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(di)
Matteo Gagliardi
Hardcore
04 lug 2013
04 lug 2013
Ritratto di Arturo "Thunder" Gatti: uno dei pugili più grandi dell'epoca moderna, sicuramente il più cruento. Senza scrivere di alcol e di eroi.
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Matteo Gagliardi
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Il 9 giugno 2013 Arturo Gatti è entrato ufficialmente nell’International Boxing Hall of Fame di Canastota, New York. Il suo manager, Pat Lynch ha detto: «L’Hall of fame è per gli atleti che hanno lavorato duro e l’hanno dimostrato in gara. Per me è stato un onore e un privilegio gestire la sua intera carriera». Gatti è nell’Olimpo dei più grandi pugili dell’era moderna insieme ad Alì, Hearns, Frazier, Tyson, Sugar Ray e Hagler, ma la cosa non è andata giù a molti. Se da una parte i puristi hanno ridimensionato la grandiosità di Gatti giudicando la sua tecnica poco più che mediocre e il suo score non eccellente, dall’altra si è cristallizzata l’immagine di un pugile audace quanto basta per essere un campione.

VS RUELAS

A trenta secondi dalla campanella del quarto round Gabriel Ruelas incassa i colpi a breve distanza di Gatti che lo stringono alle corde. Dopo un clinch provato da Arturo, Ruelas inclina il busto a novanta e lo allontana con le spalle, tenendo le braccia dietro in carica nell’eventualità di una ritorsione. È il 5 maggio 1997, al Caesar’s Hotel di Atlantic City si sta disputando il “combattimento dell’anno” secondo l’illustre Ring Magazine. Gatti è furioso, distende un sinistro lungo che colpisce il viso di Gabriel che ha un brivido. Neanche la voglia di accusare la botta che il messicano tira su il gancio sinistro che costringe Gatti a una splendida finta bassa di tronco chiudendo il movimento con un gancio largo dal profondo, potente e al viso che Ruelas smanaccia e attutisce come può. Il messicano prova un clinch ma stavolta è Gatti che non vuole fermarsi e con il braccio sinistro lo allontana infastidito gettandolo alle corde. Sull’azione di rimbalzo il messicano si avventa contro Gatti con un destro basso al fianco e con colpi forti e tattici riesce ad aggirare finalmente l’avversario, dominando sulla distanza corta. Adesso è Gatti nella merda. Poi arriva un montante di Ruelas, ed è superbo. Sale su, sale su, sale su e colpisce Gatti in pieno mento. La botta gli chiude gli occhi. È stato devastante: Ruelas da quell’uppercut in poi fa quello che vuole. Gli assesta quindici colpi duri tra la testa e il corpo e Gatti li prende tutti, non riuscendo a difendersi né con il fisico né con il cervello. Ogni botta di Ruelas sposta Gatti che però non cade mai. Quando il montante che apre la strada ai pugni di Gabriel raggiunge il viso di Gatti, il collo trattiene alle spalle la testa gonfia che comincia a roteare. Le sue gambe si flettono, le ginocchia cedono e il corpo s’accartoccia sulle corde. Alla fine della quarta ripresa, Gatti dà un segno di vita: fa una smorfia con le labbra gonfiate dal paradenti. Sghignazza e se ne ritorna nel suo angolo sulle gambe ancora in forza. Ridono anche i commentatori. Ruelas è preoccupato. Al quinto round Gatti lo manderà KO con un bellissimo gancio sinistro.

