grandi numeri 9 hanno già trovato una sistemazione. Chi sostituirà il Pipita nei cuori dei napoletani e al centro dell’attacco?
Qualche settimana prima si era chiuso l’Europeo che aveva visto trionfare l’outsider Portogallo, con Cristiano Ronaldo decisamente fuori controllo. Dopo 4 assist, 6 gol e il titolo di miglior giocatore della manifestazione conquistato su base plebiscitaria, il campione da Funchal aveva annunciato che quella seguente sarebbe stata la sua ultima stagione al Real prima di chiudere in MLS, nella neonata franchigia di Miami.
A questo punto un altro super-nome che sembra sul punto di dire addio al calcio europeo è Zlatan Ibrahimovic, che però in Francia aveva triturato tutto e tutti, guidando la Svezia dai gironi fino a un passo dalla finale. La squadra-rivelazione del torneo si era anche vista negare un gol al minuto 95 della semifinale contro la Spagna che sarebbe rimasto nella storia: un colpo di tacco epico di Zlatan a coronare una bella azione individuale di Forsberg. Il guardalinee aveva segnalato fuorigioco, ma le riprese televisive avrebbero poi smentito clamorosamente la decisione arbitrale. Ibra si era limitato a sogghignare a distanza, lontano dall’inevitabile rissa a centrocampo, e a commentare a fine partita: «oggi ho visto abbastanza, questo calcio non mi diverte più. Non mi vedrete per un po’».
Aurelio de Laurentiis nel frattempo ha più di qualche difficoltà a respingere gli attacchi verbali dei tifosi, che lo inseguono ormai ad ogni apparizione pubblica. Napoli è in subbuglio: è stata addirittura sabotata l’amichevole di lusso con il Barcellona al San Paolo, a cui si presentano pochissimi tifosi.
«Preside’ ma che fine hanno fatto i soldi di Higuain?! Accatt’ a qualche’run preside’!», in strada, nei bar e sui canali social legati al Napoli non si parla d’altro, ma De Laurentiis continua a schivare le contestazioni. Il presidente sembra quasi disinteressato alle vicende di campo. Ogni volta che un reporter sportivo accenna una domanda a malapena trattiene un ghigno che è quasi un sospiro, un «che ce vuo fa’?».
La rassegnazione diventa curiosità febbricitante in concomitanza della presentazione di una nuova pellicola prodotta dalla Filmauro. De Laurentiis si assicura che alla conferenza stampa siano presenti i più importanti giornali italiani, e al termine della presentazione sorprende tutti: «Basta parlare di film, adesso! C’è un motivo per il quale ho fatto in modo che foste presenti. Ho un annuncio da fare. Fra 3 giorni il Napoli giocherà l’ultima amichevole del suo pre-campionato. Ospiteremo il Borussia Dortmund. Portate le famiglie, portate le fidanzate, portate i vostri figli ed i vostri padri. Vi chiedo di non sabotare anche questa serata. Avrete tutto il diritto di farlo nei mesi futuri se quello che vedrete lunedì non vi piacerà, ma vi assicuro che sarà di vostro gradimento».
Il giorno successivo, La Gazzetta dello Sport titola: “Il Napoli ha un Mister X nella manica”. Si sfogliano i nomi ma nessuno entusiasma la piazza. Gianluca di Marzio non dorme per 36 ore filate al fine di scovare Mister X, ma non ci riesce. Nessun membro dell’entourage napoletano si sbottona, De Laurentiis riesce a mantenere tutto in una segretissima bolla di vetro.
