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Dario Saltari
L'Hellas Verona è una squadra in missione
13 mar 2024
13 mar 2024
La squadra di Baroni sta rinascendo nonostante - o forse grazie - il caos societario.
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Dario Saltari
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IMAGO / ABACAPRESS
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Il 27 gennaio il mercato è agli sgoccioli e a Verona sta per finire una battaglia sanguinosa. Sembra di vedere il fumo salire dal terreno, i corpi a terra. La società ha venduto almeno dodici giocatori, molti dei quali titolari, e li ha rimpiazzati con nomi che sembrano usciti da un romanzo fantasy. Tijjani Noslin, Elayis Tavsan, Reda Belahyane - eroi venuti da un altro mondo per una missione che per tutti è un suicidio: salvare il Verona dalla sua stessa autodistruzione. Marco Baroni sembra spaesato davanti a una squadra che nei fatti non è più quella che allenava fino a pochi giorni prima: «Ognuno dei nuovi ha delle qualità, voglio conoscerli perché non li ho ancora nemmeno visti, abbiamo visto i filmati».

La situazione dovrebbe essere disperata: il Verona ha vinto solo due delle ultime 19 partite (seppur decisive, contro Cagliari ed Empoli), la società è nel caos per via di una vicenda giudiziaria poco chiara. Alla fine di dicembre la Guardia di Finanza ha sequestrato tutte le quote del Verona e ha messo sotto indagine il suo presidente, Maurizio Setti, per bancarotta fraudolenta. È possibile che tutto il turbinio di movimenti avvenuto a gennaio sia servito solo a permettere alla squadra di andare avanti, ora che la società è bloccata dalle indagini. Erano anni che non si vedeva in Serie A una squadra così a contatto con la propria “materialità sportiva”. I giocatori arrivati a gennaio sono venuti per il Verona, per proseguirne l'esistenza, il cammino.

Il 27 gennaio è il giorno della conferenza pre-partita della sfida salvezza contro il Frosinone, uno degli ultimi treni per crederci ancora. «Cosa le è stato detto dalla società all’inizio del mercato? Come l’ha presa oggi che ha perso cinque titolari?», chiede un giornalista, e non è chiaro se si riferisca a una spiegazione per quello che sarebbe avvenuto, a un avvertimento, o a come hanno fatto a convincerlo a rimanere in una situazione così. Marco Baroni è avvolto dalla solita calma. Gli occhiali dalla montatura nera sugli occhi stanchi, i capelli radi, sembra uno di quegli impiegati pubblici che hanno passato troppo tempo dentro un ministero, disabituati ad alzare gli occhi oltre l’orizzonte della propria scrivania. Il giornalista potrebbe essere qualcuno che si sta lamentando per una pratica andata troppo per le lunghe e lui quello che gli risponde: stiamo facendo tutto il possibile. Eppure la domanda ha toccato un punto di rottura e la distanza che di solito mette l’allenatore del Verona si rompe per la prima volta in un sorriso nervoso, che fa passare una parlantina più veloce, delle mani più impazienti. «Io sono un uomo con dei valori, posso essere tradito da tutti ma non posso tradire i miei valori e non posso tradire me stesso», dice Baroni guardando il proprio interlocutore negli occhi «Io vado avanti non perché lo devo fare, ma perché c'è un gruppo che lavora. Porto rispetto alla squadra e la squadra ne porta a me. I ragazzi mi danno attraverso il lavoro quello che serve per crederci. […] Da qui partiamo, non da quello che poteva essere o da quello che non è stato. Parto da qui, da oggi». È stato uno dei pochi momenti in cui abbiamo intravisto la sua energia mentale dietro le maniere di una persona cortese.

Ma quanti credono a Baroni in quel momento? Il primo dell’anno nuovo Michele Criscitiello lo stronca su Sportitalia: «Il Verona crolla e lui ha grandi responsabilità, oltre quelle di Sogliano ad averlo scelto. Le difficoltà societarie non possono rappresentare un alibi, essendo subentrate dopo». Un paio di giorni prima il Verona sembrava aver già toccato il fondo e da quel momento immaginavamo si potesse andare solo alla deriva. La squadra di Baroni aveva salutato il 2023 perdendo in casa per 0-1 contro la Salernitana, in una partita arrendevole in cui non era riuscita a prendere lo specchio della porta avversaria nemmeno una volta. Al 65esimo, con la squadra alla ricerca di una rimonta, Ngonge aveva mandato al lato una palla al limite dell’area piccola appoggiata dolcemente con la testa da Djuric ed era così che ci immaginavamo il sipario.