PERIODIZZAZIONE I

Arturo Gatti è nato il 15 Aprile del 1972 a Cassino nel Sud del Lazio, la “Città Martire” a Nord della Linea Gustav. Trasferito dopo pochi anni con la famiglia in Canada, cresce e si allena a Montreal. Il padre, Giovanni Gatti, muore in un incidente sul lavoro quando Arturo ha quindici anni. «Mio padre era il più duro di Montreal, era un elettricista ma avrebbe potuto combattere. In un modo totalmente diverso, ma avrebbe davvero potuto». La madre ha spiegato quanto la morte del padre sia stata fondamentale nel destino del pugile: «Perché gli piaceva a suo padre, gli piaceva molto la boxe e allora lui ha pensato che voleva raggiungere la mentalità del suo padre e allora s’ha [sic] incoraggiato per continuare la boxe». Gatti muore a trentasette anni l’11 luglio 2009 nella camera di un Hotel a Ipojuca in Brasile. Era in vacanza con la moglie cercando di riparare un matrimonio in frantumi. Il corpo di Gatti è riverso sotto un mobile in cucina, con la testa immersa nel sangue. Sul pavimento c’è una cinghia rotta a forma di cappio. La notte prima della morte i coniugi Gatti erano stati in un bar in cui Arturo ubriaco era stato coinvolto in una rissa. Tornati alle due al condo 6305, la moglie racconta di aver subito botte e spintoni da parte del marito fuori di sé. Lui dopo le chiede: «Così allora è finita?» Lei sale a dormire, lui no. A tarda notte, la moglie si accorge che il marito non è nel letto. Scende le scale di legno e lo trova con la testa sotto il mobile della cucina, in mutande. La moglie racconta alla polizia che è risalita a dormire, pensando che lui stesse facendo altrettanto. La mattina scende ancora una volta per fare colazione e lo ritrova nella stessa posizione della notte e così si avvicina. Lo tocca, sente che è freddo ma non nota il sangue: «Arturo, ehi Arturo ti perdono! Svegliati!» Poco prima di andare in Brasile, un mese prima di morire, Gatti ha modificato il suo testamento intestando tutto alla moglie e al figlio. La moglie ha voluto subito chiarire: «Io non l’ho spinto a farlo». Poco prima dell’editing al testamento, il legale della moglie aveva fatto sì che a Gatti fosse vietato «avvicinarsi nel raggio di 200 metri al domicilio e al luogo di lavoro di Amanda Corine Rodrigues e suo figlio». Un’amica di Gatti ricorda le parole di Amanda poco prima della partenza per il Brasile: «Gli farò vedere quanto sono cattiva, gli farò vedere quanto sono stronza, lo ammazzo». Amanda negherà di aver detto queste cose. Gli sms di Amanda al marito prima del viaggio non si possono definire teneri: «Per me sei imbarazzante dentro e fuori dal ring», «svegliati perdente, nessuno è geloso della tua vita di merda», «spero tu abbia un incidente mentre digiti». L’amico Tony Rizzo ricorda: «Arturo era spaventato all’idea di perdere suo figlio» e nella registrazione di una sua chiamata durante la vacanza in Brasile lo si sente dire: «È un cazzo di incubo». Amanda chiarirà anche questo dicendo: «Quando beveva non era più lo stesso, io ho provato ad aiutarlo». La moglie viene arrestata e liberata tre settimane dopo. La polizia brasiliana ha chiuso il caso: «Arturo Gatti si è suicidato impiccandosi alle scale con una cinghia». La famiglia del pugile comincia allora a investigare privatamente alla ricerca di prove contro la moglie. Dopo dieci mesi d’indagini il risultato è: «INVESTIGATIVE ASSESSMENT AND CONSULTATIVE REPORT – 25 agosto 2011 – The Death of Arturo Gatti». Le ricerche della famiglia si sono concentrate su quattro punti poco chiari della faccenda: 1. Perché Gatti è stato trovato in una pozza di sangue con una ferita dietro la testa? 2. Perché la moglie non ha chiamato la polizia la prima volta che l’ha visto? 3. Perché Gatti cade di lato e non frontalmente come s’ipotizza cada un impiccato al quale si stacca il cappio? 4. La cinghia che è stata trovata non avrebbe mai potuto resistere al peso di Gatti. Il caso si riapre. Il fratello, Joe Gatti, alcuni mesi dopo il rapporto della famiglia rilascia un’intervista in cui rivela: «Finalmente ho trovato il coraggio di dirlo. Arturo voleva uccidersi, la gente deve sapere che era un drogato e un alcolizzato. Prima credevo fosse stata Amanda a ucciderlo, ma poi è venuta a casa mia e mi sono convinto della sua innocenza».

