Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
I 5 esoneri potenzialmente più clamorosi
18 set 2017
Per non sentire la mancanza di Zamparini, abbiamo immaginato i cambi più probabili o semplicemente più scioccanti.
(articolo)
8 min
Dark mode
(ON)

Forse ancora non ci siamo resi conto del tutto di quanto può essere incolmabile il vuoto narrativo scavato dalla retrocessione del Palermo. Innanzitutto perché è meno scontato scommettere su quale panchina della Serie A salterà per prima: col Palermo non era neanche questione di se ma di quando. Riusciremo a sopravvivere al crollo di tutte le rassicuranti certezze, tipo le prime piogge dopo Ferragosto o gli esoneri del ct dei rosanero nelle prime 10 giornate?

Per rendere onore a una tradizione che ha solcato l’immaginario del nostro campionato più dell’inno scritto da Allevi (al primo commentatore che saprà ricordarne il titolo senza googlare “inno”+”serie a” andrà in regalo una finta lettera di esonero da allenatore del Palermo) ho scelto di classificare l’impatto potenziale (in crescendo) del sollevamento dai propri incarichi di 5 allenatori della nostra massima serie. L'immagine qui sotto riporta un esempio di gravità calcolato seguendo la cosiddetta "Scala Zamparini".

Esempio pratico di applicazione della Scala Zamparini.

Per ogni panchina, però, visto che non si vive di sola schadenfreude, ho inserito un potenziale suggerimento per il rincalzo.

Per entrare nello spirito, prima di iniziare a leggere chiedetevi se il sorriso del vostro Presidente, o la pacca sulla spalla di incoraggiamento, non nasconda in realtà una tremenda verità sottaciuta.

Pecchia, Baroni e Semplici aka Gli Allenatori Delle Neopromosse

Potenziale sostituto: in maniera intercambiabile Reja, De Canio, Ballardini, Delio Rossi, Malesani. In un’escalation più osé: De Zerbi, Oddo, David Moyes.

A chi salta prima? Ci sto.

Se c’è qualcosa di più complicato di condurre una squadra alla promozione in Serie A, quella è riuscire a mantenere il proprio posto ben saldo per tutta la stagione: anche il più concettuale dei presidenti, che sposa l’idea prima degli uomini, comincerà a un certo punto, per quanto malvolentieri, a vacillare di fronte alle prime brutte sconfitte, agli stenti del salto di categoria, cadendo vittima di disegni di grandeur che l’Allenatore Della Neopromossa, pragmaticamente, ha difficoltà ad esaudire.

Baroni, per esempio, è già sulla graticola dell’avvocato Vigorito per divergenti criteri nella conduzione del mercato; il suo Benevento alle prime uscite non ha entusiasmato né deluso, la batosta nel derby campano non sottrae né aggiunge (gragnole di gol il Napoli ne fa e ne farà anche ad altri), ma la sua posizione galleggia in quel limbo in cui basta un attimo per colare a picco con tutta la caravella.

Peggio, decisamente peggio, Pecchia: se il suo Verona continuerà a essere quello visto all’esordio contro il Napoli, nell’avvilente seconda uscita casalinga con la Fiorentina o a Roma, in ritardo di condizione e senza i presupposti tecnici e tattici per rimanere in A, dovrà estrarre dal cilindro numerosi conigli per aver salva la pelle. La situazione di Semplici sembra migliore: la sua Spal pare avere l’organizzazione per reggere l’urto del salto di categoria e ha già messo in cascina 4 punti. A questo roster potremmo aggiungere gli allenatori neopromossi, cioè quelli che non si sono guadagnati la categoria sul campo ma in qualche modo sono stati ritenuti meritevoli di una chance. Tipo Bucchi, per capirci.

L’Allenatore Della Neopromossa è il bovino che zoppica già dalle prime giornate, e sul quale volteggiano gli avvoltoi: gli Allenatori Senza Contratto.

Marco Giampaolo

Potenziale sostituto: Walter Mazzarri (dieci anni dopo la prima volta che si è seduto sulla panchina blucerchiata, con una clausola per la quale la Samp sarà costretta a richiamarlo anche nel 2027).

Non vuol dire niente comunque.

Marco Giampaolo non ha mai avuto una faccia troppo felice, neppure quando le cose gli andavano bene: possiamo dirlo, Marco Giampaolo è il nostro Nicholas Cage. Certo, credo dipenda dal fatto che in carriera ne ha affrontate di ogni, e il suo carattere deve per forza esserne uscito forgiato: è sopravvissuto alla brutalizzazione di Cellino, a esoneri drammatici da squadre lanciate verso rovinosi schianti dopo la prima curva… Però da qualche stagione a questa parte ha dimostrato di saper non solo valorizzare i calciatori che si trova in rosa, ma anche di avere il coraggio e l’arguzia di farlo nonostante non siano precisamente il materiale sul quale preferisce lavorare, di saperli trasformare, di dare vita a giocatori nuovi. Insomma: di saper scolpire una statua coi riflessi marmorei anche dovendo utilizzare argilla.

La Samp è partita in maniera convincente, eppure i bookmakers, quest’anno, lo mettono a metà classifica oggi tra gli allenatori che potenzialmente potrebbero fare le valigie. Lascerebbe un buco molto grande, perché vorrei vedere un qualsiasi altro allenatore con quattro trequartisti in rosa, ad arrovellarsi per capire come reinventarli.

