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I Los Angeles Dodgers stanno scrivendo la storia del baseball
05 set 2017
05 set 2017
Se superassero le 116 partite vinte si potrebbe forse parlare di loro come la squadra migliore di sempre.
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Se riconduciamo Los Angeles a quella esangue dei romanzi di Bret Easton Ellis, oppure a quella frivola e decadente che fa da sfondo a Bojack Horseman, è difficile immaginare i suoi abitanti come tifosi di baseball, uno sport dalle ritualità così poco sofisticate e dai ritmi così agricoli. E in effetti il loro modo di vivere il baseball è abbastanza peculiare. Si dice che quelli vestiti con il blu dei Dodgers arrivino tardi allo stadio e che siano soliti andare via al settimo inning per evitare il traffico del centro città. Del resto lo stadio di Chavez Ravine, costruito nei primi anni ’60 per ospitare la squadra appena arrivata da Brooklyn, è rimasto più o meno simile nel corso degli anni e il fascino purtroppo non sempre si sposa con il comfort. Ma se fino alla scorsa stagione i tifosi dei Dodgers avevano qualche motivo valido per abbandonare anzitempo il proprio seggiolino, da quest’anno la musica è cambiata e difficilmente qualcuno si muoverà prima dell’ultimo out della partita. Perché quest’anno i Los Angeles Dodgers stanno letteralmente scrivendo la storia del baseball.

La migliore squadra di sempre

Sostenere, come fanno in questi giorni dall’altro lato dell’oceano, che i Los Angeles Dodgers 2017 siano la squadra più forte di sempre può sembrare un’esagerazione giornalistica. Come sempre in questi casi, bisogna intendersi innanzitutto sulle parola: cosa significa essere la squadra migliore di sempre?

Potremmo ridurre l’argomento a una banale questione di numeri. Se i Dodgers alla fine della stagione superassero la soglia delle 116 partite vinte si potrebbe legittimamente parlare di loro come la squadra migliore di sempre. Per dare una portata dell’impresa, l’ultima squadra a riuscirci sono stati i Chicago Cubs del 1906 (giusto due anni prima che cominciasse la maledizione finita l’anno scorso) e i Seattle Mariners nel 2011. Un gradino sotto c’è un novero ristretto di franchigie che hanno raggiunto invece il traguardo delle 110 vittorie stagionali: i Pirates del 1909, gli Indians del 1954, gli Yankees del 1927 (i famigerati Murderers’ Row) e quelli del 1998. Per fare un esempio i Cubs dello scorso anno, capaci di dominare in lungo e in largo la stagione, hanno vinto 103 partite. Se i Dodgers continueranno di questo passo a fine anno, come ricorda il grafico in tempo reale pubblicato online dal La Times, potranno avvicinarsi di molto a questa soglia, superando magari anche il record di franchigia (105 vittorie) che appartiene ai ragazzi del ’53, quando erano ancora Brooklyn Dodgers.

L’obiettivo resta difficile ma non impossibile anche secondo Elo, il modello sviluppato da FiveThrtyEight.com per simulare l’andamento del resto della stagione. Al principio di agosto la media delle simulazioni effettuate prevedevano 112 vittorie. Ma nel 20 per cento dei casi i Dodgers potrebbero vincere fino a 116 partite, un risultato non del tutto impossibile. Ancora più difficile è invece raggiungere l’agognata quota 117, che secondo Elo si verificherebbe solo nel 13,5 per cento delle simulazioni.

Un avvio lento, poi l’esplosione estiva

Come hanno fatto i Dodgers a raggiungere a fine agosto 91 partite vinte e 40 perse*, ovvero una vittoria in più di tutte quelle ottenute la scorsa stagione? Dopo un avvio di campionato a rilento, ad aprile i californiani hanno fatto registrare un record di 14-12 (.538), i Dodgers hanno innestato la quarta a partire da maggio, quando proprio alla fine del mese si sono insediati per la prima volta in vetta alla NL West Division. Ma il cambio di passo vero e proprio è arrivato a giugno, quando la Blu Crew ha raggiunto quota .750, e a luglio quando i losangelini hanno toccato la cifra record di .870, vincendo 20 partite e perdendone solo 3, con una striscia di successi consecutivi lunga 11 partite.

