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Alfredo Giacobbe
Hype Xhaka
14 lug 2016
14 lug 2016
Ricomincia Hype, la rubrica nella quale analizziamo i giocatori ricoperti di aspettative. Nella prima puntata Granit Xhaka.
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Alfredo Giacobbe
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Ora l’Arsenal fa sul serio. È quello che abbiamo pensato più o meno tutti, quando è stato ufficializzato l’acquisto di Granit Xhaka dal Borussia Mönchengladbach. Un’operazione di alto profilo per le cifre in ballo (un massimo di 45 milioni di euro se tutti i bonus verranno sbloccati), conclusa con una rapidità che non riconosciamo ad Arsene Wenger e ai suoi sodali. È stato lo stesso Wenger, che due sessioni fa definì il solo acquisto del vecchio Peter Cech, a spiegare il trucco: l’allenatore alsaziano e il centrocampista svizzero si sentivano con regolarità da più di un anno. Giovane, talentuoso, carismatico: l’hype dei tifosi dell’Arsenal per Xhaka è ai massimi livelli. Ma che tipo di giocatore è lo svizzero e cosa può dare ai Gunners?

 

 



 

Xhaka è nato a Basilea nel 1992, da una coppia di esuli kosovari che avevano riparato in Svizzera a causa della tensione crescente nel loro paese d’origine, che sarebbe sfociata nella

civile dei Balcani. Con suo fratello Taulant, Granit ha iniziato la trafila calcistica nelle giovanili della Concordia, per poi passare entrambi nella più prestigiosa accademia del FC Basilea.

 

Granit ha da subito messo mostra una maturità superiore a quella dei pari età: da quando aveva sedici anni è stato impiegato impiegato nelle file dell’Under 21 della squadra basilese, riuscendo così a mettere insieme, nei suoi primi 3 campionati, 37 presenze e 11 reti. Promosso in prima squadra nel 2010, ha fatto il suo esordio europeo (con gol) nel terzo turno preliminare di Champions League. In due anni col Basilea è riuscito a vincere due campionati e una coppa di Svizzera; nell’estate 2012 ha accettato l’offerta del Borussia Mönchengladbach.

 

Nella squadra di Lucien Favre è stato impiegato regolarmente come mediano di contenimento nel 4-2-3-1. In Nazionale, Ottmar Hitzfeld, che lo aveva seguito dai tempi dell’Under 17 e che vedeva in lui il nuovo Bastian Schweinsteiger, lo ha usato come trequartista centrale. All’inizio della scorsa stagione, Favre ha lasciato l’incarico, travolto da un inizio di stagione che definire pessimo è un eufemismo: 5 sconfitte di fila, compreso lo 0-4 all’esordio contro il nuovo Dortmund di Tuchel.

 

Il nuovo allenatore, André Schubert, all’inizio del suo mandato ha deciso di affidare a Xhaka la fascia di capitano: sebbene fosse solo un ventiduenne, aveva le idee chiare sul tipo di apporto carismatico che Granit poteva offrire al resto del gruppo in un eccezionale momento di difficoltà. La risalita, per certi versi fortunosa, è stata immediata: 6 vittorie consecutive, 10 risultati utili prima della sconfitta di Leverkusen. Il prezzo che Xhaka pagò di tasca propria fu comunque alto: 3 rossi in 15 partite sono la testimonianza di quanto abbia pesato sul ragazzo la sua nuova condizione in rosa. Nell’anno solare 2016 qualcosa deve essere cambiato a livello mentale tanto che, nelle successive 13 partite di Bundesliga, Xhaka ha ricevuto un solo cartellino giallo.

 

Il destino è un abile narratore e sa che, per rendere completa una buona trama, non deve mancare una saga familiare: il sorteggio di Parigi ha messo di fronte le Nazionali di Svizzera e Albania e, tra gli incroci storico-sentimentali, spiccava il confronto tra i fratelli Xhaka, divisi tra la Nazionale d’adozione e quella d’origine. Xhaka si è guadagnato una visibilità continentale per la sua storia personale ma, in realtà, ad Euro 2016 si è distinto soprattutto per le prestazioni in campo. Nelle tre partite del Gruppo A giocate per intero, grazie anche alla sua leadership straordinaria, la Svizzera ha guadagnato l’accesso agli ottavi di finale di un Europeo per la prima volta nella propria storia.

