Pubblichiamo un estratto da "I tre: Federer, Nadal, Djokovic e il futuro del tennis", opera di Sandro Modeo ed edita 66thandsecond.
Nota per la lettura: nel libro l'autore chiama Nadal "Venom", Federer "Apollo" e Djokovic "Djoker".
Anche il Djoker (o meglio, persino il Djoker) soffre contro i topspin di Rafa. Persino lui, cioè, dotato di un rovescio bimane efficacissimo, integrato da non comuni facoltà atletiche di super-elasticità e reattività, va in difficoltà davanti a quel metro e mezzo abbondante di rimbalzo veloce.
Eppure, come ricorda di nuovo Simon Briggs, l’unica vera «criptonite» (o antidoto) di quel colpo esiziale è considerata da molti la «sintassi» o meglio la «metrica» dello scambio di Nole. In particolare, il famoso, caratteristico uno-due con cui prima «butta fuori» Rafa sul lato del rovescio, poi – sulla ribattuta – gira la palla così rapidamente verso il dritto da costringerlo a giocare il colpo in corsa. E se è vero (cfr. gli spettacolari video su YouTube) che proprio quello, il dritto lungolinea in corsa, è un altro dei brand tecnici di Venom – uno dei più esaltanti e irreali tra i «Momenti Nadal», tipo quello sul 7-7 del tie break del quarto set a Wimbledon 2008 –, è anche il colpo più difficile, dispendioso, non convenzionale e soprattutto rischioso; uno di quei colpi, quindi, che nella sua strategia di «aggressività calcolata» e paziente dovrebbe essere usato solo come extrema ratio. In più, come mostrano dati implacabili di un report di Golden Set Analytics, il Rafa ventenne è lontano anni-luce dal trentaseienne proprio in quel colpo specifico: se a lungo è stato il secondo del circuito a giocarlo (proprio dietro al Djoker), oggi non risulta più nemmeno tra i primi dieci.
Quel Djoker «dell’uno-due» o – come ben riassume Panatta – che batte Rafa «aggirando la palla a una velocità impressionante sul rovescio, per tagliare il campo in diagonale col dritto» tocca i suoi vertici tra il 2011 e la prima metà del 2016, quando è quasi ingiocabile per chiunque.
La sequenza-spartiacque, in particolare, cade tra il luglio 2011 e il gennaio 2012, quando il Djoker batte Rafa tre volte in tre finali Slam consecutive: a Wimbledon in 4 set (6-4, 6-1, 1-6, 6-3), all’ US Open idem (6-2, 6-4, 6-7, 6-1), all’Open d’Australia in 5 epici set in 5h e 53’ (5-7, 6-4, 6-2, 6-7, 7-5). Tanto che proprio la ratifica dopo Melbourne («Non posso battere quel “kid”, è più forte di me») è un po’ l’equivalente di quella di Roger dopo il Roland Garros 2008 («Ho creato un mostro»).
Dall’Apollo, Venom non aveva mai subìto un filotto simile. Quella di Melbourne è una maratona esasperante, che alterna momenti di grande tennis ad altri di resistenza incrociata puramente atletico-neurobiologica, col «piacere della sofferenza» speculare sui due fronti, portato ai gradi del fachiro sui chiodi o sui bracieri: e se tra i rimpianti può esserci almeno una sliding door a favore non imboccata da Rafa, come riassume un tweet di Carlos Moyá («Per un millimetro Rafa ha mancato il 5 pari e lì è girata tutta la partita») è più di una sensazione che il Djoker l’avrebbe comunque vinta proprio sul versante della secrezione endorfinica. Mai è stato così vicino al suo amico Gerard Butler, il Leonida di 300, ovviamente coi Persiani di Serse respinti alle Termopili.
Il fatto, però, è che questo «sorpasso» avviene dappertutto tranne che su clay, dove ancora il topspin di Venom esercita il suo dominio tirannico; e lo eserciterà a lungo, fino a oggi (vedi semifinale parigina 2022): tanto da spiegare perché il Djoker si risenta e innervosisca quando il figlio Stefan, in allenamento o nelle partitelle, abbozza la «Nadalada». E un «richiamo della foresta» in negativo, un fantasma visivo – e sonoro, perché in campo quel colpo «ronza» tremendamente – di allarme, quasi un segnale panico. Su clay, il Djoker ha battuto Venom solo 8 volte su 20, una media non eccelsa, poco più di un terzo, rovescio simmetrico di quella su veloce, dove il bilancio è 20-7 per il serbo. In quest’ottica, uno dei capolavori della sua carriera – forse «il» capolavoro – è il Roland Garros 2021.
