Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
La Serie A è un campionato che basa gran parte della sua complessità sullo studio maniacale da parte degli allenatori dei punti di forza e di debolezza dell’avversario. Imporre la propria identità è molto difficile e sopravvivere senza adattarsi quasi impossibile.
Sampdoria e Genoa in questo senso avevano attirato l’attenzione anche prima del Derby della Lanterna dimostrando di essere due tra le squadre dall’identità più definita di tutta la Serie A. Per questo motivo, alla normale attesa che solitamente precede quello che è probabilmente il derby più iconico di tutto il campionato italiano si è aggiunto un ulteriore livello di interesse verso lo scontro tra due stili di gioco moderni e refrattari ad adattarsi. Col senno di poi, possiamo dire che la Serie A ha mantenuto la sua nomea: ha vinto infatti la squadra che ha sacrificato parte della sua identità per trarre beneficio dalle debolezze dell’avversario.
Il compromesso blucerchiato
La Sampdoria, infatti, nonostante abbia mantenuto la sua aggressività sul primo possesso e nella riconquista immediata del pallone, è venuta meno alla sua solita occupazione centrale del campo calma e riflessiva tramite il fraseggio corto tra difesa e rombo di centrocampo, impostando una partita diretta e verticale fatta di transizioni veloci volte a sfruttare il gap fisico e tecnico in alcuni duelli individuali (come quello tra Orban e Muriel, stravinto dal colombiano). E questo nonostante il Genoa, come fa di solito contro le squadre più abili a costruire da dietro, abbia lasciato la difesa blucerchiata libera di impostare.
La Sampdoria ha finito la partita con il 37% di possesso palla e il 62% di precisione dei passaggi, dati che, se confrontati con le medie stagionali fino a quel momento (rispettivamente 52% e 81%), confermano lo snaturamento della squadra blucerchiata.
Giampaolo, l’allenatore che prima della sfida sembrava meno disposto a venire a patti con il compromesso, ha vinto la partita soprattutto nell’arginare i punti forti del Genoa, riuscendo a fare a pezzi quella circolazione bassa che di solito permette alla squadra di Juric di passare dalla trequarti difensiva a quella offensiva nei corridoi intermedi attraverso i triangoli tra interni di difesa, mediani e trequartisti. Per riuscirci Giampaolo ha studiato un pressing ad-hoc, eseguito poi alla perfezione dai suoi uomini, almeno fino a quando la corsa ha sorretto l’intensità richiesta.
Il sistema di pressing
Il piano di Giampaolo prevedeva libertà totale a Burdisso nella gestione del primo possesso. Muriel e Quagliarella si sistemavano nei mezzi spazi tra il difensore argentino e i due interni, Orban e Izzo, mentre Bruno Fernandes più indietro si piazzava tra i due mediani, Rincon e Veloso. Le mezzali, Barreto e Linetty, rimanevano invece basse a schermare le linee di passaggio verso Pandev e Rigoni.
Se Burdisso decideva di andare da uno degli interni, la Samp iniziava a restringere il campo verso la linea del fallo laterale, mandando in pressione contemporaneamente uno degli attaccanti sull’interno di difesa (impendendo quindi a quest’ultimo di salire) e una delle mezzali sul terzino genoano di riferimento. Contemporaneamente, Bruno Fernandes prendeva alle spalle il mediano. In questo modo, il Genoa poteva solo forzare la verticalizzazione o la palla lunga in avanti, oppure tornare indietro.
Se il giro palla del Genoa era abbastanza veloce da liberare gli esterni di difesa lateralmente, quest’ultimi erano lasciati in consegna ai terzini su cui successivamente raddoppiavano anche le mezzali. Edenilson e Laxalt dovevano quindi tentare dribbling molto complessi per andare al cross (una soluzione comunque non ottimale visto la mancanza di Pavoletti in area). Se invece decidevano di tornare dal mediano per provare a penetrare centralmente, quest’ultimo veniva isolato dalle mezzali e da Bruno Fernandes, con il trequartista della Samp che schermava la linea di passaggio verso l’altro mediano.
Se Bruno Fernandes era in ritardo, invece, era una dei due attaccanti ad abbassarsi per compiere questa mansione. Non potendo comunicare tra di loro, i mediani erano quindi costretti a tornare nuovamente dalla difesa, permettendo alla Samp di risalire il campo e guadagnare metri.
I mediani del Genoa venivano isolati in questo modo anche se la palla riusciva ad arrivare loro direttamente dall’interno di difesa in fase di prima costruzione, con Veloso e Rincon che venivano attaccati alle spalle da Bruno Fernandes e uno tra Barreto e Linetty non appena ricevevano il pallone.
In questo modo per il Genoa era impossibile passare centralmente, essendo costretta ad imbottigliarsi nei pressi della linea del fallo laterale, dove la Samp restringeva lo spazio vertiginosamente. Rincon e Veloso non sono quasi mai riusciti a girarsi faccia alla porta per servire Rigoni e Pandev negli half-space tra le linee blucerchiate, e allo stesso modo Izzo e Orban non sono mai riusciti a raggiungerli con passaggi diretti in verticale.
La squadra di Juric è riuscita a penetrare nei corridoi intermedi solo quando la stanchezza della Samp ha permesso ai due interni di difesa (soprattutto Izzo) di avanzare fino alla trequarti avversaria, costringendo quindi le mezzali di Giampaolo ad uscire su di loro, liberando conseguentemente gli esterni di difesa in ampiezza. Lo stesso gol dell’1-1 nel primo tempo, d’altra parte, è arrivato proprio in questo modo.
Quella del gol è però stata di fatto l’unica grande occasione del Genoa in tutta la partita, fatto che dimostra la bontà del lavoro di preparazione di Giampaolo e di applicazione dei suoi giocatori. Per sopravvivere in Serie A bisogna adattarsi, e il Derby della Lanterna ce l’ha ricordato.
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