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Lo spettacolo di sangue di Max Holloway
20 gen 2021
20 gen 2021
Il fighter statunitense ha demolito Kattar con oltre settecento colpi.
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A luglio 2018 Max Holloway è volato dalle Hawaii a New York (dodici ore di aereo) per promuovere l’incontro contro Brian Ortega. In collegamento con

qualcosa sembra andare storto: la sua parlata, già di solito strascicata, è ancora più impastata, Holloway fatica a muovere la lingua come un uomo faticherebbe a camminare col fango fino alle ginocchia. La sua faccia di gomma è sinistramente inespressiva, la parte sinistra del viso non si muove, sembra colpito da una piccola paresi. «Max, tu dici di stare alla grande ma, senza offesa, sembra che sei appena sceso dal letto. Che succede, sei stanco, stai tagliando il peso, sei disidratato? Sembri mezzo addormentato». Michael Bisping, ex campione dei Medi, UFC hall of famer e adesso commentatore, dallo studio parla con la franchezza di un uomo che di lì a poco si sarebbe tolto

davanti a un giornalista, per mostrare la realtà dei danni subiti in un vecchio incontro. Holloway risponde con un «Ah-Ah-Ah» al rallentatore, sorridendo con metà della faccia, ripetendo che è tutto ok.

 

Poco dopo quell’intervista, però, l’incontro con Ortega viene rimandato e nonostante Holloway in seguito abbia smentito di aver avuto problemi gravi (e battuto Ortega con la solita brillantezza) è rimasta nella memoria dei fan come un momento inquietante. È impossibile non pensarci dopo l’incontro di sabato contro Calvin Kattar, in cui Max Holloway ha stabilito diversi record, tra cui quello del maggior numero di colpi andati a segno, 447 - superiore al precedente record di colpi che due fighter,

, avevano effettuato in un match UFC.

 

Holloway ha provato a colpire Kattar 746 volte: un colpo ogni due secondi per tutti e venticinque i minuti che è durato il match. E  lo ha fatto trovando il tempo, le forze, la voglia, per dare spettacolo e atteggiarsi. Un’espressione senza senso di energia vitale e di capacità demolitrice. «Non ho mai visto una performance come quella di Max Holloway», ha scritto Shaheen Al-Shatti su

, mentre Daniel Cormier, ex campione dei Massimi e dei Massimi Leggeri, che ha commentato l’incontro da bordo-gabbia, ha paragonato Max Holloway a Muhammad Ali, perché contro Kattar aveva

e aveva

. Il compleanno della più grande leggenda della boxe contemporanea sarebbe stato celebrato

, il 17 gennaio, e magari per questo anche secondo Holloway «c’era un po’ dello spirito di Ali in me».

 

Il momento citazionista di Holloway è arrivato quando l’incontro stava per volgere al termine, con poco più di un minuto ancora da combattere nella quinta e ultima ripresa, con Calvin Kattar che non dava segni di resa e anzi cercava il colpo singolo che potesse mandarlo al tappeto. Senza una ragione particolare, tra uno scambio e l’altro, Holloway si è girato verso il tavolo dei commentatori e mentre schivava col busto i colpi di Kattar si è messo a gridare: «Sono il miglior pugile della UFC! Sono il miglior pugile della UFC!».

https://twitter.com/UFCEurope/status/1350576703299530753

 

Si è trattato di un momento paradossale. Kattar che provava a raggiungere la faccia di Holloway che però era sempre un millimetro troppo lontana dalle sue mani, mentre Holloway con le braccia basse gli sfuggiva senza neanche guardarlo, senza dargli nessuna attenzione e anzi parlando con

. E ha ricordato un altro momento: quando nel bel mezzo di uno scambio con Ortega, cioè, Holloway ha preso un braccio del suo avversario e gli ha fatto vedere dove metterlo

. Gli artisti della schivata sono degli illusionisti, si muovono in nuvola di zolfo che ci confonde le idee. Il trucco di Holloway consiste nel farci credere che - nonostante anche lui, in fondo, in quella mezz’oretta scarsa abbia ricevuto un centinaio di colpi – possa essere davvero

.

 

È significativo che lo spettacolo di Holloway sia andato in scena questo weekend per due ragioni. La prima è che l’evento è stato trasmesso per la prima volta su ABC, una delle più grandi reti televisive americane, l’ennesimo tentativo di uno sport per sua natura di nicchia, estremo, di conquistare il grande pubblico, o quanto meno più pubblico possibile. La storia della UFC è anche la storia dei suoi contratti televisivi e sono passati solo 15 anni da quando

hanno salvato la promotion con un incontro cruento che ha fatto storia.

