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Marco D'Ottavi
I 196 giorni di Henry alla Juventus
27 mar 2018
27 mar 2018
Storia di una delle pagine più nere del calcio italiano.
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Marco D'Ottavi
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Foto di Marco Lussoso / LaPresse
(foto) Foto di Marco Lussoso / LaPresse
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Thierry Henry arriva alla Juventus il 19 gennaio 1999 e se ne va il 4 agosto dello stesso anno, esattamente 196 giorni dopo. Giorni confusi e rimpianti, che spingono la società bianconera a liberarsi frettolosamente di un giocatore dal talento indiscutibile e che oggi celebriamo come uno dei migliori della sua generazione. Il ricordo di Henry alla Juventus è strettamente legato all’incomprensione profondissima che lo relegò a fare avanti e indietro sulla fascia sinistra mentre nei suoi piedi nascondeva dei diamanti. Nessuno vide in lui la punta perfetta, in grado di muoversi come una farfalla in campo di margherite. Per provare a capire vale la pena ripercorrere quei giorni, districarsi all’interno di una storia spesso troppo romanzata, mettere un po’ di ordine in quella che ancora oggi rimane una macchia indelebile nella storia non solo della Juventus, ma anche di un certo modo di intendere il calcio.L’antefattoLa Juventus si presenta ai nastri di partenza della stagione 1998/99 come una delle migliori squadre al mondo. Arrivava da tre anni incredibili in cui aveva raccolto due Scudetti ed un secondo posto in Serie A, più una vittoria e due finali in Champions League. Rispetto alla stagione precedente aveva mantenuto la rosa praticamente intatta, con Didier Deschamp e Zinedine Zidane freschi campioni del mondo.

L’unico cambiamento rilevante rispetto alle stagioni precedenti è l’uso di un rosso cocciniglia (lo stesso di Caravaggio e Rubens) per i numeri e i nomi sulla maglia targata Kappa, una scelta cromaticamente suicida che in qualche modo si riverbererà sulla squadra.L’inizio non è esaltante, eppure dopo sette giornate la Juventus è prima in classifica con un punto di vantaggio sulla Fiorentina di Batistuta. Poi l’8 novembre, quando mancano tre minuti al termine di Udinese - Juventus, nel tentativo di calciare un pallone defilato sulla sinistra, Alessandro Del Piero si rompe i legamenti del ginocchio. Come un battito d’ali di farfalla, la smorfia di dolore sul viso di Del Piero causerà un uragano.Intervistato la sera stessa, quando ancora l’entità dell’infortunio di Del Piero è più temuta che verificata, a Luciano Moggi viene chiesto se la Juventus tornerà sul mercato. A gennaio mancano ancora due mesi eppure la testa è già lì. L’allora direttore sportivo della Juventus prova a tergiversare, ma alla fine ammette «a gennaio quando si riapriranno le liste vedremo il da farsi, supposto che ce ne sia il bisogno». Per capire l’urgenza con cui l’intervistatore si rivolge a Moggi, bisogna ricordare l’importanza che Del Piero ricopriva nel gioco della Juventus di quel periodo. Il numero 10 gioca da seconda punta, ma il suo apporto è totale: l’anno precedente ha segnato la bellezza di 32 gol, di cui 10 in Champions League, camminando praticamente sulle acque. In più anche Fonseca ed Amoruso, le due punte di riserva, non sono al meglio, tanto che Lippi in vista della sfida di Coppa Italia col Venezia prevede anche una soluzione Tudor centravanti, «negli ultimi venti minuti voglio provare Tudor centravanti. Ha le caratteristiche per farlo, anche i movimenti: sa fare gli assist, fare la sponda come Andersson o Bierhoff. Poi se metti uno come lui davanti e butti la palla in mezzo, qualcosa la puoi anche fare».Dall’infortunio di Del Piero la squadra entra in una crisi del tutto inaspettata e profondissima. Perde 4 delle successive 5 partite di campionato, 2 a 0 con la Roma, 3 a 0 col Bologna e 1 a 0 con Fiorentina e Lazio, ritrovandosi di colpo al nono posto in classifica con un ritardo di 10 punti dalla vetta. Supera faticosamente (per differenza reti) un girone di Champions piuttosto abbordabile che passerà alla