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Hype: Bernardo Silva
13 lug 2017
13 lug 2017
Nella rubrica dedicata ai giocatori su cui riponiamo grandi aspettative, analizziamo la nuova ala portoghese del Manchester City.
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Vista l’eccellenza fisica e tecnica richiesta dal calcio contemporaneo, il talento di Bernardo Silva è in realtà molto limitato. Nel senso di circoscritto a un ambito molto specifico.

 

In mezzo a giocatori sempre più enormi ed elastici, l’ala portoghese sembra un ragazzo al campetto con la maglia troppo grande. Bernardo Silva ha il petto piccolo e le spalle strette, sembra far fatica a tenere il campo sotto i piedi, e quando corre si spettina e gli si arrossa il volto. Non è quel tipo di giocatori che lancia la palla nello spazio facendo scomparire gli avversari, bruciando l’erba dietro di sé. Quando ha provato a superare da fermo un altro giocatore dal fisico normale come Pjanic, nell’ultima Juventus-Monaco, è finito per sembrare un ubriaco in una rissa.

 

Bernardo Silva mal sopporta il gioco spalle alla porta, spesso preferisce defilarsi sull’esterno per ricevere anche quando è impiegato centralmente, e a volte sembra veramente aver paura di un gioco troppo fisico. Il portoghese perde il 72.7% dei duelli aerei, un fondamentale di cui è quasi sprovvisto, e 2.6 contrasti ogni 90 minuti. Da piccolo, come avevo già sottolineato

che gli avevo dedicato circa due anni fa, era chiamato "Cabeças" per la sproporzione tra il corpo e la testa e si dice avesse paura dei duelli fisici.

 

Bernardo Silva non ha un gran tiro dalla distanza e non è una specialista sulle punizioni. Sa piazzare molto bene la palla a giro sul palo più lontano con il sinistro ma il suo tiro non è né particolarmente potente né sempre preciso. Degli 11 gol realizzati quest’anno, solo uno è arrivato da fuori area, nato tra l’altro a seguito di una deviazione decisiva. La crescita del suo volume di tiri (soprattutto quelli da fuori area, passati dal 2014 al 2017 da 0.24 a 0.65 ogni 90 minuti), in questi tre anni di Monaco, ne ha pregiudicato l’accuratezza, crollata al 56% dal 70%.

 

Bernardo Silva non è un creatore di gioco geniale. Le sue statistiche sui passaggi chiave durante la sua permanenza in Francia sono rimaste stabili su un livello alto ma non eccezionale (rispettivamente 1.65, 1.60, 1.61 ogni 90 minuti), nonostante la sua sensibilità tecnica gli permetta di servire i compagni in praticamente qualsiasi maniera. Il portoghese ha una tensione verticale per certi versi individualista, che lo spinge ad attaccare lo spazio in profondità senza palla oppure a portarcelo direttamente lui il pallone in area, attaccato al piede. Questa mi sembra la differenza fondamentale che lo distingue dal giocatore a cui viene accostato

da quando si è trasferito al Manchester City, David Silva, che effettivamente ne ricorda le movenze e le fattezze, ma che è un giocatore più associativo e, per capirci, di passaggi chiave ogni 90 minuti ne effettua 2.45.

 



Se ho iniziato parlando dei limiti di Bernardo Silva è perché voglio far capire quanto sia eccezionale la caratteristica che in appena quattro anni l’ha portato, con un fisico come detto relativamente normale, dalla panchina del Benfica al Manchester City. E cioè la conduzione della palla.

 

Quando avanza palla al piede, Bernardo Silva non perde velocità, nonostante tocchi il pallone ripetutamente, sia col sinistro che col destro, per avercelo sempre vicino, in un modo che finisce per rendere quasi indistinguibile il controllo del pallone dalla corsa vera e propria. È la capacità di controllare il pallone a quelle velocità che rende Bernardo Silva spesso indifendibile: i difensori più saggi preferiscono indietreggiare sospendendo gli interventi per non venire saltati, e per cercare di indirizzarlo verso l’esterno, ma così facendo gli lasciano spazio e tempo per pensare ad una distanza sempre più ravvicinata dalla porta.

