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Dario Saltari
Guida al Verona 2022/23
12 ago 2022
12 ago 2022
La squadra veneta ricomincia da zero un'altra volta.
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Dario Saltari
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Davide Casentini/LiveMedia/NurPhoto via Getty Images
(foto) Davide Casentini/LiveMedia/NurPhoto via Getty Images
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Piazzamento lo scorso campionato:

Chi in più: Thomas Henry (Venezia), Josh Doig (Hibernian), Milan Djuric (Salernitana), Roberto Piccoli (Atalanta), Alessandro Cortinovis (Atalanta);

Chi in meno: Nicolò Casale (Lazio), Matteo Cancellieri (Lazio), Gianluca Caprari (Monza), Daniel Bessa (Ittihad Kalba), Mert Cetin (Lecce), Kevin Ruegg (Young Boys);

Una statistica interessante dalla scorsa stagione: Molto si è detto dell’eredità di Juric riguardo al sistema di pressing del Verona (che comunque, secondo i dati di Alfredo Giacobbe, ha concluso il campionato quarto per PPDA e secondo per recuperi palla offensivi a partita), un po’ meno della qualità del suo reparto offensivo. L’anno scorso l’Hellas ha avuto il quinto miglior attacco del campionato (dietro Inter, Lazio, Napoli e Milan) pur essendo solo undicesima per xG prodotti. Solo la Lazio e il Napoli hanno battuto le aspettative più del Verona, che ha segnato oltre 10 gol più di quanto prodotto in termini di xG. Nessun’altra squadra ha segnato di più in relazione al numero di tiri in porta (0.37 gol ogni tiro in porta).

È difficile da credere oggi, ma solo un anno fa il Verona era nel caos. L’allenatore che aveva portato il club nella classe media della Serie A, Ivan Juric, aveva deciso di cambiare aria accettando l’offerta del Torino, e al suo posto Eusebio Di Francesco era sembrato fin da subito un treno a fine corsa. Ancora prima che la stagione iniziasse c’era l’impressione che l’allenatore croato avesse portato una rosa sostanzialmente modesta oltre le proprie possibilità (un nono e un decimo posto), e in più il Verona, nelle due stagioni della sua gestione, aveva venduto quasi tutti i giocatori che avevano fatto le fortune di quella squadra. Prima Amrabat alla Fiorentina e Rrahmani al Napoli, poi Kumbulla alla Roma, infine, nell’estate che aveva seguito l’addio di Juric, Lovato all’Atalanta e soprattutto Zaccagni alla Lazio. Di fronte a questa rivoluzione permanente come avrebbe fatto un allenatore che veniva da uno score di 16 partite consecutive senza vittoria, cioè Di Francesco, a tenere tutto insieme? Non aiutava a far evaporare lo scetticismo anche il mercato in entrata di quell'estate, che aveva portato a Verona giocatori che pensavamo avessero ormai dato tutto alla Serie A, e cioè poco. Giovanni Simeone dal Cagliari, Kevin Lasagna dall’Udinese, Gianluca Caprari dalla Sampdoria. Se si esclude Antonin Barak, su cui c’erano ancora delle legittime speranze, anche sull’infornata di giovani arrivati all’Hellas in maniera apparentemente randomica (Ivan Ilic dal Manchester City, Mert Cetin e Matteo Cancellieri dalla Roma, Martin Hongla dall’Anversa) era difficile farsi un’idea chiara.

L’inizio della scorsa stagione sembrava aver confermato tutti i nostri pregiudizi su questa nuvola di incertezza. Le sconfitte consecutive nelle prime tre giornate di campionato contro Sassuolo, Inter e Bologna avevano portato lo score di Eusebio Di Francesco a 19 partite consecutive senza vittoria (eguagliando il record negativo della Serie A detenuto da Mimmo Di Carlo) e convinto il presidente Setti a tagliare il nodo gordiano, esonerando subito dopo la prima pausa per le Nazionali l’allenatore a cui aveva affidato tutta la preparazione al campionato. Al suo posto Igor Tudor, che fino a quel momento aveva avuto una carriera enigmatica. Risultati alterni tra Hajduk Spalato, PAOK, Karabukspor (squadra neopromossa turca) e Galatasaray, poi l’esperienza grigia all’Udinese (dopo due salvezze da subentrato, verrà esonerato nella stagione 2019/20 dopo un brutto inizio di campionato), infine l’incomprensibile scelta di seguire Andrea Pirlo da viceallenatore della Juventus, conclusa in maniera ancora più incomprensibile (dopo l’esonero, l’allenatore croato dichiarò polemicamente che «Andrea mi scelse, ma poi mi mise sullo stesso piano di Baronio [che teoricamente era solo un collaboratore tecnico, nda]»). Alla fine di questa tribolata carriera, sembrava impensabile che Tudor, con pochissimo tempo a disposizione, potesse avere le capacità di riportare il Verona dove lo aveva portato Juric, tanto più che due dei tre gol segnati in quelle prime tre sconfitte consecutive erano stati realizzati da Mattia Zaccagni, che era stato venduto l’ultimo giorno del calciomercato.

