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I primi passi della nuova Roma
03 feb 2016
03 feb 2016
La prima vittoria convincente, e fortunata, della nuova Roma di Spalletti.
(articolo)
9 min
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C’è una risposta leggendaria di Pep Guardiola, interrogato sull’idea dell’assenza di un attaccante vero e proprio in formazione, che parafraso: «Il nostro centravanti è lo spazio». È un concetto che deve avere chiaro anche Luciano Spalletti, lui che l’idea del falso nove se la ritrovò tra le mani una sera di dicembre del 2005 quando, per totale mancanza di attaccanti, propose Francesco Totti, che allora era considerato come un trequartista, come unica punta.

A più di dieci anni di distanza, Spalletti si è ritrovato a Reggio Emilia in una situazione vichianamente simile, con i suoi due attaccanti migliori fuori per problemi fisici (allora erano Montella e Nonda, oggi Totti e Dzeko) e in panchina un giovane centravanti di cui forse non si fida troppo (allora era Okaka, oggi Sadiq). Così come allora, Spalletti ha rivestito dei panni dell’attaccante un trequartista: Diego Perotti.

Di fronte, stavolta, il Sassuolo di Di Francesco: una tra le principali rivelazioni del campionato, squadra particolarmente insidiosa contro le “grandi” soprattutto grazie al suo efficace gioco di transizione.

Modulo liquido

Sul campo la formazione della Roma era difficilmente inquadrabile negli schemi tradizionali. Era ragionevole aspettarsi che il tecnico di Certaldo riproponesse il 3-4-2-1 già visto con Verona e Juventus, con Salah e Nainggolan ad agire alle spalle del solo Perotti. Ma per capire la relativa importanza dei numeri del modulo basta osservare la difesa a tre contro il Sassuolo. Quando la squadra di Di Francesco riusciva a raggiungere la trequarti giallorossa, Zukanovic si stringeva alla coppia di centrali De Rossi-Rüdiger, mentre El Sharaawy ripiegava quasi sulla linea difensiva agendo quasi da terzino, o da “terzino di fatto”. Dall’altra parte, invece, Salah era praticamente libero da compiti difensivi, anche se alle sue spalle c'era un terzino particolarmente offensivo come Maicon. Il che in alcuni casi portava al formarsi di una nuova linea a quattro difensiva, con Rüdiger e El Shaarawy terzini.

Ovviamente si tratta solo di pochi momenti, magari più rari di quelli in cui erano Maicon e Zukanovic i due difensori più larghi della linea a quattro, o di quelli in cui di poteva vedere una “normale” difesa a tre, ma se ho descritto questa altalena è perché (probabilmente) faceva parte dei piani teorici di Spalletti.

L'asimmetria di base, quella tra El Shaarawy e Salah, aveva in primo luogo un obiettivo difensivo: la corsia destra del Sassuolo era senza dubbio quella più pericolosa, con due giocatori molto abili a creare pericoli per le difese avversarie attraverso tiri e cross come Vrsaljko e Berardi. La catena di sinistra romanista, rafforzata ulteriormente da Nainggolan, doveva ingabbiare le loro avanzate e invece, dall’altra parte, la Roma si poteva permettere maggiore “leggerezza” per la catena emiliana Peluso-Sansone: due giocatori più ordinati tatticamente ma meno creativi.

Poi, non appena rientrava in possesso, la Roma tornava con una difesa a quattro, con Zukanovic a fare il terzino sinistro, occupando lo spazio liberato dalla salita di El Sharaawy di cui ovviamente andavano sfruttate le doti offensive. A quel punto, con il ritorno dell’ex Monaco sulla trequarti, la Roma si modellava con una specie di 4-1-4-1.