Arriva il lunedì e comincia l’ultima settimana dell’estate senza campionato. È Ferragosto, ci sono 38 gradi alle 19 e l’umidità è al massimo. Il pubblico risponde, e al San Paolo è tutto esaurito: un atto d’amore immenso nei confronti della maglia, oltre che un atto di fiducia ancora più grande nei confronti della proprietà. «Ma chi c’o fa fa’!», urla qualcuno. Alle 20.15 i cancelli sono chiusi e lo stadio è pieno. Si spengono tutte le luci e i riflettori puntano unicamente sul tunnel che porta dagli spogliatoi in campo. Il silenzio frenetico ha vinto i mugugni. Dal tunnel spunta, a testa bassa, camminando a passo lentissimo ma inesorabile una figura gigantesca. L’attesa mangia lo stomaco dei tifosi accorsi. Arrivato al centro del campo, si scopre la testa dal cappuccio, cala la zip della felpa e scopre la maglia del Napoli. Solleva lo sguardo: è Zlatan Ibrahimovic.
Boato e terremoto, il più forte mai sentito a Fuorigrotta.
Zlatan riesce a prendere parola solamente dopo 10 minuti di delirio, e con il microfono in mano scandisce: «Amici, l’attesa aumenta il desiderio, così si dice, no? Avete aspettato tanto tempo, vi siete scoraggiati, ma finalmente avete il vostro uomo. La vostra attesa è la mia. Ho scelto Napoli, dopo due settimane passate nei boschi svedesi a riflettere su quanto successo in Francia. Credo che solo con un pubblico del genere si possa vincere la Champions League, siete quello che mi è sempre mancato. Una vera banda pronta a tutto per la propria squadra». Tripudio.
Arrivano i dettagli del contratto: biennale per Zlatan, a 15 milioni l’anno. Una cifra esorbitante. I tempi lunghi derivano dal consueto tira e molla per i diritti di immagine, che per Zlatan rappresentano una grossa fetta del proprio reddito.
La Serie A 2016-17 si piega ovviamente ai voleri di Ibra, nonostante in Champions il Napoli si fermi comunque agli ottavi. La connessione con Hamsík è velenosa più di quanto non lo sia mai stata quella di Marekiaro con Lavezzi, Cavani o Higuaín. 9 assist dello slovacco solamente per Ibra, che chiude a quota 27 gol, diventando anima e cuore di Napoli. Ibra incarna alla perfezione lo spirito napoletano. Raggiunge lo status di semi-dio quando in un faccia a faccia con Bonucci nello scontro diretto di Marzo, naso contro naso, alle provocazioni dello juventino non risponde se non con un ruggito, il gol della vittoria e l’allungo in vetta. Gli Azzurri chiudono il campionato con due punti sulla Juve.
Insigne – Hamsík – Ibra come Rodman – Pippen – Jordan, come Giordano – Careca – Maradona, come Padre, Figlio e Spirito Santo.
La stagione numero 3 di Gomorra subisce un curioso slittamento: programmata per gennaio 2017, non arriva sugli schermi italiani prima di giugno. Quantomeno, ogni napoletano che si rispetti avrà così in cambio la possibilità di dedicare 9 mesi pieni al Napoli Calcio e i 3 restanti a Gomorra. La stagione si apre con una figura abbastanza ingombrante, spalle larghe, mani nelle tasche, testa bassa, passo rapido e silenzioso, che atterra a Capodichino. La stessa felpa che ha indossato Zlatan Ibrahimovic il 15 agosto al San Paolo. Le timeline di Twitter e Facebook non sarebbero state mai più le stesse.
Nel corso della prima puntata Erik conosce Maria Rita, o meglio fa in modo che lei si accorga di lui, in discoteca. Colpo di fulmine. Il resto della prima puntata è una panoramica sul nuovo regime instauratosi a Scampia, con Ciro in testa all’organizzazione. Passano due settimane, e Maria Rita ed Erik continuano a frequentarsi – è arrivato il momento dell’interrogazione. O’Pit scorta Erik da Ciro: «Chi si’? D’aro vien? A chi appartien? Comm l’e’ cunusciut a Maria Rit? Che pienz e purta’ rind’a sta cas?».
