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Hanno ucciso Kondogbia
04 ott 2016
Chi sia stato non si sa.
(articolo)
10 min
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Ci sono delle questioni, che fanno parte del discorso calcistico generale, di cui non dovremmo tenere conto nel valutare le prestazioni di un calciatore. È dura, quando si parla di giocatori come Pogba, o su una scala completamente diversa Kondogbia, non farsi influenzare dalle aspettative che mercato e marketing hanno creato in noi senza che ce ne accorgessimo. Ma, in fondo, in campo ci vanno loro, non l’idea che ci siamo fatti di quello che dovrebbero essere, sulla base di quanto sono stati pagati, o di quanto se ne parla.

Ma ci sono almeno altre due premesse da fare, prima di parlare del brutto momento di Geoffrey Kondogbia. La prima è che in effetti Kondogbia sta giocando molto male e, temo, non ci siano le condizioni per giocare meglio nei prossimi tempi.

La seconda premessa è che il discorso calcistico, nonostante il rumore di fondo, è in realtà molto scarno. Ci accontentiamo di commentare pezzi di conferenze stampa che durano pochi secondi, allusivi ai limiti dell’ermetismo - specie se a parlare è un allenatore straniero che vive in Italia da neanche due mesi, e che, a giudicare dall’uso della congiunzione “y” e del pronome “el”, pensa che l’italiano sia più simile allo spagnolo di quanto non lo sia - e per quanto siano ammirabili gli sforzi di Franck De Boer di spiegarci una scelta che avrebbe avuto il diritto di compiere in ogni caso, il mondo di rapporti sottostante ci resta nascosto.

In che senso Kondogbia non ha ascoltato De Boer?

È pazzo e vuole far arrabbiare un allenatore nuovo che da quando è arrivato gli ha fatto giocare tre partite in tutto?

È duro d’orecchi poverino, non capisce?

Oppure è De Boer quello instabile, con una storia di giocatori vittimizzati (Kishna, Boilesen, adesso Brozovic e Kondogbia) tanto poi un diciottenne che obbedisca alle sue indicazioni lo trova sempre?

Non è che questa tradizione di allenatori che amano i giovani è una forma di autoritarismo?

De Boer si esprime sempre in maniera così forte, anche quando commenta, che ne so, un film?

È rigore morale o un carattere impulsivo?

È colpa della pressione?

È colpa nostra?

Finite le premesse, posso spostarmi dal terreno scivoloso delle relazioni umane a quello leggermente più stabile del campo. Farò presto, tanto Kondogbia ha giocato pochissimo.

Involuzione

La prima vera domanda che dobbiamo farci pensando al caso-Kondogbia è: per quanto tempo un calciatore può essere considerato giovane? De Boer ne fa una questione anagrafica (a 18 e non 23) propongo invece una classificazione che consideri l’età calcistica: i minuti giocati, a che livello, quanto abbiamo effettivamente visto di quel giocatore e quanto può ancora crescere.

Un giocatore che a 24 anni ha giocato solo 4 stagioni più o meno intere in campionati di diverso livello, con meno di 10 presenze in Champions League e una manciata in Nazionale, ad esempio, non può essere molto maturo, indipendentemente dal talento e dal valore economico.

La lenta discesa di Kondogbia nel giudizio di professionisti e tifosi rispetto a poco più di un anno fa è incomprensibile se si considera che il giocatore di cui stiamo parlando è oggettivamente sempre lo stesso. Non è cambiato di una virgola da quando è arrivato in Italia, anche se abbiamo conosciuto meglio i suoi difetti che i pregi. Eppure è netta l’involuzione delle sue prestazioni, che lo ha portato a dare il peggio nelle ultime due uscite contro Empoli e Bologna, in cui mi è sembrato ulteriormente involuto persino rispetto alle partite con Palermo e Chievo di fine agosto.

Tenendo da parte l’aspetto psicologico della faccenda (per quanto fondamentale, ma, come dicevo, Kondogbia non si esprime per non esporsi, i calciatori restano nei limiti delle loro icone sociali ed è difficile anche solo ricordarsi che sono uomini in carne e ossa) e un probabile calo di forma fisico, da questo “peggio” di Kondogbia si intuisce anche la forte incomprensione tecnica, e il disagio tattico, di cui è prigioniero.