Era passata una decina di giorni dal sequestro delle quote della società da parte della Guardia di Finanza, e dalla convincente trasferta a Firenze in cui il Verona per tutto il primo tempo aveva messo in crisi una delle squadre più proattive del campionato. Le notizie giudiziarie sembravano aver distrutto qualsiasi prospettiva, dopo che Baroni era già riuscito a raddrizzare una volta una stagione difficile, cambiando modulo alla metà di novembre e passando al 4-4-2 che il Verona ancora si porta dietro. «Abbiamo avuto tanti piccoli intoppi, partendo già dal ritiro: abbiamo cominciato giocando in un modo e poi abbiamo cambiato, facendo un percorso complesso. Ora la squadra gioca bene, ha trovato un sistema che funziona e gira», aveva detto fiducioso dopo la convincente vittoria contro il Cagliari, neanche una settimana dopo la trasferta di Firenze. Adesso, però, quelle parole erano lontanissime. Dopo la sconfitta contro la Salernitana i tifosi del Bentegodi avevano salutato i propri giocatori ricoprendoli di fischi, e alle porte incombeva una sessione di mercato che già non prometteva nulla di buono. Pensavamo che fosse finito il campionato del Verona. Non avevamo capito che era finito un campionato del Verona.

È avvenuto tutto molto in fretta. Un mese la squadra perdeva in maniera scialba contro la Salernitana schierando Djuric, Ngonge, Hongla, Doig e Hien - giocatori che avrebbero fatto comodo, in modi diversi, a quasi tutti in Serie A. Un mese dopo, contro il Frosinone, sembrava una banda di predoni con in campo Noslin, Suslov, Serdar e Juan Cabal - nomi che fino a poche settimane fa avremmo confuso con quelli della Master League di PES. Improvvisamente il Verona non solo riesce a non affondare nella tempesta ma sembra davvero rinato, una squadra che più si avvicina alla sua fine più sprizza energia. Forse è stato quell’assurdo playoff salvezza dell’anno scorso contro lo Spezia ad aver impresso su di essa questa esaltazione da apocalisse, oppure sono i nuovi ad aver trovato il modo per trarre energia dalle assenze e dal caos generale, come i Fremen che in Dune succhiano via i liquidi vitali dai cadaveri per sopravvivere nel deserto.

A metà gennaio, poco prima di mandare i suoi a combattere davanti a un Olimpico strapieno, e mentre la squadra viene smantellata, Baroni parla di «situazioni in cui ci si unisce ancora di più». Sembra suggerire che la forza della sua squadra non nasca nonostante la crisi societaria, ma grazie ad essa. Il Verona perderà di misura nonostante la fresca cessione di Ngonge, mettendo in difficoltà la Roma nel secondo tempo e sbagliando un rigore con Djuric. Pochi giorni dopo verrà venduto anche Djuric e da quel momento, come se si fosse rafforzato ulteriormente cibandosi del suo ricordo, ha perso soltanto contro Napoli e Bologna, in entrambi i casi fuori casa.

Quella contro la Roma è stata una delle partite che ci ha rivelato l’efficacia della nuova identità tattica del Verona. Un 4-4-2 fatto di due linee d’acciaio, strette e alte sul campo anche in situazioni di palla scoperta, con le ali strette accanto alle due punte a schermare le linee di passaggio verso il centro.

Da questa situazione il Verona aspetta che l’avversario faccia un passo falso, e scatta in avanti quando non riesce a trovare il passaggio tra le linee e ha un’esitazione. L’intensità mentale e atletica di giocatori come Suslov, come Duda, come Folorunsho fa il resto e nelle ultime partite ha prodotto scene da film horror. Contro il Sassuolo a Matheus Enrique rimane incastrato il piede sopra il pallone provando a gestire il possesso da ultimo uomo e viene sbranato dal branco di Baroni. Una settimana dopo, contro il Lecce, Dorgu ha un attimo di incertezza di fronte a un campanile e viene abbattuto da un Suslov terra-aria lanciato contro di lui a tutta velocità.