 

 il gol che Bernardo Silva ha realizzato la scorsa stagione in casa del Tottenham, durante i gironi di Champions League. L’azione nasce da un campanile sulla trequarti, con il portoghese che controlla il pallone sfiorandolo appena a terra col sinistro, indirizzandolo verso la porta. Davies prova ad affondare il tackle, ma Silva lo anticipa con la coscia destra, ammorbidendo ulteriormente il rimbalzo. A quel punto tra il giocatore del Monaco e la porta c’è solo Vertonghen, che indietreggia provando a portarlo sul piede debole. Silva tocca il pallone con cadenza regolare, sempre con il sinistro, come se il suo piede fosse una bacchetta e il pallone un tamburo. Ad ogni tocco si avvicina di un passo alla porta: è lui che sta portando il suo avversario fuori posizione e non il contrario. Non appena il difensore belga sposta il peso sulla gamba sinistra, Silva si apre lo specchio della porta e tira a giro alla destra del portiere da dentro l’area. Dopo quella partita, Lloris

: «Non riuscivamo a togliergli la palla, è stato incredibile».

 

«In allenamento e in partita fa cose incredibili. Pensi che stia perdendo il pallone ma no, è ancora lì tra i suoi piedi. E non riesci nemmeno a capire come ha fatto. È un mago», dice di lui Jemerson. Mendy invece lo chiama chewing gum perché la palla gli rimane sempre incollata al piede: «Pagherei per guardarlo giocare», dice. In Portogallo, per questa sua caratteristica, c’è chi lo chiama Messizinho, cioè piccolo Messi.

 



Ma, come detto, Bernardo Silva non ha quel tipo di talento sovrannaturale che spiana qualunque percorso. Il portoghese fallisce comunque il 43.2% dei dribbling (1.5 ogni 90 minuti) e i suoi poteri sono inversamente proporzionali alla profondità che gli concedono le squadre avversarie.

 

Una sensazione di normalità che il portoghese trasmette anche fuori dal campo. Bernardo Silva non ha tatuaggi, è sempre stato onesto riguardo al suo tifo per il Benfica e a Monaco aveva un piccolo appartamento spartano privo addirittura della lavastoviglie (una cosa che i tifosi inglesi, abbastanza puritani sull’ostentazione della ricchezza,

).

 

Come per tutto il resto dei giocatori, anche la sua ascesa è stata determinata da una serie di circostanze fortunate che ne hanno portato in alto il talento. È stato importante

, innanzitutto, che nella doppia veste di suo procuratore e advisor del Monaco ha convinto la squadra francese a spendere più di 15 milioni di euro per un giocatore che col Benfica aveva giocato in prima squadra appena 31 minuti. Ma soprattutto è stato fondamentale Leonardo Jardim, che l’ha posto ad architrave del suo gioco fluido e imprevedibile. Insieme a Fabinho, Bernardo Silva è l’unico giocatore di movimento che è sempre rimasto titolare da quando l’allenatore portoghese si è seduto sulla panchina del Monaco.

 

Pur cambiando molti dei suoi interpreti, ed evolvendosi gradualmente in una squadra

, il Monaco ha mantenuto in questi tre anni un gioco in cui la palla veniva portata più che passata. In cui la superiorità in zona palla, cioè, si creava più dando la responsabilità ai giocatori di saltare il diretto avversario che trovando con il passaggio gli uomini liberi dietro le linee di pressione. Il Monaco quest’anno ha finito per mettere dei grandi portatori di palla perfino al centro del campo (Fabinho, un ex terzino, e Bakayoko, a scapito di un grande gestore del possesso corto come Moutinho) ed ha espresso il massimo della propria potenzialità offensiva in transizione, attaccando in campo lungo.

