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Foto di Valerio Pennicino/Getty Images
Calcio Tommaso Giagni 25 luglio 2016 8'

Hardcore come Kamil Glik

Glik si è trasferito al Monaco e già ne sentiamo la mancanza.

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Un ottimo Europeo, da leader della difesa di una Polonia che poteva fare di più ma ha fatto comunque parecchio. Il passaggio al Monaco, finalmente l’occasione di giocare in una squadra di vertice e partecipare alla Champions League.

 

Dal 2013 è stato il capitano perfetto del Torino. Un giocatore in cui riconoscersi, uno col sangue granata anche prima di vestire quella maglia. Il primo capitano straniero del club dal 1924, dopo gli svizzeri Bollinger e Bachmann. Ha personalizzato ogni fascia al braccio, con frasi suggestive come “Pretendi da te stesso, anche quando nessuno pretende da te”. O come quella di Giovanni Paolo II che ha portato stabilmente: «Ieri non è più tuo. Domani è incerto. Oggi è ciò che conta».

 

 

L’Alta Slesia è terra di mescolanze. Ha attraversato i secoli sotto entità politiche diverse, prima di diventare polacca dopo la Seconda guerra mondiale. Quando il nonno vi nacque, l’Alta Slesia apparteneva alla Germania. Per questo Kamil ha anche passaporto tedesco, dove il suo cognome è scritto Glück. E se il polacco Glik significa “carburo”, il tedesco Glück vuol dire “felicità”.

 

Comunque lui ha scelto di rappresentare la Polonia. Non solo: come ricordo professionale più bello, cita una vittoria del 2014 proprio contro la Germania. Era una partita delle qualificazioni a questi Europei, i polacchi sconfissero i tedeschi per la prima volta nella storia calcistica, e in Polonia si fecero paragoni con la battaglia di Grunwald del 1410. Forse oggi Glik avrebbe avuto la possibilità di figurare nella selezione tedesca di Joachim Löw, che è nato il 3 febbraio come lui.

 

Il posto dove Kamil Jacek Glik vede la luce nel 1988 si chiama Jastrzębie-Zdrój, ovvero “Terme dei falchi”. Centomila abitanti, voivodato della Slesia, una manciata di chilometri dal confine con la Repubblica Ceca. Importante centro termale dagli anni Sessanta dell’Ottocento, esattamente un secolo dopo la sua economia inizia a ruotare intorno alle miniere di carbone. Kamil cresce in un quartiere di case popolari che si chiama Osiedle Przyjaźń, “complesso Amicizia”. 22 edifici, 532 appartamenti, costruiti tra 1964 e 1986.

 

Si forma nelle giovanili di una squadra locale, il Miejski Ośrodek Sportu i Rekreacji, prima di spostarsi a Wodzisław Śląski e al Silesia Lubomia, comunque in Slesia.

 

Glik, Il quartiere

I posti di Jastrzębie-Zdrój dov’è cresciuto.

 

Anche il contesto familiare è complicato. Il padre muore d’infarto a quarantadue anni, dopo una lunga dipendenza dall’alcol. Una perdita che segna il momento più difficile della vita di Kamil, secondo lui stesso.

 

Quando il figlio era ancora un ragazzino, il padre rubò della dinamite in miniera, la mise in un barattolo, portò Kamil a pescare, e in mezzo al laghetto cacciò fuori l’esplosivo e lo buttò in acqua. I pesci morti affiorarono alla superficie, fu facile prenderli. Al ritorno, quella sera, invece di andare a casa per una cena di pesce, il padre si fermò a un pub, vendette i pesci e spese quei soldi per ubriacarsi.

 

Quando a diciott’anni accetta il trasferimento all’UD Horadada, in Spagna, oltre che un’opportunità sembra una via di fuga. La squadra milita nella Tercera División, il quarto livello del calcio spagnolo. Anche Pilar de la Horadada si trova al limite di un confine, sia oggi (tra Comunidad Valenciana e Región de Murcia) che storicamente (tra Regno di Castiglia e Regno di Valencia). Insieme a lui, la società acquista altri giocatori polacchi, come Kamil Wilczek, che sarebbe poi passato per Carpi e oggi gioca nel Brøndby.

 

Comunque è Glik a essere notato dagli osservatori del Real Madrid, e a passare nella squadra C dei “merengues”.

 

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Sarà il primo giocatore polacco a vestire la maglia del Monaco, com’era stato il primo in maglia granata. Sente di fare, per questo, una parte della storia del suo Paese.

