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Foto di Harry How / Getty
NBA Ennio Terrasi Borghesan 2 febbraio 2017 15'

Hermano

L’eccezionale evoluzione di Marc Gasol, da “fratello di” a Hall of Famer.

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Spesso, quando si traccia una storia cronologica della NBA, alcune date spiccano più di altre.

 

Una di queste è quella del 1° febbraio del 2008, il giorno in cui un cervellotico scambio – che include anche un assistente allenatore, Aaron McKie, scambiato in qualità di giocatore…! – portò Pau Gasol dai Memphis Grizzlies ai Los Angeles Lakers. Quello scambio ebbe, come finalità principale, quella di accontentare le richieste di Kobe Bryant, che chiedeva da tempo un nuovo lungo al suo fianco per potere avere più fiches da giocarsi sul grande tavolo verde dei playoff NBA.

 

In cambio del giocatore catalano Memphis ricevette, oltre al già citato McKie, due giocatori famosi più per ragioni extra-cestistiche come Kwame Brown e Javaris Crittenton, due prime scelte poi trasformatesi in Donté Greene e Greivis Vásquez, più i diritti su un giovane ragazzone catalano che, quel 1° di febbraio, si stava allenando con il suo Girona in vista della successiva giornata di Liga ACB.

 

>Ecco, ai tempi l’opinione su quella trade per quanto riguardava Memphis non era delle migliori

 

La domenica successiva Marc Gasol registrò una solida prestazione da 11 punti e 9 rimbalzi nella vittoria contro Menorca, utile a consolidare l’ottavo posto della squadra catalana (che poi dichiarerà fallimento a fine stagione, poco più di 12 mesi dopo la vittoria in FIBA EuroChallenge) in vista della Final Eight di Copa del Rey.

 

Del buon Marc, che era reduce dall’oro mondiale nel 2006 e quell’estate avrebbe pure preso parte alla spedizione spagnola medaglia d’argento a Pechino, si diceva un gran bene, ma quasi nessuno ai tempi giudicava come condivisibile e lungimirante la scelta dei Grizzlies, che di fatto regalarono tre biglietti per le Finals (e due titoli) ai Lakers, spinti dall’affiatatissimo tandem Kobe-Pau.

 

Di certo, quel 1° febbraio 2008, solo i più fervidi ottimisti avrebbero immaginato che quasi nove anni dopo si sarebbe parlato dell’hermano menor come di un potenziale Hall of Famer.

 

 

Step 1: il battesimo del fuoco

 

Una delle migliori qualità riconoscibili ai fratelli Gasol Saez è senz’altro quella dell’elevata intelligenza cestistica. IQ che però si accompagna a caratteristiche fisico-atletiche sensibilmente diverse: se da un lato Pau ha mantenuto abbastanza invariato il suo stile di gioco, calibrando un mix equilibrato di conclusioni all’interno dell’area (fino al 2010-11, l’ultimo anno in gialloviola prima di tutto il caos legato a Chris Paul, la distanza media dal canestro di ogni suo tiro è sempre rientrata tra i 150 e i 240 cm dal ferro), il gioco di Marc ha invece teso col tempo ad allontanarsi sempre più dal canestro (circa 180 cm dal ferro nei primi tre anni NBA, più di 3 metri di media nelle successive sei stagioni, inclusa quest’ultima). Per di più sviluppando il suo fisico per renderlo sempre più asciutto e finanche intimidatore difensivamente, per quanto da misurazioni NBA Marc pesi soltanto 3 kg meno di Pau, dovuti anche all’essere leggermente più alto.

 

Il Gasol (15+5 in quella serata) che affronta per la prima volta in carriera Shaquille O’Neal è una perfetta sintesi dei suoi primi tre anni NBA.

 

Analizzare il video precedente può essere utile per osservarne la sua situazione di partenza sia dal punto di vista difensivo che da quello offensivo, soprattutto per apprezzarne l’evoluzione.

 

 

La partita contro Phoenix, l’ottava giocata dal catalano dal suo ingresso in NBA, rappresenta una sorta di trailer del Gasol che verrà sui due lati del campo. Difensivamente, è interessante osservare il cambiamento di atteggiamento e a livello di scelte all’interno della stessa partita e anche da un quarto all’altro. Shaquille O’Neal non è il primo lungo “di peso” affrontato dal Gasol rookie (le sue prime due partite NBA sono state contro Yao Ming e Dwight Howard), e di certo non è nel momento migliore della sua carriera, ma di certo rappresenta – per il suo status, per il tipo di atteggiamento difensivo richiesto – un check point interessante.

 

 

 

Memphis gioca quella partita in back-to-back, il primo della stagione (una situazione inedita per un rookie europeo, pur esperto a livello di competizioni internazionali dove può capitare di giocare per due giorni consecutivi). In queste prime due azioni possiamo osservare come Gasol tenda, quando si prospetta una situazione di post contro un giocatore più pesante ed esperto, a prendere posizione col corpo cercando anche l’anticipo. Ma piegando troppo poco le gambe fa sì che il suo posizionamento difensivo tenda a “subire” la decisione di O’Neal, che spesso avviene in tempi rapidi: a quel punto l’unica strada rimane quella di condizionare, verticalmente, l’avvicinamento a canestro, qualcosa che succede nel primo possesso ma non nel secondo.

