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Gli Hearts contro tutti
23 nov 2018
23 nov 2018
L’Heart of Midlothian ha provato a scalfire il duopolio di Celtic e Rangers.
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Foto di Mark Runnacles / Getty Images
(foto) Foto di Mark Runnacles / Getty Images
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Per quanto si possa essere vicini al centro, si rimane sempre la periferia di qualcun altro: questa è una lezione che in Scozia si impara alla svelta, soprattutto quando si parla di calcio. Soprattutto se, per una qualche ragione, non ci si ritrova a tifare per una delle potenze del calcio scozzese, Rangers o Celtic. È dal 1985 che a vincere il campionato è una squadra di Glasgow: l'ultimo a infrangere il duopolio della capitale era stato l'Aberdeen di Alex Ferguson, capace di vincere tre Scottish Premier League, quattro Coppe nazionali, una Coppa di Lega, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea fra il 1980 e il 1985. E su 122 edizioni della storia del campionato scozzese, ben 103 hanno visto trionfare Rangers o Celtic, con le altre costrette ad accontentarsi delle briciole che cadono giù dal tavolo. Così, mentre la nostra attenzione, e la retorica, è quasi sempre indirizzata verso l’unicità dell’Old Firm, le altre tre “nobili” scozzesi (che di scudetti ne hanno vinti appena quattro a testa) hanno dovuto arrangiarsi per rimanere a galla: l’Aberdeen ha potuto contare su un passato di gloria relativamente recente; l’Hibernian sui romanzi di Irvine Welsh; l’Heart of Midlothian sul niente. O quasi. Il mosaico a forma di cuore che si trova lungo il Royal Mile, e che dà il nome alla squadra di Edimburgo, non è mai bastato a dare una dignità letteraria agli Hearts, anche perché gli abitanti della capitale sono soliti sputarci sopra, perché si dice porti fortuna. Tempo fa, invece, si diceva che l’abitudine fosse dovuta alla prigione che sorgeva proprio di fronte alla decorazione, e al fatto che i detenuti una volta scarcerati avevano preso a inumidire il mosaico in segno di sdegno contro le istituzioni. Neanche il fatto che tutti i giocatori della prima squadra avevano deciso di arruolarsi come volontari durante la Prima Guerra Mondiale, ha ispirato appeal fra gli appassionati; per non parlare dei successi degli Hearts: l'ultimo campionato vinto è datato addirittura 1960.

Per un certo intervallo di tempo, da metà agosto ad inizio ottobre, gli Hearts sembravano poter smuovere le eterne gerarchie del calcio scozzese. In quel periodo sono stati in testa al campionato. Negli ultimi anni gli Hearts invece avevano fatto notizia soltanto "al contrario", quando per un motivo o per un altro sono riusciti a entrare nelle disgrazie o nelle glorie altrui. Come il 17 dicembre 2017, quando a Tynecastle i Jambos, da sesti in classifica, hanno affondato la capolista Celtic con un rumoroso 4-0. Un risultato inutile ai fini della classifica, ma buono comunque a far calare il sipario sulla striscia di imbattibilità dei biancoverdi che durava da 69 partite. Eppure il sorriso sulla faccia di Craig Levein, l’ex allenatore della Scozia che dall’agosto dello scorso anno siede sulla panchina degli Hearts, non è durato poi molto. Perché al fischio finale, tutti hanno iniziato a parlare del tonfo del Celtic, nessuno dell’impresa dei loro avversari. Un déjà-vu che l’ha riportato indietro fino al 3 maggio del 1986, quando Levein, da calciatore, vestiva la maglia degli Heart of Midlothian. Cuori spezzati A 90 minuti dalla fine della stagione 1985-86, i Cuori guardavano tutti dall’alto in basso, pronti a cucirsi sul petto il quinto scudetto della loro storia. Gli bastava pareggiare in casa del Dundee FC perché la festa venisse trasmessa alla nazione grazie alla bassa risoluzione del tubo catodico. L’avvicinamento alla partita, tuttavia, non era stato dei migliori. «In quella settimana un virus ha colpito la squadra», ha raccontato Kenny Black alla BBC, «quattro o cinque di noi sono stati infettati, compresi me, Craig Levein e Brian Whittaker. Quel giorno Brian era abbastanza in forma per partire titolare, ma sapeva che non sarebbe durato per tutto il match. Io dovevo entrare dopo l’intervallo, mentre Craig non era sufficientemente in forma per giocare. È stata una grandissima assenza. Ma mi ricordo che la sera prima sono andato a dormire pensando che il giorno dopo saremmo potuti essere campioni». Mentre il Celtic iniziava a demolire il St Mirren (0-5 il finale), però, gli Hearts non riuscivano a sbloccare la partita. Poi, al minuto 61, il Dundee spedisce in campo Albert Kidd, l’attaccante di riserva con il numero 14 sulle spalle e un feeling non così affinato con il gol. Baffoni lunghi, capelli disordinati, calzoncini drammaticamente corti. Segnerà due volte. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=c1DL2of4Kic[/embed]

Il drammatico finale della Scottish Premier League 1985-86.