 

Il legame con la Polonia è estremamente intenso. Polacca è sua moglie Martą, che ha conosciuto alle elementari e con cui ha avuto una figlia. Il primo riferimento personale che Glik indica nella città di Torino è il Polski Kot, il centro culturale polacco. Come seconda cosa dice “le librerie”. Gli piace leggere, in particolare le autobiografie. E i libri di Kapuściński.

 

Con la Nazionale ha esordito nel 2010 e ha messo insieme 46 presenze. Il suo valore è stato riconosciuto da una leggenda come Zibì Boniek, che era il “Bello di notte” ed è oggi presidente della Federcalcio polacca, e che lo ha onorato del soprannome “Bello di giorno”.

 

Ottobre 2012, qualificazioni ai Mondiali del 2014. A Varsavia, l’Inghilterra è avanti. Il gol a metà ripresa di Glik è pesantissimo, dà un segnale forte: la Polonia sta diventando grande. A marcarlo è Joleon Lescott, che in quel momento lui considera il miglior difensore al mondo.

 

Il Monaco è la grande occasione, il livello successivo che la sua carriera meritava. Non il Bayern Monaco, al quale è stato vicino nell’inverno scorso. Il Bayern, la squadra che tifa da quando undicenne la vide perdere in quel modo la Champions del 1999. Il Bayern, di cui in Polonia aveva una tuta d’allenamento che gli aveva regalato il padre.

 

Una prima occasione c’era stata, una vita fa. Il Real Madrid, a diciott’anni. Di colpo Kamil si ritrovò a parlare con Raúl, allenarsi con Callejón, Juan Mata e Negredo. Dopo due stagioni non fu confermato. Lui comunque ha un buon ricordo dell’esperienza, dice che lo ha reso un giocatore migliore: «Non considererei quel periodo in termini di fallimento».

 

Dalla Polonia se n’era andato, in Polonia ritorna. E proprio in Slesia, al Piast di Gliwice, la città dov’è nato uno che riguardo la nazionalità ha fatto la scelta opposta alla sua, Lukas Podolski. Sceglie il Piast, che si accinge a disputare la sua prima stagione nella massima serie polacca, nonostante un’offerta del ben più prestigioso Legia Varsavia.

 

Diventerà poi l’unico giocatore nella storia del club ad aver giocato in nazionale. Due stagioni da titolare che si concludono con la retrocessione, ma che per lui saranno il trampolino che lo condurrà in Italia. Per comprendere la gratitudine verso quei mesi, basti pensare che nel 2012, in occasione del mitico pareggio contro l’Inghilterra, indossa degli speciali parastinchi col simbolo del club.

 

In Italia lo porta il Palermo, nell’estate 2010. Con i rosanero colleziona appena quattro presenze, e nessuna in campionato. Nella finestra di mercato invernale lo mandano in prestito a Bari, in serie B.

 

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Qual è la caratteristica che lo descrive meglio?

 

Secondo il suo allenatore ai tempi del Piast Gliwice, la lettura delle situazioni, la capacità di capire prima degli altri cosa succederà.

 

Di certo è un giocatore di carisma e ruvidezze, uno che dice: «In campo devi giocare duro e leale. Non devi stare lì a fare il figo ma lottare». Il tipo di calciatore che esalta il tifoso perché non molla. Si è sempre ispirato a Lúcio, il suo idolo dai tempi del Bayern.

 

Quando gli chiedono di descrivere il proprio ruolo, Glik lo racconta così: «Non far passare nessuno». L’agonismo può anche trascendere. L’episodio celebre è il bruttissimo fallo su Giaccherini nel derby del 2012, con rosso diretto e caos di polemiche. Dosare l’aggressività in campo gli è sempre venuto difficile. Il bilancio dell’esperienza granata parla di 43 cartellini in 171 gare.

 

Maniaco della preparazione e dell’alimentazione, sembra piuttosto ossessionato dalla gestione del corpo. Forse è inevitabile, quando a pochi mesi hai rischiato di morire di setticemia. O magari Glik è solo consapevole che la sua massa e i suoi 190 centimetri d’altezza possono essere tanto una zavorra quanto un’opportunità. «La forza fisica è la mia grande risorsa» ha spiegato, in un’intervista fatta insieme al connazionale Michał Materla, campione di MMA, di cui è appassionato sostenitore. Tra l’altro Glik racconta che da ragazzino si trovava spesso in mezzo a situazioni manesche, e che ne ha date più di quante ne abbia prese. E in un’altra occasione ha detto che, al termine della carriera, gli piacerebbe provarsi negli sport da combattimento.