Incomprensioni

Ad esempio, dovrebbe essere chiaro, per chi lo vede allenarsi tutti i giorni, che Kondogbia non sa giocare spalle alla porta. Con Mancini, a volte, giocava addirittura da centrale in un centrocampo a tre (scendendo tra i difensori proprio per non dover ricevere palla con l’uomo dietro), De Boer invece gli chiede di abbassarsi sulla linea di Medel, o di alzarsi su una linea più avanzata, ricevendo comunque con le spalle alla porta avversaria. È un problema tecnico, perché Kondogbia ha un primo controllo insufficiente e la palla non resta abbastanza vicina al suo corpo, né la sa proteggere con il corpo, ma anche puramente motorio, che gli rende complicato spostarsi lateralmente, figuriamoci girarsi.

Un’altra cosa abbastanza semplice da capire di Kondogbia, che Kondogbia non fa niente per nascondere, è che non solo non ama toccare la palla con il destro, ma, più in generale, che a destra fa più o meno tutto male. Non ha solo difficoltà a difendere con il proprio piede debole, come è normale aspettarsi (anche se è un dettaglio spesso sottovalutato), ma più in generale a coordinare il proprio corpo per giocare sul lato destro del campo. E se si somma questa difficoltà a quella tecnica nel giocare spalle alla porta, il risultato ottenuto è l’errore che porta al gol del Bologna una settimana fa (anche se credo abbia subito fallo).

Ma la difficoltà di Kondogbia a giocare sul lato destro del campo è palese anche nelle piccole cose. Ad esempio, a destra di Medel, Kondogbia non si smarcherà mai lateralmente per ricevere palla sul piede destro, al limite può muoversi in verticale creando una linea di passaggio e sperare di ritoccare palla più avanti.

Poi De Boer mette in campo un destro naturale come Gnoukouri e le cose, come per magia, si fanno subito facili.

Giocare semplice

Brevemente sulla questione sollevata da De Boer, secondo cui Kondogbia non avrebbe rispettato la sua indicazione di giocare in maniera semplice. Per Kondogbia, in quelle condizioni, è semplicemente impossibile. Proprio per i problemi “strutturali” descritti, Kondogbia è costretto ad assumersi dei rischi, tentando una giocata tecnica di livello superiore, quando gli avversari lo mettono alle strette. È l’aspetto più creativo del gioco di Kondogbia, le difficoltà tecniche di base lo costringono a colmare il gap con giocate che, quando le cose gli vanno bene, sono anche belle da vedere. Impedirgli di prendere questo tipo di rischi, paradossalmente, significa limitarne il talento a quelle cose che fa comunque male.

Contro Empoli e Bologna, in effetti, Kondogbia ha giocato molti palloni all’indietro ai difensori, l’errore che ha portato al gol di Destro fa parte di una casistica davvero ristretta di situazioni in cui ha provato a non limitarsi a fare da sponda. Anche se il campione statistico è molto piccolo, confrontando la media sui novanta minuti di questa stagione con tutte quelle passate, Kondogbia effettua meno passaggi in avanti (28.61 contro i 34.87 dello scorso campionato) mentre i dribbling sono raddoppiati rispetto alla stagione con Mancini (5.1 in media sui 90 minuti, cioè ben 17 tentati nelle 4 comparsate di questa stagione, contro 2.31) e quasi quadruplicati rispetto alle stagioni al Monaco e al Siviglia.

Quindi: più passaggi all’indietro e, anche se può sembrare contro-intuitivo, più dribbling. Contestualmente, sono aumentati i tackle andati a vuoto, un fondamentale che prima faceva parte dei “plus” di Kondogbia.

Snaturato

A questo punto penso di potermi permettere un salto interpretativo e arrivare alla logica conclusione del mio ragionamento: Kondogbia è un giocatore fuori posto, nella squadra e nel campionato sbagliato. Ci sono calciatori che hanno la fortuna di centrare la stagione giusta nella squadra giusta, ma ci sono anche quelli che compiono scelte di carriera sbagliate rovinandosi un anno o due, nel migliore dei casi, oppure, nel peggiore dei casi, perdendo il piacere di giocare a calcio.