 

È facile constatare che princìpi di gioco di questo tipo abbiano esaltato i pregi maggiori di Bernardo Silva, a partire dalla conduzione del pallone. Il Monaco si appoggiava principalmente a lui per risalire il campo in velocità e sorprendere gli avversari prima che si potessero riorganizzare sotto la linea del pallone, molto più che a Lemar dall’altro lato, ad esempio, che invece predilige venire dentro al campo tra le linee per creare gioco o tirare dalla distanza.

 

È più complesso invece capire quali sono le caratteristiche che questo sistema di gioco ha fatto crescere e quali, ancora, sono state atrofizzate. È sempre difficile scindere il talento individuale dal sistema di gioco in cui è inserito ma lo è ancora di più per Bernardo Silva, che è arrivato al Monaco a 20 anni, senza aver mai giocato prima ad alto livello. Jardim è stato fino a questa estate il suo unico allenatore ed è plausibile che l’argilla molle delle sue caratteristiche meno sviluppate ed evidenti sia stata plasmata dall’allenatore portoghese.

 



Al Monaco, innanzitutto, Bernardo Silva sembra aver imparato a difendersi insieme alla sua squadra senza il pallone. Jardim ama lasciare il possesso agli avversari per spingerli all’errore, alzando il pressing come una marea solo nei casi in cui il possesso basso avversario è più difficoltoso.

 

Bernardo Silva, nonostante le capacità fisiche ridotte, ha dimostrato in questi tre anni una resistenza impressionante. Essendo stato impiegato quasi sempre sull’esterno destro, la sua attività senza il pallone era molto gravosa e complessa: a volte doveva ripiegare sotto la linea del pallone, assorbendo gli eventuali inserimenti dei terzini; altre volte, quando il pressing del Monaco si alzava, doveva chiudere il campo in diagonale per restringere il campo agli avversari e aumentare le probabilità di riconquista delle seconde palle. A volte doveva fare entrambe le cose e subito dopo riattivare la transizione per l’ennesima volta.

 

Ma al di là dell’impegno fisico, che comunque deve essere preso in considerazione quando si parla della sua lucidità in fase offensiva, un sistema come questo, che lascia grandi responsabilità all’intelligenza collettiva della squadra nel capire quando aggredire alti e quando attendere, sembra aver sviluppato in Bernardo Silva un grande istinto predittivo nei confronti delle intenzioni degli avversari.

 

Tra le grandi squadre francesi, cioè quelle che passano meno tempo a difendersi, Bernardo Silva è uno dei giocatori offensivi che intercetta più passaggi: 0.84 ogni 90 minuti. Una cifra vicina a quella di Lemar (1 ogni 90 minuti) e che è progressivamente scesa in questi tre anni mano a mano che il gioco del Monaco si orientava più sul pallone che sullo spazio (nelle due stagioni precedenti Bernardo Silva ha intercettato rispettivamente 1.26 e 1.24 passaggi ogni 90 minuti).

 

Bernardo Silva non ha bisogno del pallone per mantenere alta la concentrazione ed ha una presa mentale costante sulla partita. Il portoghese sa schermare i passaggi, assorbire gli inserimenti avversari, pressare in avanti con una costanza ed un’intelligenza quasi unica per un giocatore della sua età. Molte volte sono stati i suoi stessi intercetti a rappresentare gli inneschi delle fulminanti transizioni del Monaco.

 

Anche con il pallone, Bernardo Silva è la più perfetta rappresentazione in campo di quell’intelligenza saggia che Jardim richiede ai suoi giocatori. L’idea di calcio dell’allenatore portoghese prevede che siano gli uomini a prevalere sui sistemi di gioco, che siano cioè i giocatori individualmente e la squadra collettivamente a decidere come attaccare e come difendersi. Il Monaco spingeva i propri giocatori a prendersi la responsabilità di decidere loro stessi quando allungare il campo in transizione, forzando la conduzione o il dribbling, e quando invece concedersi una pausa, associandosi nel breve per riordinarsi col possesso e attaccare posizionalmente.

