
Abbiamo ancora tutti negli occhi il collasso degli L.A. Clippers nella serie contro i Denver Nuggets durante gli scorsi playoff, quando dilapidarono un vantaggio di tre partite a una per accedere alle Finali di Conference entrando per l’ennesima volta nella storia dal lato sbagliato. Una disfatta spettacolare, talmente assurda ed estemporanea da sembrare più legata alla cabala da “la squadra sfigata di Los Angeles” piuttosto che a determinati problemi tecnico-tattici.
I Clippers non buttarono alle ortiche solamente una superiorità netta nel computo complessivo della serie, ma lo fecero anche nelle singole gare, facendosi recuperare e poi superare in ognuna delle ultime tre decisive partite. E anche in questa prima metà di regular season i Clippers si sono dimostrati poco efficaci nei finali punto a punto, come dimostra il loro record negativo quando le partite si risolvono negli ultimi cinque minuti e con le squadre separate da cinque o meno punti, ovvero quel momento della partita che viene definito in the clutch.
Di sfide decise sul filo di lana i Clippers finora ne hanno vinte sette a fronte delle undici sconfitte, e con il 39% hanno la quart’ultima peggior percentuale di vittorie, sopra solo ai Timberwolves, Pacers e Pistons. Ma non basta: sono 4 vinte e 9 perse entrando negli ultimi tre minuti di gioco con le squadre divise da tre punti e solo due delle vittorie in the clutch sono arrivate rimontando da una posizione di svantaggio. L’ultima risale allo scorso 10 gennaio contro i Chicago Bulls nonostante gli eroismi di uno Zach LaVine da 45 punti, mentre l’altra nella sfida dell’Epifania in casa dei Golden State Warriors.
Ritrovare l’identità difensiva
Le sconfitte più cocenti e preoccupanti sono però arrivate contro le avversarie dirette, sia sulla costa orientale che su quella occidentale, a dimostrazione di come i Clippers debbano ancora scrollarsi di dosso le scorie della bolla di Orlando. Ma è emersa anche la necessità di trovare soluzioni più efficaci nei finali punto a punto contro le migliori squadre della lega, uscendo almeno un minimo dalla propria comfort zone. I Clippers finora hanno giocato solo 45 minuti di clutch time (solo Houston e Utah ne hanno giocati meno), quindi il campione è limitato e le statistiche non pienamente indicative, ma stanno facendo registrare con largo margine il peggior Net Rating dell’intera NBA (-26.4 punti su 100 possessi). Per dare un riferimento, i derelitti Detroit Pistons e Minnesota Timberwolves si limitano rispettivamente a -18.8 e -16.7.
Se volete una spiegazione per questo terrificante dato basta leggere quello riguardante il rating difensivo, dove nuovamente i Clippers fanno molto peggio del resto della lega con 130.2 punti concessi su 100 possessi. Un crollo vertiginoso rispetto ai 111.6 che concedono su base stagionale e un problema al quale Tyronn Lue e il suo coaching staff dovranno rapidamente trovare un rimedio prima che diventi endemico. I Clippers in questa stagione non sono la stessa difesa di altissimo livello che hanno dimostrato di poter essere lo scorso anno, quando finirono la stagione regolare al quinto posto per Defensive Rating. Continuano a concedere troppe conclusioni al ferro e attorno al pitturato, quasi il 55% di quelle tentate dagli avversari, che vengono convertite ad alta percentuale (rispettivamente il 65% e il 43.5%).
Una tendenza che diventa ancor più preoccupante nei finali di partita, nei quali spesso coach Lue ricorre al suo quintetto piccolo senza lunghi di ruolo per cambiare su ogni blocco. Una soluzione che dovrebbe massimizzare la presenza in campo di eccellenti difensori perimetrali come Kawhi Leonard e Paul George, ma che a volte viene esposta dalla stazza e la fisicità dei lunghi avversari. Come nella serie contro Denver L.A. si era trovata a cambiare sistematicamente su Nikola Jokic offrendo il fianco alle qualità di realizzatore interno e di playmaking del serbo, anche nelle sfide contro Utah e Milwaukee non è riuscita a gestire il talento dei lunghi avversari.
Nella sfida diretta per la vetta della Eastern Conference contro i lanciatissimi Utah Jazz, dopo che una furiosa rimonta nel cuore dell’ultimo quarto li aveva riportati a contatto, hanno finito per cedere nel finale soprattutto per colpa del strabordante impatto offensivo di Rudy Gobert.
