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Classificone Fabrizio Gabrielli 1 settembre 2017 8'

I migliori veterani della Serie A 2017/18

10 giocatori da cui ci aspettiamo un ultimo, glorioso canto del cigno.

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Rispetto al 2015, quando l’età media delle sue rose era la più alta d’Europa, la Serie A si è discretamente ringiovanita così oggi, tra le top league europee, non è neppure la più gerontocratica (segue sul podio Bundesliga e Ligue 1). Nonostante ciò, anche in questo campionato non mancheranno volti ai quali siamo legati da relazioni empatiche di lungo corso, non necessariamente vecchi, più che altro calciatori che nel tempo ci sono diventati familiari come quegli zii che non mancano mai ai matrimoni, nelle cui rughe e cicatrici è nascosta una parte importante della nostra vita. Il countdown verso la fine della loro carriera ci accompagna verso la nostra maturità.

 

L’addio di Totti lo scorso anno ha distrutto più di una persona e ci ha insegnato come la longevità sia un valore a sé, come anche i sentimenti hanno ancora un loro spazio nel calcio dei petroldollari. Ho scelto i dieci veterani più significativi della Serie A, quelli per i quali quest’anno potrebbe essere l’ultimo o l’anticamera dell’ultimo: gente che immagino abbia sottolineato quel passo del “Cato Maior de senectute” di Cicerone che dice «preferirei esser vecchio meno a lungo, che diventarlo prima del tempo».

 

🔟 forever.#TottiDay #ThanksTotti #Totti #ASRoma pic.twitter.com/yuZLktBFBs

— AS Roma English (@ASRomaEN) 28 maggio 2017

 

10. Stefano Sorrentino – 1979, Chievo Verona

 

sorrentino

 

Di tutti i calciatori scesi in campo per la prima partita della Serie A 2017/2018, solo 4 sono nati negli anni ‘70, e tre giocano con il Chievo Verona: Dainelli, Pellissier e Stefano Sorrentino, qua sopra cristallizzato in una parata che testimonia come la reattività non abbia età.

 

Come per molti, la senilità calcistica di Sorrentino ha preso una china molto sentimentale: c’è un video su Dugout in cui mostra tutta la collezione delle sue maglie, e quando tocca a quella di Donnarumma, mentre dice le parole «portiere del futuro» gli si incrina la voce.

 

Non vorrei essere un tifoso del Chievo il 20 Maggio, quando lui e Pellissier si abbracceranno sotto la Curva Nord, mani sventolante al cielo, pensando che magari sarà l’ultima volta. Ho già i brividi. Fortunatamente, per ora, entrambi sembrano non pensare neanche alla possibilità del ritiro.

 

9. Stephan Lichtsteiner – 1984, Juventus

 

Juventus - Udinese

 

 

Quando Lichtsteiner ha firmato per la Lazio noi ascoltavamo “Viva la vida” dei Coldplay: oggi la band di Chris Martin è in tour per tutte le Americhe e indovinate un po’ – dopo che la Juventus ha inseguito per tutta l’estate Danilo, e poco prima che Allegri immaginasse Sturaro laterale basso o casomai arrivasse Howedes – chi ha giocato la prima di campionato da titolare servendo il primo assist della nuova stagione?

 

Mi sembra quantomeno rassicurante questa continuità nel tempo, ci fa sentire meno annoiati, e trovo plausibile che anche quest’anno lo svizzero troverà modo di giocare le sue venti-venticinque partite, con il solito cipiglio, la solita partecipazione calorosa, la solita ondata di empatia. Non sta simpatico a tutti, ma anche i nemici di vecchia data a modo loro sono una consolazione nei confronti del tempo che passa.

 

8. Goran Pandev – 1983, Genoa

 

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Ma chi glielo ha fatto fare a Pandev di rimanere a Genova? Possibile non avesse offerte dalla Cina, dagli Emirati? Perché non è stato almeno un po’ egoista e non si è andato a prendere qualche coppa e una fetta di quelle soddisfazioni che solo Mourinho ha saputo dargli (troppo poco!) in sedici anni di militanza italiana? «Facile, eh?» ha risposto in una recente intervista. «E il cuore? La passione?».

 

Goran Pandev è uno che non si è stancato della retorica dell’attaccamento non tanto alla maglia, quanto al torneo, anche se nelle gerarchie del Genoa deve lottarsela con Palladino, Gakpé e due altri giocatori che sono nati l’anno in cui lui ha firmato per l’Inter.
Avrebbe potuto scegliere di fare il testimonial, l’allenatore, il presidente e il fuoriclasse della sua squadra, che porta il suo nome (la Akademija Pandev, in cui gioca anche un giocatore italiano, Giulio Grifoni) che quest’anno giocherà nella prima divisione macedone, e che al momento andrebbe anche in Europa League.

