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Napoli e Fiorentina hanno mostrato la loro vera natura
11 apr 2022
11 apr 2022
La vittoria della squadra di Italiano è stata rivelatoria.
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Nella conferenza pre-partita di Napoli-Fiorentina, Luciano Spalletti aveva messo grossa enfasi sull’importanza del pubblico, che ieri riempiva tutti i circa 55mila posti a sedere di cui dispone il Maradona. «Lo stadio pieno è il pezzetto che ci mancava e domani l'avremo, se durante la gara avremo difficoltà basterà girarsi intorno e diventerà tutto facile». In effetti al Maradona c’era l’atmosfera dei momenti decisivi. La luce del sole d’aprile che filtra tra le tettoie dello stadio e taglia a metà il campo, il senso d’urgenza che il pubblico restituisce ad ogni singolo pallone toccato, la telecamera che vibra per la più piccola occasione, come se il rimbalzo della palla potesse scatenare un terremoto. Sarebbe bastato questo a dare al Napoli la spinta decisiva nella corsa Scudetto?


 

Tra l’ottavo e il dodicesimo minuto del primo tempo la squadra di Spalletti ha ben tre occasioni per raccogliere subito i frutti di tutta questa energia. All’ottavo, su un fallo laterale sull’esterno sinistro controllato pigramente da Venuti e Nico Gonzalez, Insigne chiude il triangolo aperto da Mario Rui servendolo sulla corsa. Il terzino portoghese arriva sulla linea di fondo, alza la testa e mette un diagonale basso e teso in area. Politano ha capito le intenzioni del compagno, ha già bruciato Biraghi sullo scatto, ma, arrivato all’appuntamento col pallone ai limiti dell’area piccola, calcia l’aria con il sinistro. Passa poco più di un minuto e la Fiorentina rischia ancora. Su una palla recuperata sulla propria mediana Koulibaly non ci pensa due volte: lancia lungo alle spalle della difesa viola, dove Insigne è scattato bruciando uno svagato Venuti. Il capitano del Napoli ha un buon angolo per tirare in porta, Terracciano è rimasto a metà strada, e in area sta anche accorrendo Osimhen, che si è infilato tra Milenkovic e Igor, ma il tentativo esce debole: una specie di pallonetto con il collo del destro che è decisamente troppo alto e finisce per rimbalzare sopra la rete come un bambino che si diverte in una pozzanghera.


 

Minuto 12, ancora occasione del Napoli per passare in vantaggio. Dopo una lunga fase di palleggio a centrocampo si crea un triangolo a centrocampo: Mario Rui verticalizza per Zielinski in una delle sue pochissime ricezioni tra le linee, il centrocampista polacco apre dopo il primo controllo per Insigne, e quest’ultimo cerca di nuovo il suo terzino sinistro che si è buttato in profondità tra Milenkovic e Igor. La palla esce un po’ corta ma Milenkovic in qualche modo viene ingannato dalla traiettoria e va a vuoto provando a ribatterla. Mario Rui controlla e poi serve solo in mezzo all’area Fabian Ruiz, che come lui era scattato in verticale sul lancio di Insigne. Il centrocampista spagnolo controlla il pallone e ha addirittura tre possibilità per permettere al Napoli di segnare: in orizzontale per Osimhen, che è riuscito a staccarsi da Biraghi, in diagonale per Politano, che sta per entrare in area, e alle spalle per Zielinski, che sta accorrendo da dietro. Il centrocampista spagnolo però per qualche ragione si confonde e non sceglie nessuno dei tre: il pallone come per magia arriva a Duncan, che quasi non se l’aspetta. Il Maradona grida NO! e chissà cosa pensa in quel momento Fabian Ruiz girandosi intorno e vedendo tutti quei tifosi che sta facendo disperare.


 


 

Non sembra esserci però troppo da preoccuparsi, il Napoli è in grado a creare occasioni con relativa facilità. Il pressing della Fiorentina, infatti, inizialmente sembra essere troppo alto ed esasperato per essere veramente sostenibile. Per pressare in parità la costruzione avversaria la squadra di Italiano chiede a Castrovilli di salire sulla linea di Cabral a prendere uno dei due centrali (di solito Koulibaly), e ad Amrabat di prendere in consegna il regista avversario, Lobotka. Con Duncan che prende in consegna Fabian Ruiz, da questo schema rimane escluso Zielinski, che teoricamente dovrebbe proprio muoversi alle spalle del centrocampo avversario per ricevere tra le linee: chi prende il trequartista polacco? Vincenzo Italiano non si fa troppi problemi a spezzare la linea difensiva e chiede a Milenkovic di andare a prenderlo alto per impedirgli di girarsi.