 

In un contesto come questo, Bernardo Silva ha sviluppato una lucidità sorprendente nel capire che decisioni prendere, cioè nel fare delle scelte ottimali a seconda della situazione di gioco, della posizione di campo e del momento della partita. Nel gioco del portoghese convivono tranquillamente le piroette tra gli avversari con i filtranti millimetrici dietro la linea di difesa avversaria…

 



 

…e gli assist banali, a concludere contropiedi prodigiosi di decine di metri.

 



 

Alla base di questa lucidità c’è la capacità, per certi versi ancora più sorprendente vista la tendenza del calcio contemporaneo a comprimere sempre di più gli spazi di gioco, nel riuscire a trovare costantemente lo spazio, e quindi anche il tempo, per pensare. Abbiamo già visto come la peculiare conduzione palla di Bernardo Silva abbia l’effetto collaterale difensivo di tenere gli avversari lontani, permettendogli di alzare la testa e capire qual è la scelta migliore da compiere.

 

Ma anche senza palla Bernardo Silva ha un’abilità osmotica unica nell’occupare gli spazi liberi, con un movimento costante e ininterrotto. È una caratteristica che sembra aver sviluppato darwinisticamente dalla sua paura per il gioco fisico, che lo spinge a spostarsi in zone di campo prive di avversari. Il suo allenatore delle giovanili, a questo proposito, dice: «Ha sempre saputo di non poter vincere la battaglia fisica, perché era sempre il più piccolo e il più leggero. Si chiedeva sempre come evitare i contrasti. Questo spiega perché oggi è sempre due o tre mosse avanti rispetto agli altri quando riceve il pallone».

 

È una caratteristica che a volte rischia di marginalizzarlo, spingendolo verso l’esterno del campo, ma che spiega com’è possibile che un giocatore alto 1 metro e 73 col fisico di un impiegato delle Poste sia riuscito a segnare 3 dei suoi 11 gol stagionali di testa (che non è un numero grande in assoluto, ovviamente, ma che rappresenta comunque quasi un terzo del totale). In tutti questi tre gol Bernardo Silva è riuscito a colpire di testa da solo, senza quasi saltare, in mezzo all’area, circondato da difensori enormi, evitando il duello aereo vero e proprio.

 



 

Il discorso sui movimenti senza palla di Bernardo Silva combacia quasi perfettamente con quello sull’aspetto creativo del suo gioco. A volte compariamo la creatività su un campo di calcio ad un atto veramente artistico, alla una pennellata di un pittore, ad esempio, o al gioco di prestigio di un mago, ma in realtà il gioco viene a crearsi più che altro attraverso il dialogo tra due giocatori: quello che suggerisce il movimento e quello che lo serve. Ecco, tra questi due soggetti, per le sue caratteristiche e per il tipo di gioco molto veloce e diretto che faceva il Monaco, è capitato più spesso che Bernardo Silva fosse il secondo e non il primo.

 

Questo non vuol dire che Bernardo Silva sia del tutto privo di immaginazione, ovviamente. Parliamo comunque di un giocatore che in tre anni di Monaco ha messo insieme 19 assist, capace di servire palle come questa.

 



 

Ma è vero che Silva rompe in un certo senso con la grande tradizione portoghese di trequartisti iper creativi, per la quale il pallone era al centro dell’universo. Per Rui Costa, suo grande idolo benfiquista, ma anche per Figo e per il primo Cristiano Ronaldo, ricevere il pallone significava concedersi un gesto tecnico, mettere il gioco in pausa, attirare gli avversari, disordinare la squadra avversaria con un dribbling o un filtrante. Bernardo Silva, invece, vive una tensione per la porta avversaria molto più diretta, in cui il pallone è importante ma non necessario e in cui il gioco si rallenta solo se non c’è un modo più efficace per arrivare subito in porta.

 



È difficile dire quanto questa concezione di calcio sia stata determinata dal sistema di gioco costruitigli intorno da Jardim e quanto invece faccia parte della sua natura, sempre che uno stato naturale dei calciatori

. In ogni caso, per Guardiola, un allenatore che ama insegnare, cambiare i giocatori che ha sotto mano, il suo impiego sarà più enigmatico di quanto non si possa immaginare. Bernardo Silva potrebbe andare a toccare alla radice alcune problematiche della sua esperienza in Inghilterra.