storia per la partita in casa del Galatasaray, giocata all’indomani della crisi tra Italia e Turchia scoppiata per la presenza del leader del Ppk Abdullah Ocalan nel nostro paese, con ventimila uomini a vigilare sulla sicurezza dei giocatori bianconeri.La stagione è complicata anche dalla situazione dello stesso Lippi: il 13 dicembre annuncia che da giugno non sarà più l’allenatore della Juventus, voci insistenti danno l’Inter dietro questa decisione, e poco dopo la dirigenza comunica il nome del sostituto: Carlo Ancelotti. Società ed allenatore provano in tutti i modi a sembrare cordiali, ma la situazione con cui si arriva a gennaio è un po’ paradossale: la Juventus deve considerare la stagione andata e pianificare il futuro oppure cercare di risollevarsi subito assecondando Lippi che identifica il problema della squadra nella mancanza di gol? «Tutta la Juve ha segnato un gol in meno di Batistuta da solo, la spiegazione della crisi è semplice» dice l’allenatore juventino. In più i primi di gennaio si fa male Inzaghi, l’unico attaccante prolifico della squadra.Dal giorno 1 al giorno 19Il mercato invernale della Juventus si sviluppa allora su due piani: da una parte si pensa al futuro con gli acquisti di Zambrotta e Bachini per giugno voluti da Ancelotti, dall’altro cerca i gol andando dietro ad ogni attaccante disponibile: da Rapaic ad Hakan Sukur il cui arrivo salta per delle richieste considerate eccessive; da Aimar a Esnaider, che effettivamente arriva il 15 gennaio dall’Espanyol diventando uno dei bidoni più conclamati della storia bianconera.

Foto Satiz / LaPresse.Quattro giorni dopo, assolutamente dal nulla, la Juventus compra anche Thierry Henry, un trasferimento tanto improvviso quanto complicato (ancora oggi diversi giornali riportano cifre molto diverse). Il manager del giocatore, Jean-François Larios, non è nemmeno a conoscenza dell’accordo: «Thierry Henry è stato rapito. È stato vittima delle pressioni del Monaco, che aveva preparato tutto per costringere il suo giocatore a firmare un contratto di tre anni e mezzo con la Juventus. Anche un aereo privato, tutto in un pomeriggio, all’improvviso, in fretta e furia». Sempre secondo i manager del giocatore, il presidente del Monaco Campora ha rifiutato l'offerta di 36 miliardi di lire dell'Arsenal per accettarne una di 21 dalla Juventus. Wenger, che allenava la prima squadra del Monaco mentre Henry militava nel centro di formazione, ha chiamato personalmente il francese, ma non è bastato: Henry è un giocatore della Juventus.

Al momento del suo arrivo a Torino Henry è giovanissimo, ha solo 21 anni, eppure ha già vinto un mondiale, segnando 3 reti, una Ligue 1 da protagonista e segnato 7 gol nella Champions League 1997/98 (secondo solo a Del Piero) dove con il Monaco è arrivato in semifinale, eliminato proprio dai bianconeri. Non è chiaro se il francese venga considerato un acquisto “di prospettiva” (anni dopo si scoprirà che il suo arrivo era stato avallato da Ancelotti) o se è stato comprato per provare a raddrizzare da subito la stagione. Henry non può neanche giocare in Champions, unico obiettivo credibile della squadra in quel momento, visto che aveva già giocato in Coppa Uefa con il Monaco.La Repubblica titola l’articolo che parla del suo arrivo «Trenta miliardi per il gol» evidenziando uno stato di necessità, ma poi inizia il pezzo così: «Il futuro è alto un metro e ottantacinque, ha pochissimi anni (21) e moltissima voglia, una bella faccia intelligente e corre come il vento». Forse rimasti sorpresi dal suo arrivo improvviso non sembrano neanche aver ben chiaro quello che può dare alla Juventus: «è un ragazzo campione del mondo che scatta all'ala, palleggia, dribbla e poi va nel mezzo». La Gazzetta dello Sport titola invece «Ecco Henry, vice Del Piero» individuando il motivo primario del suo acquisto. Per la rosa Henry è «tutto dribbling, velocità e potenza» e i venti miliardi spesi sono una «una cifra importante, ma non esagerata». Tra le dichiarazioni a margine la più profetica sembra quella di Dugarry: «Henry è sicuramente un ottimo investimento perché è