L’Inter di Mancini era una squadra soprattutto fisica e credo che Kondogbia sia stato scelto considerando esclusivamente questo aspetto, senza tenere conto del contesto tattico e tecnico che gli premetteva di esprimere le proprie doti (anche quelle atletiche). Quello di De Boer continua ad essere un sistema poco fluido in cui si creano poche connessioni tra i giocatori, sopravvive solo chi è in grado di compiere scelte individuali difficili ad ogni azione tipo Banega, che sembra nato per la complicazione. Sugli esterni il lavoro è più semplice e meccanico (per centauri come Perisic e Candreva) ma in mezzo al campo è necessaria la mobilità, la tecnica e la creatività di giocatori come Banega, appunto, o Joao Mario, per ricevere palla e orientare un gioco che altrimenti non ha nessuna direzione.

Kondogbia non è questo tipo di giocatore, ha bisogno di compagni vicini a cui chiedere e dare un appoggio verticale. In questo senso, sì, è un giocatore semplice. Può giocare fronte alla porta in orizzontale, impostando anche con qualità, soprattuto nei lanci, se non viene pressato, ma senza riferimenti finisce immancabilmente per compiere scelte sbagliate.

Il ritmo verticale dell’Inter dipende dalle iniziative individuali, dalle corse che riescono a “conquistare” i vari Perisic, Banega, Icardi, mentre Kondogbia si troverebbe a proprio agio in un sistema fluido che preveda smarcamenti tra le linee e combinazioni a pochi tocchi. Senza la capacità di Joao Mario e Banega di ricevere palla spalla alla porta, o di trequarti, Kondogbia finisce a fare da secondo mediano vicino a Medel, bloccato nei suoi movimenti verticali e con poche opzioni si passaggio a disposizione.

Con il 4-3-3/4-2-3-1 di De Boer (con Banega che spesso si muove su una linea più alta rispetto all’altra mezz’ala, anche calpesta più campo di un normale trequartista) è venuta meno anche la possibilità di un secondo riferimento centrale oltre a Icardi a cui dare la palla sui piedi.

Kondogbia lega meno facilmente con i movimenti diagonali, a scendere o a salire, dal centro verso l’esterno o viceversa, di Banega e Joao Mario (è evidente guardando le mappe dei passaggi contro Empoli e nei minuti contro il Bologna) e non potendo guardare davanti a sé, quando ha la fortuna di giocare a sinistra, si limita a girarsi dalla parte in cui si sente più sicuro e a entrare in contatto con la catena laterale. Ci sono comunque incomprensioni su come vada giocata la palla, soprattutto perché il meccanismo degli esterni che entrano in mezzo al campo con i terzini che si alzano funziona ancora molto male (questo, indipendentemente da Kondogbia).

Anche in fase difensiva, Kondogbia dà il meglio difendendo in avanti (per questo, tra l’altro, non è adatto neanche a coprire la posizione di Medel), tagliando linee di passaggio e mettendo pressione al portatore di palla, piuttosto che marcando a uomo o coprendo ampie porzioni di campo all’indietro. Insomma, a Kondogbia servirebbe una squadra verticale e associativa, con distanze che si allungano come un elastico in cui possa anche portare palla sfruttando il suo fisico, ma senza gli isolamenti che l’Inter crea per liberare la potenza dei propri migliori giocatori.

Contro la Roma, Kondogbia si è scaldato ma non è entrato, ed è impossible leggere nei piani di De Boer. In questo pezzo ho cercato di capire negli errori di Kondogbia non per darne un giudizio definitivo, quanto per capirne i limiti all’interno di un contesto che gli richiede un adattamento forse impossibile. Ovviamente lui potrà giocare meglio di come ha fatto nelle ultime settimane, ma sarà necessario un salto di categoria tecnico e psicologico per imporsi con un allenatore che non considera parte dei propri compiti quello di nascondere i difetti dei propri è giocatori ed esaltarne le qualità.

Probabilmente ci aspettavamo un calciatore diverso e Kondogbia, senza volerlo e senza neanche rendersene conto, ci ha deluso prima ancora di mostrarci quello che vale. Ma non dobbiamo continuare a compiere lo stesso errore. Pretendere che i calciatori riescano a imporsi sempre e comunque, indipendentemente dal contesto, significa assegnargli poteri che non hanno. Riconoscere che i poteri di Kondogbia sono limitati potrebbe essere un primo passo per ricominciare ad apprezzarlo. E, magari, la prossima volta non ci cascheremo dall’inizio.

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