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Foto di Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
NBA Dario Costa 5 ottobre 2020 9'

I Miami Heat non si battono da soli

Gli Heat hanno riaperto le Finals con una straordinaria prova di squadra.

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Per provare a capire come e dove stanno andando queste Finals partiamo dalla fine. Partiamo da una prestazione esemplare da parte dei Miami Heat e di Jimmy Butler, talmente esemplare che ricondurre a una mera reazione d’orgoglio sarebbe riduttivo e non renderebbe giustizia alla pallacanestro giocata dalla squadra di coach Erik Spoelstra. Una prestazione che ha immediatamente ridato senso a questa serie che sembrava destinata a rispettare un copione piuttosto scontato, soprattutto quando è stato confermato che sia Goran Dragic che Bam Adebayo avrebbero nuovamente dato forfait come in gara-2. Le premesse con cui gli Heat si presentavano in campo per gara-3, insomma, non erano esattamente delle migliori.

 

The LeBron & AD Show

La storia di gara-2 è tutta, o quasi, nelle prestazioni monstre di LeBron James e Anthony Davis, autori di 65 punti complessivi tirando con il 64% dal campo. A dispetto della testardaggine ancora una volta dimostrata dagli Heat, disperatamente attaccati alla partita seppur costretti a inseguire fin dalle prime battute, il risultato finale non è mai sembrato in discussione. Le due stelle dei Lakers hanno affondato il colpo, approfittando delle assenze di Dragic e Adebayo e di una serata in cui Tyler Herro, per la prima in questi playoff, ha giocato come un ragazzo di vent’anni alla prima esperienza in NBA. Forti dei 56 punti segnati nel pitturato e dei 21 derivati da seconda opportunità, i ragazzi di Vogel hanno imposto la loro stazza fisica facendo anche pesare la maggior abitudine a operare nell’area rarefatta delle Finals, testimoniata anche dall’ottima performance di un veterano come Rajon Rondo.

Lo spettacolo messo in scena da James e Davis in gara-2.

 

Come spesso accade, la vittoria dei Lakers, per certi versi apparsa inevitabile, si prestava a due interpretazioni contrapposte e allo stesso tempo complementari. Da un lato era chiaro a tutti che qualora James e Davis avessero continuato a giocare su questi livelli la serie sarebbe durata lo stretto indispensabile, perché quando puoi mettere in campo due dei cinque migliori giocatori della lega in pieno stato di grazia le possibilità di rimonta per gli avversari si fanno quasi inesistenti. D’altro canto, però, gli Heat si potevano aggrappare alla sensazione di non essere mai davvero usciti da una partita dominata in maniera così netta dalle due stelle dei Lakers e soprattutto alla speranza che, nel grande gioco delle probabilità, LeBron e AD difficilmente avrebbero potuto rasentare la perfezione anche nelle gare successive. 

 

In una gara dominata dal fischio iniziale i Lakers hanno comunque concesso un rating offensivo a Miami di 125.3 per cento possessi, l’efficienza più alta concessa ad un avversario dai Lakers nelle ultime 16 partite di playoff. Un campanello d’allarme per una squadra che sembrava in totale in controllo della serie. 

 

Sull’orlo del precipizio

In vista di gara-3, tra le premesse poco rassicuranti per gli Heat – sotto 2-0 e molto vicini a precipitare nel burrone dello sweep – era poi arrivata la conferma delle assenze di Dragic e Adebayo. E se per la guardia slovena non si trattava certo di una sorpresa, per il lungo le speranze di tornare sul parquet si arenavano tra spalla e collo, nel bel mezzo di un infortunio la cui gravità rimane ancora un segreto ben custodito dallo staff di Miami. La prospettiva, quindi, per Butler e compagni era quella di presentarsi in campo con lo stesso assetto apparso un po’ traballante in gara-2, ma potendo godere degli aggiustamenti tattici approntati grazie al solito, eccellente lavoro del coaching staff capeggiato da Spoelstra.

 

Aggiustamenti che hanno caratterizzato i primi due quarti di gara-3, nei quali Miami di fatto ha abbandonato la zona per restare a uomo e aggredire le linee di passaggio avversarie. L’approccio ha funzionato, perché gli Heat sono riusciti a forzare dieci palle perse nel solo primo quarto, chiudendo l’area a Anthony Davis (costantemente raddoppiato), limitando i rimbalzi offensivi avversari e spingendo in contropiede. Il linguaggio del corpo dei Lakers, poi, non ha dato l’idea di una squadra scesa in campo con la concentrazione necessaria e la voglia di ammazzare partita e serie.

 

 

La difesa non proprio irreprensibile dei Lakers sul blocco lontano dalla palla tra Leonard e Crowder.

 

James, su cui si sono alternati Butler, Crowder e Iguodala, è rimasto comunque un rebus irrisolvibile per la difesa di Miami e con i suoi 16 punti ha tenuto i suoi in linea di galleggiamento.