LE STORIE DELL’OCCHIO

Nel gennaio 1998 al Convention Hall di Atlantic City, si trova davanti Angel Manfredy che lo aspetta sul ring con una maschera da diavolo. Non è una gran serata per gli occhi di Gatti, i suoi due grandi problemi, troppo fragili per un fighter aggressivo e brutale come lui. Quella sera ad Atlantic City si frantuma anche la mano al quinto round, ma all’ottavo dall’occhio viene giù troppo sangue per continuare l’incontro. Il diabolico Manfredy una volta aperta la ferita alla prima ripresa colpisce ripetutamente il bersaglio e l’arbitro è costretto a sospendere tutto. Gatti perde il match e si arrabbia. Il suo secondo, per giustificare la scelta dell’arbitro, gli dice che la ferita all’occhio è talmente profonda che si vede l’osso; Gatti risponde: «Appunto, non poteva peggiorare!» A fine incontro Angel dirà ai microfoni di HBO: «Al quinto round si è fratturato la mano destra, ma non potevo fermarmi. Quando l’ho ferito alla prima ripresa sapevo che era un brutto taglio, ma sapevo anche che non dovevo fermarmi, perché lui è un guerriero. Stasera ha mostrato la classe di un combattente. Questo è quello che fa un campione». A Gatti altre volte va meglio. Durante l’incontro con Rodriguez del ’96 è di nuovo nei guai. Al secondo round va giù su un destro veloce, ma si rialza con altrettanta rapidità. Sgambetta prima ancora che l’arbitro arrivi al quattro. Gatti non se la sta passando bene; i ganci di Wilson sono violenti e svelti, Arturo non alza i gomiti e riceve i colpi in pieno volto. La guancia sinistra non sanguina, ma si gonfia a tal punto che l’occhio diventa una fessura dalla quale è impossibile capire se il pugile ci veda. L’arbitro sospende il match per un controllo obbligatorio. Il medico ordina a Gatti di coprire l’occhio buono per testare l’altro: “Copriti l’occhio sinistro col guantone”. “Sto bene”, risponde Gatti. “Ho detto copriti l’occhio sinistro, altrimenti fermo l’incontro!” Gatti obbedisce e il medico con le dita della mano compone un due chiedendo al pugile il numero. Gatti scosta leggermente il guantone per riuscire a vedere le dita, ma il medico se ne accorge e gli urla di rimetterlo a posto e dire in fretta quante sono le dita. “Due”, risponde. Il medico gli riordina di mettere su il guantone e fa una seconda prova. Gatti spara: “Uno!” e l’incontro riprende.