E invece, in quel modo inspiegabile che solo il calcio sa avere, la stagione del Verona è cambiata fin da subito, dalla vittoria di prestigio contro la Roma cioè, che ha segnato l’inizio dell’esperienza di Tudor sulla panchina scaligera e che in un certo senso la contiene tutta. Una partita cominciata dovendo rimontare l’incredibile gol di Lorenzo Pellegrini, nato da un inserimento dalla seconda linea che forse non avrebbe sorpreso il Verona di Juric, si è conclusa con una pioggia d’occasioni che sarebbero potute trasformarsi anche in qualcosa di più dei tre gol finali.

Da quel momento il Verona è sembrato come una versione spensierata della squadra di Juric: certo, con la stessa struttura tattica fatta di marcature a uomo, difesa in avanti e intensità, ma con una creatività e una fluidità nell’ultimo quarto di campo nuova, da squadra che ambisce a una qualificazione europea più che alla semplice permanenza in Serie A. «In fase difensiva mi sono appoggiato tanto al lavoro che è stato fatto nei due anni scorsi», ha ammesso nella prima parte della stagione Igor Tudor, a cui però va dato il grosso merito di aver superato la natura meccanica e spesso prevedibile della squadra di Juric in fase offensiva. “Il Verona, da squadra arcigna ma arida offensivamente, è diventata una macchina da gol”, ha scritto Jacopo Azzolini in un pezzo sull’Ultimo Uomo in cui traspare un legittimo stupore. Dopo la vittoria contro la Roma non sono mancate altre vittorie con le prime squadre del campionato, tra cui un 4-1 contro la Lazio, un 2-1 contro la Juventus e un 1-2 contro l’Atalanta.

Nel calcio il rapporto tra collettivo e singoli è paragonabile alla domanda se sia nato prima l’uovo o la gallina, e per questa ragione sarebbe illusorio decidere in maniera manichea se sia stato il lavoro di Tudor ad esaltare i suoi giocatori offensivi o se se sia stata la crescita di quest’ultimi ad aiutare Tudor. Fatto sta che dentro la rinascita del Verona sono avvenute le ancora più miracolose rinascite di giocatori su cui quasi tutti avevano perso le speranze, e cioè Gianluca Caprari e Giovanni Simeone, vere e proprie colonne portanti dell’ultima stagione. Il primo, dopo una carriera incolore che sembrava non dovesse portare a niente, “ha fatto cambiare idea a molte persone che pensavano di aver già inquadrato il suo talento entro limiti ben precisi”, come ha scritto Daniele Manusia commentando il premio AIC di miglior giocatore della Serie A vinto a gennaio. Caprari al Verona semplicemente ha ribaltato tutto quello che pensavamo di sapere su di lui, diventando “un giocatore ostinato, quantitativo, che prova cose difficili e se non gli riescono – perché spesso non gli riescono – ci riprova poco dopo”. Quel numero 10 dal talento vagamente sudamericano che i più sognatori intravedevano quando aveva ancora vent’anni.

Se la stagione di Caprari è stata sorprendente, quella di Simeone è stata letteralmente allucinante. Quello che pensavamo essere solo un attaccante di fatica, che si esaltano rincorrendo la palla più che spingendola in rete, ha chiuso il suo anno a Verona con 17 gol e la migliore efficienza realizzativa del campionato tra gli attaccanti con almeno venti tiri e più di cinque non-penalty goals (16 npg da 11.4 xG). Se, come scritto in apertura, il Verona è stata una delle squadre che ha battuto più le aspettative per quanto riguarda la trasformazione delle occasioni in gol, il merito è soprattutto suo. La sua stagione ha vissuto dei picchi che sembravano davvero frutto di un’allucinazione, come per esempio il poker rifilato alla Lazio che ci portò a chiederci, quasi senza credere alle nostre stesse parole, se Simeone non fosse diventato improvvisamente un cecchino.

