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Tifo e potere in Ungheria
25 lug 2022
25 lug 2022
Storia dell'intricato rapporto tra calcio e politica nel paese di Orban.
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Il 2 settembre 2021 Ungheria e Inghilterra si affrontano alla Puskas Arena di Budapest nella quarta giornata del Gruppo I per le Qualificazioni al campionato mondiale di calcio 2022. A vincere per 4-0 sono i Tre Leoni, ma è quanto accade sugli spalti a catturare l’attenzione rispetto alla partita senza storia vista sul terreno di gioco. Prima gli ululati rivolti ai calciatori inglesi in ginocchio per sostenere il movimento Black Lives Matter, poi il lancio di palline di carta, bottigliette d’acqua e fumogeni all’indirizzo di Raheem Sterling e Harry Maguire durante i festeggiamenti per il primo e il terzo gol. Infine, a gara ormai conclusa, anche il tiro al bersaglio con cubetti di ghiaccio verso il CT Southgate mentre veniva intervistato da Bbc Radio.

Non una bella manifestazione di fair play da parte del pubblico di casa, nemmeno nuovo ad episodi del genere: pochi mesi prima la Uefaaveva obbligato l’Ungheria a giocare tre partite ufficiali a porte chiuse e a pagare una multa di 100mila euro proprio a causa dei comportamenti discriminatori dei suoi sostenitori nei confronti delle squadre avversarie a Euro2020. Il fatto però che la sfida contro l’Inghilterra si fosse giocata sotto l’egida della Fifa aveva permesso di riempire lo stadio con quasi 70mila persone. Tra loro, posizionati dietro una delle due porte, c’erano anche i membri della Carpathian Brigade, il gruppo ultras di estrema destra che segue la squadra in casa e in trasferta.

È un gruppo formato soprattutto dai tifosi più passionali dei club di Budapest e dintorni, uniti da un repertorio fatto di braccia tese, sguardi poco rassicuranti e maglie nere. Ma quello che più caratterizza la Carpathian Brigade, al di là della deriva politica purtroppo non così rara in diverse tifoserie continentali, è ilcollegamento con alcuni apparati istituzionali che ne hanno prima incentivato la formazione e in seguito fatto uno strumento di propaganda. L’obiettivo è servirsi delle grandi masse create dal calcio per appoggiare il governo su temi divisivi e polarizzanti come l’omofobia e la transfobia, facendo però attenzione a non virare apertamente su sentimenti neonazisti per non compromettere del tutto la propria immagine.

Era il 2009 quando il partito Fidesz - Unione Civica Ungherese, attuale detentore della maggioranza assoluta in Parlamento, incontrò i rappresentanti dei maggiori gruppi ultras del Paese. L’obiettivo era creare un movimento che riunisse al suo interno, senza distinzioni di fedi politiche, tutti i tifosi ungheresi per migliorare l’atmosfera durante le partite casalinghe della Nazionale. Gruppi organizzati, liberali, simpatizzanti di destra e di sinistra: la Carpathian Brigade era nata sotto il segno dell’inclusività – tanto da ritagliarsi un ruolo attivo persino nel volontariato – nel tentativo di contenere la violenza neonazista che aveva purtroppo ripreso a imperversare sugli spalti. Molte di queste premesse rimasero però incompiute, soprattutto per via di faide interne tra ultras di club rivali che impedirono una sana e reciproca convivenza, e con il passare del tempo la Carpathian Brigade divenne vittima del proprio successo. Dopo aver saputo tenere sotto controllo i circa cento ultras che ne ingrossavano le fila, la crescita del gruppo andò di pari passi con l’aumentare dei problemi e il ritorno di quei rigurgiti neonazisti tenuti fino ad allora repressi con tanto sforzo. Le gare contro la Romania nel 2013 e 2014 furono macchiate daepisodi di violenza e durante Euro 2016 la Carpathian Brigade finì sulle prime pagine a seguito degli scontri con gli steward nella partita contro l’Islanda a Marsiglia. Con il passare del tempo il gruppo smise di vestire il ruolo nobile con cui era stato concepito e divenne, al contrario, la zona di comfort ideale per l’insorgere di ideali nazionalisti bianchi.