giovane e bravo. Gli auguro di farsi subito largo ma onestamente penso che gli ci vorrà del tempo. Deve rafforzare il suo carattere, altrimenti lo massacreranno. La Juve deve fargli un regalo: non mettergli fretta».Fin dall’inizio la questione ruolo e del gol è centrale, evidenziando una necessità molto italiana di categorizzare tutto, soprattutto all’interno di un campo da calcio. Durante la presentazione lo stesso Henry ne parla«Come gioco? Giro lontano dall'area ma mi piace il gol», interrogato invece sulla sua scarsa vena realizzativa, arriva alla Juventus avendo segnato 20 gol in 105 partite con il Monaco, la risposta è questa: «Segno poco perchè sono poco egoista: se sarà necessario, cercherò di cambiare».Vista la carenza di gol in casa juventina, gli viene chiesto subito di cambiare, a partire dalla posizione. Al Monaco il francese gioca come esterno sinistro in un 4-3-3 che vede in Trezeguet il terminale principale, mentre la Juventus di Lippi gioca con il 4-3-1-2, con due punte mobili dietro alle quali si muove principesco Zinedine Zidane.La prima di Henry è in casa contro il Perugia. Il francese indossa la maglia numero 6 e non si capisce se stona più quel numero da centrocampista su di un giocatore come lui o quel rosso assurdo su sfondo bianco e nero, un cazzotto in un occhio pieno di sangue. È una partita più importante di quello che sembra: la Juve ne ha vinta solo una nelle ultime dieci e Lippi è in bilico.Il primo tempo è tutto a favore del Perugia, che segna con Kaviedes, bravo a prendere in controtempo Rampulla con un delizioso pallonetto. Nel secondo la Juventus si sveglia e passa due volte in pochi minuti, prima con Fonseca e poi con Zidane, che dopo il gol sfoga la rabbia sfasciando un cartellone pubblicitario. Henry entra a 20 minuti dalla fine come attaccante e in quei pochi minuti crea almeno tre limpide occasioni da gol. Prima, su assist di Zidane, calcia debole e centrale dall’altezza del dischetto; poi recupera un pallone sulla trequarti e calcia forte addosso al portiere; infine, dopo un pressing esasperato, recupera un pallone a centrocampo, lo porta davanti al portiere, che salta, ma invece di mettere in mezzo dove Zidane è solo calcia in porta vedendo il suo rasoterra respinto sulla linea. Il giorno dopo la Gazzetta commenterà così: «Henry si mangia un gol che anche Moggi metteva dentro e si becca gli urlacci di Zizou, tutto solo in area».A vedere quelle tre occasioni è evidente come Henry sia un giocatore superiore. È vero che “non sembra avere qualità di bomber ” come dice la voce in una sintesi della partita trovata online, però si muove come una modella dentro una partita di rugby. Lui e i difensori del Perugia non sembrano neanche fatti della stessa materia, tanto è elegante e leggero il primo e scalcinati e pesanti i secondi. Al primo impatto con la Serie A, Henry lascia intravedere quella capacità sovrannaturale di muoversi su un altro piano del gioco, creare occasioni semplicemente per osmosi.La prima da titolare arriva in Coppa Italia, contro il Bologna. Henry inizia come punta, insieme ad Amoruso, ma all’inizio del secondo tempo viene spostato sulla fascia visto che la Juventus deve segnare almeno due gol per passare il turno e Lippi inserisce Esnaider per Pessotto. Secondo la Gazzetta dello Sport, Henry «ha dimostrato adattabilità agli schemi mutando posizione e ruolo, da seconda punta iniziale a centrocampista di sinistra nella ripresa». È l’inizio della spola che farà il francese alla Juventus e che ne segnerà la stagione e il futuro.Ma l’adattabilità non basta a convincere Lippi, che lo fa partire dalla panchina anche nella sfida successiva contro il Cagliari, persa, e nella disfatta di Parma. Contro i gialloblù Henry entra subito dopo il gol del 4 a 1 di Crespo, quello famoso di tacco. Dopo pochi minuti il francese andrebbe anche in gol, infilandosi come una scheggia tra Thuram ed Henry, ma colpisce il pallone con la mano e la sua rete viene annullata. Se da una parte la malizia con cui prova ad ingannare l’arbitro è una qualità discutibile (e che riuscirà fuori molti anni dopo contro