Nell’altra sua vittoria parigina – 2016 – il Djoker aveva trionfato, infatti, avvantaggiato dalla defezione della «2R» per infortunio: Roger al ginocchio, Rafa al polso. Nel 2021, invece, non solo vince l’ennesima finale in riemersione dagli abissi ovvero con l’ennesimo ricorso allo schema-Clegane/Montagna, andando sotto due set con Tsitsipas per poi ribaltarlo (6-7, 2-6, 6-3, 6-2, 6-4); soprattutto, batte Rafa in semifinale sul suo terreno in 4 set (3-6, 6-3, 7-6, 6-2) in un match memorabile per intensità e varietà tattica di tutti e due i Big.
Dopo un inizio-shock (0-5 con cinque giochi alieni di Venom), il Djoker non demorde, da incassatore paziente: persiste nello spostare l’avversario con gli uno-due citati, esemplari per rapidità e precisione. Così, lo stanca e lo cuoce fino al momento di raccoglierne i frutti: i drop shot – in un primo momento sempre intercettati – cominciano a cadere, e fioccano i colpi in contropiede, che Rafa non segue più, a tacere degli errori indotti dalla resistenza del Muro serbo. Dati sintomatici riassumono una partita completamente diversa da altre contese di Slam epiche, a cominciare dalla Bestemmia di Wimbledon 2019, con tutti i numeri contrari: qui il Djoker commette 37 non forzati contro 55 (23 solo nel terzo set) di Rafa; è mostruoso in risposta (63 scambi vinti su battuta del maiorchino) e ben 50 vincenti. Si potrebbe obiettare: sì, ma su un Rafa «anziano», molto più giocabile. Peccato che quell’anziano sia lo stesso tennista che l’ha steso l’anno prima – quello settembrino post-Covid – in modi poco meno umilianti di quelli del match-monstre 2008 contro RF (6-0, 6-2, 7-5); e lo stenderà l’anno dopo (2022) nei quarti in 4 set (6-2, 4-6, 6-2, 7-6), preludio al quattordicesimo titolo di Venom.
Proprio questi due match permettono di rovesciare il guanto, e andare a vedere nella rivalità Venom-Djoker i vertici della prevalenza di Rafa. È una rivalità (al 31 maggio 2022) molto equilibrata sul lungo periodo, con un 30-29 per il serbo bilanciato da un 11-7 per il maiorchino negli Slam (5-4 nelle finali, più un 7-7 nei Masters), ma molto sbilanciata cronologicamente: nel primo triennio scarso (cioè prima del «sorpasso» del Djoker coi tre Slam consecutivi) si registra un 10- 4 per Rafa; dopo, una lunga fase con un mortificante 22-13 per Nole, ribilanciato un po’ negli ultimi anni.
Impossibile, tra i match clou pro-Nadal, non correre in riflesso pavloviano, per la qualità del gioco e del match, all’unica delle supermaratone vinte di fatto da Venom: la semifinale parigina 2013, 6-4, 3-6, 6-1, 6-7, 9-7 (in 4h e 37’), anche perché lì si bilanciano i fattori; da un lato siamo di nuovo su clay, dall’altro però il Djoker ha da tempo messo la freccia, ed è di gran lunga il più forte non solo per l’Atp. È un match a montagne russe: nel quarto set Rafa è avanti di un break sul 6-5, col servizio per il match, ma perde poi al tie break; nel quinto, è il Djoker a breakkare subito, salendo 4-2 e fallendo stoltamente la palla del 5-3, per poi perdere 7-9 (eco, per Rafa, del quinto a Wimbledon 2008). In quel caso, il «piacere endorfinico» della pazienza e della sofferenza premia RN, il tutto tra le lacrime irrefrenabili dello zio Toni che si difende dai giornalisti («Desculpe! Desculpe!»).
Ma forse il match più avvincente e significativo, per una volta, non è tra i Major: è nella semifinale di Madrid 2009, con Venom che prevale per 3-6, 7-6 (5), 7-6 (9) nel match più lungo (4h e 2’) al limite dei tre. Siamo sull’«odiato» clay in altura, ma con Rafa che ha il pubblico dalla sua: ed è vero che il Djoker non è ancora al vertice, ma ha già dalla sua uno Slam (Open d’Australia) e una finale Atp. È un match proiettivo, quasi profetico: il campo – come spesso, se non sempre, nei match tra i Big Three – si contrae fino a rimpicciolirsi, per l’uno e per l’altro, con tecnica e tattica che tolgono l’ossigeno all’avversario. Velocità, profondità, alternanza di soluzioni da una parte e dall’altra: topspin esasperato, quasi da training per Rafa, versus uno-due, angoli impossibili e strisciate da Plastic Man del Djoker. Nel terzo set ci sono un break (del serbo) e un controbreak, poi un tie break pazzesco: Nole va a servire 6-5 per il match, ma Rafa gioca uno scambio in cui prende tutto, per andare a chiudere sempre sul servizio del Djoker.