Foto di Bernadett Szabo/POOL/AFP via Getty Images.

Breve storia dell’hooliganismo in Ungheria

La loro diffusione, tuttavia, non è una tendenza recente nel panorama calcistico e, più in generale, nella società ungherese. Sin dalla fine della Prima guerra mondiale, con la dissoluzione del Regno d’Ungheria regolata dal trattato del Trianon che privò la nazione del 75% dei suoi territori, vaste fasce della popolazione rimasero attratte da un forte senso di rivalsa e risentimento che poco dopo sfociò nel calcio. La violenza aveva già fatto la propria comparsa nel 1908, quando i giocatori del Manchester United – dopo la fine dell’amichevole contro il Ferencvaros – dovettero essere scortati fuori dal campo dalla polizia a cavallo mentrevenivano bersagliati da sassi provenienti dalle gradinate. Erano poi seguiti anni in cui istituzioni e autorità avevano rimarcato la propria preoccupazione per l’insorgere di cattivi comportamenti negli stadi, al punto che nel 1937 un quotidiano aveva ipotizzato la formazione di un reparto speciale dedicato al contenimento delle intemperanze tra il pubblico. Dieci anni più tardi si era sfiorato il disastro quando, durante l’amichevole tra Ungheria e Austria, in duecento erano caduti da tribune in legno inadeguate a contenere una folla di 40mila persone.

Nel 1959 una massiccia invasione di campo nella partita tra Dózsa of Pécs e Vasas of Budapest, nata dall’accusa di parzialità rivolta all’arbitro, portò per la prima volta l’attenzione sul problema sicurezza negli uffici del Ministero dell’Interno. Seguì nel 1964 l’emanazione di un decreto che, constatando come alcuni eventi fossero carenti dal punto di vista organizzativo, obbligava le forze di polizia a predisporre un piano unitario per affidare responsabilità e doveri agli operatori coinvolti, fermo restando il dovere dei club di mantenere l’ordine e scongiurare il rischio di incidenti.

Erano anni in cui gli episodi di teppismo rimanevano comunque rari all’interno di una nazione sotto influenza sovietica e solo sporadicamente venivano segnalati dai media sottoposti al controllo di un regime che non aveva mai del tutto amato il gioco. La situazione cambia negli anni Cinquanta, in concomitanza con i successi della Aranycsapat (la squadra d’oro) che riaccendono l’orgoglio patriottico ungherese, prima sulle gradinate delFerencvaros e dopo su quelle di altre squadre. Il Ferencvaros è il club più titolato d’Ungheria e ha una forte rivalità con la seconda squadre più vincente del paese, l’MTK Budapest FC, che fin dalla fondazione viene identificata come la rappresentazione della borghesia e degli ebrei della classe media. Per i tifosi del Ferencvaros, provenienti dal proletariato e dalla classe medio-bassa, con una forte avversione al cosmopolitismo, erano i nemici ideali. Ancora oggi, il gruppo ultras dei Green Monsters, principale componente della Carpathian Brigade, si mantiene su posizioni antisemite.

All’esplosione di un forte sentimento nazionalista, l’allora governo comunistabollò i tifosi come «fascisti reazionari» e nel 1956, dopo la repressione della rivoluzione antisovietica, l’intero movimento calcistico sprofondò nel baratro. Non fu solo la fine della Nazionale dei “potenti magiari”, ma anche l’inizio di una fase di ristagno nelle mani dei nazionalisti. L’instaurazione di un governo filosovietico guidato da János Kádár condusse a un periodo di distensione, al miglior livello di vita fra tutti i Paesi del blocco comunista e a un’apertura verso il liberismo. Ne beneficiò pure il calcio, dove gli appassionati poterono riappropriarsi delle proprie identità a lungo narcotizzate dal regime comunista, ma questa libertà coincise con il ritorno di atavici sentimenti nazionalisti mai del tutto sopiti. Chi li professava sognava un’Ungheria libera dalla presenza degli ebrei.