Eusebio Di Francesco

Potenziale sostituto: Thomas Tuchel (o un altro allenatore idealista pronto a sciogliere le proprie ali di cera sotto il sole di Roma).

Ma per quanto?

I motivi per i quali Eusebio Di Francesco è stato scelto per guidare la Roma, paradossalmente ma non troppo, potrebbero trasformarsi nei puntelli della sua condanna.

E se il suo 4-3-3 si dimostrasse troppo dogmatico? Se non riuscisse ad adattare, come si è ripromesso, il modulo alle caratteristiche dei propri giocatori? Se i giovani, che ne hanno sempre sorretto sugli scudi l’efficacia come allenatore, iniziassero a rivelarsi scommesse troppo azzardate? Se la sua provincialità - che è diversa dal provincialismo - si rivelasse troppo fuori luogo, fuori dimensione, per le ambizioni giallorosse? Se il girone di Champions League diventasse un quadro di Prince of Persia troppo complicato da superare indenni con le sole forze di un colpo di reni ben assestato?

Sostituirlo con Tuchel significherebbe sposare, in qualche modo, una rivoluzione: l’offensivismo sarebbe salvo, il juego de posiciòn accontenterebbe il pubblico e farebbe divertire Monchi, e poi il 3-1-2-4 non sarebbe il modulo perfetto per schierare tutti i talentuosi attaccanti della Roma in un’unica soluzione?

Sempre che non ci sia qualcuno che, da dentro, stia già progettando come far saltare tutto il castello di carte.

Luciano Spalletti

Potenziale sostituto: Paulo Sousa, che possibilmente scende dalla tribuna a fine primo tempo e si insedia a metà di una partita a caso. Tanto è sempre in tribuna, di qualsiasi partita, da vero avvoltoio.

Ok, l’inizio è stato più che incoraggiante, l’Inter sta manifestando una personalità inedita almeno dall’inizio della gestione Suning, i calciatori in dote al tecnico toscano sono confacenti alla sua idea di calcio e i risultati corrispondono a quelli desiderati: alla Pinetina l’atmosfera è rilassata.

Ma Spalletti-fascio-di-nervi è in potenza il peggior nemico della rilassatezza e basta una piccola scintilla a innescare la miccia. A Brunico, già al secondo giorno di ritiro, Spalletti aveva lamentato la relativa immobilità sul mercato: «A me sono state promesse delle cose», ha detto, «le cose promesse bisogna poi portarle a casa».

Ai suoi giocatori sostiene di aver detto che per loro ha rinunciato alla Champions, e ora «me la devono ridare». Ha firmato per due anni di contratto, ma ha anche assicurato che se le cose dovessero mettersi male «quest’anno vado via. Vado via io, i giocatori e i dirigenti. È l’ultima chance per tutti». Che, intendiamoci, è esattamente la maniera in cui va preso il toro per le corna, quando il toro scalcia troppo ma non porta mai a casa una tappa del rodeo. Ma anche, di contro, il principio perfetto per trasformare lo spogliatoio e gli uffici interisti in una specie di Hell’s Kitchen.

La remissività pacata, quasi zen di Paulo Sousa, risulterebbe quasi noiosa se arrivasse dopo a qualche mese di scoppiettanti conferenze stampa di uno Spalletti con le spalle al muro.

Vincenzo Montella

Potenziale sostituto: Luis Enrique (e poi, dopo un annetto, Rudi Garcia, e così via fino a raggiungere la Roma).

Vincenzo Montella è la più dura dimostrazione che ogni rivoluzione ha bisogno di un punto di raccordo tra vecchio e nuovo: l’Aeroplanino è il contrario del gattopardismo, perché se si vuole che tutto cambi, qualcosa almeno deve rimanere com’è.

Vincenzo ha resistito, nell’occhio del maelstrom centrifugo del nuovo Milan, non come il naufrago aggrappato a ciò che resta della carena del vascello, ma come il condottiero indomito che decide di non ammainare le vele: ha coraggiosamente accettato la sfida di ereditare una squadra totalmente nuova, con la speranza (e c’è da intendere, il progetto condiviso) di ricevere un asset di interpreti perfetto per la sua idea di calcio. Yonghong Li, Fassone e Mirabelli hanno fatto la loro parte; riuscirà Montella a non tradire le attese? Ne sarà all’altezza?

Certo, l’asticella delle aspettative è fissata a livelli Bubka, e il tecnico milanista è chiamato ora al doppio compito di schivare distrazioni e sbavature tenendosi concentrato sulla coerenza alle sue idee e rispetto delle attese. Ci riuscirà? La débacle dell’Olimpico, contro la sua nemesi Inzaghi (stessa coerenza alle idee ma minori spade di Damocle sulla testa) suggerisce che l’Aeroplanino dovrà schivare diverse turbolenze.

Se l’atterraggio sarà uno di quelli da battere forte le mani al pilota, lo scopriremo solo col trascorrere delle giornate. Almeno fin quando Fassone e Mirabelli, travestiti da francesi del settecento, per annunciare l’arrivo di Luis Enrique compariranno in un video twittato dall’account del Milan in cui facendo il verso a Robespierre e Jean-Baptiste Louvet diranno: «Milanisti, avreste davvero voluto una rivoluzione senza rivoluzione?».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura