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Houston e OKC, la serie dei destini incrociati
03 set 2020
03 set 2020
Da quello di Harden a quello di CP3 passando per quello di Westbrook.
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Già prima che questa serie iniziasse, sapevamo che quella tra gli Houston Rockets e gli Oklahoma City Thunder non sarebbe stata una rivalità come tutte le altre. Troppo intrecciate le storie recenti delle due franchigie, troppo alta la posta in gioco per ciascuno degli attori principali, troppo contrastanti le personalità in campo per non arrivare fino a gara -7 con tutto ancora in bilico. Da una parte i Rockets e la loro costante mutazione di filosofia di gioco; dall’altra i Thunder, che in una stagione di transizione si sono ritrovati per caso a divertirsi come non mai, come un gruppo di teenager a un campo estivo.

È stata una serie intensa, non bellissima, piena di colpi di scena improvvisi e protagonisti inattesi e che ha rispettato le proprie premesse prima di ribaltarsi nella gara decisiva. D’altronde è normale che una gara-7 sovverta ogni narrazione, quando l’adrenalina e la tensione fanno pompare il sangue al contrario e tutto ciò che pensavamo di conoscere viene lanciato dalla finestra.

Alla fine l’ha spuntata Houston per 102 a 104, evitando il tiro della disperazione dei Thunder con poco più di un secondo sul cronometro, dopo che negli ultimi minuti di gioco la partita era diventata qualcosa di più di una semplice sfida a chi metteva il pallone nel canestro. Anzi, forse sarebbe meglio dire qualcosa di meno, visto che le due squadre sono state capaci di mettere a tabellone solo 8 punti complessivi negli ultimi quattro minuti e mezzo di gioco. Ma per capire come si è arrivati a questa conclusione, più simile a una partita di Fall Guys che a una di basket, bisogna riavvolgere il nastro e tornare indietro.

Chris e Russ

Questa serie in realtà ha avuto inizio l’estate scorsa, quando Chris Paul e Russell Westbrook si sono scambiati le canotte di gioco. Il primo era arrivato al capolinea della sua avventura a Houston e della convivenza con James Harden, un sodalizio che aveva sfiorato l’impresa nel 2018 ma che - con il tempo e gli infortuni - aveva accumulato troppe tensioni e invidie, fino all’inevitabile rottura. Il secondo invece aveva chiuso il proprio più che decennale rapporto con i Thunder, franchigia di cui è stato a lungo anima e corpo, dopo il saluto di Damian Lillard nell’incerimoniosa uscita al primo turno negli scorsi playoff.

Entrambi avevano molto da dimostrare da questo scambio: Paul di essere ancora in grado di migliorare la cultura e i risultati di una squadra, e che l’Oklahoma per lui non sarebbe stata una pensione dorata; Westbrook di potersi giocare ancora un titolo NBA insieme all’amico di sempre Harden, dopo non essere mai riuscito a vincere una serie di playoff da quando Durant lo aveva lasciato. In qualche modo entrambi hanno avuto la loro rivincita, anche se non nel modo che forse auspicavano.

Chris Paul ha dimostrato di essere ancora un giocatore formidabile, l’ultima point guard a potersi fregiare di questo titolo e un agonista senza eguali. Ha guidato come un educatore in gita d’istruzione una classe di giovani talenti attraverso una stagione sorprendente, chiusa al quinto posto in una Western Conference estremamente competitiva quando ad inizio stagione gli esperti davano alla squadra di Donovan poco più dell’1% di possibilità di arrivare ai playoff. E lo ha fatto alla sua maniera, instillando ogni goccia di spirito competitivo nei più giovani e motivando i veterani a un’ultima, gloriosa cavalcata, da generale di mille battaglie con le medaglie sul petto. Prendendosi in prima persona le responsabilità maggiori quando il pallone cominciava a pesare, manipolando millimetricamente ogni curva della partita e attaccando senza pietà ogni punto debole del nemico. Costringendo ad ogni possesso al cambio il lungo avversario, invitandolo in una mortale danza che si conclude con un puntuale jumper dalla media, come ogni isolamento fosse una lotta contro l’idea stessa dell’altezza.

Paul è stato l’arma più affilata da sfoderare nelle situazioni punto a punto, quando i Thunder facevano davvero la differenza e vincevano le partite, grazie al miglior quintetto in the clutch della NBA. In stagione per sedici volte hanno rimontato uno svantaggio nell’ultimo quarto di gioco e non è un caso che anche nella serie contro i Rockets ogni vittoria dei Thunder sia arrivata sul filo di lana. Sia in gara-3, quando Oklahoma City ha evitato di sprofondare sul 3 a 0 forzando il supplementare poi dominato, sia in gara-4 che in gara-6, quando hanno rimesso in parità la serie, Chris Paul ha messo la propria firma sui minuti cruciali, con i classici jumper dal gomito, triple acrobatiche e pacche distribuite sui fondoschiena dei diretti marcatori.

L'uscita di scena di un grande protagonista di questa stagione, non solo in campo.

