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(di)
Mattia Pianezzi
I primi amori non si scordano
05 set 2016
05 set 2016
Le prime partite della stagione servono a scoprire nuovi giocatori.
(di)
Mattia Pianezzi
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Nell’eccitazione della prima di campionato, dove la smania rende tutte le partite interessanti, un occhio su Pescara-Napoli l’abbiamo posato tutti. Un po’ per controllare il Napoli-senza-Higuain, un po’ per rivedere quelle belle maglie biancocelesti dei delfini in Serie A. Nonostante l’entusiasmo, le forze in campo erano ben definite, e si prospettava un’allegra camminata del Napoli sul Pescara. E invece all’ottavo minuto: BEM. Un gran passaggio di Verre (si farà Verre, eccome se si farà) lancia Benali; Koulibaly è distratto e si permette un errore di sufficienza, di quelli che ogni tanto gli capitano quando sottostima la pericolosità di un’azione – succede raramente, ma succede. Benali, come se fosse nato lì, in area di rigore in Serie A contro la ex seconda in classifica e teorica contendente per il titolo, fa lo scavetto a Reina. È uno a zero e il campionato è già bellissimo.

 

In realtà Benali è un nome non sconosciutissimo se si è seguito un po’ il cammino del Pescara per risalire in A: una marea di presenze, un apporto fondamentale, il sidekick del bomber Lapadula ma non meno importante. Personaggio sobrio, nato inglese a Manchester (le giovanili le ha fatte nel City) ma naturalizzato libico, appena è arrivata la chiamata della nazionale di Tripoli; “Non ci ho pensato un attimo”. Benali è un altro di quei tasselli che rendono il Pescara di Oddo la nostra neopromossa preferita.

 

 


 



 

Nella prima partita sono rimasto contento del giovane Lombardi, ma è Bastos che mi ha conquistato dopo il match con la Juventus. Il difensore angolano, non ancora venticinquenne, ha imbastito una prova attenta e disciplinata contro i campioni d’Italia, facendosi trovare concentrato quando c’era da usare il cervello e spigoloso quando era tempo di usare i muscoli, discretamente preciso nei (semplici) passaggi richiestogli e con una bella personalità che lo faceva spesso uscire dalla difesa a testa alta. Nel primo tempo ha controllato Mandzukic con le buone e con le cattive, ma quelle che me l’ha fatto inserire in questa lista sono le due chiusure difensive su Higuaín appena entrato, mister 98 milioni, o 36 gol, come volete, spaventatore di difese, abbandonatore di Napoli, ecc. Una la vedete sopra, l’altra è

. La prima invero è un pelino fortunosa coi tempi, ma è comunque venuta bene; la seconda è un contenimento di grande fisico ed esperienza. Pare che lo stesso Higuaín si sia complimentato con lui, tra una sportellata e l’altra. Bravo Bartolomeu Jacinto Quissanga.

 

 


 

https://www.youtube.com/watch?v=oyVENDFgt_M

The Maestro, certo.



 

Sensi gioca in maniera vispa, con la testa alta e i piedi che seguono rapidamente il cervello. Affiancato da Di Francesco a quell’ottimo factotum che è Magnanelli, Sensi ha ventun anni e viene già chiamato “Maestro”. Questo forse gli dà un po’ di spocchia, ma nondimeno la reputazione è meritata, fosse anche per la grande gavetta che ha dovuto fare per esordire in Serie A. La giovane mezzala ha giocato solo il match col Palermo, ma bastava aver sentito parlare della sua annata scorsa al Cesena per sapere di potersi aspettare buone cose da lui. In quei 90 minuti contro i siciliani Sensi è stato il più preciso nello smistare palloni ai compagni, facendo sì meno passaggi di Magnanelli ma rischiando di più, arrivando a fornire tre passaggi chiave e a tirare. Sensi non è però il “registino" leggero che possiamo immaginarci, un post-Pirlo estroso e alabastrino; Stefano Sensi difende bene, segue l’avversario e lo francobolla, rischiando anche il tackle (col Palermo è riuscito in tre tackle su sei provati, e due intercetti) e rivelandosi prezioso in interdizione. Insomma, più un fratello minore di Verratti, se vogliamo, che un figlio di Pirlo. E nel calcio contemporaneo questo è prezioso.