 

C’è poi un elemento da prendere in considerazione. È lui stesso a evidenziarlo, quando nel 2015 spiega perché ha incrementato le sue marcature: «Sono solo più fiducioso e salto più in alto per far gol». La fiducia, la testa. Ciò che gli permette di sviluppare determinazione e disponibilità a crescere, come osserva Ventura.

 

Il suo rapporto col gol è anomalo: da professionista non ha mai segnato più di un paio di volte a stagione, tranne la clamorosa eccezione del 2014/15, quando ha raggiunto addirittura le 8 reti, tutte sugli sviluppi di calci piazzati.

 

Con Willie Peyote, Glik diventa simbolo di un underground duro e puro, dal basso, lontano dai riflettori. «I tuoi eroi fanno cilecca sul più bello / Fighetti strapagati come Matri e Borriello / Esproprio proletario, ti entro in casa col crick / Fanculo i radical-chic / Restiamo hardcore come Kamil Glik».

 

Il salto di qualità arriva col Torino. E soprattutto con Ventura: «Un padre calcistico, mi ha fatto diventare uomo e calciatore» dice lui. Il nuovo CT azzurro lo ha esaltato con la sua organizzazione difensiva, lo ha trasformato in un’arma perfetta su palla inattiva con i suoi schemi.

 

La lunga strada insieme era cominciata a Bari nel 2011. Sei mesi. Otto presenze, le dimissioni del tecnico e la retrocessione. Un’altra. Eppure, com’era stato a Gliwice, così anche Bari rappresenta per Glik un passaggio di crescita. Nell’estate che segue, arriva a Torino insieme a mister Ventura. E a Darmian, al quale è legato da un percorso quasi identico. Nella stessa estate erano arrivati a Palermo, un anno dopo si ritrovano in granata. Il club rosanero come punto di partenza, gli anni di crescita al Toro e poi il grande trasferimento all’estero. «A lui voglio bene in modo particolare» spiegava Glik alcuni mesi fa.

 

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Glik e Darmian.

 

L’adesione ai granata ha implicazioni profonde. Per come la vede lui stesso, «con le dovute proporzioni» la storia del Torino è paragonabile a quella della Polonia, «fatta di grandi sofferenze».

 

Quei cinque anni raccontano di un’ascesa. E ha un certo valore simbolico che la prima stagione sia stata in serie B, e si sia conclusa con la promozione. Da capitano, Glik ha guidato il Toro al primo derby vinto dopo vent’anni. Si è conquistato l’affetto anche tirando bordate contro i rivali cittadini. Dicendo che se avesse segnato nel derby avrebbe fatto “tutta Torino di corsa”. O anche: “Della Juve non mi piace nulla”. Prima di una stracittadina, Ventura scherzò: «Ora è il killer di Baltimora, questa settimana in allenamento ha falcidiato tutti».

 

Quando pochi giorni fa ha scritto una lettera aperta ai tifosi granata, per ringraziare e salutare, ha usato frasi come: «C’è un po’ di malinconia dentro di me».

 

La solennità rituale della cerimonia a Superga, che officia da capitano.

 

Nel giro di poche settimane, la Polonia si è fatta valere agli Europei e il piccolo Piast Gliwice ha raggiunto un miracoloso secondo posto in Ekstraklasa. Soprattutto, Glik ha firmato col Monaco. Ha lasciato quella che era diventata casa sua, togliendosi quel granata che aveva sulla pelle prima ancora di saperlo.

 

Nel suo quartiere di Jastrzębie-Zdrój, Kamil va ancora spesso a trovare gli amici e ha fatto costruire un campo da calcio. Sua madre continua a vivere in una casa popolare del “complesso Amicizia”. Per spiegarne i motivi, il figlio ricorre a un’immagine: «È molto difficile spostare un vecchio albero, anche se è verso un posto migliore».

 

 

Tags : difensorikamil glikMonacotorino

Tommaso Giagni (Roma, 1985) ha pubblicato da Einaudi i romanzi L'estraneo (2012) e Prima di perderti (2016). Tra le antologie a cui ha partecipato: Voi siete qui (minimum fax, 2007) e La caduta dei campioni (Einaudi, 2020). Scrive per «L'Espresso», «Avvenire» e «l'Ultimo Uomo». Il suo ultimo romanzo è I tuoni (Ponte alle Grazie, 2021).

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