Ma anche in questo caso i numeri sfocano a mano a mano che ci avviciniamo a guardarli: quella che teoricamente doveva essere l’unica punta, Perotti, si abbassava sistematicamente sul centrocampo per consolidare il possesso, mentre El Shaarawy e Salah, e anche Nainggolan (solo più raramente coadiuvato da Pjanic, comunque il migliore dei suoi per occasioni create e passaggi riusciti) avevano il ruolo di attaccare la profondità faccia alla porta. In alcuni casi il modulo scivolava nel 4-3-1-2, a volte non era davvero possibile distinguere con certezza i reparti.

La difesa a quattro della Roma in fase di possesso. El Shaarawy, qui fuori inquadratura, si è alzato sulla trequarti (su cui è già posizionato Nainggolan, sfalsato rispetto a Pjanic e Keita) e Zukanovic è andato ad occupare il suo posto andando a ricoprire il ruolo di terzino sinistro puro.

Ma non si tratta solo di speculazioni: in questo modo, infatti, la difesa del Sassuolo si trovava davanti un dilemma difficile da risolvere: accorciare su Perotti liberando spazio alle proprie spalle per gli inserimenti dei centrocampisti della Roma; oppure aspettare, lasciando spazio allo stesso Perotti (o Salah, più raramente) permettendogli di girarsi e innescare lui stesso gli inserimenti dei suoi compagni. In tutti e due casi, comunque, data la velocità dei trequartisti della Roma e la capacità di vedere linee di passaggio dell’argentino, il Sassuolo era messo male.

Il movimento da falso nove di Perotti. L’argentino viene incontro al centrocampo per ricevere il passaggio di Zukanovic attirando fuori posizione Cannavaro. Lo spazio liberato dal movimento del difensore del Sassuolo viene immediatamente attaccato da El Shaarawy che viene servito sulla corsa proprio da Perotti. L’ex Monaco arriverà fino in area dove sarà infine contrastato da Vrsaljko.

Il movimento a tutto campo di Perotti mandava in tilt anche il sistema di recupero del pallone del Sassuolo, almeno nel primo tempo messo fortemente sotto pressione dal palleggio sicuro della Roma. Con l’argentino che si andava a prendere palla alle spalle delle mezzali neroverdi, il centrocampo della Roma aveva sempre una possibilità di scarico in più per mantenere il possesso; e se poi Perotti riceveva palla tra le linee, allora costringeva il terzino di riferimento all’1 vs 1 e Magnanelli a uscire dalla propria posizione.

Perotti riceve palla alle spalle di Biondini, che cerca di recuperare in ritardo. La Roma può quindi aggredire Vrsaljko in superiorità numerica, costringendo Magnanelli ad uscire dalla propria posizione e a scoprire così la propria difesa.

Ancora tanti problemi senza palla

Se in fase offensiva (sia derivante da possesso consolidato che da transizione) la Roma sembrava già aver interiorizzato determinati meccanismi, in fase di pressing e recupero del pallone presenta ancora diverse lacune.

Il rudimentale pressing alto iniziale della Roma.

I giallorossi, per esempio, hanno difettato ancora nel pressing alto organizzato. Inizialmente la strategia era quella di lasciare libero di impostare il meno tecnico tra i due centrali, Acerbi, mandando Salah su Cannavaro e schermando Magnanelli con Perotti. La mossa però è stata subito elusa da Di Francesco che ha semplicemente invertito i due centrali di difesa: in questo modo Perotti era costretto a scegliere tra uno tra Magnanelli e Cannavaro (con El Shaarawy fisso su Vrsaljko) che si sono ritrovati spesso liberi di salire fino al centrocampo palla al piede.

Un’altra situazione difficile per Spalletti è stata quella creata dal movimento interno-esterno di Duncan: quando Maicon accorciava sul centrocampo per accompagnare la pressione della squadra, infatti, il centrocampista ghanese attaccava lo spazio alle sue spalle, costringendo Rüdiger a uscire dalla sua posizione per non lasciare solo il brasiliano. Proprio da un’uscita poco riflettuta del tedesco su Politano (entrato nel secondo tempo per sostituire Duncan) è nata l’azione del rigore del Sassuolo, che poteva riportare la partita in parità e permettere al Sassuolo di gestire gli ultimi minuti in 11 vs 10.