l’Irlanda), dall’altra non è possibile non notare la rapidità della sua azione: dall’esterno taglia verso il centro come un lampo, infilandosi tra Buffon e Thuram come un coltello bollente nel burro.Ecco un montaggio dei pochi minuti giocati da Henry quel giorno. La confusione che genera coi suoi movimenti è la stessa che avremmo a doverlo giudicare da quelli.Dal giorno 20 al giorno 47Dopo la sconfitta di Parma Marcello Lippi rassegna le dimissioni, anticipando di fatto l’arrivo di Carlo Ancelotti. È il momento pivotale della breve carriera di Henry alla Juventus: se non possiamo essere certi Lippi avrebbe concesso molti minuti al francese, considerato una riserva nelle tre partite di campionato giocate sotto la sua gestione, per l’allenatore toscano Henry è una prima punta. Con Ancelotti invece la musica cambia. L’allenatore arriva con la fama di integralista del 4-4-2, ma in rosa c’è Zidane e allora deve cambiare il modulo. Prima dell’esordio, interrogato sulle possibili scelte, Ancelotti dice «Henry, invece, si muove bene negli spazi, in profondità. Per me non è un centrocampista ma un attaccante esterno che può far bene anche da punta centrale». Una risposta frettolosa che riletta oggi suona violenta come un piatto che cade in terra. Alla prima contro il Piacenza, Ancelotti conferma il 4-3-1-2 di Lippi e viste le assenze di Inzaghi e Fonseca, o forse chissà per scelta tecnica, Henry parte per la prima volta da titolare nei due davanti.Il francese non gioca una grande partita, spreca un’occasione sparando alle stelle da solo davanti a Fiori, ma si rende utile quando si allarga sulla fascia. La Gazzetta sintetizza la sua prestazione così: «Sotto rete non sa farsi valere, ed è un limite sul quale lavorare. Ha un dribbling che lo renderà utile: ma da terza punta, non da seconda», una chiusa sibillina a metà tra il consiglio tattico e la stroncatura nel ruolo di attaccante. Il gol, o meglio la sua mancanza, è il principale problema di Henry alla Juventus, dove in questo momento è indiscutibilmente un attaccante, e lo diventa dopo nemmeno 280 minuti giocati. Lui ed Esnaider vengono trattati come un’unica entità che non riesce a segnare: i giornali contano i minuti senza gol dei due, Crosetti su Repubblica li bolla come «la parte di Juve più vaporosa e meno concreta».Una siccità che continua anche dopo la sfida con il Vicenza, con Ancelotti che sembra convincersi che il francese sia in difficoltà «perché ha giocato in una posizione troppo avanzata». Ma vedendo le immagini di quella partita il problema del francese sembra di fiducia: sbaglia giocate facili, si comporta come un corpo estraneo in una squadra che anche nelle avversità ha un’identità di gioco ben identificabile e molto inquadrata, in cui solo a Zidane è permesso di “sgarrare”. «Il vivace Henry centra un palo a gioco fermo, quasi un paradosso per chi fermo non sta mai, anche se corre senza la minima idea di dove andare» sintetizza abbastanza efficacemente la sua prestazione.

Henry sbaglia un stop facile e piega la testa, il linguaggio del corpo racconta molto più delle parole tutte le difficoltà di un ragazzo di 21 anni in una piazza che cerca risposte che non ci sono.Anche l’Avvocato dice la sua: «questo Henry, per esempio: molto elegante, molto veloce, molto giovane. Ma ha qualcosa da migliorare». Nella successiva sfida con l’Inter, il velo di Maya sulla posizione di Henry inizia a squarciarsi. Titì è solo nominalmente la seconda punta nel 4-3-1-2 con cui si schierano i bianconeri, ma in realtà interpreta il ruolo vagamente sacchiano (maestro di Ancelotti) dell'attaccante esterno che copre la fascia, o meglio del centrocampista di fascia che si aggiunge all'attacco (un ruolo che Zola e Signori ricordano bene). Interpreta questa posizione ibrida con un grande spirito di abnegazione, sostituendosi nei fatti a Zidane in copertura e lasciando così libero il trequartista di giocare un calcio privo di compiti difensivi. Il 4-3-1-2 di Lippi diventa un 4-4-1-1 in cui Zidane è l’unico giocatore che può muoversi al di fuori delle rigide gabbie tattiche di Ancelotti.Nella