 

Innanzitutto: dove dovrebbe essere schierato Bernardo Silva nel Manchester City? Negli ultimi anni Guardiola è tornato a un impiego abbastanza classico delle ali, con i mancini larghi a sinistra e i destrorsi larghi a destra. Il tecnico catalano non ama dare ampiezza con i terzini, compito per l’appunto lasciato alle ali, meccanicizzate nel ruolo di saltare l’uomo e mettere la palla in mezzo all’area.

 

Questo sposterebbe l’ala portoghese a sinistra, nella zona di campo che quest’anno è stata occupata principalmente da Leroy Sané. Il tedesco, però, garantisce un’esplosività nel breve e una capacità nel saltare il diretto avversario che Bernardo Silva, senza la profondità del gioco del Monaco, non ha (il primo effettua 2.72 dribbling ogni 90 minuti, contro i 2.03 del secondo). Giocare a sinistra, inoltre, toglierebbe al portoghese quell’aspirazione ad andare in porta che l’essere schierato a piede invertito lo portava naturalmente a coltivare.

 

Nemmeno al centro, però, nel regno per intenderci di De Bruyne e David Silva, sembra al momento esserci posto per lui. Non solo perché la concorrenza al momento sembra francamente fuori portata, ma soprattutto perché un giocatore così a disagio nel gioco spalle alla porta potrebbe essere cannibalizzato dalla fisicità brutale della Premier League.

 

Bernardo Silva, in un contesto come questo, potrebbe avere comunque un ruolo, soprattutto in quelle ultime metà dei secondi tempi così tipiche della Premier League, in cui le squadre si allungano e gli spazi si aprono. In quei momenti di entropia, l’ala portoghese potrebbe offrire un controllo sul pallone e una capacità di incidere sull’andamento delle partite che al momento nessun altro esterno offensivo del Manchester City ha. Ma questo significherebbe per Bernardo Silva l’essere privato della possibilità di evolversi, e per Guardiola la resa definitiva all’entropia della Premier League, all’aspirazione di lasciare un’impronta sul calcio inglese.

 

Questa questione va a toccare direttamente la questione della legacy del tecnico catalano, se questa cioè sia legata più a un trofeo che ad un cambiamento culturale. Se così fosse Bernardo Silva potrebbe anche essere utilizzato come strumento per sfruttare a proprio favore il caos, l’intensità incontrollata. Alla fine, a rigor di logica, un giocatore che viene pagato 50 milioni di euro, al di là dell’età, non può che essere considerato un prodotto finito.

 

Ma se l’obiettivo è invece affermare le proprie idee, dimostrare di poter vincere controllando il pallone anche in Inghilterra, non cercare di controllare l’entropia ma risolverla, allora l’utilizzo di Bernardo Silva non potrà che andare oltre, perché un giocatore con la sua capacità di controllare il pallone, anche alla velocità di gioco imposta dalla Premier, in Inghilterra non esiste.

 

Certo, sarà un processo lungo e complesso. Bernardo Silva dovrà adattarsi ad un sistema di gioco quasi opposto a quello che l’ha fatto brillare fino ad adesso. In cui l’associatività non è solo un modo per rallentare il gioco ma anche per aggredire l’avversario o difendersi. E dove aspirare ad andare in porta non appena ce n’è la possibilità non è per forza una cosa positiva, anzi. Il portoghese dovrà migliorare il suo gioco nello stretto, magari sviluppando un gioco spalle alla porta meno improvvisato, ed imparare a pensare con i compagni anche con la palla.

 

Ma se c’è una cosa che chiediamo agli allenatori come Guardiola, al di là dei trofei e dei sistemi di gioco, è che restituiscano al calcio contemporaneo giocatori che non hanno nulla di davvero eccezionale tranne che il loro rapporto con il pallone.

 

 

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