Prima della pausa per l’All Star Game, che segna il giro di boa della stagione, i Dodgers sono stati la prima squadra delle Majors a toccare quota 60 vittorie. Ad agosto è arrivata la fisiologica flessione, ma i numeri sono rimasti impressionanti: 80 vittorie nelle prime 113 partite (solo sei squadre c’erano riuscite dal 1913 in poi) e poi 90 nelle prime 126, proprio come i Mariners nel 2001. Ovviamente non tutte le ”W” sono uguali, ma nel caso dei Dodgers le vittorie larghe (con 5 o più punti di margine) e quelle risicate (con un solo punto) più o meno si equivalgono: 26 a 22. Tra le vittorie sofferte, 10 sono state ottenute sul filo di lana con un walk-off: ecco spiegato un ottimo motivo in più per evitare di lasciare il Dodger stadium al settimo inning.

Un punto segnato da Justin Turner.

Lo strapotere dei Dodgers

Tradotto in soldoni, sono ben 17 le partite di distacco tra LA ad Arizona, che nonostante l’ottima stagione (sesta forza di tutta l’MLB per numero di vittorie, terza nella NL) si deve accontentare di un secondo posto nella West Division. Per non parlare delle spettacolari annate di Washington e Houston, che con circa 80 vittorie e un record intorno al .600 devono anch’esse inchinarsi di fronte allo strapotere dei Dodgers. Dando un’occhiata alle statistiche si può provare a capire dove risieda la forza si questa squadra. Il primo dato che balza agli occhi è quello relativo a una produzione offensiva di tutto rispetto: 7°posto in tutta l’Mlb per punti segnati, 11° per home run. Meglio ancora sotto il profilo della potenza: 4°posto nella Slg, 3° nella Ops e , alle spalle degli inarrivabili Astros, nella Ops+ (una statistica più accurata della Ops perché analizza i numeri con dei coefficienti di perequazione). Anche nelle statistiche difensive i Dodgers si attestano intorno al 10° posto. Se c’è però un settore in cui i Dodgers fanno veramente la differenza è quello dei lanciatori. I punti subiti finora sono la miseria di 433 (la squadra che più si avvicina a questa cifra è Cleveland con 491, tutto il resto dell’Mlb è abbondantemente sopra i 500); la Era è migliore della lega (3,16), così come anche la Era+ (134) e la Whip (1,11, ovvero i battitori avversari che in media raggiungono una base in un inning).

In un pitching staff così dominante sembra scontato menzionare Clayton Kershaw. Il tre volte Cy Young, re delle palle curve, anche quest’anno sta facendo il suo compito, con una Era che supera di poco il 2,00 (ma l’anno scorso chiuse a 1,69) e 15 vittorie: più o meno le stesse che aveva a fine agosto del 2014 quando raggiunse il numero massimo di vittorie in una singola stagione (21). La novità di quest’anno è che però intorno alla loro stella i Dodgers hanno aggiunto giocatori altrettanto forti. Se nel 2016 durante i 74 giorni in cui Kershaw mancò per un infortunio alla schiena i losangelini ottennero un record di 34-24, quest’anno durante l’assenza del lanciatore mancino per infortunio alla solita schiena (l’ultima partita giocata risale al 23 luglio scorso) la squadra californiana ha un record di 23-8. Il merito va alle vittorie diAlex Wood (14), Kenta Maeda (12), Rich Hill (9), Brandon McCarthy (6) e Hyun-Jin Ryu (5) che costituiscono la schiera di partenti più folta e più forte di tutta l’Mlb. Non è da meno anche a un bullpen molto solido, che ha ottenuto il numero maggiore di vittorie di tutta la lega, in cui spiccano le salvezze del closer Kenler Jansen (35, terzo in tutta l’Mlb) e le prestazioni dei rilievi Pedro Baez e Bandon Morrow. Per rendere le cose ancora più difficili per gli avversari è arrivato, sul filo di lana del mercato estivo, anche l’ennesimo partente: il talento giapponese Yu Darwish.

La micidiale curva 12-6 di Clayton Kershaw.

Dall’altro lato del campo, dietro al piatto, accanto alle stelle nascenti come l’interbase rookie dell’anno 2016 Corey Seager,brillano giocatori come il terza base Justin Turner, l’ennesimo capitolo dell’antologia americana fatta di giocatori scartati dalle altre squadre che, grazie alla voglia di non mollare mai, diventano testate d’angolo e si guadagnano la copertina di Sports Illustrated; lo stesso dicasi per Chris Taylor che da un anno all’altro ha più che raddoppiato la sua Ops+. L’esterno Yasiel Puig invece sembra aver finalmente vinto i propri demoni e ha ripreso a giocare come faceva appena sbarcato da Cuba. Quest’anno è esploso anche il talento di Cody Bellinger che nella stagione di esordio nell’MLB si è guadagnato un biglietto per l’All Star Game soffiando il posto in prima base a colpi di home run (34) ad un certo Adrian Gonzalez. Ma uno dei segreti della forza della Blu Crew è il roster profondo, pieno di tanti ottimi giocatori come Yasmani Grandal, Joc Pederson, Chase Utley, Logan Forsythe e lo stesso Gonzalez, di recente tornato in campo dopo un lungo infortunio.