mediocrità della Juventus Henry si danna l’anima, ma non brilla, finendo per diventare lo zimbello dei giornalisti: «l'Inter ci ha provato poco, mentre la Juve ci ha messo almeno la fantasia, sotto forma del raggio laser che un tifoso ha sparato negli occhi di Pagliuca per tutto il primo tempo. Macchia rossa ininfluente e quindi molto, molto più pericolosa di Esnaider ed Henry». Per la Gazzetta il francese è «sufficiente da centrocampista, non da attaccante». Capirne i motivi tecnici non è facile: da una parte sembra troppo impegnato a guardarsi le spalle per essere il giocatore micidiale che si intravede tra le pieghe delle sue giocate, dall’altra è anche vero che sembra davvero inadatto al ruolo di bomber implacabile, con dei limiti sinceramente invalicabili più che frutto della giovane età. Le sue prestazioni somigliano a coiti interrotti molto presto, basta guardare i voti di quelle partite, che spaziano dal 4.5 di Cagliari dove «subentra in una posizione che non deve aver capito bene, commette troppi errori» al 5 contro il Piacenza «corre molto ma sbaglia troppo: evidentemente non è in condizione e non si è ancora calato nei meccanismi della squadra» al 5.5 con l’Inter. Molte insufficienze e quasi tutte motivate allo stesso modo: Henry non ha ancora capito posizione e modo di giocare. Lo stesso Henry prova ad avvertire tutti: «Sono una seconda punta libera (“di svariare senza particolari compiti tattici”, aggiungiamo noi) ma se mi viene chiesto di dare una mano al centrocampo, non mi tiro certo indietro, è un compito che ho già svolto».Dal giorno 48 al giorno 131Le cose cambiano definitivamente quando Zidane viene risparmiato dal campionato per la Champions, dove la Juventus deve affrontare il Manchester United in semifinale. Nel 4-4-2 con cui Ancelotti si schiera in assenza del trequartista francese, Henry non fa la prima o la seconda punta, ma l’esterno di sinistra.Lo fa anche benino. A Torino, contro la Roma, in una partita dal valore più emotivo che di classifica, dove le due squadre sono lontane dalla vetta (in estate Zeman ha poco velatamente accusato la Juventus di fare uso di doping), Henry è tra i migliori. Vince il duello con uno dei terzini migliori del campionato, Cafù, e “ricama cross dolcissimi” come si legge nel resoconto della partita. Basta una prestazione ottima come esterno per ribaltare anche i giudizi. Henry viene definito come «l'uomo che potrebbe in qualche modo oscurare Zidane». Ancelotti frena:«È stato bravissimo, sta imparando il nostro campionato. Zidane manca sempre, però non l'abbiamo fatto notare». È questo forse il momento in allenatore e stampa si convincono che Henry sia un esterno di fascia fatto e finito, che fare su e giù per crossare verso Inzaghi e Amoruso sia la cosa più intelligente che gli si possa far fare su di un campo da calcio, vista anche la leggerezza con cui corre.

In questo screen pre hd si capisce il suo ruolo: nella linea a 4 del centrocampo juventino, Henry è il primo partendo dall’alto.Da esterno sinistro gioca anche la partita più citata quando si parla della sua esperienza alla Juventus, quella contro la Lazio. È il 17 aprile e a Roma la sera prima ha piovuto tantissimo. Sul terreno completamente zuppo dello Stadio Olimpico la Lazio deve vincere per tenere lontano il Milan nella corsa scudetto, mentre la Juventus sta solo aspettando il ritorno della semifinale di Champions League all’Old Trafford. Henry fa quello che gli chiede Ancelotti, stare largo, allargare il gioco, arrivare sul fondo e crossare. Solo che questa volta è più fortunato: al trentaquattresimo del primo tempo riceve palla sulla sinistra, converge verso il centro saltando Lombardo e lascia partire un destro per niente pericoloso che rimbalza sulle braccia protese di Marchegiani e finisce in rete.È quasi più un autogol del portiere, ma questo non frena i festeggiamenti di Henry, al primo gol in bianconero. Prima va ad abbracciare qualcuno in panchina (dalle immagini non si capisce bene, ma dovrebbe essere Deschamp) e poi raggiunge Ancelotti rimasto in disparte con cui scambia una riverente stretta di mano.