 

 

LeBron tra tre avversari: canestro e fallo subito.

 

Sul versante Heat è apparso chiaro sin dai primi possessi come l’atteggiamento di Jimmy Butler fosse sensibilmente diverso rispetto ai primi due capitoli della serie. L’ex-Marquette ha puntato al canestro con più continuità, agendo da playmaker con 6 assist e mostrando una selezione di tiro quasi impeccabile, limitando al minimo i tentativi in sospensione e puntando a mettere i piedi in area ad ogni azione, sia per concludere in prima persona imponendo la sua stazza fisica (specialmente nei minuti in cui James era in panchina) che servendo i compagni. 

 

Il tentativo di fuga degli Heat, tornati sul parquet dopo l’intervallo lungo con un parziale di 10-0, è stato rintuzzato dall’unico momento davvero significativo della partita di Davis, in una prestazione ectoplasmatica per via dei falli di inizio gara e i raddoppi con tempi perfetti della difesa di Miami, letti piuttosto male dal numero 3 dei Lakers. Ciò nonostante, Kuzma e ancora James hanno chiuso il quarto accorciando a 5 lunghezze lo svantaggio dei Lakers, che a inizio dell’ultimo quarto sembravano pronti a prendersi partita e serie grazie a due triple consecutive di Markieff Morris – cercato e trovato da James nello stesso angolo – e un layup di Rondo per il sorpasso sul 91-89 a 8:55 nel quarto periodo di gioco.

 

 

L’8-0 Lakers che ha riportato avanti i Lakers.

 

È stato il momento in cui sembrava dovesse succedere l’inevitabile, l’attimo in cui la partita si sarebbe trasformata in un piano inclinato per far scivolare la serie e l’anello in direzione dei gialloviola. Gli Heat, però, sono usciti dal timeout chiamato da Spoelstra con le idee chiare e il canestro segnato da Butler in faccia a James è il loro manifesto programmatico per i minuti successivi. Butler, sempre lui, prima ha trovato Olynyk e Herro dietro la linea dei tre punti per l’8-0 che ha restituito il comando della partita a Miami; poi ha risposto colpo su colpo ai tentativi di rientro dei Lakers scegliendosi il difensore preferito da attaccare e mettendolo nella camera delle torture, nella miglior interpretazione di LeBron James 2015 vista alle Finals. L’appoggio a canestro con cui ha irriso Morris e segnato il 109-100 a 1:13 dalla fine è il suo punto numero 40, chiudendo di fatto la contesa.

 

 

Canestro decisivo con dedica a James: “Sei nei guai”.

 

James e compagni sono poi capitolati del tutto sul gioco da tre punti di Herro, sigillo su una prestazione in cui il rookie ha confermato la sua estraneità al concetto di timidezza tirando 25 volte e segnando 8. I Lakers hanno perso con ampio merito una partita in cui sono sempre sembrati un passo indietro agli avversari, dando l’idea di far fatica ad adattarsi a una versione tanto combattiva quanto inedita degli Heat e una certa pigrizia nel modificare il loro piano partita difensivo, specialmente quando Butler ha cominciato a punire ogni difensore che andava a scegliersi con cura certosina. La mobilità laterale e la capacità di muoversi senza palla di Miami, con Robinson e Herro sugli scudi, ha complicato la fase difensiva piuttosto statica di coach Vogel, mettendo in risalto limiti di corsa e reattività fin qui coperti dalle ottime risposte fornite dal supporting cast che si è sobbarcato il lavoro oscuro alle spalle di James e Davis.

 

E, al di là della prova strabiliante di Butler l’uomo simbolo di questa vittoria e dei nuovi equilibri tattici che hanno finito per avvantaggiare Miami – pur in assenza di due elementi chiave come Dragic e Adebayo – è forse Kelly Olynyk. Quasi sparito dalle rotazioni della squadra durante i playoff, l’ex Celtics ha fatto sfoggio di una capacità di giocare nelle pieghe della partita che non è mai stata in discussione ed è ancora oggi l’unico motivo per cui gioca a questi livelli. La sua presenza in campo, forzata dall’assenza di Adebayo, e il numero di tiri che si è preso, amplificato da quella di Dragic, ha in qualche modo mandato in panne il piano partita di Vogel, che non ha potuto lasciare nessuno nei pressi del ferro per contestare Butler complici le tre triple del canadese.

 

Un piano partita che ha sofferto a causa del peggior Davis della stagione, provato dai falli e autore di soli 9 tentativi dal campo (erano stati rispettivamente 21 e 20 nelle prime due gare) e di zero punti nell’ultimo, decisivo quarto. Miami è stata poi perfetta nel sistemare due falle, i punti concessi nel pitturato (34) e da seconda opportunità (6), che avevo segnato il loro destino nella gara precedente (rispettivamente 56 e 21). Quella degli Heat, come detto, è stata una strepitosa prova di applicazione mentale e forza di volontà, qualità sciorinate attraverso la guida sicura di un allenatore che, qualora ci fosse bisogno di ulteriori valutazioni, si conferma assoluto fuoriclasse. Come è logico e giusto che sia, però, sotto la luce dei riflettori ci è finito un’altro, di fuoriclasse.