 

7. Andrea Cossu – 1980, Cagliari

 

 

Ora che, grazie al video qua sopra, abbiamo scoperto tutti i punti di contatto tra Andrea Cossu e James e siamo calati in un’atmosfera colombiana, posso anche citare Gabriel García Márquez quando scrive che «il segreto di una buona vecchiaia non è altro che un patto d’onore con la solitudine».

 

Cossu ha tradito la sua Sardegna solo due volte: la prima era un ragazzino, la seconda ha peccato di presunzione, credendo di poter sfondare anche fuori dalla sua terra. Dove è invece una specie di monumento alla coerenza: dopo la retrocessione in B del 2015 temeva di essersi deflorato l’onore, di non poter più indossare la maglia coi quattro mori. Torna non tanto per essere ancora protagonista, quanto per chiudere un cerchio che è perfetto compimento di una metafora in cui l’isola è il simbolo opposto della segregazione. Perché come diceva Martin Brody ne “Lo Squalo”, «un’isola è un’isola solo se la guardi dal mare».

 

6. Mariano Izco – 1983, Crotone

 

izco

 

Credo che Izco abbia scelto Crotone solo per avvicinarsi un po’ a Catania, che gli è rimasta nel cuore: primo acquisto degli etnei appena promossi in A, feticcio di Simeone, cocco di Lo Monaco che ogni stagione gli alzava lo stipendio e un giorno se l’è visto arrivare agli allenamenti in Maserati. Comunque vada, guardando indietro – che è quello che siamo sempre un po’ portati a fare, quando parliamo dei veterani – mi sembra davvero ingiusto che Izco non sia mai stato convocato nella Selección, neppure da Maradona, che pure nel 2009 chiamò Hernán Bernardello: insomma, la cinco poteva pure starci per l’allora capitano del Catania. E invece. L’esperienza non paga proprio sempre sempre, sfortunatamente.

 

5. Sergio Floccari – 1981, SPAL

 

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Sergio Floccari non è uno di quei centravanti da area di rigore che invecchiano male, che non riescono più ad arrivare in tempo all’appuntamento con il gol, che diventano isterici difensori della convinzione cameratistica secondo cui i giovani debbano – come si dice nel gergo militare alle spine – “battere la stecca”. Floccari non pensa di aver maturato diritti speciali, non lascia che il suo ego usi la scusa dell’età per espandersi.

 

Come ha scritto in un surreale profilo Tommaso Giagni qualche tempo fa, Floccari non è mai stato al centro del progetto. Di nessuno. Per dire, anche quest’anno la SPAL, nel ruolo di centravanti c’è una concorrenza selvaggia, con Paloschi, Antenucci, Bonazzoli e adesso anche Borriello. Eppure Floccari stavolta sembra centrale, senza nessuna arroganza né pretesa, sembra pronto per dare una chiosa brillante alla pronta carriera. Che speriamo duri ancora qualche anno.

 

4. Fabio Quagliarella – 1983, Sampdoria

 

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Il destino ha sbagliato mira di sette giorni: domenica 13 Maggio 2018 la Sampdoria sfiderà il Napoli, e Fabio Quagliarella sarà dalla parte sbagliata della barricata, da quella in cui avrebbe preferito non trovarsi. «Ho incontrato il presidente», ha detto un anno fa, quando gli hanno chiesto del sogno di tornare prima o poi al Napoli, «è giusto che ora il Napoli punti su giovani da valorizzare. Io sono un vecchietto, e comunque non si può prevedere il futuro».

 

I primi versi di una bella poesia di Silvina Ocampo, sodale di Borges con il quale fondò la rivista SUR, recitano «Invecchiare […] è guardare la vittima da lontano, con una prospettiva / che invece di sminuire i dettagli li ingrandisce. […] Invecchiare trasforma una vittima in carnefice».

 

Speriamo che a Quagliarella non capiti di dover fare qualcosa che preferirebbe non fare, tipo battere un rigore, e trasformarsi definitivamente da vittima a carnefice. Giusto per non far diventare troppo cupa la prossima domenica 13 Maggio, anche se a Genova sulla fronte di Quagliarella ci sarà il sole.