Il fenomeno, esplicato anche nell’attuazione di comportamenti violenti durante le partite, conosce una progressiva ascesa negli anni Settanta e Ottanta, in concomitanza con le numerose proteste anticomuniste di una nuova generazione che non aveva paura di ribellarsi al potere prestabilito, e divenne purtroppo comune con ilcrollo dell’Unione Sovietica che portò nei Paesi dell’Est Europa tendenze prima quasi sconosciute associate al cibo, alla moda, alla musica e anche alla subcultura legata ai gruppi hooligan molto diffusi in Gran Bretagna. Il regime era già in fase calante, il movimento calcistico si era notevolmente deteriorato senza investimenti statali e dell’iniziativa privata. La somma di queste cause permise agli ideali nazifascisti, e alla violenza ad essi correlata, di attecchire in maniera sensibile.

La maggior parte del pubblico abituale abbandonò gli stadi, lasciandoli in mano a sigle eversive ed estremiste che introdussero – oltre a cori, tamburi e bandiere – striscioni di chiara ispirazione nazista ed espliciti riferimenti al suprematismo bianco. La media spettatori, che già aveva risentito dei postumi della rivoluzione, ebbe un brusco calo, passando dai circa settemila in epoca comunista agli attuali tremila.

Con il passare del tempo sono cambiate le dinamiche interne alla Carpathian Brigade: i suoi principi fondanti si sono ormai largamente sfaldati ed è oggi impossibile stabilire chi faccia parte del gruppo. Molti tifosi che gravitano nel mondo ultras hanno iniziato ad agire sotto la sua bandiera, riuscendo negli anni persino ad accantonare le faide interne e stringendo alleanze tra di loro e in misura minore con la parte più accesa della tifoseria polacca.

L’ultima dimostrazione della deriva violenta assunta dalla Carpathian Brigade si è consumata il 12 ottobre 2021 a Wembley. Di fronte c’era nuovamente l’Inghilterra per la gara di ritorno delle Qualificazioni mondiali. L’Ungheria si era presentata alla sfida conun’ammenda di 200mila franchi svizzeri e una squalifica di due gare – sanzione ridotta a una e pena sospesa sulla seconda per un periodo di prova di due anni, da scontare in caso di reiterazioni degli episodi – a causa dei fischi e degli ululati rivolti all’andata ai calciatori inglesi. Un folto numero di tifosi ungheresi si è scontrato con la polizia, costringendola persino a indietreggiare e ad abbandonare il settore, salvo poi fare ritorno in tenuta antisommossa e riprendere il controllo della situazione.

Foto di Franck Fife / Getty Images.

La Fifa, nel ribadire il proprio impegno a «rifiutare ogni forma di violenza e discriminazione», ha aperto un’indagine, mentre poche ore prima della partita il Times aveva già messo in guardia circa lapericolosità dell’hooliganismo nel calcio ungherese, spiegando come le convinzioni anti-immigrazione dell’estrema destra si fossero radicalizzate anche tra i tifosi. L’articolo aveva generato lapronta risposta di Péter Futsal Szijjártó, ministro degli Esteri e del Commercio, secondo cui nessuno poteva prendere sul serio «il fatto che gli inglesi ci stessero dando lezioni sul teppismo calcistico», chiara allusione ai problemi di ordine pubblico e al passato violento del calcio inglese. Il governo ungherese ha più volte affermato di non essere turbato da ciò che la Carpathian Brigade rappresenta, anzi entrambi gli attori continuano a difendersi e sostenersi a vicenda tanto sugli spalti quanto in Parlamento. Quando nel giugno 2021, durante l’amichevole contro l’Irlanda, i tifosi hanno fischiato gli avversari per essersi inginocchiati, Orbán ha prontamenterisposto: «Gli ungheresi si inginocchiano solo davanti a Dio, alla patria e quando fanno una proposta di matrimonio».

Il calcio come strumento di propaganda: il ruolo di Viktor Orbán

La netta posizione a difesa dei propri connazionali non è stata un caso isolato, ma va inserita all’interno di un contesto che da tempo vede Fidesz colonizzare il calcio ungherese utilizzando sia la Nazionale che le squadre di club come strumenti per consolidare la propria posizione. Nella stagione 2021/22, gli affiliati al partito di Orbán possedevano undici delle dodici partecipanti alla Lega Nazionale I, massima divisione del campionato ungherese.