 


 

La mossa è l’equivalente pokeristico dell’all-in perché significa lasciare costantemente Igor in uno contro uno con uno degli attaccanti più veloci della Seria A, Victor Osimhen, che non vede l’ora di ricevere il più classico dei lanci spallettiani di prima ad attaccare il lato cieco. Sembra solo questione di tempo, e invece la Fiorentina tiene. Certo, il gioco di Italiano aiuta, perché i Viola sanno come difendersi semplicemente tenendo palla e il pressing del Napoli è troppo confuso per contendergliela davvero, ma forse sottovalutiamo le qualità individuali su cui si poggia. Ieri, ad esempio, di fronte a una partita che avrebbe mandato in crisi anche il più navigato dei centrali, che lo portava a prendere costantemente decisioni rischiose dove una frazione di secondo in più o in meno faceva la differenza tra un cartellino rosso da ultimo uomo e un anticipo vinto, Igor ha praticamente cancellato dal campo Osimhen. Manipolandolo nel duello corpo a corpo, recuperandolo in velocità da dietro, o anticipandolo alle spalle, vincendo ogni duello insomma, il centrale brasiliano è sembrato poter reggere sulle sue spalle l’intera linea difensiva. Al 64esimo, stremato da una partita che lo aveva sconfitto per quasi tutto il tempo, Osimhen è sembrato quasi aver paura del suo avversario e, in uno contro uno sull’esterno, ha preferito indietreggiare e ricominciare l’azione da dietro. Secondo i dati forniti da StatsBomb, Igor ha concluso la partita con 13 duelli difensivi vinti su 13 (5 contrasti e 8 intercetti), più di qualsiasi altro in campo: l’unica volta che Osimhen è riuscito a scappargli alle spalle il Napoli ha segnato.


 

Quando è successo, però, la partita gli era già sfuggita via dalle mani, persa per una mancanza di lucidità di fronte alla porta inquietante per una squadra che vuole competere per lo Scudetto e per un’incapacità strutturale di contendere il possesso alla squadra avversaria (un limite storico di Spalletti). Il gol di Nico Gonzalez che ha aperto la partita è un buon esempio. Tutto parte da una costruzione del basso insistita da parte della Fiorentina: il centrocampo del Napoli si divide la marcatura su Amrabat su cui prima va Lobotka e poi Fabian Ruiz. Quando la palla torna tra i piedi di Terracciano, il centrocampista spagnolo però prosegue la sua corsa e prova a pressarlo, ma quello trova un grande passaggio taglialinee verso Duncan, su cui è salito addirittura Rrahmani. Duncan, se volesse, a questo punto potrebbe appoggiarsi facilmente proprio su Amrabat, lasciato libero dalla pressione individuale di Fabian Ruiz, e invece si inventa un tocco di prima in verticale per Cabral (libero ogni volta che scendeva sulla trequarti a ricevere), che accompagna l’azione definitivamente verso l’area del Napoli.


 


 

Il resto del gol lo fa la perseveranza di Duncan, che dopo quel tocco si inserisce in area a raccogliere il cross troppo lungo di Venuti, e poi la freddezza di Nico Gonzalez che, lasciato troppo libero in area dalla difesa del Napoli, si inventa un tiro che è meno banale di quello che sembra. L’ala argentina deve prima controllare di petto in uno spazio minuscolo e poi mandare la palla precisamente sotto il sette, perché davanti ha Rrahmani che cerca di coprire lo specchio e sul palo ci si è messo intelligentemente Politano. Nico Gonzalez lo fa con un collo esterno che colpisce il palo e si infila in rete: quanti altri giocatori del Napoli ieri sarebbero stati capaci di fare lo stesso? Pochi minuti dopo Koulibaly riprova il lancio con cui aveva messo Insigne da solo davanti a Terracciano: questa volta è Mario Rui ad essere scattato in profondità. La traiettoria sembra essere troppo prevedibile ma Venuti, che sembrava essere perfettamente in controllo della situazione, calcola male il rimbalzo del pallone e si fa sfilare l’avversario alle spalle. Il terzino portoghese entra in area, con un attimo di calma potrebbe vedere che Osimhen si sta proponendo sul secondo palo e non sarebbe nemmeno così complesso da servire, invece prova a tirare una bomba sotto la traversa. NO! grida di nuovo il Maradona: Mario Rui si mette le mani nei capelli e si gira dall’altra parte forse più che altro per non dover guardare in faccia Osimhen, che vorrebbe darsi fuoco come un ribelle tibetano.


 

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La capacità di portare dalla propria parte i momenti della partita è una delle qualità che è richiesta a una squadra che ambisce a vincere un titolo, ma è una qualità intangibile, anzi forse sarebbe meglio dire invisibile, da cosa dipende? Dalla spinta del pubblico? Dalla capacità di creare occasioni nitide? Dal talento? Per non sapere né leggere né scrivere Spalletti al 56esimo mette Mertens al posto di un impalpabile Fabian Ruiz, e la differenza sulla trequarti tra lui e Zielinski si vede subito. Non è una questione di talento, perché quello del centrocampista polacco è fuori discussione, ma di classe: di sapere dove e quando ricevere, di come muoversi quando non si ha la palla, di cosa fare una volta che la si ha. Tra il 55esimo e il 58esimo il Napoli ha due grosse occasioni, una con Mertens e una senza. La prima, senza Mertens: Insigne punta Venuti sull’esterno sinistro, lo supera con un semplice cambio di direzione, ma quando alza la testa non ha opzioni semplici: Zielinski è in ritardo, Osimhen si muove troppo pigramente sul secondo palo, Lozano alle sue spalle non compensa andando sul primo. Igor intercetta l'ennesimo pallone.