Con la partita in bilico gli Utah Jazz si sono affidati per tre volte consecutive alle loro variazioni sui horns ai gomiti per smarcare Gobert nel pitturato. La prima con un doppio blocco con il secondo che rolla indisturbato verso al ferro, la seconda con Ingles che rifiuta il blocco di Conley e crea una tripla aperta nell'angolo debole con Gobert che verrà fermato fallosamente a rimbalzo. E la terza con il centro francese che approfitta del cambio per sigillare il connazionale Batum sotto il ferro per il canestro e fallo.
E se Gobert non è certo diventato un All-Star grazie alla sua produttività in attacco, quando la difesa di Los Angeles si è trovata a dover fronteggiare Giannis Antetokounmpo ha mostrato tutte le fragilità del suo sistema. Nella sfida domenicale prima della pausa per l’All-Star Game, i Clippers hanno subito forse la sconfitta più bruciante della stagione, non trovando alcuna contromisura allo strapotere dell’MVP in carica. Il greco schierato da 5 ha tagliato a fette la difesa di L.A. e ha imposto la sua verticalità nel pitturato segnando 18 degli ultimi 23 punti dei Bucks e sbagliando un solo tiro dal campo negli ultimi tre minuti di gioco.
I tanti modi con i quali Giannis ha abusato della sua stazza fisica contro la difesa piccola di L.A.
Quando Lue con quattro minuti ancora sul cronometro ha deciso di togliere Ibaka per andare con un quintetto piccolissimo in grado di rimanere davanti a tutti gli avversari e chiudere le linee di penetrazione, ha lasciato scoperto il pitturato dove Giannis ha potuto ricevere indisturbato. A Milwaukee è bastato qualche blocco lontano dalla palla per forzare il cambio - anzi: per lasciar che i Clippers cambiassero automaticamente, un po’ scolasticamente - per poi alzare il pallone dove solo le infinite braccia di Giannis potevano arrivare.
Ma questa strategia dei Clippers non è stata incrinata solamente dagli All-Star, ma anche da giocatori più limitati come DeAndre Jordan in un’altra sfida domenicale di cartello con i Brooklyn Nets. L’ex di turno ha deciso l’ultima partita tra le due superpotenze con un acrobatico tap in mancino spostando Marcus Morris da sotto canestro. Non è certo un caso visto che in the clutch i Clippers concedono 19 punti su 100 possessi nelle seconde opportunità (realizzandone invece solo 6.7/100) e ben 49.5 punti su 100 possessi nel pitturato (segnandone 17.1/100).
Una carambola quasi casuale ma che dimostra quanto i Clippers soffrano sotto il proprio tabellone. DeAndre aveva garantito un altro extrapossesso ai suoi anche nell'azione precedente.
Un'emorragia complicata da fermare viste le scarse risorse a roster, con Ibaka e Zubac a dividersi il grosso del lavoro sotto canestro, ma che deve richiedere un impegno di tutti e cinque i giocatori in campo. Una collaborazione che non sempre si vede tra i Clippers, abituati a spegnersi e accendersi a intermittenza come le luci di Natale. Perché non sempre il talento individuale basta per competere ai livelli più alti.
La mancanza di complicità tra Leonard e George
Però di talento i Clippers ne hanno in abbondanza, a partire dalle loro due superstar per poi scendere nei tanti giocatori di complemento di livello che possono schierare. Non sempre sono stati tutti disponibili, anzi la consueta staffetta tra Leonard e George continua a generare una chimica di squadra spuria, non ancora ben amalgamata. I due però hanno giocato 27 partite insieme delle 41 disponibili e sono vicini a raggiungere le 37 della scorsa regular season.
Formano uno dei tandem più efficaci su entrambe le metà campo, mettendo insieme oltre 50 punti, 12 rimbalzi e 10 assist di media. E questa versione dei Clippers è ancora più incentrata sulle loro qualità di quanto non fosse quella dello scorso anno, che aveva a disposizione anche l’asse Lou Williams-Montrezl Harrell per mettere facili punti a tabellone. Il primo ha visto infatti scendere tutti i suoi numeri in attacco in questa prima metà della stagione, dallo Usage ai punti per possesso, mentre Luke Kennard, preso in estate per aumentare la quota di tiro e playmaking, non sta confermando le aspettative e i soldi spesi su di lui.
Leonard e George sono stati quindi chiamati a creare ancor di più attraverso isolamenti e pick and roll, per poi distribuire una volta prodotto il vantaggio. Così facendo i Clippers generano il numero più alto di triple dagli angoli della lega e conseguentemente hanno la miglior percentuale da dietro l’arco con il 42.4%. Kawhi e PG possono scegliere che mismatch attaccare e poi eventualmente scaricare sul compagno libero con grande fiducia, visto che al momento i Clippers hanno ben otto giocatori che tirano da tre oltre il 40%, guidati da Kennard e Morris che superano il 45.5%.