Questa ingerenza statale rappresenta soltanto l’ultimo passaggio di una strategia di soft power attuata da Orbán, che non ha mai fatto mistero della propria passione per il calcio. Dopo aver giocato tra i dilettanti del Videoton, club a circa trentadue chilometri dal suo villaggio natale di Felcsút, nel 1998 ha compiuto il suo primo viaggio all’estero in qualità di premier per assistere alla finale di Coppa del Mondo a Parigi e da quel momento non ne ha mai persa una, nemmeno in Champions League. Pare che nei momenti liberi arrivi a guardare fino a sei partite al giorno.

Nel 2011 il suo governoha approvato un disegno di legge dal nome TAO (ovvero imposta sulle società) che consente alle imprese di rendere detraibili gli investimenti nello sport anziché pagare parte o la totalità delle tasse sugli utili. L’idea era quella di attrarre capitali e dare nuovo impulso al settore e si basava sulla constatazione che il 75% degli appassionati seguisse il calcio, la pallacanestro, la pallamano, la pallanuoto e l’hockey su ghiaccio – tutte discipline etichettate come “spectator team sports” – cui si aggiunse in un secondo momento la pallavolo.

La norma prevede che tutte le società soggette all’imposta sul reddito possano fare una donazione fino al 70% dell’aliquota a un ente affiliato a una delle precedenti federazioni per ottenere due vantaggi: ridurre il proprio utile ante imposte di un valore equivalente all’elargizione e detrarre di conseguenza le donazioni dal calcolo dell’imposta sul reddito.

Si tratta, tuttavia, di un sistema che presenta pesanti implicazioni di trasparenza e ha sollevato diversi dubbi riguardo il rischio corruzione. Le donazioni deducibili dalle tasse sono trattate come pure donazioni aziendali, anche se in realtà appaiono più simili a una forma di sovvenzione governativa offerta dal riutilizzo dell’imposta sui redditi. Per quanto le imprese statali siano escluse dalle donazioni fiscalmente detraibili alle società sportive, il divieto non si applica alle aziende di proprietà dei comuni, permettendo di raggirare l’impedimento utilizzando proprio queste ultime come veicolo per convogliare risorse pubbliche verso specifici target e mascherare così transazioni discutibili a beneficio di imprenditori amici. Ed essendo la maggior parte delle città ungheresi in mano a fedelissimi di Fidesz, non è da escludere che le rispettive municipalità siano coinvolte nel finanziamento dello sport.

L’arbitrarietà nella scelta degli “spectator team sports”, mediante criteri e considerazioni sconosciute al pubblico, ha per di più alimentato dubbi riguardo la decisione del governo di includere determinate discipline e di escluderne invece altre. Non è probabilmente un caso che, delle sei federazioni sportive ammissibili al programma, cinquesiano guidate da attuali ed ex funzionari del partito Fidesz. La Federcalcio ungherese, per esempio, è presieduta da Sándor Csányi, amministratore delegato di OTP Bank, la più grande banca commerciale dell'Ungheria, nonché noto alleato del primo ministro. A capo della Federbasket c’è invece Ferenc Szalay, sindaco di Szolnok, città ungherese di medie dimensioni filo-Orbán, mentre il presidente della Hungarian Ice Hockey Federation, Miklos Nemet, è amministratore delegato di Közgép, importante impresa edile che ha ricevuto appalti pubblici di altissimo livello di proprietà di Lajos Simicska, forse il più influente amico di Orbán.

Le stesse società facenti parte delle federazioni prescelte devono richiedere l’autorizzazione alla rispettiva lega per essere ammesse al programma, con il rischio che la propria domanda venga rigettata se non ritenuta in linea con gli obiettivi a lungo termine. È un meccanismo che concede ampio margine di manovra e che continua a sollevare parecchi timori di imparzialità nel processo di selezione. Mancano infatti criteri oggettivi, sebbene sembri che le autorità ungheresi abbiano alla fine accettato di relazionare alla Commissione europea le proprie attività riferite al programma di donazione agli enti sportivi.