 

 

Qui la situazione cambia: memore dei possessi precedenti il catalano, una volta intuito che Nash andrà a cercare Shaq in post, piega le gambe sin da subito imponendo una posizione all’attaccante, che non effettua più una decisione in tempi rapidi ed è quindi costretto ad una conclusione senza ritmo e ad alto coefficiente di difficoltà.

 

 

Anche qui Gasol tende a piegare le gambe da subito, ma non prima di aver cercato di anticipare il passaggio dentro di Nash: a quel punto la sua posa risulta più sbilanciata e O’Neal ha più tempo per prendere posizione e “imporre” la sua scelta, che si rivelerà giusta.

 

La bontà della prestazione difensiva di Gasol, però, è anche testimoniata dal fatto che il suo diretto avversario chiuderà quell’incontro con soli 9 tiri tentati e 6 falli in 21 minuti e con un rating offensivo molto basso (84, rispetto al 118 di Stoudemire e al 115 di Diaw) nonostante l’Usage Rating più alto (25.4%) tra i giocatori partiti in quintetto per i Suns.

 

Vale la pena, però, soffermarsi anche sul lato offensivo del fratello di Pau, spesso sottostimato nelle sue prime tre stagioni (in cui comunque ha registrato 12.6 punti di media con il 54% dal campo). La partita contro i Suns ha rappresentato un test interessante anche dal punto di vista offensivo, poiché Gasol si è dovuto confrontare principalmente con tre lunghi molto diversi tra loro in O’Neal, Amar’e Stoudemire e il rookie Robin Lopez.

 

 

Il gancio laterale con partenza incrociata è un movimento offensivo che Gasol ha sempre avuto nel suo arsenale offensivo, affinandolo e migliorandolo nel corso degli anni.  Questo possesso, in particolare, avviene quasi subito dopo la difesa che abbiamo visto prima dove riesce a piegare le gambe in maniera efficace; al contrario, la partenza è leggermente titubante con il corpo poco piegato e, nonostante si veda come il lungo catalano voglia provare a concludere da distanza ravvicinata, è costretto (grazie anche ad un buon posizionamento di Shaq) a tirare quasi in allontanamento, alzando il coefficiente di difficoltà.

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Qui Gasol si trova contro Stoudemire, giocatore sicuramente più esplosivo dell’O’Neal di fine carriera, contro il quale può far valere una differenza di peso a suo favore, vantaggio che sfrutta applicando un movimento già “subito” in precedenza da Shaq. L’idea si rivela vincente anche perché Stat è in ritardo (bruciato dal cambio di direzione improvviso e dal solito atteggiamento, per così dire, lascivo) ma Gasol, aggiungendo la variante della conclusione rovesciata, riesce ad annullare il buon recupero del difensore e a diminuire il rischio di stoppata subita.

 

 

Anche questo movimento, qui eseguito contro Robin Lopez, fa parte praticamente da sempre del portfolio di Gasol: è particolarmente interessante notare come Marc riesca, in tempi rapidi, prima a ribaltare una posizione che lo vedeva svantaggiato (Lopez si era posizionato bene per provare ad anticiparlo) e poi nell’aggiungere un pizzico di imprevedibilità al suo movimento offensivo.

 

Non potevano mancare delle osservazioni sul pick and roll, che poi andrà ad evolversi col tempo e con l’estensione del raggio di tiro di Gasol (lo vedremo più avanti). Il pick and roll (con tutte le sue possibili varianti) è uno dei movimenti offensivi di Gasol già “forti” al momento del suo ingresso in NBA: allo stesso modo, è interessante osservare la distribuzione dei canestri di Marc assistiti da Conley, il principale creatore di gioco dei Grizzlies durante tutto il corso della carriera del lungo spagnolo, nel corso della prima, seconda e terza stagione in NBA.

 

Le differenze sono sensibili a prima vista, anche perché la terza stagione è quella in cui si inizia a osservare un cambiamento del peso specifico di Gasol all’interno del sistema di Memphis, che proprio in quella stagione (2010-11) “sconvolge” l’NBA diventando la quarta squadra di sempre a eliminare una testa di serie (San Antonio) in uno scontro prima-contro-ottava, anche grazie al contributo di Marc.

Una lente d’ingrandimento diversa la meritano le successive due stagioni, quelle in cui Gasol consolida il suo ruolo nella lega come difensore di altissimo livello, al fianco dei Grizzlies che si consolidano come una delle migliori squadre NBA.

 

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Tags : marc gasolmemphis grizzliespau gasol

Ennio Terrasi Borghesan è nato a Palermo nel 1992. Nel suo cuore ci sono l'Uruguay, Londra, le Serie TV e qualsiasi livello di Pallacanestro. Ha diretto Bocconi TV e realizzato il format Sport Frame. Manu Ginobili è il suo eroe.

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