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5 volti nuovi più esotici
22 ago 2017
22 ago 2017
Dietro le facce dei nuovi acquisti si possono leggere mondi lontani.
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Quando nel ‘92 il Parma ingaggiò Faustino Asprilla, e lessi sul giornale la notizia, mi feci non so perché l’idea che il colombiano, del quale sapevo solo che giocava in attacco, portasse i baffi.

 

 

Trent’anni più tardi conosciamo ogni aspetto dei calciatori che animano il mercato: che faccia hanno, come giocano, come possono inserirsi nei contesti tattici delle squadre di Serie A che li ingaggiano. Eppure rimane un sentimento di ricerca, una specie di apprezzamento dell’esotismo assimilabile a quello dei viaggiatori che non studiano appositamente le guide dei posti in cui vanno, che contribuisce all'esperienza di scoperta di un Nuovo Acquisto. Guardare per la prima volta la faccia di un giocatore appena arrivato e leggerci dentro mondi molto lontani da quello nostro quotidiano.

 

Ho scelto per voi e messo in classifica i cinque nuovi volti della Serie A più esotici. Per farlo ho incrociato i valori dell’esotismo intrinseco (perché un calciatore caraibico sarà sempre più affascinante di uno tedesco), dell’impatto che avranno sull’immaginario collettivo dei tifosi e, più pragmaticamente, sulla nuova Serie A. E mi dispiace dirvelo subito ma, no, neppure quest’anno ci saranno giamaicani. Peccato.

 



 



 

Esotismo intrinseco: 7
Impatto sull’immaginario: 4
Impatto sul campionato: 4

 

Sarebbe meraviglioso se scoprissimo che Vaisanen Senior, papà di Sauli, neoacquisto della SPAL 2013, avesse voluto dargli il nome - adattato alla fonia suomi - di Lamberto Zauli: tributo e auspicio a un tempo per la carriera del figlio, che con il fantasista degli Anni Novanta condivide - a scapito della posizione in campo - altezza e fisico filiforme, stessa eleganza nel tocco di palla e nella

. (E chissà se un giorno vedremo in A anche l'altro Vaisanen, il giovane difensore dell’U20 finlandese Leo).

 

Emigrato dalla terra dei Finni appena ventenne, leader dell’Under 21 e già protagonista anche in Nazionale maggiore, Sauli Vaisanen è reduce da un’ultima stagione in Svezia, dove difendeva i colori dell’AIK Solna, incoraggiante per risultati e personalità con la quale ha affrontato il ruolo di centrale in una difesa a 3 - calzante ai dettami di Leonardo Semplici. Certo, in Italia raccoglie il testimone di una tradizione, quella dei finlandesi, più esotica che fruttuosa: Aaltonen, Lekhosuo, Emerenko, con la sola granitica eccezione di Peparim Hetemaj. Nella prima giornata di campionato ha giocato a sinistra nella difesa a 3 completata da Vicari e Oikonomu, e ha tutte le potenzialità per confermarsi in prima squadra e meritare una parte, seppur piccola, della vostra attenzione.

 

Difficile dedurre il suo background culturale da come appare

, Vaisanen corrisponde in parte alle nostre attese (esotiche), ma difficilmente riuscirà a farci conoscere qualcosa in più della Finlandia (a eccezione di questo fantastico

del quale vorremmo tutti conoscere il nome per cominciare a praticarlo nei nostri parchetti di periferia). Però tra le sue foto-profilo c'è uno scatto (quello che vedete qui sopra) in una posa che normalmente spetta agli scrittori, perciò nelle librerie di Ferrara possiamo aspettarci impennate di vendite dei libri Iperborea (casa editrice specializzata in letteratura scandinava, per chi non lo sapesse) .

 

 



 



 



 

L’ultimo attaccante ecuadoriano a far gol in Italia è stato

: sono passati quasi vent’anni, e nel frattempo la scuola calcistica ecuadoriana ha fatto passi da gigante, qualificandosi a tutte le fasi finali dei Mondiali, a eccezione di quello sudafricano. Allora facevamo fatica a riconoscere i meriti di

, oggi conosciamo quasi a memoria la formazione dell’Independiente del Valle che è arrivato a giocarsi la finale di Libertadores.

 

Felipe Caicedo è uno dei figli di questa generazione dorata, traino e capococchiere di un carro dell’hype che è avanzato a ritmo di cumbia: ha esordito in Nazionale appena diciassettenne, era considerato un crack e come tale si è guadagnato un contratto europeo, appena diciottenne. Dal Basilea è approdato al Manchester City, ma qualcosa si è incrinato ed è iniziato il suo personalissimo cammino di sofferenza, a ogni tappa del quale, sul passaporto dell’esotismo, si aggiungeva un visto prezioso.

 


 

Caicedo ha giocato nelle squadre minori di piazze altisonanti come Barcellona (dove ha vestito la maglia dell’Espanyol) e Valencia (dove ha difeso i colori del più piccolo Levante); si è tolto lo sfizio di giocare non solo

ma anche

e in mezzo ci ha piazzato un’esperienza esemplare per lo storytelling dell’emarginazione come quella della parentesi russa allo Spartak, in cui è stato messo fuori rosa e gli è stato

, senza pietà, neppure quando si è trattato di volare a rendere omaggio al compagno di squadra Chucho Benitez, morto sul campo.

 

Caicedo, ecuadoriano, figlio di un dio minore,

: soggetto in ogni caso perfetto per una narrativa da feuilleton, casomai finisse per non rendere appieno come sostituto di Immobile.