Non troppo sorprendentemente, viste le sue ultime sessioni di calciomercato, i primi dirigenti a non credere a questa apparente allucinazione sono stati proprio quelli del Verona, che per la terza estate di fila si sono privati dei propri giocatori migliori senza farsi troppo problemi. Via Casale, che alla Lazio dovrà dimostrare di poter difendere anche in una difesa a zona, via Caprari, ceduto al Monza in prestito con obbligo di riscatto condizionato alla salvezza, via probabilmente anche Simeone, fuori squadra da settimane in attesa che si concretizzi l’estenuante trattativa con il Napoli. Per non farsi mancare niente anche Barak, per cui si continua a parlare insistentemente di una trattativa col club azzurro, è stato messo in panchina, e nelle prime uscite stagionali è apparso molle e svogliato, forse davvero con la testa già altrove (pochi giorni fa ha addirittura parlato con nostalgia di Lecce, dove ha detto di voler chiudere la sua carriera). Il Verona, insomma, è quasi letteralmente un’altra squadra rispetto alla scorsa stagione, e qualcuno ipotizza che per questo Cioffi e il DS Marroccu siano già ai ferri corti. È possibile vendere ogni anno i giocatori migliori e rimanere su alti livelli, rendere il miracolo degli scorsi anni la normalità? Sono bastate tre ottime stagioni per ribaltare completamente la nostra percezione sul Verona: da squadra modesta portata in posizioni di classifica impensabili dal talento di un allenatore, a rappresentante della classe media che può continuare a navigare a largo delle acque della lotta salvezza anche con il pilota automatico.

In questo senso, il compito di Gabriele Cioffi è arduo molto al di là delle sfide tattiche che lo attendono sul campo. L’allenatore fiorentino è arrivato a Verona dopo un percorso molto più lungo di quanto la sua breve esperienza all’Udinese non dica. Dopo una carriera da calciatore da «energumeno da Serie C», come lo ha definito fin troppo onestamente Walter Sabatini, Cioffi pur di fare esperienza in panchina ha cominciato un lungo girovagare per il mondo che lo ha portato ad allenare l’Al-Jazira, come assistente di Herik ten Cate, poi il Birmingham, come assistente di Zola, infine l’Al Dhafra, di nuovo ad Abu Dhabi. Se si esclude l’iniziale esperienza al Gavorrano, la sua prima panchina da primo allenatore arriverà nella quarta serie inglese, al Crawley Town, dove ottenne la prima vittoria di sempre nella storia del club contro una squadra della prima serie (il Norwich, in Coppa di Lega). «Il percorso è stata una delle chiavi che ha permesso a me e allo staff di fare bene a Udine, dove ci sono calciatori stranieri, culture diverse», ha detto Cioffi nella conferenza stampa di presentazione al Verona. L’allenatore fiorentino pubblicamente si è dimostrato comprensivo nei confronti della strategia di mercato del suo nuovo club, perché «certe società non pagano gli stipendi se non vendono, e di conseguenza si vende chi fa bene», ma ha anche riconosciuto di essere di fronte a «una salita bella ripida».

Come Igor Tudor l’anno scorso, anche Cioffi ha riconosciuto l’importanza del lavoro fatto da Juric in fase difensiva, dichiarando di non volersi discostare dai principi installati a Verona dall’allenatore croato. Sul campo, però, i gialloblù sono apparsi più diversi di quanto le parole del loro allenatore non dicano. In queste prime uscite stagionali il Verona sembra infatti aver sfumato il suo atteggiamento senza palla, difendendo posizionalmente con un blocco medio-alto che scatta in avanti con i riferimenti sull’uomo solo all’innescarsi di alcune situazioni specifiche, come la palla sull’esterno basso o il retropassaggio al portiere. Questa nuova interpretazione ha costretto i giocatori a valutazioni più complesse: i centrocampisti, ad esempio, adesso sono chiamati a muoversi anche in relazione al pallone e a guardarsi le spalle per schermare efficacemente lo spazio, i difensori devono scegliere con più accortezza i momenti in cui rompere la linea e uscire aggressivamente tra le linee. Al momento questi nuovi compiti sembrano ancora lontani dall’essere digeriti. Già nelle amichevoli contro Hoffenheim e Cremonese, in cui complessivamente il Verona ha subito sei gol, si era vista una grossa difficoltà nel difendere i mezzi spazi, soprattutto per un’apparente mancanza di chiarezza tra i tre centrali nella divisione delle marcature, e l’imbarazzo è diventato lampante nella prima partita ufficiale della stagione, il turno di Coppa Italia contro il Bari perso malamente in casa per 1-4.