 

3. Rodrigo Palacio – 1982, Bologna

 

palacio

 

 

Non so quanto sia giusto valutare “el Trenza” sulla scorta dell’episodio della finale del Mondiale brasiliano, qui raccontata da Messi, che nella sua carriera è una specie di ideale spartiacque. Se avesse segnato? Se l’Argentina avesse alzato la Coppa del Mondo grazie a un suo gol, la sua carriera che svolta avrebbe preso? Avrebbe fatto la stessa fine di Goetze? Sarebbe finito al Barcellona? Avrebbe abbandonato l’Italia, che pure tanto gli ha dato?

 

Adesso Palacio ha scelto Bologna, per dimostrare che il suo valore interno non può restare una nascosto sotto una coltre di incomprensioni e occasioni mancate: ha funzionato per Baggio e Signori, perché non dovrebbe funzionare per lui? Miguel de Unamuno scriveva «Un uomo non è mai troppo vecchio per ricominciare la sua vita, e non dobbiamo permettere che ciò che è stato gli impedisca di essere ciò che è o che sarà». Neppure se tornare a Bologna significa tornare ad avere come compagno di reparto Mattia Destro.

 

2. Giampaolo Pazzini – 1984, Hellas Verona

 

"La mia esultanza nasce quando giocavo con Toni. Lui faceva il gesto dell’orecchio per dire “ehi, ci sentite?”. In contrapposizione è nato il mio, che significa “ehi, ci vedete?”. È una cosa che piace e mi piace, per questo continuo a esultare così."#Pazzini e il gol! ⚽️ pic.twitter.com/wrm4aewKjG

— Serie A TIM (@SerieA_TIM) 2 ottobre 2017

 

 

In 365 giorni, da estate a estate, il “Pazzo” è passato attraverso ognuna delle stazioni dei processi di passione e redenzione che normalmente attraversano tutti, anche i calciatori, intorno ai 33 anni: dalla delusione per la retrocessione in B alle malelingue che lo volevano lontano dal downgrade di categoria all’annata strepitosa delle 23 reti al ritorno in A.

 

Anche se è venuto meno il progetto di trittico dell’expertise che Setti aveva pensato per l’Hellas, affiancandogli Cassano e Cerci, Pazzini di-per-sé resta comunque uno dei veterani al contempo più affamati e in cerca di riscatti e vendette personali di tutta la Serie A. Il pugno alla palla dopo il gol su rigore contro il Napoli, match dal quale era stato inizialmente escluso, è assai eloquente di cosa significhi essere un mostro sacro (per anzianità) del campionato. Significa anche, e soprattutto, che alla sua età Pazzini vuole maggiore rispetto.

 

1. Cyril Théréau – 1983, Udinese

 

2012 / 2013

Un post condiviso da Cyril Thereau (@cyrilthereau77) in data: 25 Lug 2012 alle ore 00:05 PDT

 

 

Théréau è da almeno un lustro una pedina tanto imprescindibile negli schieramenti delle squadre per le quali è transitato in Italia (Chievo e Udinese, prima della Fiorentina) quanto, in maniera inversamente proporzionale, è stato poco considerato nel microcosmo della nostra Serie A.

 

Nelle ultime 5 stagioni il suo rendimento e l’approccio sono stati costanti: alla classica, immancabile tarantella sulla sua permanenza Cyril ha contrapposto annate da 2 tiri a partita, accuratezza di tiro sempre sopra il 59%, e soprattutto i gol. E sullo sfondo la certezza che accompagna Théréau ovunque sia: al centro dell’area, inatteso tra le linee avversarie, per raccogliere ogni palla potenzialmente trasformabile, lui c’è sempre.

 

L’occasione di mettersi finalmente in luce in un palcoscenico ambizioso come quello di Firenze potrebbe essere l’ultima grande chance che il nostro calcio gli offre.
Perché davvero, ci abbiamo pensato a cosa sarebbe il nostro campionato senza Cyril? Non lo so. Ma so cosa ne sarebbe di lui. So che da qualche parte del mondo Théréau con i suoi amici non si annoierebbe, e scorrazzerebbe nel deserto con la dune baggy, costringendoci ad accontentarci di un drone per tracciarne la presenza.

 

BONUS: Maxi López – 1984, Udinese

 

 

 

Ve lo ricordavate il primo gol di Maxi in Italia? Aveva la zazzera bionda e in quest’azione compaiono anche Adrián Ricchiuti (che oggi gioca ne La Fiorita di San Marino insieme a Damiano Tommasi [SIC]) e Mascarinho. Pensate: sono passati solo 7 anni. Sembrano un’eternità, non è vero?

 

 

Tags : giampaolo pazzinimaxi lopez

Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia occupandosi di Sudamerica, calcio e letteratura, anche in combine. Il suo ultimo libro si intitola "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012). È vice-direttore de l'Ultimo Uomo.

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