 

Craig Piligian, produttore di quell’evento, ricorda che mentre i due fighter combattevano ha pensato a quante persone dovevano aver telefonato ai propri amici per dirgli di mettere il canale dell’incontro. E l’incontro tra Holloway e Kattar (che negli Stati Uniti è andato in onda tra l’una e le cinque del pomeriggio, a seconda del fuso orario) è stato dello stesso tipo: duro, divertente, sanguinolento, con in più il valore tecnico del pugilato di Holloway. Se qualcuno ha visto per la prima volta due uomini combattere lo scorso sabato, e quei due uomini erano Holloway e Kattar, non c’è dubbio che sia rimasto impressionato.

 

La seconda ragione è che proprio nella scorsa settimana si è tornato a parlare del problema delle commozioni cerebrali nelle MMA. L’ex fighter UFC

, che oggi ha 44 anni, ha rilasciato un’intervista a

in cui ha raccontato di soffrire di sintomi come depressione, nausea, perdita della memoria e difficoltà a parlare. Sintomi che per tre medici, tra cui un neurologo, anticipano un’encefalopatia cronica, anche detta “sindrome da demenza pugilistica”. Fisher ha continuato a essere pagato dall’UFC per non fare praticamente niente, fino al 2017 (un anno prima la UFC è stata venduta al gruppo WME–IMG per più di 4 miliardi di dollari). «Ho pensato che tanto valeva raccontare la mia storia», ha detto Fisher a

, «prima che non abbia più una storia da raccontare, prima che non possa più raccontarla». Interrogato a proposito di Fisher, il presidente della UFC Dana White ha detto che le commozioni «sono parte del lavoro».

 

Lo stesso White, però, dopo i 445 colpi assorbiti da Kattar, di cui 274 alla testa – DUECENTOSETTANTAQUATTRO – ha ammesso che questo tipo di incontri lo fanno «un po’ impanicare». Durante la quarta ripresa è andato all’angolo di Kattar per chiedergli di fermare l’incontro e alla fine ha voluto che andasse direttamente in ospedale senza parlare con nessuno – cioè, pur sempre dopo l’intervista a centro ottagono, si capisce. White ha raccontato anche di essersi complimentato con Kattar per la sua resistenza e la capacità di assorbire i colpi, e che quello gli ha detto: «Non è quello per cui voglio essere ricordato, ma non indietreggio davanti a nessuno».

 




 

Ora, tenere insieme tutte queste cose è difficile, me ne rendo conto. Le MMA non sono solo un mix di discipline diverse ma anche l’espressione di modi di essere in contrasto tra loro: c’è la brutalità, il senso di pericolo, la violenza più estrema che siamo in grado di accettare in uno sport - tra quelli mainstream almeno, escludendo cioè gli sport da combattimento che si praticano solo in alcune zone del mondo, e quelli a mani nude che guardano in pochissimi; ma c’è anche la bellezza, l’espressione di sé e la capacità di resistenza. Nel caso dei migliori c’è anche «un senso personale dello stile», come lo chiama Joyce Carol Oates. E a proposito di Ali, sempre la scrittrice americana

che era l’unico a sapere «che la boxe è, o dovrebbe essere,

. Che la boxe è, o dovrebbe essere,

».

 

E la recita di Holloway non sarebbe stata possibile senza la prova di assorbimento di Calvin Kattar. Nella quarta ripresa la sua faccia era già una maschera di sangue, un taglio sulla fronte gli colava da entrambi i lati del naso e l’arcata sopraccigliare ispessita dai colpi gli nascondeva gli occhi. La carne gonfia della faccia di Kattar gli faceva quasi da caschetto, anche se il dolore in cui nuotava doveva essere una cosa continua, un’unica nota che Holloway non lascia sparire mai del tutto, tornando a battere sui tasti giusti del corpo e della testa, con pugni precisi tirati dalle angolazioni più varie.

 

«Si è mangiato tutto quello che gli ho tirato addosso. Gli ho tirato un lavandino, un camion dei pompieri, un’ambulanza», ha detto Holloway. Ma la sua è stata un’opera di sgretolamento chirurgico, più simile a quella di uno scultore che prova a dare forma al marmo con colpi di scalpello. Kattar ha cambiato forma ma, appunto, non è mai indietreggiato e oltretutto ha anche mantenuto viva la presenza di spirito sufficiente a tirare qualche buon colpo anche lui. Se quella di Holloway è stata una “punizione”, come si dice nei casi in cui i fighter subiscono così tanti colpi, Kattar ci è andato in contro come

. Quanti pugni avrebbe dovuto prendere per

, se non nel corpo quanto meno nello spirito. D’accordo, non tutti i pugni di Holloway erano carichi, ma dopo più di duecento colpi persino un cuscino può mandarti KO.