Henry si sfila dall’abbraccio dei compagni e come un bravo alunno va a dare la mano all’insegnante.Anche il secondo gol è più figlio della fortuna che della capacità quasi ipnotica di battere i portieri che acquisirà all’Arsenal: Marchegiani respinge centralmente una punizione forte e rasoterra di Davis, Iuliano - primo sulla traiettoria - scivola malamente ed Henry può appoggiare nella porta sguarnita. È il gol del 3 a 1, che libera il francese: Henry corre verso la bandierina con l’indice alzato, un’esultanza che diventerà un’icona, e si pianta come una statua. Tutti i compagni lo festeggiano con vigore: Di Livio ne imita la posa, Birindelli gli salta sopra, Conte se lo abbraccia. Perfino Esnaider, per cui la mancanza di gol alla Juventus diventerà la lettera scarlatta della carriera, gli stringe la faccia tra le mani come si fa con i cani quando fanno una cosa buona. Sembrano tutti davvero contenti per lui, come se il gol fosse l’amuleto per annullare un incantesimo che malvagio. Segna «due gol abbastanza trovati», ma è abbastanza per accendere definitivamente i riflettori: la stampa inizia a celebrarlo e se fino a due settimane prima era un pesce fuor d’acqua ora è un «talento di enormi possibilità . Sulla fascia, lanciato può saltare chiunque». Oramai il suo posto sembra quello di esterno nel 4-4-2, un modulo che può esistere solo finché non esiste Zidane.Ma se la partita contro la Lazio doveva essere un punto di partenza, si dimostra più un punto d’arrivo. Nella disperata rincorsa della squadra al quarto posto, Henry si alterna tra il ruolo di punta ibrida nelle poche presenze di Zidane (alle prese con dei problemi al ginocchio) e il ruolo di esterno puro nel 4-4-2, con prestazioni spesso dimenticabili. Dopo la sconfitta contro la Salernitana, Henry torna ad essere un errore di mercato, di nuovo associato ad Esnaider: «è meglio dimenticare le ultime operazioni (Henry ed Esnaider, zero vero) e mettersi a ricostruire». Henry sembra un enigma anche da un punto di vista tattico, che Ancelotti difende: «Sbagliato giocare con Henry, Zidane e un' unica punta? Secondo me no, non sta qui il problema».Si arriva alla surreale ultima partita di campionato, in casa con il Venezia, decisiva per i bianconeri che ambiscono ad un posto in Europa. Henry gioca forse la sua miglior partita in Italia, serve due assist e trova il terzo gol in bianconero, ancora una volta con molta fortuna. Il suo tiro viene deviato nettamente da un avversario prima di finire in rete. Henry alza le mani quasi a scusarsi che anche in questa circostanza la fortuna si è dovuta intromettere per farlo segnare. Se dopo i gol con la Lazio si era lasciato andare ad una gioia sfrenata, questa volta sembra quasi infastidito dal gol, allarga le braccia come fosse dispiaciuto: quello tra lui, la Juventus ed il gol è un triangolo morboso.Non basta la vittoria contro il Venezia, però, ad evitare lo spareggio con l’Udinese per chi andrà direttamente in Uefa e chi dovrà invece passare per il girone infernale dell’Intertoto. Alla doppia sfida, che si tiene subito dopo la chiusura del campionato, la Juventus arriva decimata in attacco, con Henry l’unico disponibile oltre ad Inzaghi. Un problema non da poco secondo la Gazzetta «in una partita quanto meno da pareggiare, sperando nel ritorno, visto che Henry non e' esattamente un goleador. Tre gol in campionato al suo attivo, dicono i numeri, ma forse sara' il caso di ricordare che uno e' arrivato per macroscopica papera di Marchegiani, il secondo su rimpallo, il terzo su autorete dopo un tiro sporco».Eppure neanche l’assenza in contemporanea di Del Piero, Fonseca, Zidane, Esnaider e Amoruso spinge Ancelotti ad usare Henry come attaccante. Accanto ad Inzaghi viene schierato Simone Perrotta, che è formalmente un centrocampista, e soprattutto ha accumulato appena un centinaio di minuti in stagione. Il futuro campione del mondo gioca alle spalle di Inzaghi, in un 4-4-1-1, anticipando quello che sarà il ruolo che lo renderà grande nella Roma di Spalletti. Nel grigiore bianconero di una stagione nefasta e logorante, Henry è tra i meno peggio. La fortuna dei tre gol in campionato chiede però il conto: un suo grande tiro al volo da trenta metri nella partita di andata colpisce in pieno la traversa. Ad Udine finis

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