Così nei possessi decisivi di gara-7 ha stupito come non si sia preso in prima persona la responsabilità di ogni pallone e abbia tentato solo una conclusione (sbagliata) negli ultimi sette minuti di gioco. Houston negli ultimi possessi ha fatto un lavoro enorme per togliergli il pallone dalle mani, ricorrendo ai raddoppi per evitare di cambiare. Alla fine Paul si è accontentato e non è riuscito nella più classica delle vendette dell’ex. Anche nella stagione del riscatto, durante la quale è finalmente diventato il venerabile maestro che rende divertenti anche le sue mille astuzie e le sue mille lamentele con gli arbitri, gli è mancato quell’ultimo passo per completare l’opera e mandare a casa chi l’estate scorsa lo aveva ritenuto finito.

Russell Westbrook rappresenta l’esatto nadir di CP3, appartenendo all’altro lato dello spettro dei playmaker. Se uno è ordine e lucidità, l’altro è istinto e caos. E lo ha dimostrato nelle tre partite giocate nella serie, dopo l’infortunio al quadricipite che lo ha tenuto inizialmente in panchina, che ha nel bene o nel male ha deciso con le sue prestazioni. La sua presenza in gara-5 ha iniettato una nuova forza propulsiva nel motore di Houston, che stava andando spegnendosi, contribuendo nel parziale a metà terzo quarto che ha spaccato in due la partita prima che Dennis Schroeder rifilasse un colpo proibito a PJ Tucker lì dove fa più male. Ma nella successiva partita che poteva chiudere la serie a favore dei Rockets, Westbrook ha goffamente inanellato una palla persa dopo l’altra (sette in totale) fino all’ultima fucilata verso il pubblico virtuale che ha di fatto reso necessaria la gara di spareggio. E proprio in gara-7 Westbrook ha preso per mano la squadra, mentre Harden rifiutava le responsabilità che gli spettano di lignaggio, e a suo modo l’ha condotta al turno successivo. Non succedeva dal 2016, quando con Durant mise alle corde i Warriors del record di vittorie nella stagione regolare, ed è successo con un’altra maglia proprio alle spese della sua ex-squadra.

Westbrook non ha mai avuto paura di correre sul filo tra il grandioso e il ridicolo, sbavando spesso oltre entrambi i contorni, e questa serie ne è l’ennesimo esempio. Non ha giocato una gara pulita, ma l’energia e l’intensità che ha messo in campo hanno permesso a Houston di evitare il ritorno dei Thunder, che a un certo punto sembrava inevitabile, e ha sigillato la partita con la deviazione sull’ultima rimessa, una giocata di esplosività e lettura tattica uniche.

https://twitter.com/stevejones20/status/1301368668048171008

A fine partita Russ ammetterà che conosceva quello schema dei Thunder e di essere stato pronto ad intervenire.

Harden e il suo doppio

La sfida che però ha rappresentato il cuore della serie è stata quella tra James Harden, il tre volte miglior realizzatore della lega, e un rookie canadese che non è stato selezionato da nessuno nello scorso Draft e che Oklahoma City ha pescato dalla G-League.

Probabilmente pochi al di fuori dei tifosi dei Thunder prima di questa serie conoscevano il bellissimo nome di Luguentz Dort, ma ci ha messo poco tempo a diventare uno dei giocatori più vivisezionati di questo primo turno dei playoff. Dopo una gara-1 nella quale Harden ha fatto il bello e il cattivo tempo, Donovan ha sguinzagliato sulle sue tracce questo blocco di cemento armato costruito come un linebacker e con la sagacia difensiva di un veterano. E la mossa ha avuto l’effetto sperato, con Harden che ha abbassato di molto la sua efficienza in attacco e ha dovuto sudare per ogni singolo punto conquistato. Nei 156 possessi nei quali è stato difeso da Dort, Harden ha realizzato 65 punti con 54 tiri, con un orrendo 31.5% dal campo e il 26.3% da dietro l’arco. Per rendere l’idea nei 108 possessi nei quali è stato marcato dagli altri tre giocatori perimetrali dei Thunder, Chris Paul, Shai Gilgeous-Alexander e Dennis Schroeder, ha segnato 90 punti con 49 tiri.

L’intera filosofia in attacco di Houston è predicata sullo sfruttare i vantaggi creati dall’abilità di Harden in isolamento, che può battere il proprio avversario sia verso il ferro sia con il brevettato step-back da tre o leggere la difesa per liberare un tiratore. Negli anni Harden è passato da essere un giocatore di pick and roll a uno di isolamento, evitando così di potersi fare intrappolare dal secondo difensore. Harden è talmente bravo in queste situazioni che Morey ha potuto scambiare Capela, il suo bloccante migliore, per costruire una squadra che aumentasse le spaziature per Westbrook, sicuro che la sua superstar sarebbe stata in grado di gestire qualsiasi diretto marcatore.