PERIODIZZAZIONE II

Il primo incontro della storia di Gatti è l’ultimo da amatore, il match valido per il titolo di “Senior Mens Canadian Champion” contro Mike Strange (che quel titolo l’avrebbe vinto tre volte). Gatti perde ai punti e dice al suo allenatore Dave Campenell: «Vedi, non potrò mai battere quel ragazzo, ma voglio trovare me stesso e per farlo devo diventare professionista». Nel 1991 si trasferisce a Jersey City e comincia a combattere contro se stesso. Combatte da solo il 9 luglio di quell’anno con Luiz Melendez, al Blue Horizon di Philadelphia, steso al primo round. Combatte da solo il 2 Agosto, in casa al Quality Inn, contro Richard De Jesus. Combatte contro se stesso anche il 28 giugno 1994 con Taliaferro, per il titolo di Superpiuma USBA. Lo distrugge due volte alla prima ripresa, con due ganci destri impressionanti. Smolenkov in Olanda e Tovar in New Jersey lo vedono entrambi combattere da solo sdraiati al tappeto alla prima ripresa. Il 15 dicembre 1995, Tracy Harris Patterson al Madison Square Garden, volato giù con un montante destro, non è l’unico ad ammirare la furia di Gatti: l’incontro è trasmesso in diretta da HBO e Gatti diventa campione dei Superpiuma IBF. Let’s get ready to rumble.Su un totale di 49 incontri da professionista, 40 vittorie e 9 sconfitte, Gatti non si può definire certo un pugile perfetto; i gomiti li alzava raramente, solo se necessario: la guardia la tirava su soltanto per evitare il colpo di grazia ai suoi occhi. Era sempre in movimento, mai una pausa e dichiaratamente offensivo. Il suo colpo più devastante era il gancio, di una potenza wagneriana. Se approfondiamo ancora la questione statistica, noteremo i suoi 31 knockout inflitti e i 5 subiti. Sembra chiaro che abbia combattuto ogni incontro non accontentandosi mai dei punti, senza curarsi di alcuna tattica. “Tutto cuore”, Arturo è stato il pugilatore che negli anni novanta più di tutti ha incarnato quell’ormai datato e ingenuo modello di boxe à la Rocky Balboa e ha contribuito a costruire l’immaginario collettivo del romantico-corretto-nobile-sport-anzi-arte, nel bene e nel male. La storia di Gatti è stata raccontata più che vista e di bocca in bocca ha acquistato una forma classica, mitica ed esagerata, per poi finire su YouTube come molti suoi colleghi ad affondare i colpi sulle note di Requiem for a Dream. Nei suoi incontri però c’è qualcosa che non va: troppo sangue. Picchiava durissimo, li dava e li prendeva come un animale. Se ne fregava della forma, se ne sbatteva della bellezza. I suoi match non erano e non saranno mai opere d’arte, ma rimangono una delle cose più elettrizzanti viste su un ring. Il 14 luglio 2007 Gatti si ritira dalla boxe. «Non posso più subire questo genere di punizioni. Non posso combattere ad armi pari nella categoria Welter e alla mia età. Non posso più scendere sotto le 147 libbre. Hasta la vista baby. Vi saluto. Ringrazio tutti, la gente che mi ha seguito e ha tifato per me con grande calore e affetto. Tornerò ancora al Boardwalk, ma questa volta come spettatore.» Cade al settimo round nel suo ultimo incontro vs. Alfonso Gomez, un pugile mediocre semiprofessionista, vincitore del talent show The Contender. L’arbitro non aveva intenzione di fermare il match, così ci ha pensato Larry Hazard. Per la prima volta nella storia della Boxe il Presidente di una commissione pugilistica si sostituisce all’arbitro e interrompe un incontro. Quell’arbitro mediocre era Randy Neumann, un ex pugile che aveva battuto Jimmy Young nel ’72 al Madison Square Garden. Nell’angolo di Gatti quell’ultima sera c’era Micky Ward, come allenatore.

VS FLOYD MAYWEATHER JR

Floyd Mayweather jr si presenta sul ring accompagnato su un trono caricato in spalla da quattro antichi romani con la panza. Gatti invece con una leggera corsetta mentre alcune fiamme esplodono al suo passaggio. Dagli altoparlanti dell’arena risuona Thunderstruck degli AC/DC. È il 25 giugno 2005, «il mio giorno», come l’ha battezzato Floyd durante la conferenza stampa pre-incontro. Da una parte “Thunder” Gatti, trentatré anni, campione in carica WBC categoria Superleggeri; dall’altra “Pretty Boy”, ventotto, il pugile perfetto: tecnico, fortissimo e pure stronzo. A quindici secondi dal termine del primo round Gatti e Floyd sono molto vicini al centro del ring. “Thunder” è piegato ad angolo retto in equilibrio precario. Floyd gli poggia il guantone sinistro sulla nuca mentre con il destro, non visto dall’arbitro, gli tira un colpetto in testa. Gatti a quel punto si rialza allargando le braccia e richiama l’attenzione del direttore di gara. Mentre è distratto, Floyd gli rifila un montante sinistro che lo butta giù. Gatti s’incazza col giudice in papillon che gli fa capire a gesti che è «tutto regolare», così comincia a contare. Arturo si riprende all’otto e quando ricomincia l’incontro è tempo di tornarsene nell’angolo. Il secondo comincia con una scarica impressionante di “Pretty Boy” che Gatti schiva alla perfezione; il pubblico si eccita. Mayweather va a un’altra velocità e porta dei colpi potenti e precisi, tornando sempre a chiudere la guardia. Arturo si difende, male ma si difende. Incassa una pesantissima combinazione gancio destro - montante sinistro. Al terzo round Gatti non resiste e la sua difesa si sgretola. Floyd affonda quattro diretti destri in testa e scarica altrettanti montanti al corpo. Si muove con estrema rapidità. Il volto di Gatti è al solito talmente gonfio che non riesce più ad aprire gli occhi. Il suo allenatore Buddy McGirt gli dice: «Io fermo l’incontro, ragazzo, fermo l’incontro», prima di fermare l’incontro. Floyd, nuovo campione mondiale, scoppia a piangere nel suo angolo forse anche Arturo nel suo, non si vede bene, Buddy gli tiene il viso tra le braccia. A fine match “Pretty Boy” rilascia un’intervista sul ring con suo figlio in braccio. Davanti la telecamera si vede passare a un certo punto la mano di Gatti che accarezza l’orecchio del bambino.