Gli Hearts all’improvviso si erano ritrovati con la testa vuota e le gambe molli. Attaccavano senza mai crederci davvero e al 90’ il Celtic aveva vinto il titolo per differenza reti. Albert Kidd, invece, è diventato un eroe scozzese pur senza mai indossare la maglia della Nazionale. Ogni anno, il 3 maggio, i tifosi degli Hibernian rendono ancora omaggio a un calciatore che non ha mai vestito la maglia del loro club. Purtroppo per gli Hearts, però, la stagione non era ancora finita. C’era ancora la finale di Coppa di Scozia da giocare contro l’Aberdeen una settimana più tardi. «Abbiamo dovuto riprenderci in fretta» ha ricordato Black «è stato davvero difficile tornare lunedì per allenarsi. Il mister ha fatto tutto il possibile per provare a risollevarci il morale, ma non c’era niente da fare. Abbiamo giocato contro l’Aberdeen, che aveva molta qualità, in quella che doveva essere l’ultima partita di Alex Ferguson. Era troppo per noi. Tutta la frustrazione della settimana precedente si è rovesciata su di noi e il nostro capitano, Walter Kidd, è stato espulso». Con il 3-0 incassato dall’Aberdeen gli Hearts si sono lasciati scivolare di mano il secondo trofeo nazionale nel giro di pochi giorni. Una nuova geografia sarà mai possibile? Quest’anno, a 32 anni di distanza, le cose sembravano poter cambiare: dopo otto turni gli Hearts guidavano la classifica con 19 punti, concedendosi addirittura il lusso di battere il Celtic per 1-0 nella seconda giornata. Qualcosa che si avvicinava molto a un piccolo capolavoro per una squadra che a inizio stagione era quotata 200 a 1. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=8isuSPHwxBk[/embed]

La vittoria col Celtic arrivata grazie a una grande conclusione dalla distanza di Kyle Lafferty. L’attaccante ex Palermo, dopo la partita, è stato venduto ai Rangers.

Merito soprattutto di Creig Levein. L’allenatore di Dunfermline, che ad agosto è stato anche ricoverato per un sospetto attacco di cuore, è riuscito a trasformare in certezze tutti i punti interrogativi che avevano scandito un precampionato che aveva portato in dote 13 nuovi acquisti. Alcune scommesse sono state davvero coraggiose. La più strana è quella di Peter Haring, centrale difensivo austriaco arrivato per 300mila euro dall’SV Ried. Nell’ultima stagione nella seconda divisione austriaca aveva messo insieme 36 presenze e 15 cartellini gialli. In estate Levein ha convocato il giocatore a Edimburgo e gli ha illustrato il suo nuovo ruolo: niente più randellate in mezzo alla difesa, ma un posto nel cuore del centrocampo dove avrebbe dovuto fare da filtro e, per quanto possibile, da suggeritore. Il risultato è stato ben al di sopra delle aspettative, con Haring autore di una doppietta al suo esordio contro il più che modesto Hamilton (1-4 il finale), prima di ripetersi nella vittoria per 2-1 contro il St. Johnstone alla settima giornata. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=wVHigI_cKJ0[/embed]

Esordio con doppietta e almeno un’altra chiara occasione da gol: in 12 presenze stagionali Haring ha già raggiunto il suo record di marcature stagionali, 5.