Saranno mica i gavettoni con bevande di quel colore a rendere così particolare la barba di Turner?

I “Magic” Dodgers

Non è un caso che Jonah Keri, non esattamente uno degli ultimi arrivati nel commentare i fatti di baseball, a gennaio di quest’anno avesse profetizzato, che se il 2016 era stato dei Cubs il 2017 sarebbe stato l’anno dei Dodgers. Non si può restare indifferenti di fronte all’acume dei Dodgers nella stanza dei bottoni, improntato, come ormai in tutto il baseball che conta, ai postulati della filosofia data-driven. Allo stesso modo non è un caso che a guidare le operazioni sia arrivato Farhan Zaidi, il general manager formatosi ad Oakland alla scuola di Billie Beane. Proprio Zaidi è stato l’uomo scelto nel 2014 dalla Guggenheim Baseball Management, la proprietà che annovera tra i soci Earvin “Magic” Johnson Jr., che due anni prima aveva rilevato la franchigia (ormai in bancarotta) dalle mani di Franc McCourt (che nel frattempo si è dedicato al calcio acquistando l’Olympique Marsiglia). Zaidi ha subito voltato pagina, chiudendo il capitolo delle trade miliardarie per dare seguito ad una politica imperniata sui giovani e su un mercato oculato.

I risultati sono l’esplosione di talenti come Corey Seager (22) e Cody Bellinger (21) ma soprattutto alcune operazioni sul mercato che, senza il senno di poi, appaiono apparentemente inspiegabili. Come aver lasciato a fine 2015 andare via da free agent una stella del calibro di Zack Greinke (che ha firmato un contratto da più di 200 milioni con Arizona) scommettendo su Kenta Maeda e Scott Kazmir, due lanciatori non propriamente fuoriclasse ma che comunque hanno avuto un impatto positivo. Oppure l’essersi consapevolmente sottratti dalla corsa per Chris Sale preferendo far firmare daccapo giocatori come Rich Hill, Kenley Jansen e Justin Turner, guarda caso tre dei sei all-star dei Dodgers 2017. Nonostante ciò il mercato dei californiani resta sempre in grande fermento, come dimostrano gli arriviestivi di Darwish, Cingrani, Watson e Granderson, che vanno letti come operazioni “fisiologiche” di rafforzamento in vista della post season.

La firma di Zaidi e di Andrew Friedman, capo delle baseball operation, sta anche nella scelta a fine 2015 di Dave Roberts, il capo allenatore esordiente senza nessuna precedente esperienza nelle Major. Un manager che è stato però capace di portare una ventata d’aria nuova in un’organizzazione che nei precedenti sette anni aveva conosciuto allenatori come Joe Torre e Don Mattingly. Nonostante il numero di infortuni record (28 giocatori finiti sulla lista infortunati nel 2016) Roberts, che secondo qualcuno è il vero artefice di quella rimonta dei Red Sox in quel Championship, al primo anno ha guidato i Dodgers al titolo della Division e poi nei playoff fino alla sconfitta nella serie del Championship contro i Cubs. Roberts a fine anno è stato insignito del premio di miglior allenatore della NL, superando – hai detto niente - gente come Joe Maddon e Dusty Baker. Sulla mano di quello che i giocatori chiamano “Doc” basta leggere le dichiarazioni di Puig al New York Times «C’è grande unità nella squadra da quando è arrivato il manager. Ha un grande carisma che si riflette sul lavoro che la squadra sta facendo. Questo è il motivo per cui otteniamo questi risultati».

È ovvio che dopo una stagione simile sarebbe indigeribile per i tifosi non vincere le World Series, ponendo fine a una mancanza di successi nel campionato di baseball che risale ormai al 1988. Ma tra stagione regolare e playoff corre una differenza abissale, come se fossero due sport completamente diversi. Tanto è vero che di quelle famose sei squadre oltre la soglia delle 110 vittorie soltanto il 50 per cento di esse ha poi vinto il campionato. La ricetta di Roberts, che continua a ripetere alla squadra, è semplice: vivere partita per partita. Meglio godersi il momento. Indipendentemente da come andrà a finire «ci sarà un nuovo giorno ed eventualmente un nuovo anno e quando il prossimo inverno lascerà spazio alla primavera, state sicuri che sarà di nuovo tempo per il baseball dei Dodgers». Parola di Vin Scully.

*I dati sono aggiornati al 31 agosto

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