 


 

La seconda, con Mertens. Si parte sempre con un possesso di Insigne sulla sinistra, ma più in basso. Tra le linee si propone proprio quando ne ha bisogno Mertens e questo già cambia tutto: Milenkovic infatti ha un attimo di indecisione nel capire se salire a prenderlo oppure scappare all’indietro, dove Osimhen gli sta scappando alle spalle. Insigne decide di prendere la scorciatoia e serve subito Osimhen, che a sinistra può puntare Igor per entrare in area.


 


 

L’attaccante nigeriano non ha opzioni in area, dovrebbe aspettare l’arrivo di Lozano oppure andare direttamente in porta: con la coda dell’occhio da dietro però vede l’arrivo di Mertens. Osimhen lo serve al limite dell’area per quello che è all’apparenza il più semplice dei tiri di prima. Solo guardandolo da dietro si noterà che Mertens l’ha fatta passare precisamente tra le gambe di Milenkovic, e solo così avrebbe potuto sorprendere Terracciano battendolo sul primo palo.


 

È il momento che sembra poter inclinare la partita e la corsa Scudetto dalla parte del Napoli. La squadra di Spalletti grazie alle ricezioni di Mertens tra le linee è più fluida in palleggio e non deve affidarsi solo ai lanci lunghi per le corse di Osimhen, e anche Lobotka sembra avere più un senso se ha qualcuno davanti a cui può associarsi senza dover ogni volta caricarsi tutto il peso di far risalire l’azione con una progressione in verticale. La Fiorentina, dopo aver pressato in avanti come un ossesso per 60 minuti, sembra essere in quel momento della partita in cui la vista le si annebbia e diventa più fragile.


 

Al 65esimo il Napoli imposta dal basso: Rrahmani alza la testa e serve Mertens che è sceso ancora una volta nel momento giusto nel cerchio di centrocampo. Igor per una volta è in ritardo e l’attaccante belga lo punisce servendo di prima in verticale Osimhen, che serve sull’esterno Lozano dopo aver portato fuori posizione Milenkovic. In mezzo alla difesa della Fiorentina si è creata un’autostrada a due corsie e chi la sta percorrendo? Mertens ovviamente. Lozano potrebbe servirlo di prima mandandolo in porta e invece perde l’attimo decisivo prima controllando il pallone e poi facendosi ribattere il filtrante da Biraghi. Meno di 40 secondi dopo Ikoné segna l’1-2 che ammazza la partita.


 

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Di fronte alla balbuzie del Napoli dalla trequarti in su fa impressione vedere la freddezza con cui la Fiorentina segna i due gol con cui chiude la partita, più dell’ordinato gioco di possesso e del pressing esasperato forse la vera impronta di Vincenzo Italiano su una partita che ha visto la sua squadra, secondo i dati di Alfredo Giacobbe, fare tre gol producendo appena 0.8 Expected Goals. «I ragazzi hanno sfruttato tutto quello che c’era da sfruttare, la concretezza di oggi a noi mancava, ero un po’ preoccupato», dirà l’allenatore di Karlsruhe dopo la partita. Due gol nati da situazioni in cui i suoi giocatori si sono liberati troppo facilmente di un avversario (Mario Rui nel primo, Lobotka nel secondo), in entrambi casi finalizzati con tiri estremamente difficili realizzati con una naturalezza da attaccanti di primissimo livello.


 

Prima della partita, parlando dell’importanza del pubblico, Luciano Spalletti aveva utilizzato una metafora presa dal mondo dei fumetti: «Lo stadio pieno è un mantello che ti avvolge, può farti diventare un supereroe». Oggi, dopo che il Napoli ha sprecato l’ennesima opportunità per darsi la spinta in classifica e con i tifosi azzurri inviperiti, può essere interessante tornare su quelle parole. Come ci ricorda il celebre monologo all’interno di Kill Bill, infatti, “Superman non diventa Superman, Superman è nato Superman”. Il mantello che indossa è in realtà la coperta che lo avvolgeva da bambino, e la S che è disegnata sul suo petto è il simbolo della sua famiglia kryptoniana. Superman non indossa il mantello perché gli dà un qualche superpotere ma perché è parte integrante della sua identità. “Quando Superman si sveglia al mattino è Superman” e Superman ha la tuta rossa e blu, e un mantello sulle spalle. Solo quando deve confondersi tra gli esseri umani Superman si traveste da Clark Kent, un uomo insicuro e poco riconoscibile.


 

Ieri nel momento decisivo della stagione, con la pressione di 55mila tifosi addosso, Napoli e Fiorentina erano chiamate a togliersi i vestiti da Clark Kent e mostrare chi fossero davvero. Entrambe hanno mostrato la loro vera natura.


 

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