 

 



 



 



 

Cresciuti nella cantera dell’Académia, le carriere fuori dall’Argentina (e dal Racing) di Bruno e Franco Zuculini sono due diagrammi che si sono sfiorati senza mai toccarsi davvero, fino alla stagione scorsa: quando le quotazioni di Franco scendevano - dopo le stagioni deludenti con l’Hoffenheim e il Genoa, durante la parentesi di ritorno a casa con l’Arsenal de Sarandì - quelle di Bruno erano in ascesa, tesserato per il Manchester City e girato in prestito al Valencia. Poi hanno galleggiato per qualche tempo nel limbo delle periferie calcistiche europee, per incrociarsi infine, la stagione scorsa, nel luogo meno scontato per due argentini in Italia (a meno che non abbiano letto molto Shakespeare): sotto il balcone di Giulietta. Insieme hanno raggiunto la promozione in A con l'Hellas: il loro abbraccio a Cesena è stata una bella polaroid sulla quale disquisire, in Argentina, sul tema del ritorno alle origini, dei successi degli expat, della milonga strappalacrime della famiglia.

 

Non sono intrinsecamente esotici, chiaramente, come non possono più esserlo gli argentini, che costituiscono la comunità più presente nel nostro calcio: ma volete mettere l’impatto sull’immaginario di una coppia di fratelli sudamericani che dialoga in campo?

 

I fratelli Zuculini non avranno raggiunto quanto

, però in questa Serie A saranno l’unica coppia di fratelli a giocare nella stessa squadra, che è sempre uno spunto dai risvolti psicologicamente interessanti. Anche più dei fratelli che giocano uno contro l’altro per Nazionali diverse, che negli anni è diventato - sorprendentemente - più usuale.

 

 



 



 



 

La sera della sua consacrazione tra i professionisti, poco meno di due anni fa, Adam Ounas aveva firmato il primo contratto della sua carriera da neppure una settimana.

il Monaco.

 

Dopo una stagione ad alto rendimento con i Girondins di Bordeaux, Ounas arriva a Napoli con le stimmate perfette del calciatore esotico: abbastanza sconosciuto, originario dell’area maghrebina in cui più abbonda il

e, al tempo stesso, storie di grandissima

. Ounas si presta alla più cristallina delle narrazioni di genere: cresciuto in provincia, scartato dal settore giovanile del Chateauroux per essere una “testa calda”, ripescato dagli osservatori del Bordeaux quando giocava tra i dilettanti e faceva la differenza, calato in un contesto professionalizzante che lo ha responsabilizzato e gli ha insegnato a capitalizzare il talento per fare

, Ounas sa esercitare una malia di cui pochi calciatori detengono i segreti.

 

Ounas è

, la poesia di un tramonto dietro i minareti, ha il dribbling malandrino e un primo controllo tentatore. Uno di quei calciatori ‘na rosa ‘e ciento spin’ dei quali vien facile innamorarsi.

 

 



 




 

 



 

Nel contesto culturale massivamente globalizzato in cui viviamo è ancora possibile percepire il luogo di provenienza di un calciatore (a meno che non sia nato a Timor Leste o nelle Curaçao) come esotico? La Turchia è uno di quei posti? Cioè: lo è ancora? Più di quanto non lo fosse sedici anni fa, quando riuscimmo a portare in Serie A, in un solo colpo, Emre, Okan e Umit Davala?

 

Oggi del calcio anatolico conosciamo molto di più: molte squadre ci sono familiari, la Nazionale è protagonista continentale fissa da almeno un decennio. Basta aver bisogno di un tutorial per sapere esattamente

affinché un calciatore possa essere considerato esotico?

 

Cengiz Ünder ha dimostrato fin dalle sue prime apparizioni con la Roma di possedere la capacità di maneggiare, con la dimestichezza che conferisce il talento, l’intellegibilità del gioco. Mai a disagio negli spazi tattici in cui Di Francesco lo vede immerso, che sono poi gli stessi nei quali è esploso la stagione scorsa con il Basaksehir, disinvolto nelle foto con

e

, elegante nello spezzato chiaro e mocassino con il quale è sbarcato a Roma, credo che tutto l’esotismo di Cengiz si nasconda dentro una foto come questa.

 



 

Scattata all’aeroporto Ataturk di Istanbul il giorno del suo annuncio alla Roma, è l’istantanea del distacco definitivo: Cengiz vive solo da quando aveva 10 anni, ma ora sta volando in un altro continente. Si sancisce il punto di rottura tra il contesto di provenienza - una cittadina nella regione di Marmara, immersa nelle colline e attraversata da fiumi e laghi - e il futuro luminoso di una carriera nel Calcio Che Conta.

 

Nel broncetto commosso della sorella, nel volto atterrito dal dolore del distacco della madre, nella compiacenza patriarcale del padre ci sono tutti gli elementi che contribuiscono nella nostra percezione della

. Che non è poi, se ci pensiamo bene, così

.

 

Ciò che diceva l’etnografo Victor Segalen, cioè che «aprirsi all’estraneità dell’Altro serve a sentire se stessi, tra gli altri, rivestiti di un’estraneità inquietante», è solo una bugia che ci piace raccontarci: ciò che vogliamo far passare per esotico, alla fine, non è che quel qualcosa al quale, dopo aver fatto il giro completo, ci troviamo perfettamente somiglianti.

 

 

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