Perotti è in ritardo su Acerbi che è libero di arrivare fino alla propria trequarti difensiva e impostare. Lancia quindi per Duncan, posizionatosi molto largo a sinistra in modo da attaccare alle spalle Maicon, che dal canto suo è salito alto su Sansone. Duncan arriverà fino in area giallorossa dove però verrà anticipato da Szczesny.

Ma più in generale, la Roma ha dimostrato ancora una volta di avere un sistema del recupero del pallone farraginoso. I giallorossi arrivavano a contendere il pallone in ritardo, solo quando gli avversari erano già arrivati a proteggerlo con il corpo. L’impressione è confermata dai dati Opta che vedono la Roma con un baricentro basso (43,6 metri in media dalla propria porta) e un atteggiamento nel recupero palla decisamente passivo (solo 28,5 metri dalla propria porta, contro i 41,2 del Sassuolo).

Va detto che le più grandi difficoltà si sono viste quando l’intensità fisica della Roma è calata nel secondo tempo, con il Sassuolo che è riuscito sistematicamente ad arrivare alla trequarti avversaria, creando diversi pericoli per la porta di Szczesny. In questo senso, non ha aiutato nemmeno la scelta di Spalletti di mettere in campo un centrale difensivo destro, Gyomber, come terzino sinistro, dopo l’infortunio di De Rossi. La mossa (che voleva forse, proprio lasciando un mancino come Zukanovic al centro, limitare i problemi di impostazione) non solo è stata inefficace contro la crescita di Berardi (il migliore dei suoi per tiri nello specchio e occasioni create), ma ha anche privato la Roma di una possibilità in fase di uscita del pallone dalla difesa, con lo slovacco sempre costretto a tornare indietro o a entrare pericolosamente dentro il campo per non buttare via il pallone (10 palle perse in un solo tempo giocato per lui).

La Roma, quindi, non è più riuscita a dominare l’avversario col possesso palla (nel primo tempo il possesso palla dei giallorossi ha sfiorato quota 64%, crollato a 39,6% nel secondo) correndo il rischio concreto di perdere una vittoria nei minuti finali di una sfida che avrebbe potuto mettere al sicuro con altre occasioni nel primo tempo (e quella clamorosa di Salah che calcia su Consigli da pochi passi, ignorando Nainggolan vicino, nel secondo).

L’azione che ha portato al gol decisivo di El Shaarawy ha forse illuminato il cammino che dovrà seguire la Roma nel prossimo futuro. Perotti, infatti, preferisce difendere in avanti, anziché correndo indietro, come ha fatto in quell'occasione, rubando il pallone a Magnanelli e andando sul fondo per servire il suo compagno. E solo i giocatori della Roma sanno quanta fatica si fa a dover indietreggiare di venti o trenta metri a ogni palla persa.

Inoltre, per le caratteristiche della quasi totalità del reparto offensivo, alla Roma conviene attaccare squadre sbilanciate, disordinate, attaccando gli spazi: e non c'è modo più sicuro di trovare una squadra messa male che rubandole palla mentre sta cercando di attaccare. Una verità che in Germania è già una tradizione (da Klopp a Schmidt). In questo senso vale la pena chiedersi in che modo Dzeko possa inserirsi nel puzzle, non per demeriti personali, ma per le sue caratteristiche. C'è ancora tempo, se la Roma di Spalletti fosse un bambino, noi staremmo parlando dei suoi primi passi, ma la riuscita del suo ritorno passerà proprio dalla capacità di riuscire a insegnare a tutta la Roma ad attaccare anche in fase di non possesso.

Perché il tuo centravanti può essere lo spazio anche quando la palla ce l’hanno gli avversari.

Ringraziamo per i dati Opta (che potete anche seguire su Facebook e Twitter)

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