OVVIAMENTE WARD «Gatti mi ricordava La Motta e Graziano», ha detto Bert Sugar: «Un’epoca della boxe lontana in cui ogni sera i combattenti davano tutto, il massimo. Gatti dava spettacolo». Entrambi i pugili, il primo in Toro Scatenato e il secondo in Lassù qualcuno mi ama, sono i protagonisti di due tra i più grandi film sulla boxe. Gatti un film tutto suo non ce l’ha. In The Fighter di David O. Russell si ricostruisce la storia di “Irish” Micky Ward. Durante la conferenza stampa di Shea Neary e Ward prima dell’incontro valido per la cintura WBU del 2000, un giornalista chiede al favorito Shea quale sia il pugile che teme di più e che vorrebbe incontrare in un prossimo match. Neary risponde: «Quando avrò spazzato via Ward mi piacerebbe scontrarmi con Gatti. Credo che Gatti ed io faremmo un grande incontro». Subito dopo la telecamera fissa per sei secondi Ward che guarda in silenzio lo sfidante. Shea non incontrerà mai Gatti, Ward invece tre volte, in quella che è stata definita la “trilogia del secolo”. Tre incontri durissimi che contribuiranno a costruire il mito di Gatti come un pugile eroico oltre ogni limite, mettendo in ombra il resto della sua carriera.

VS BRANCO Il 24 gennaio 2004 al Boardwalk di Atlantic City si tiene l’incontro tra Branco e Gatti per il titolo vacante WBC. Nella conferenza stampa pre-match Arturo si presenta a Branco così: «Scusami Gianluca, non me la cavo granché con la tua lingua, l’italiano lo parlavo solo con mamma. È un piacere averti qui. Complimenti, ci vogliono le palle per venire in America a battersi contro uno come me». Sul ring invece dopo aver colpito a distanza portando colpi lunghi e affilati, Branco fa segno a Gatti di avvicinarsi. Gatti è stranamente sulla difensiva, impenetrabile con i gomiti stretti e alti. Al termine della sesta ripresa Branco di nuovo gli fa segno di farsi sotto, Gatti sorride. Nel settimo round l’incontro si fa ravvicinato e poco prima del suono della campanella il pugile italo-canadese prova una combinazione che va a vuoto completamente. Talmente evidente che Branco allarga le braccia per prenderlo per il culo, mentre Arturo torna nell’angolo. Al decimo round con un gancio sinistro di marmo, al centro del ring, Branco viene sbattuto al tappeto. È un colpo eccezionale per violenza e rapidità. Nello stesso istante in cui parte il gancio di Gatti parte quello di Branco che fa in tempo soltanto a carezzare la guancia di Arturo. Branco si rialza confuso e termina la ripresa. Gatti invita Branco a tornarsene nel suo angolo. Tra il pubblico che assiste alla vittoria ai punti di Gatti c’è Micky Ward. Gatti conquista la stessa cintura di campione mondiale dei Superleggeri che cederà un anno dopo a Mayweather.

FINE C’è un momento nella carriera di Gatti che ho sempre trovato struggente: il primo incontro su un ring, prima di entrare nella Hall of Fame, prima della "trilogia del secolo", prima dei tre titoli mondiali, prima della morte, prima della leggenda. È l’attimo folgorante in cui Gatti realizza cosa significa esser diventato un pugile: «La prima volta che guardai dall’altra parte del quadrato, lo vidi e pensai “Oh cazzo”. Avevo paura. Era in una forma straordinaria, aveva il codino e tatuaggi su tutto il corpo. Io ero un ragazzino, il mio primo incontro in assoluto. Non avevo mai visto niente del genere in tutta la mia vita».

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