 

Jimmy Buckets Masterclass

I dubbi che circondavano gli Heat alla vigilia di gara-3 erano molti, ma tra questi spuntava una granitica certezza: per avere qualche chance di successo i ragazzi di Spoelstra avevano bisogno di una partita eccezionale del loro miglior giocatore. Non che Butler si fosse astenuto dalla lotta durante i primi due episodi della serie, specialmente in una gara-2 da 25 punti, 8 rimbalzi e 13 assist; eppure, soprattutto in ragione del roster così limitato dagli infortuni, l’opinione condivisa era che servisse qualcosa in più: una prestazione storica. 

 

E la prestazione storica è arrivata, perché di storia bisogna parlare quando in ballo c’è il il primo quarantello messo a segno senza tirare da tre nella storia delle Finals dal 2002 (l’ultimo a riuscirci era stato Shaquille O’Neal), il terzo di sempre dietro anche a Kareem Abdul-Jabbar. Se non bastasse, Butler ieri notte è stato il quarto giocatore a far registrare una tripla doppia da 40 punti in una partita di finale dopo Jerry West, James Worthy e l’avversario diretto, LeBron James. E, a proposito di James, Butler è stato il primo in una serie finale a segnare di più, a prendere più rimbalzi e a distribuire più assist in una gara di Finale in cui c’era anche il Re in campo.

 

A riempire le prime pagine e affollare i tweet relativi alla partita di Jimmy saranno con ogni probabilità i riferimenti agli attributi e alla cattiveria agonistica, elementi di certo caratterizzanti e su cui il diretto interessato ha costruito buona parte del suo personaggio, ma nei 44 minuti e 21 secondi giocati stanotte c’è anche molto altro. In gara-3 Butler ha fatto ciò che serviva per la squadra in un momento di estrema difficoltà, accentrando su di sé la manovra offensiva e operando al contempo da distributore per i compagni con sbalorditiva lucidità.

Una gara di assoluta onnipotenza da parte di Jimmy Butler.

 

A prescindere da come andrà il prosieguo della serie, lo spettacolo messo in scena da Jimmy Butler ieri notte è destinato a restare negli annali delle Finals NBA.

 

Pivotal game

Già, il prosieguo delle Finals. Perché chiaramente la domanda adesso è: la vittoria degli Heat può cambiare il corso della serie? È difficile dare una risposta, anche se la logica imporrebbe di ridurre gara-3 a mero ostacolo che rallenta e rimanda di qualche giorno l’ineludibile finale della storia. Così com’era oggettivamente impossibile che Davis ripetesse la prova stellare offerta in gara-2, è altrettanto impossibile pronosticare che domani notte, in questa gara-4 che diventa giocoforza il pivotal game delle Finals, l’ex New Orleans replichi il passaggio a vuoto mandato a referto poche ora fa. 

 

Non è detto che ai Lakers, per chiudere i conti nelle prossime due gare, basti un Davis di nuovo dominante, ma di certo la strada verso il Larry O’Brien Trophy per i gialloviola passa dal pronto recupero del loro lungo. E quanto a recuperi, quello di Bam Adebayo diventa ora un’incognita ancora più complessa. Il suo ritorno sul parquet, anche se con minutaggi limitati dalla precaria condizione fisica, da una parte aiuterebbe senza ombra di dubbio la causa di Miami, ma dall’altro imporrebbe a Spoelstra di rivedere ancora una volta rotazioni e impostazione tattica. L’impressione è che comunque quello dell’eventuale rientro di Adebayo sarebbe un problema a cui il coach di Miami si dedicherebbe volentieri, nella convinzione che per recuperare lo svantaggio in termini di talento e fisicità ai suoi servano tutte le risorse disponibili.

 

Tra possibili nuovi aggiustamenti, rientri e riscatti, l’unica cosa sicura è che il colpo di coda degli Heat ci ha regalato delle Finals meno scontate di quanto sembrava dopo i primi due episodi. Le prossime partite ci diranno se quello di Miami è stato solo il classico punto della bandiera o se per scoprire chi uscirà dalla bolla di Orlando con al dito l’anello di campione NBA dovremo attendere più di quanto ci si aspettasse.

 

 

Tags : jimmy butlerlebron jameslos angeles laklos angeles lakersmiami heat

Dario Costa è nato trentotto giorni dopo Kobe Bryant. È innamorato e scrive di musica e pallacanestro, spesso mescolate insieme. Ha collaborato con Barracuda Rock Tour e Rivista Ufficiale NBA.

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