Sono una macchina estremamente efficiente che si basa su principi semplici quanto vincenti, ma che nei finali di partita a volte rischia di diventar prevedibile quando incontra avversari in grado di limitare la prima soluzione. Il pick and roll tra le due stelle è un’arma formidabile ma quando ad esempio i Bucks gli hanno messo addosso sia Middleton che Giannis per cambiare su ogni blocco, i Clippers si sono inceppati finendo per prendere tanti tiri contestati alla fine del cronometro dei 24 secondi.
Il classico "una volta tu, una volta" io tra Leonard e George, che però si trovano ad attaccare i migliori due difensori dei Bucks in isolamento. Nel primo George si accontenta di una tripla dall'angolo ben contestata da Giannis, che successivamente arriva in aiuto di Middleton quando Kawhi si intestardisce nell'uno contro uno dal gomito.
I Clippers sono quarti in NBA per long-2 tentati, e l’abilità nel realizzare tiri particolarmente complicati li rende efficienti oltre quello che gli consentirebbe la loro selezione. Hanno la differenza più alta di tutti tra la percentuale che dovrebbero sostenere visti i tiri che prendono e quella reale che stanno mantenendo in stagione (+4.1%), un dato che da un lato ben riassume la loro bravura, ma dall’altro pone delle domande sulla sostenibilità nel lungo periodo contro difese di alto livello.
Quanto può essere competitivo un attacco che tende ad avere la maggioranza dei tentativi da due punti non assistiti con oltre il 56%, una quota che si impenna ulteriormente nel clutch passando al 72.7% dove di conseguenza si abbassa la percentuale di realizzazione? Troppi tiri difficili da segnare con consistenza anche per degli specialisti della materia come Leonard e George.
Specialmente perché prendere molti tiri dalla media distanza significa giocoforza rinunciare ad attaccare il ferro e mettere pressione alla difesa, che è ben contenta di subire un tiro sopra le braccia piuttosto che rischiare di spendere un fallo per un contatto nel pitturato e un rimbalzo offensivo dalla corta distanza. D’altronde la difficoltà dei Clippers di andare in lunetta è ben nota, con il solo Kawhi capace di conquistare falli per lucrare punti facili, quello che ogni attacco efficiente dovrebbe puntare a fare.
Dopo la partita persa nel clutch contro i Celtics Paul George ha ammesso che sarebbe dovuto essere più aggressivo nell'attaccare i mismatch, come ad esempio questo dov'è accoppiato con Kemba Walker.
Per certi versi infatti il funzionamento della fase offensiva dei Clippers è controintuitiva rispetto alle tendenze del basket contemporaneo ed è profondamente dipendente dallo skillset dei suoi due migliori giocatori. Ma per quanto il contesto sia stato creato intorno a loro, Leonard e George non sempre hanno dimostrato di essere in grado di elevare i propri compagni di squadra. O anche solo di sapersi fidare di chi avevano di fianco nel momento del bisogno.
Avrebbero bisogno di qualcuno che detti i ritmi e gli schemi, specie quando i due sembrano dividersi il pallone con il Cencelli nei finali di partita, attenti più a non pestarsi vicendevolmente i piedi piuttosto che eseguire la coreografia disegnata dal loro allenatore. E infatti i Clippers sin dal termine della scorsa stagione (anche per richiesta di Leonard) sono alla ricerca di un upgrade rispetto ai vari Patrick Beverley, Lou Williams e Reggie Jackson che possa portare ordine e lucidità nelle partite più concitate.
Perché alla fine molti dei difetti evidenziati nei finali punto a punto sono strutturali nella costruzione della squadra. La dirigenza ha l’obbligo di fare di tutto per eliminarli in vista dei playoff, nei quali i Clippers dovranno come sempre provare a ribaltare la propria narrativa. La squadra di Tyronn Lue è arrivata alla pausa dell’All-Star Game con tre sconfitte nel suo tour ad Est e dopo la vittoria a valanga contro Golden State ha subito una brutta sconfitta contro New Orleans con sia Kawhi Leonard che Paul George in campo.
Subito dopo la partita Leonard ha ammesso come la squadra debba trovare una maggiore costanza per poter puntare a risultati importanti. “Le grandi squadre sono grandi proprio perché giocano a un certo livello ogni sera” ha sentenziato senza tanti giri di parole, forse per dare anche un segnale ai suoi compagni. Segnale che è arrivato immediatamente, visto che i Clippers si sono imposti in modo convincente in casa dei lanciati Dallas Mavericks e sono tornati in scia dei Lakers nella lotta per la Western Conference. In attesa che altri finali testa a testa ci possano dare un’idea più chiara delle reali ambizioni degli L.A. Clippers.