 

 



 

Che Xhaka abbia personalità si capisce da ogni suo atteggiamento sul campo: lo si vede chiedere continuamente palla ai compagni, oppure, quando non è in condizione di ricevere, indicare agli altri la scelta di passaggio migliore.

 

https://twitter.com/11tegen11/status/743143533587070980

 

Per la Svizzera, Xhaka è un vero e proprio “hub” attraverso il quale far arrivare il pallone ai propri attaccanti. Lui prova a ricevere palla al di là della prima linea di pressing avversaria, lasciando a Behrami, giocatore con una spiccata attitudine difensiva, il compito di iniziare l’azione coi difensori centrali: in questo modo, quando non si abbassa troppo, Xhaka può cercare il passaggio in verticale verso le punte, o continuare la trasmissione del pallone attraverso la catena di sinistra. Ma con la sua capacità di calcio nessuna opzione gli è davvero preclusa.

 

Nelle 4 partite disputate ha giocato 96.2 passaggi ogni 90 minuti, con una precisione dell’ 89%: in tutto il torneo, solo Toni Kroos gli è stato superiore con 101.4 passaggi/p90. Gli alti indici di precisione di solito indicano una distribuzione di gioco soprattutto orizzontale, ma non è il caso di Xhaka (come non è il caso dei migliori centrocampisti in circolazione). Tra gli svizzeri addetti all’impostazione bassa è l’unico ad avere la capacità di verticalizzare il gioco verso le punte: i suoi 2.3 passaggi chiave a partita per il tiro di un compagno lo piazzano subito dietro ai migliori specialisti dell’assist (Rooney, ancora Kroos e Iniesta).

 



 

Xhaka è tanto abile nel gioco corto quanto in quello lungo: i suoi cambi di gioco su Lichtsteiner e Rodriguez creano problemi agli avversari che sono costretti a muoversi in blocco rapidamente per coprire lo spazio sull’esterno. L’azione che ha fruttato alla Svizzera un calcio d’angolo contro l’Albania, poi trasformato da Schär, è esemplare della forza di Xhaka: un suo lancio lungo ha liberato Rodriguez al cross; sulla ribattuta della difesa è lui stesso ad arrivare alla conclusione verso la porta.

 

Se non trova sfogo in una verticalizzazione di Xhaka, il gioco svizzero ristagna in orizzontale fino a trovare un uomo sulla fascia, per poi creare superiorità numerica attraverso un dribbling. Una giocata forzata, che di solito comporta la perdita del possesso.

 



 

Il modo in cui usa il corpo gli permette di proteggere il pallone anche quando viene pressato, o di strapparlo agli avversari dopo un controllo palla approssimativo. Insomma, se gli atteggiamenti da duro fanno pensare ad un certo tipo di giocatore, Xhaka sembra avere un futuro qualitativamente migliore a quello di un semplice mediano.

 

 



 

All’Europeo, a differenza di altre occasioni, Xhaka non ha ceduto alle insidie del protagonismo, forse responsabilizzato dalla maglia della Nazionale, o forse intimorito dalle luci della nuova ribalta.

 

https://twitter.com/optafranz/status/678624694686187520

 

Il suo record disciplinare destava preoccupazione, ma il trend positivo mostrato nella seconda metà dell’ultima Bundesliga è stato in qualche modo confermato anche all’Europeo: nelle tre partite del Gruppo A disputate per intero Xhaka ha preso un cartellino giallo, necessario per fermare un contropiede due contro due della Romania, quando gli uomini di Iordanescu erano già in vantaggio di un gol.

 



 

Xhaka ha commesso un numero tutto sommato accettabile di falli per il ruolo che riveste, 1.7 a partita, sicuramente aiutato dalla compattezza della sua squadra, ma la sua tendenza agli interventi in scivolata è ancora troppo accentuata. Questa sua caratteristica incontrerà sicuramente il gusto del pubblico britannico, meno quello degli arbitri della Premier League, sempre più inclini ad utilizzare il metro di giudizio continentale.