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Non è solo un’impressione dettata da alcuni momenti, i dati confermano che affrontare il Verona è diventato un incubo. Se prendiamo solo le dieci partite di campionato giocate nel 2024, la squadra di Baroni è la sesta migliore del campionato per PPDA; la seconda per "aggressive actions” (cioè, secondo StatsBomb: tackle, falli e pressioni entro due secondi da una ricezione avversaria), dietro l’Atalanta; la terza per palle recuperate (entro 5 secondi dall’attività difensiva di un suo giocatore), dietro a Bologna e Genoa; la quarta per palle recuperate in fase di pressing (ovvero entro 5 secondi da un’azione di pressing di un suo giocatore), dietro a Bologna, Milan e Atalanta. Il fuoco sacro in cui sono stati temprati i giocatori di Baroni ha prodotto una squadra a cui non solo è relativamente difficile segnare (se si escludono Empoli e Udinese, nel 2024 è la squadra che ha fatto meglio per xG subiti tra quelle in lotta per non retrocedere) ma che anche con il pallone può trasformare la partita in un inferno di transizioni fulminee, seconde palle e tagli in profondità alle spalle della linea difensiva. Una squadra che ha dei momenti, nelle partite, in cui può mettere in difficoltà davvero chiunque in Serie A, tranne forse solo l’Inter.

Il Verona mette in crisi la versione calcistica del paradosso dell'uovo e della gallina, e cioè se sia la squadra a fare forti i giocatori o i giocatori a fare forte la squadra. È un discorso che include il talento del suo direttore sportivo, Sean Sogliano, che in un mese è riuscito a cambiare pelle a una squadra che sembrava morta con meno di otto milioni di euro in tutto. Dando a Baroni almeno la possibilità di credere nella squadra che aveva sotto mano, e non era scontato con nomi come Noslin, Suslov e Swiderski. Nel frattempo, però, anche i giocatori che erano già al Verona prima dell'apocalittico calciomercato di gennaio sono diventati la migliore versione di sé stessi. Duda e Serdar a coprire porzioni di campo gigantesche come la migliore coppia di centrocampisti della Bundesliga (d'altra parte, è lì che sono cresciuti entrambi). Suslov in versione Mad Max sulla trequarti. Folorunsho che segna i più bei gol della sua vita ed esulta puntando la pistola verso di noi, incarnando alla perfezione lo spirito di questa squadra di predoni. Possibile che questa realtà fosse proprio qui, a portata di mano? È una di quelle situazioni in cui l'allenatore riesce vedere cose nei propri giocatori che nemmeno gli stessi giocatori possono vedere. «Io credo molto in Cabal: vorrei che lui credesse in sé stesso almeno quanto io faccio con lui», ha detto una volta Baroni, senza paura di suonare ironico.

Abbiamo iniziato a sospettare che il Verona potesse dire ancora qualcosa in questo campionato a metà di febbraio, quando ha fermato sul 2-2 la Juventus. Non è stato solo il risultato, in parte dovuto anche alle difficoltà della squadra di Allegri, è anche come è arrivato. Nell’azione che porta al momentaneo 2-1, per dire, i giocatori di Baroni sembrano Uruk-hai lanciati sul campo di battaglia. Per tre volte i difensori della Juventus cercano di arrivare prima su palloni che sembrano sempre troppo lunghi e per tre volte i giocatori offensivi del Verona riescono ad arrivare prima, ogni volta con un impeto che li fa cadere a terra in avanti come martiri delle palle vaganti. Alla fine Noslin batte a rete anticipando l’intervento in scivolata e utilizza Gatti come si fa con i cofani della macchine negli inseguimenti a piedi dei film.

Quel gol è stato anche uno dei pochi momenti in cui abbiamo visto Baroni uscire da sé stesso ed esultare in maniera leggermente scomposta. L’allenatore del Verona è uscito dalla propria area tecnica agitando i pugni e dopo un attimo è sembrato vergognarsi del gesto, tornando indietro con la solita compostezza. Per un attimo è stato investito dalla stessa energia che sembra trasmettere silenziosamente alla sua squadra. Baroni di solito guarda i suoi mettere il campo a ferro e fuoco come se stesse osservando dei lavori, non protesta quasi mai, ed è strano pensare che quest’uomo ordinario, che non dice mai una parola fuori posto, sia lo stesso in grado che riesce a motivare Serdar a correre come un dannato mentre la società per cui gioca potrebbe finire in guai seri tra qualche settimana. «Ho un percorso lungo da calciatore e da allenatore, so che i nomi dei giocatori contano solo se c’è la testa», ha detto prima della partita che ha aperto il suo 2024, contro l'Inter, quando nessuno era disposto a credergli. Oggi, dopo le vittorie contro Sassuolo e Lecce, chi guarda il Verona non vede solo una nave che affonda. Chi l'avrebbe mai detto?

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