 

Nella quarta ripresa, quella che ha impressionato White, si raggiunge il culmine. Dopo poco più di due minuti, in un raro momento di studio a distanza, Kattar colpisce Holloway al ventre con un calcio frontale, poi arriva a segno con un jab sinistro. Che Holloway sottolinea passandosi la mano sull’occhio. Subito dopo, però, arriva una combinazione devastante da parte di Holloway: doppio jab, gancio destro al corpo, gancio sinistro al volto e gancio destro al volto. Kattar accusa la serie di colpi, si chiude e prova a ruotare verso destra, ma Holloway lo inchioda alla gabbia e lo martella di colpi sempre più forti e ravvicinati. Kattar prende tutto e nei pochi istanti in cui Holloway lo lascia respirare sbraccia con il sinistro. Holloway ricomincia a martellarlo e al massimo della propria violenza creativa lo colpisce con due gomitate consecutive dall’alto verso il basso, come a voler invitare la testa di Kattar verso il tappeto, verso la resa. Kattar mangia anche quelle, e anzi prova a sua volta a colpire Holloway con una gomitata, andando a segno e causando un’altra sequenza di colpi del suo avversario.

 

Sono passati trenta secondi in tutto, Holloway avrà colpito Kattar una cinquantina di volte. Coperto di schizzi del proprio sangue, Kattar resta in piedi a malapena, sulle gambe larghe che tremano, vibrano come le pareti di una stanza in cui rimbomba un’eco. Kattar sembra più vicino ad andare a terra quando Holloway non lo colpisce, quando è solo in balia delle onde del suo stordimento, quando va a vuoto coi colpi e il peso del suo corpo mezzo morto per un attimo sembra troppo per lui. Quando manca un minuto e mezzo alla fine del quarto round Holloway prova un takedown, come se fosse lui quello stanco; ma a pochi secondi dalla fine del round ha ancora le energie per provare uno spettacolare “cartwheel kick” (un calcio a ruota che somiglia a una rovesciata con una mano poggiata a terra).

 




 

Calvin Kattar è stato il compagno ideale di una danza macabra, né un semplice sacco né la vittima di un sacrificio. Kattar ha scritto su Instagram che «è impossibile fermare un uomo che non si tira indietro» e che «il successo nella vita arriva quando ti rifiuti di rinunciare». Per quanto sia difficile considerare “un successo” un massacro come quello, per quanto ci sia andato incontro a testa alta eccetera, lo spirito di Kattar, per quanto autolesionista, ha offerto un contraltare all’altezza dello show di Holloway – che in fin dei conti veniva dalle due sconfitte consecutive con Volkanovski che, per quanto ai punti e discusse (specie il secondo incontro, che per molti, me compreso, aveva vinto lui), ne avevano ridimensionato lo status.

 

Holloway aveva bisogno di un incontro di questo genere per ricordare a tutti la sua grandezza, oltre che per conquistarsi (forse) la possibilità di un terzo incontro con il campione in carica. E se bastano poche sconfitte (quelle contro Poirier, quella contro McGregor di quasi sette anni fa) a gettare un’ombra sulla carriera di Holloway, che ha comunque difeso il titolo dei pesi piuma per tre anni filati, combattendo cinque volte e arrivando a 13 vittorie consecutive, il suo match con Kattar verrà ricordato, forse, come la migliore esibizione di sempre di striking nelle MMA, o magari come la miglior performance di un Peso Piuma. Di sicuro sarà difficile da eguagliare in quanto a intensità e sanguinosità.

 

Ospite del podcast di

, Max Holloway ha detto di avere bisogno del disordine per stare bene. «In casa mia, voglio che la mia stanza sia incasinata. Ho qualcuno che la pulisce dopo, ma

». Quella contro Kattar è stata una fantastica improvvisazione, un’esibizione di caos al tempo stesso scrupolosa, precisissima.

 

Ultimamente l’UFC ha iniziato a pubblicare sui propri canali social foto dei fighter scattate nell’immediatezza dell’incontro. Primissimi piani, con le pupille cerchiate dalla luce del flash che ne espone in maniera cruda tagli e gonfiori, evidenzia le storture delle ossa e i rossori della pelle. È una forma di sincerità sanguinolenta che si affianca agli sguardi profondi che i fighter rivolgono alla camera. Come se l’incontro li abbia spogliati di ogni stronzata, del tentativo di raccontare una storia diversa da quella che hanno effettivamente vissuto. Si spera che non vada per tutti come è andata la storia di Spencer Fischer, ma è una storia che raccontano più i pugni ricevuti, di quelli dati.

 

 

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