«Mi chiamo Erik, nato in Svezia ma cresciuto in Italia, non appartengo a nessuno. Non ci siamo conosciuti, Maria Rita ha conosciuto me».
Per tutta la terza stagione Erik diventa un fidato braccio destro di Ciro, collabora con lui, apprende le leggi che regolano la Camorra. Obbedisce, ma mai a testa bassa. Ciro rivede in Erik il primo Genny: lo istruisce, lo conduce all’interno di ogni malefatta.
Ed è così che si spiegano le cifre del contratto di Ibra con il Napoli: 10 milioni per le prestazioni in campo, 5 per quelle dietro la macchina da presa con de Laurentiis che entra in affari con Sollima. Erik/Zlatan appare in ogni puntata di Gomorra 3. Aiuta Ciro ma brama qualcosa, un progetto laterale lo tiene sveglio la notte, è l’uomo che più di tutti si avvicina a dare scacco all’Immortale. Finale di stagione. Ciro si è espanso fino al Lazio, progetto realizzato anche grazie all’esperienza sul campo dell’ormai alleato Genny e di suo suocero Giuseppe Avitabile. Sempre secondo principi democratici Ciro comincia anche ad entrare in contatto con la Ndrangheta.
Parallelamente fra Erik e Maria le cose si fanno serie, e Ciro è davvero affascinato da Erik: si rende conto che potrebbe essere il più spietato dei nemici, ma si rivede in lui e cerca di far tacere la voce interiore che gli consiglia di allontanarlo, facendo inconsciamente prevalere l’ottimismo (“iss’ ten a capa giust”, “è u’ pat giust p’ l’ered”). Ciro invita Erik a cena fuori: vuole chiedergli di sposare sua figlia, vuole legarlo alla sua famiglia in via definitiva.
A tavola i due discutono, fin quando non si ritrovano soli, in terrazza. Erik accetta di prendere in sposa Maria Rita. Segue la stretta di mano d’ordinanza ma, con un inaspettato accento napoletano perfetto, Erik prende parola: «c’e maje pensat Cirù? O'serpent, sta semp ca Maronn... e maje cu’ Gesù. Sul ess’ sape chell ca s'adda fà, co per o’ ten ferm, n'terr...senza bisogn ro scamazzà. Tu a v’lut fa a’ Maronn». Ciro sgrana gli occhi, adesso collega ogni puntino: i capelli lunghi, folti, la coda, per forza gli era parso di conoscerlo.
«Ah Ciru’, mi avevi chiesto cosa portavo nella tua casa… Non ti avevo ancora risposto… Scompiglio». Erik, figlio bastardo di Salvatore Conte, concepito in Spagna da una delle sue amanti, una donna svedese, disintegra il cranio dell’Immortale con un colpo freddo e spietato, vendicando il padre.
Ma quanto c’è di Ibra in Salvatore Conte?
Gomorra 3 si chiude così. A Napoli, in Italia, in Europa, la popolarità di Ibra aumenta, impenna, esonda. Nella stagione 2017-18 il Napoli si concentra esclusivamente sulla Champions League, e la vince battendo in finale il Bayern Monaco. Ibrahimovic a 36 anni riesce finalmente a sfatare il tabù europeo, sostenuto, acclamato, inneggiato. È Maradona, è più di Maradona. Fa scomparire la moda del taglio di capelli rasato sui lati, tutti i ragazzini ora hanno la coda.
Ibra è ovunque, a Scampia, a Secondigliano, a Fuorigrotta, a Forcella, a Giugliano, a Posillipo, a Piscinola. Cartelloni pubblicitari, scarpe, magliette con Erik Conte stampate e rivendute dalle bancarelle dei mercatini. Tutti giocano ad essere Ibra, che a fine stagione convoca una conferenza stampa in cui annuncia il definitivo ritiro, e lo fa in grande stile.
«Il calcio è stato una grossa parte della mia vita… ma l'omm che po fa ammen e tutt cos nun ten paur e nient».