L’azione da cui nasce il momentaneo pareggio del Bari dice molto delle attuali difficoltà difensive del Verona. Tameze è portato fuori posizione da Folorunsho, che poi segnerà effettivamente il gol, Dawidowicz è in ritardo a uscire nel mezzo spazio, dove comunque il Bari ha creato superiorità. La squadra pugliese arriva in area con la difesa di Cioffi disordinata e in inferiorità numerica.

Anche in fase di possesso il Verona è molto diverso rispetto alla scorsa stagione. In assenza di giocatori creativi sulla trequarti come Caprari e Barak, Cioffi ha deciso di tornare a un 3-5-2 estremamente diretto in cui solo Ilic può davvero dare la pausa. Nella costruzione dell’azione la difesa cerca di coinvolgere il centrocampo il meno possibile e di arrivare alle punte in maniera diretta, spesso anche con lanci lunghi. Sotto questa luce vanno letti gli investimenti sui tre enormi attaccanti arrivati quest’estate - Thomas Henry, Milan Djuric e Roberto Piccoli - nessuno sotto il metro e novanta. Tra i tre il belga sembra essere il preferito per adesso, forse per il suo ottimo gioco spalle alla porta che potrebbe portarlo ad associarsi spesso con Ilic sulla trequarti, ma nel corso della stagione le gerarchie potrebbero cambiare. Più sorprendente per adesso è il riciclo di Kevin Lasagna, un attaccante nato per attaccare la profondità e i cui tagli interno-esterno saranno vitali per questo stile di gioco. L’attaccante mantovano è apparso incredibilmente affilato in questo pre-campionato segnando quasi tutti i gol del Verona, compresa una doppietta fantascientifica contro l’Hoffenheim che ha rievocato i tempi di Carpi.

In attesa che arrivi qualcun altro dal mercato, Cioffi per arricchire la rosa dovrà pescare tra i molti giovani arrivati tra questa sessione e le ultime. Al centro del campo l’allenatore fiorentino ha subito dato grande fiducia a Martin Hongla, regista camerunese con un ottimo gioco senza palla e una sensibilità tecnica raffinata. Più in avanti nella stagione potrebbero arrivare altre sorprese. Nella conferenza di presentazione Cioffi ha citato i nomi di Filippo Terracciano e Diego Coppola, cresciuti nel fiorente vivaio del club veneto e aggregati alla prima squadra (in realtà Coppola aveva già esordito nella scorsa stagione), su cui però è difficile farsi un’idea adesso. Più formato il nuovo acquisto scozzese Josh Doig, promettente terzino sinistro dal grande atletismo come nella migliore tradizione britannica e con un sinistro puntuale per i cross dalla trequarti. Dato che Lazovic è apparso un po’ opaco in queste prima uscite chissà che non possa essere lui una delle sorprese di questa squadra. A centrocampo, invece, proprio per la mancanza di creatività sulla trequarti, potrebbe ritagliarsi un suo spazio Alessandro Cortinovis, in prestito dall’Atalanta. Dopo una prima stagione tra i professionisti nient’affatto scontata (oltre 1400 minuti giocati, un gol e due assist in una squadra, la Reggina, che in Serie B è arrivata 14esima), Cortinovis ha grande ambizioni tecniche, per esempio nell’uso quasi affettato della suola, e una visione di gioco che sembra avere grandi potenzialità. Pensare che possa avere un impatto sulla Serie A fin da subito forse è prematuro, ma sarà interessante seguire la sua crescita.

In una società che sembra aver imboccato senza guardarsi indietro la via della rivoluzione permanente, in ogni caso, Gabriele Cioffi non sembra avere grande scelta: o si confermerà quell’allenatore che abbiamo intravisto a Udine in grado di far schiudere talenti ancora acerbi, oppure la sua peregrinazione andrà avanti. Il Verona è una delle squadre che ha lanciato più giocatori nell’alta Serie A negli ultimi anni ed evidentemente vuole continuare ad esserlo, con o senza di lui.