Poi, però, è arrivato il mese di ottobre. Tutto è iniziato con il match di Ibrox alla vigilia della sosta per le nazionali: il 3-1 incassato dai Rangers in poco più di mezz’ora ha rapidamente ridimensionato i sogni di titolo degli Heart of Midlothian. Qualche giorno più tardi John Souttar si è infortunato mentre era con la nazionale. La diagnosi, piuttosto vaga, racconta di un “problema all’anca”. La prognosi, decisamente più precisa, parla di uno stop che va dai cinque ai sei mesi. Le vittorie contro Aberdeen (2-1) e Dundee (0-3) sembravano aver rischiarato l’atmosfera a Edimburgo, almeno fino a domenica 28 ottobre, quando all’Hampden Park di Glasgow gli Hearts of Midlothian hanno affrontato il Celtic nella semifinale di Coppa di Scozia. E dopo aver retto per un tempo, nella ripresa sono crollati, subendo tre gol. Ma il vero punto di svolta negativo della stagione è andato in scena pochi giorni dopo nella sfida in casa contro gli i rivali cittadini dell’Hibernian. Nei minuti di recupero, con il risultato bloccato sullo 0 a 0, Clévid Dikamona - difensore centrale degli Hearts - segna di testa su un pallone vagante. Gli occhi di Tynecastle sono tutti fissi sulla corsa verso il centrocampo del giocatore in maglia granata, tanto che nessuno si accorge della bandierina alzata del guardalinee. Haring, in fuorigioco, aveva ostacolato un difensore degli Hibs invece di disinteressarsi del pallone: non c’è niente per cui esultare. Un messaggio che Neil Lennon, l’ex allenatore del Celtic che dal 2016 siede sulla panchina dell’Hibernian, si prende la briga di trasmettere ai tifosi avversari in maniera molto plateale. Prima irridendoli, poi invitandoli a mettersi di nuovo a sedere. Una premura che non viene particolarmente apprezzata dalla tribuna tanto che qualcuno decide di lanciare una monetina che colpisce Lennon sulla mascella. Il mister cade subito a terra con le mani che gli coprono la faccia, mentre Levein corre a sincerarsi delle sue condizioni. Solo qualche minuto prima Zdenek Zlamal, il portiere degli Hearts, aveva ricevuto un pugno in testa da un tifoso avversario. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=rooao7_W0Y8[/embed]

Nonostante una traversa per parte, il derby tra Hibs e Hearts è finito a reti bianche.

A poche centinaia di metri dallo stadio una mano anonima scrive tre parole con la vernice rossa su un muro di mattoni: «Hang Neil Lennon», impiccate Neil Lennon. È in quel momento che la storia si allarga a dismisura. La proprietaria dell’Heart of Midlothian (che, dopo essere finito in amministrazione controllata è diventato un “fan-owned club” grazie all’acquisizione da parte della Foundation of Hearts) Ann Budge e l’amministratore delegato degli Hibernian, Leeann Dempster, diramano un comunicato congiunto per stigmatizzare l’accaduto. Zlamal, tramite Twitter, da del perdente al suo aggressore, rammaricandosi per “le tragedie personali” che lo devono aver spinto a comportarsi in quel modo. Lennon prima affermato di voler incontrare faccia a faccia il tifoso che gli ha scagliato contro la monetina, poi, qualche giorno più tardi, rincara la dose: «Potrei ripensare al mio ruolo di allenatore dell’Hibernian» ha detto. E ancora: «Qui in Scozia si chiama settarismo. Io lo chiamo razzismo. Impiccare le persone è qualcosa che il Ku Klux Klan ha fatto negli anni '60 con i neri, quindi forse è questa la mentalità delle persone che scrivono certe cose». Parole forse dettate anche storia personale scandita da violenze anticattoliche, non solo verbali. Nel 2012, per esempio, alcuni pacchi sospetti erano stati inviati a Lennon da due uomini, poi condannati a cinque anni. Un anno prima un fan degli Hearts era stato accusato di aver attaccato l’allora tecnico del Celtic (anche se l’aggressore aveva sempre negato il movente religioso). Per la squadra di Levein, già devastata dagli infortuni, concentrarsi sulla sfida di sabato 3 novembre è diventato praticamente impossibile anche se in palio c’è la vetta della classifica. Gli Hearts sono arrivati al Celtic Park scarichi, finendo per soccombere al Celtic in maniera tragica. La partita dura appena 18 minuti, quanto basta a Odsonne Édouard per piegare le mani di Zlamal. Gli Hearts sono troppo deboli per reagire e subiscono altre quattro reti che fissano il risultato finale sul 5 a 0. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=9DMg2kW6iHg[/embed]

Il 5-0 con cui il Celtic ha spazzato via i sogni di gloria degli Hearts.

Di nuovo la distanza tra il confine e il centro è tornata siderale. D’altra parte la classifica ora parla chiaro: Hearts primi a quota 26, dopo la sconfitta con il Kilmarnock, insieme al Celtic, che però ha una partita in meno. I biancoverdi sono vicini a riprendersi la vetta del campionato nonostante il peggior avvio dal 1998/1999, quando in 7 giornate raccolsero appena 9 punti. La crisi del calcio scozzese Se per un momento sembrava potesse incrinarsi, rapidamente lo status quo è stato ripristinato. Difficilmente gli Hearts potranno competere economicamente con le due regine di Glasgow: la rosa dei granata ha un valore di poco superiore ai 9 milioni di sterline, briciole in confronto a quella dei Rangers, 47, e del Celtic, a 74. Dati confermati anche dal blog di economia calcistica Swiss Ramble, che ha analizzato le cifre dei bilanci delle due squadre di Glasgow. «Dalla loro promozione in Premiership del 2016 i ricavi dei Rangers sono cresciuti di quasi il 50% (10,5 milioni di sterline) passando da 22,2 milioni a £ 32,7 milioni di sterline». Introiti che per lo più derivano dall’ospitalità (5,6 milioni) e dalle vendite (2,5 milioni). Peccato, però, che il Celtic rimanga in avvicinabile. Lo scorso anno i biancoverdi hanno guadagnato quasi 102 milioni di sterline, mentre nelle ultime 6 stagioni hanno potuto contare su qualcosa come 300 milioni in più rispetto ai rivali.