Non aveva però fatto i conti con Lu Dort, che sembra davvero costruito in laboratorio per impedirgli quello che sa fare meglio. La sua forza fisica nella parte alta del corpo unita alla mobilità laterale e un eccellente equilibrio nella postura difensiva lo rendono un avversario unico da affrontare. Inoltre, come Harden dieci anni prima, anche Dort ha giocato al college ad Arizona State e i due si sono allenati insieme l’estate quando il Barba è tornato nella sua vecchia università. Non è quindi un caso se, come nel meme dei due Spiderman, per larghi tratti della serie non si capiva chi fosse il prototipo dell’altro. Perché con il passare delle partite, a forza di seguirsi come ombre per il campo, i due si sono scambiati i ruoli. Dopo aver tirato per tutta la serie con il 18% da tre, in gara-7 Dort è diventato il fattore che ha ribaltato gli equilibri.

Costantemente battezzato dalla difesa di Houston, ha segnato tutti i tiri che aveva sbagliato in precedenza, chiudendo la partita con sei triple e 30 punti (anche Eric Gordon che prima di stanotte stava tirando il 18% da tre ha segnato sei triple). È il nuovo record realizzativo per un rookie dei Thunder ai playoff, record che fino ad oggi era appartenuto proprio - e a chi altrimenti - a James Harden.

Ma il rovesciamento dei ruoli si è verificato in entrambe le direzioni, con uno svuotato Harden che, proprio quando sembrava non averne davvero più, ha piazzato la giocata difensiva della serie, una stoppata con una manciata di secondi sul cronometro su un tiro da tre di Dort.

https://twitter.com/SkySportNBA/status/1301371047191740417

L’urlo di Harden a un pubblico virtuale subito dopo la giocata restituisce bene la frustrazione che aveva accumulato e che doveva scaricare prima che la partita finisse.

Può sembrare casuale che Harden abbia effettuato l’azione più importante della sua serie nella metà campo difensiva, ma in realtà è tutta la stagione che il suo impatto è cresciuto esponenzialmente, ed è una pedina indispensabile nello scacchiere dei Rockets.

La difesa di Houston e le nuove sfide da affrontare

Per quanto possa contare un campione così ridotto e legato a un solo avversario, i Rockets nei playoff ad ora hanno il miglior Defensive Rating della lega con 101.7 punti concessi per 100 possessi (a pari merito con i Boston Celtics). E se l’attacco dei Thunder non era un test molto probante, l’identità difensiva di Houston è destinata a rimanere. Nel corso della serie hanno saputo passare da una strategia che si basava fortemente i cambi automatici a una che invece attinge a principi della Pack Line Defense, una pratica usata specialmente al college che tende a privilegiare la protezione del pitturato e gli aiuti negli spazi tra i giocatori avversari.

In uno dei possessi chiave della partita Houston non accetta il cambio ma aiuta e recupera quanto basta per togliere la palla dalle mani di Paul e il ritmo all'attacco di OKC.

Una soluzione conservativa atta a limitare lo stile di gioco in isolamento di Oklahoma City stringendo il campo attorno al portatore di palla, specialmente con gli uomini di Dort e Adams. Il mostrare sempre un possibile raddoppio e poi esercitare la consueta attività sulle linee di passaggio ha moltiplicato le palle perse da Oklahoma, che in stagione regolare era tra le migliori squadre nella gestione del pallone e che durante i playoff è risultata la peggiore con il 16% di palle perse.

Houston è la squadra che mette a referto più deviazioni (14.1) e subisce più sfondamenti (1.43), a dimostrazione del grande tempismo nelle rotazioni e negli aiuti. In questo il maestro indiscusso è Robert Covington, l’ultimo pezzo che Morey è andato a pescare a metà stagione rivoluzionando il roster e che in gara-7 è risultato determinante. Non soltanto è stato con Gordon il miglior marcatore dei Rockets con 21 punti grazie a un’eccellente 6 su 11 da dietro l’arco, ma è rimasto in campo con cinque falli per lunghi tratti dell’ultimo quarto, nonostante i Thunder lo puntassero a ogni possesso.

Insieme a Tucker incarna l’anima più operaia di questi Rockets, che si sbatte contro avversari più grossi e pesanti a ogni possesso e non ha paura di gettarsi a terra per recuperare una palla vagante. Un atteggiamento che pian piano è stato abbracciato da tutto il gruppo e che dovrà essere portato in campo anche nella prossima serie contro i Los Angeles Lakers. Rispetto ai Thunder i losangelini hanno due finalizzatori nel pitturato come LeBron James e Anthony Davis che metteranno pressione alla difesa di Houston sui giochi a due in un modo che CP3 e compagni non erano in grado di fare.

Perciò per i Rockets sarà importante trovare l'efficienza offensiva che in questa prima serie non si è quasi mai vista. Certo i Lakers non hanno un Dort, quindi Harden non dovrà fronteggiare la sua nemesi e Westbrook potrebbe ritrovare una condizione più brillante di quella mostrata finora, ma contro una difesa di alto livello non ci saranno margini d’errore. Ora hanno un paio di giorni per recuperare le forze dopo una serie fisicamente e mentalmente prosciugante, nella quale si sono specchiati a lungo con i propri demoni ma dalla quale sono usciti vincitori. Se saranno in grado davvero di competere per il titolo, però, lo scopriremo solamente nelle prossime due settimane.

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