Migliore scenario possibile

Dopo tre sconfitte di fila nelle prime tre giornate il presidente Setti sembra sul punto di esonerare Cioffi ma alla fine, inspiegabilmente, ci ripensa. Da quel momento la stagione del Verona cambia completamente. Cioffi fa all-in sulla sua identità, lasciandosi finalmente alle spalle l’eredità di Juric. Il Verona difende bassissimo e riparte quando meno ce lo si aspetta in maniera letale. Hongla stupisce, Tameze diventa un centrocampista box-to-box desiderato in tutta Europa, Doig è il nuovo Hickey e Lasagna finisce a una sola distanza dal capocannoniere del campionato, Beto, segnando 28 gol. La squadra di Cioffi nel girone d’andata distrugge Juventus, Lazio e Inter, ma la vittoria più significativa è quella al ritorno in casa contro il Torino, alla fine della quale l’allenatore del Verona finisce alle mani con Juric per una polemica su un rigore non assegnato all’ultimo minuto. Quell’1-0 sarà fondamentale per la storica qualificazione in Conference League al Verona, che realizzerà dieci punti in più rispetto al campionato precedente. Davanti ai microfoni, immediatamente dopo la fine dell’ultima giornata a San Siro contro il Milan, Cioffi quasi in lacrime annuncia di aver accettato l’offerta della Juventus per la stagione successiva.

Peggior scenario possibile

Dopo tre sconfitte di fila nelle prime tre giornate il presidente Setti esonera Cioffi, imbufalito per le sue parole sibilline sul mercato. Dalla Turchia arriva Francesco Farioli, promettente tecnico italiano svincolatosi dall’Alanyaspor, ma la magia non si ripete. Il Verona rimane una squadra fragile e confusa, esattamente come con Cioffi. Henry si infortuna, Piccoli non riesce a sostituirlo degnamente e anche Barak, impalpabile per tutta la prima metà della stagione, alla fine viene ceduto al Monza. A marzo il Verona è terzultimo ed è costretto a richiamare Cioffi. Le cose, però, non migliorano. Il 14 maggio, al Bentegodi, arriva il Torino di Juric in corsa per la qualificazione alla prossima Conference League ed è un massacro: finisce 0-5 con l’allenatore croato che esce tra i fischi assordanti dello stadio bestemmiando, espulso dopo aver protestato per un rigore non concesso. Il Verona sembra spacciato ma a quel punto, inspiegabilmente, ha uno scatto di orgoglio. Pareggia in extremis con Atalanta e Empoli, e le sue speranze sono aggrappate a un’improbabile vittoria all’ultima giornata contro il Milan. La squadra di Pioli è in corsa con l’Inter per il secondo scudetto consecutivo e le basterebbe un pareggio ma una papera inspiegabile di Maignan all’89esimo fa scendere San Siro all’inferno. Il Verona è fatale di nuovo, ma salvo.

Giocatore chiave

In una stagione che si preannuncia di grande sofferenza difensiva, molte delle fortune del Verona passeranno per le mani del suo portiere, che sarà ancora una volta Lorenzo Montipò. L’anno scorso il Verona è stata la squadra della Serie A con la peggiore differenza tra post shot expected goals e gol effettivamente subiti (-7.9), con la sola eccezione della Salernitana. Se Cioffi non riuscisse a far rendere l’attacco come ha fatto Tudor la scorsa stagione, Montipò sarà chiamato a un impegnativo salto di qualità.

Giocatore da prendere al Fantacalcio

E se la magia che ha reso Simeone uno dei migliori marcatori della Serie A fosse rimasta a Verona? Se siete dei veri sognatori piazzate la scommessa Lasagna che, venendo da una storia di percentuali realizzative horror, non dovrebbe costarvi più di pochi crediti. Se invece fate il Fantacalcio con il cervello più che con il cuore allora Thomas Henry potrebbe essere l’attaccante che fa per voi. Sotto le protezioni palla a centrocampo e i meme sul suo cognome si nasconde una delle migliori efficienze realizzative del campionato. La scorsa stagione 7 non penalty goals da 5.4 Expected Goals: nella trasformazione delle occasioni da gol hanno fatto meglio di lui, tra gli attaccanti con almeno venti tiri e più di 5 npg, solo Deulofeu e, per l’appunto, Simeone.

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