 



 

Se è vero che il gioco della Svizzera è finora passato dai piedi di Xhaka, è altrettanto vero che il centrocampista ha fatto di tutto per accentrare l’onere dell’impostazione su di sé, spesso andando oltre i propri compiti. A volte si è abbassato sulla linea dei centrali difensivi per ricevere il pallone, anche in presenza di Behrami che aveva eseguito lo stesso movimento, una doppia salida lavolpiana, che ha portato a una specie di linea da quattro difensiva, coi centrali larghi sulle fasce come terzini e nessuna linea di passaggio possibile se non un banale servizio in orizzontale.

 



 

L’eccesso di sicurezza può portare Xhaka a prendersi troppi rischi, com’è accaduto contro la Romania. Nell’immagine qui sopra Granit è chiuso correttamente da due avversari, uno posto frontalmente e l’altro dal lato del campo, avrebbe dovuto passare la palla a Lichtsteiner, che poi l’avrebbe giocata verso il portiere ricominciando l’azione, e invece ha insistito nel dribbling perdendo palla. Solo un rimpallo fortunato ha impedito a Keșerü di controllare il pallone e puntare la porta avversaria.

 

Oltretutto in questo Europeo non si è quasi mai lanciato in una delle sue corse in avanti palla al piede, preferendo pattugliare la zona davanti alla difesa, ciò nonostante non ha mostrato abilità da primo della classe dal punto di vista difensivo: ha tentato 3.7 tackles ogni 90 minuti, con una percentuale di successo del 73%. Per fare un paragone, il suo compagno di squadra Behrami ha un numero simile di contrasti, ma con una percentuale di riuscita del 82%; nel torneo continentale, giocatori più o meno imprescindibili, come Gera, Baumgartlinger o Golovin hanno numeri migliori.

 

Vanno ancora peggio le sue statistiche sugli intercetti, che dovrebbero rispecchiare indirettamente il grado di comprensione del gioco e di copertura dello spazio: Xhaka ha 0.7 intercetti p90, lontano sia da Behrami (3/p90), sia dai primatisti della specialità (Kanté 5/p90, Ozyakup 4.2/p90, Modric 4.1/p90). I suoi numeri nel campionato tedesco, su un orizzonte temporale più lungo, mostrano lo stesso trend.

 

 



 

In Inghilterra i media stanno iniziando a capire che tipo di giocatore è Granit Xhaka. Se tutti gli scenari iniziali vedevano lo svizzero in coppia con Cazorla nel 4-2-3-1 di Arsene Wenger, ora s’ipotizza un impiego di Xhaka più alto sul campo, con Elneny o Coquelin a guardargli le spalle.

 

Le scelte d’impiego degli allenatori che hanno preceduto l’alsaziano sono state differenti tra loro: Hitzfeld, come detto, lo ha portato al Mondiale 2014 da trequartista; Petkovic ha capito quanto fosse centrale il ruolo di Xhaka nel suo scacchiere e dopo qualche esperimento all’inizio del suo mandato (ha provato a farlo convivere con Gokhan Inler), ha deciso di consegnargli definitivamente le chiavi del centrocampo supportandolo con un centrocampista difensivo come Behrami; al contrario, Schubert al Gladbach lo ha accoppiato con un centrocampista tecnico come Mahmoud Dahoud nel 4-4-2.

 

L’utilizzo più adeguato per Xhaka all’Arsenal dipenderà largamente dal contesto tattico nel quale sarà inserito. E, cioè, la vera domanda è se Wenger insisterà nella versione reattiva dell’Arsenal vista nell’ultimo campionato.

 

In quel caso è probabile che Xhaka diventi la chiave per verticalizzare velocemente il gioco verso le punte, col supporto di un

; nelle occasioni in cui l’Arsenal deciderà di controllare la partita attraverso il possesso, invece, potremo vedere i due pivot in azione contemporaneamente, anche se con una difesa più alta potrebbero rischiare qualcosa in caso di ripartenze, soprattutto con un difensore lento come Mertesacker alle loro spalle.

 


Xhaka deve lasciarsi alle spalle la più cocente delle delusioni: l’errore decisivo dal dischetto nello shootout contro la Polonia di Krychowiak e Lewandowski ha mandato la Svizzera fuori da Euro 2016, e gettarsi nell’avventura inglese che può consacrarlo come uno dei migliori centrocampisti del panorama europeo.


 

 

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