Nel complesso, questo sistema di agevolazione ha fatto sì che nell’ultimo decennio le federazioni selezionateabbiano ricevuto circa 2,5 miliardi di euro, di cui il 39% destinato al calcio, con la Puskás Academy principale beneficiaria. Fondata da Orbán dieci anni fa come settore giovanile del suo Videoton, ha ottenuto un totale di 98 milioni di euro e si è vistacostruire uno stadio da 3800 posti che la Uefa ha classificato di livello quattro, cioè in grado di ospitare le finali di Champions League, Europa League ed Europei. L’impianto, ribattezzato Pancho Arena e costato 12,4 milioni, si trova nel villaggio Felcsút, a pochi passi dall’abitazione dello stesso Orbán.

La costruzione di stadi nuovi, moderni e sovradimensionati costituisce uno dei punti di forza della sua politica sportiva, orientata all’ostentazione e al culto della personalità. Negli ultimi dieci anni ne sono stati costruiti venticinque, pressoché tutti per mano di imprese edili legate a Fidesz.

Quale futuro per il tifo e il calcio ungherese?

La storia ha insegnato che per oltre un secolo i vari governi hanno cercato di tenere sotto controllo l'elemento nazionalista del tifo ungherese, ma da quando Orbán è salito al potere questa componente è divenuta parte fondamentale della sua politica. Nel 2000 Miklos Hadan scrisse il saggio Calcio ungherese e identità sociale in cui riconduceva la nascita dell'antisemitismo tra i tifosi del Ferencavros alla libertà post-rivoluzione e all’esistenza di una contrapposizione "noi" contro "loro" che Orbán sta sfruttando a proprio vantaggio per convincere i connazionali del tentativo attuato dall’Occidente di imporre al popolo ungherese la propria “agenda liberale”.

Fidesz ha sempre più bisogno di fomentare conflitti culturali per mantenere la propria popolarità e il calcio rappresenta terreno fertile per questo scopo. Non sorprende che la schiacciante vittoria elettorale nel 2010 sia arrivata facendo leva anche sulla sovranità nazionale, con il partito che ha utilizzato i tifosi per trasmettere questa strategia alle masse.

Adam Feko, giornalista del sito indipendente Azonnali,ha detto che «per Viktor Orbán, il calcio è l'orgoglio della nazione e la squadra nazionale è la forza coesa dell'Ungheria». Eppure, nonostante il legame con Fidesz e a dispetto delle loro dichiarate tendenze destrorse, i gruppi ultras ungheresi non hanno mai ufficialmente giurato fedeltà ad alcun partito, prendendo sempre le distanze dalla politica in generale. I Green Monsters del Ferencvaroshanno boicottato per tre anni la Groupama Arena, costruita con i fondi del programma TAO, dopo che il proprietario e parlamentare Fidesz Gabor Kubatov aveva introdotto lo scanning delle impronte digitali.

Foto di Laszlo Balogh - Pool/Getty Images.

Alla fine il patron ha ceduto e fatto marcia indietro, seguendo uno schema comune tra diversi leader europei che vede costantemente la politica usare il calcio perpromuovere il proprio potere e, in questo caso specifico, compiere importanti concessioni ai soggetti più turbolenti del tifo ungherese. Seppur privati del ruolo di padroni assoluti del calcio, la crescita dell’industria della sicurezza – l’Ungheria ha il secondo numero più elevato di persone nell’Unione europea impegnate in questo settore – ha infatti portato molti ex ultras a passare dall’altra parte della barricata e a unirsi ufficiosamente all’apparato statale.

Le elezioni parlamentari dello scorso aprile hanno visto Orbánottenere il quarto mandato consecutivo. È probabile che il meccanismo perverso in grado di alimentare certe derive all’interno delle curve, camuffandone astutamente l’entità, possa mantenere intatto quel sistema autorigenerante sul quale certi personaggi hanno a lungo speculato per assicurarsi quella buona fetta di elettorato che ogni settimana riempie gli stadi del Paese.

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