All’inizio del nuovo millennio si diceva che Celtic e Rangers avrebbero dovuto lasciare il campionato scozzese per giocare in Premier League, una competizione molto più impegnativa e, soprattutto, immensamente più ricca. A qualche anno di distanza, questa idea non sembra più così sensata. Colpa di un movimento nazionale che non riesce più a esercitare il suo tradizionale fascino sui mercati esteri, soprattutto da quando i Rangers a causa del fallimento societario sono stati costretti a ripartire dalla Scottish League Two (la quarta serie scozzese) nel 2012. Un calo dovuto anche a una ricostruzione più lenta del previsto: basti guardare l’eliminazione dei Rangers dai preliminari di Europa League 2017 per mano dei lussemburghesi del Progress Niederkorn. Per questo, più che da un punto di vista tecnico, l’ingaggio di Steven Gerrard serviva soprattutto a dare nuova visibilità a una nobile decaduta che per troppo tempo è stata lontano dai riflettori. [embed]https://twitter.com/RangersFC/status/992390005137035266[/embed] Contemporaneamente anche il Celtic ha dovuto fare i conti con una crisi, che sembra qualcosa più di un calo fisiologico, dovuta all’assenza della storica rivale. Se Moussa Dembele e Stuart Armstrong sono stati venduti rispettivamente al Lione e al Southampton per 19,7 e per 7 milioni di euro, più di un calciatore in rosa avrebbe considerato volentieri un trasferimento fuori dai confini della Scozia (tra questi Dedryck Boyata). Il Celtic non riesce più a ritrovare l’appeal di un tempo: quest’estate hanno inseguito a lungo John McGinn, centrocampista dell’Hibernian, che alla fine si è accasato all’Aston Villa, in Championship per una cifra di poco superiore ai 4 milioni. È solo il culmine di una tendenza che si è fatta sempre più preoccupante negli ultimi anni, in concomitanza con il fallimento dei Rangers. Senza rivali, per vincere in Scozia al Celtic erano sufficienti investimenti minori che in passato. Nei gironi della Champions League 2012/13, i biancoverdi avevano battuto per 2 a 1 il Barcellona al Celtic Park. Le immagini di Rod Steward intento a versare lacrime di gioia in tribuna aveva fatto il giro del mondo. Eppure quello che doveva essere uno spot per il calcio scozzese, si è trasformato nel canto del cigno. Nello stesso anno il Celtic è stato eliminato dalla Juve negli ottavi di finale, mentre nella stagione successiva ha concluso all’ultimo posto il girone di Champions composto da Barcellona, Milan e Ajax. Nelle due stagioni successive i biancoverdi non sono neanche riusciti ad accedere alla fase a gironi della Champions, e nelle ultime tre stagioni non sono mai andati oltre i gironi. L’anno scorso dopo essere arrivati terzi nel proprio girone (in cui hanno perso 5 a 0 e 7 a 1 dal Paris Saint Germain) sono stati eliminati dallo Zenit ai sedicesimi di Europa League. Ritrovarsi fuori dalle competizioni continentali ancora in inverno è diventata un’abitudine preoccupante. Qualche settimana fa, il calcio scozzese ha fatto capolino in un discorso di Andrea Agnelli. «Se torni indietro e guardi ai vincitori della Champions League», ha detto il presidente dell’Associazione del Club Europei al World Football Summit di Madrid, «allora scopri che i vincitori erano squadre che oggi non ritroveresti più: club di grandi città come Glasgow, Belgrado, Bucarest. Cos’è successo? Abbiamo avuto l’introduzione dei soldi dei diritti tv e questo è stato un fattore discriminante. Penso ai Paesi con una grande eredità calcistica. Penso al calcio scozzese, al Celtic, al grande Ajax degli anni Settanta, al Benfica. Paesi straordinari con un’eredità straordinaria che sta lentamente morendo perché non hanno un mercato sufficientemente grande per competere con Inghilterra, Germania, Italia, Francia o Spagna. Un terzo delle entrate del calcio proviene dai 12 club più ricchi». La nuova economia del calcio sta confinando alla periferia del calcio mondiale alcune delle squadre più importanti dello scorso millennio, incluse quelle scozzesi. Chissà quando dovremo ancora aspettare per una rivoluzione che faccia tornare sulle mappe calcistiche mondiali il calcio che si gioca a Nord del Vallo di Adriano.

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