 

 


 

Chi è quello spilungone di colore con la maglia Zeus che fa la punta nel Crotone? Classico spauracchio da serie cadetta, Simeon Tochukwu Nwankwo è il puntero che hanno scelto i calabresi per boh, spaventare gli avversari? In realtà Simy per ora non ha dimostrato esattamente numeri d’alta scuola, anche se nella scorsa stagione è stato il capocannoniere della serie B portoghese con 20 gol.

 

Sul campo Simy si muove come un misterioso emù, un Mohamed Sissoko a dieta, con leve lunghe che sembrano trasportare il suo corpo come un baldacchino. È alto praticamente due metri, e come tutti gli attaccanti un po’ matti si è preso la maglia numero 99. A

stupisce più il senso dello spazio personale molto generoso che hanno i difensori della Segunda Liga che i gol fatti con relativa semplicità da uno che sembra il fratello grande di tutti quelli in campo. Però ecco, quell’andatura ad ampie falcate, il bel nome sulla maglia e l’immaginarmelo sul lungomare di Crotone tra i calabresi che gli vogliono bene mi indebolisce e mi fa sciogliere il cuore.

 

https://youtu.be/vgVz9iKXVVg?t=116

Campio’!



 

 


 
https://www.youtube.com/watch?v=OtsDmSw_AsU

 

Bruno Alves domina l’area sui palloni alti. È campione d’Europa. Un anno fa è stato contattato dalla Juventus. Fa pure un tiro a partita, cosa volete di più? Sotto consiglio di Cristiano Ronaldo è venuto in Sardegna (pare che CR7 gli abbia detto che sia un bel posto in cui vivere) alla corte di Giulini per una delle formazioni che in Serie A sta bene, e hai i numeri per restarci. Membro di una famiglia di calciatori, Alves viene a svernare in un campionato e in un calcio in cui l’esperienza e l’attenzione nel suo ruolo diventano più importanti della mera prestanza fisica. Migliore dei tre difensori nella sconfitta col Genoa, colonnello dei quattro nel pareggio in rimonta in casa con la Roma, reputazione sull’internet simile a quella del conterraneo Pepe, baffetto da cattivo di Breaking Bad, Bruno Alves può essere una delle armi migliori di questo Cagliari, basta che non perda la testa.

 


Il cardinale Alves benedice la folla all’aeroporto di Elmas



 

 



 



 

Al ventesimo del primo tempo della prima partita di campionato la regia di Sky inquadra la panchina dell’Udinese. Tra le varie plusvalenze e i giocatori che conoscono inglese italiano e spagnolo benissimo grazie a Mr. Pozzo, spicca una testa biondo limone su un volto andino. Un Neymar della scena J-Pop.

 

Peñaranda ha rappresentato in nuce tutti gli altri nomi qui elencati: giocatori che non si erano quasi mai visti prima, alle prese con il mondo della nostra massima serie; calciatori imprevedibili perché sconosciuti. Ogni volta che prendeva palla Peñaranda pensavo: “ora che fa, corre veloce? Dribbla? Avrà dei buoni piedi, magari l’appoggia indietro? O fa una bella apertura ad allargare il gioco?”. In realtà non ha fatto niente di tutto ciò. Ecco, non ha fatto niente Adalberto Peñaranda, però mi ha fatto pensare a tutti i nuovi calciatori che avrei visto, e poi il campionato è lungo e Peñaranda può ancora mostrare tanto, anche perché è un classe ‘97. E quindi mi ha reso contento. Nonostante l’Udinese stia perdendo anno dopo anno il suo appeal di sfornatrice di talenti (Guidolin torna please), questi personaggi in bianconero sono un po’ la metafora di quelli a cui comunque ci si affeziona, specie quando non è neanche settembre e la Serie A è gonfia di promesse come le foglie che cadono a settembre. Alzi la mano chi non vuole bene ad Ali Adnan.

 

 

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