
EMILIANO BATTAZZI (@e_batta):
Mi sembra ci sia un'aria strana intorno al Napoli, e che sia dovuta non solo alla mancata qualificazione alla fase a gironi della Champions League. Qualcosa che non trovava grandi appigli per emergere...fino a quando non è arrivato l'Athletic Club. Il vero, grande bersaglio, mi sembra, ma io non vivo la città, è il Presidente De Laurentiis. A questo punto, io vorrei calare subito l'asso di cui dispongo: Luciano Gaucci, storico presidente del Perugia. Lo so, ho esagerato, ma è meglio andare subito al sodo. Un personaggio che io affiderei alla penna di Emmanuel Carrère, un uomo che ricorderemo sempre per quel litigio così kitsch con Matarrese. Ecco, Luciano Gaucci, è stato anche un presidente (ombra) del Napoli, o almeno pensava di esserlo. Nell'estate del 2004, pochi giorni dopo il fallimento della Società, decretato dalla VII sezione del Tribunale di Napoli. Non ho mai ben capito se il suo accordo con il Tribunale valesse sul serio, ma un accordo c'era, e il suo Napoli in una dimensione parallela è esistito. Aveva un allenatore, un direttore sportivo, una rosa un po' approssimativa e persino un ritiro in Toscana. Poi è arrivato Aurelio De Laurentiis, e il Napoli se l'è preso davvero, o almeno il titolo sportivo. Nel timore di essere frainteso, chiarisco subito che non basta aver evitato alla città di Napoli uno come Gaucci; e non basta aver preso la squadra dalla serie C ed averla portata fino alla Champions League. Però sono passati proprio dieci anni, e un piccolo bilancio si può fare.
E si può parlare, ad esempio, della dimensione europea che il Napoli ha raggiunto: quella di questa stagione è la sesta partecipazione nelle competizioni europee, dal cambio di proprietà. In pratica significa che dopo Inter, Juventus, Milan e Roma, nelle ultime 10 stagioni, nessuno è stato così presente in Europa come il Napoli. Non penso fosse un obiettivo davvero così facile, visto nel settembre del 2004. In Italia, nello stesso arco temporale il Napoli non è stato da meno: 3 piazzamenti nelle prime tre posizioni del campionato, due Coppe Italia vinte. La sensazione, però, da fuori, è che al Napoli di ADL, in questo momento, manchi qualcosa; che serva uno slancio per superare i propri limiti. Ti confesso che ero abbastanza convinto ci fosse riuscito l'anno scorso: un grande allenatore "europeo" (per stile di gioco) come Rafa Benítez, uno dei centravanti più forti nel panorama mondiale come Higuaín, e poi altri acquisti di livello internazionale (Reina, Albiol, Mertens, Callejón). Mi sbagliavo, forse non del tutto, visto il percorso della squadra in Champions League (ha giocato e lottato alla pari, ripeto alla pari, con Borussia Dortmund e Arsenal). Alla fine è stata una buona stagione, sarebbe stata grande con un cammino più prolungato in Champions o anche in Europa League. Però più ci penso, più non riesco a capire cosa dovrebbe fare la proprietà per dare nuova linfa vitale all'ambiente.
Va detto però che quest'estate la campagna acquisti è stata deludente... Il Napoli aveva un grande problema, quello di inserire una presenza forte a centrocampo, un giocatore guida, che fosse anche in grado di coprire gli errori di una difesa non impeccabile. Però Mascherano ha rinnovato con il Barcellona per quattro stagioni con tanto di clausola rescissoria da 100 milioni di euro, Xabi Alonso è andato al Bayern che ha pagato ben 10 milioni di euro al Real Madrid, e circa 7 all'anno ne darà al giocatore. Insomma, non erano di certo questi gli obiettivi possibili.
ALFREDO GIACOBBE (@la_maledetta):
Chi dice che Napoli è una piazza difficile dove fare calcio non conosce la piazza di Napoli. Sic et simpliciter. I tifosi napoletani, almeno per come li conosco (io “vivo la città”), si possono dividere in tre macro categorie: ci sono gli Ottimisti a prescindere (li riconosci dalla sicurezza con la quale esclamano: “Stasera vinciamo!” ed un secondo dopo: “Ma con chi giochiamo?”); esistono i Complottisti (sono quelli che girano in cerca di capannelli di tifosi per predicare: “Ancora non avete capito che il giocattolo si è rotto?”); infine i Nostalgici (quelli che iniziano con: “Quando ci stava Maradona…” segue una sfilza di statistiche di difficile confutabilità e lunga lista di miracoli ascritti al Diez). Ma ciò che accomuna tutti i tifosi è la generosità. Come il Barcelona FC è “Mes que un Club”, più che una società, è “l’esercito non armato della catalanità”, allo stesso modo il Napoli è un’arma di riscatto. Il coro “Devi vincere”, urlato da ogni settore dello stadio, non è un imperativo categorico, una richiesta vincolante; è piuttosto il segnale di aggregazione di gente che vive normalmente tra le divisioni e le contraddizioni di una città dove ricchezza e povertà, nobiltà e barbarie, allegria e tristezza vivono sullo stesso piano. Se si salva la faccia, se ci si è dati anima e corpo, se si è appunto generosi tutti, si può anche perdere. Ed è questa la chiave con la quale leggere anche il rapporto tra tifoseria e società. Ciò che viene contestato al Presidente (mai nominato dai tifosi, se non attraverso la sua carica) è un eccesso di calcolo che non farà mai breccia nel cuore di questi tifosi.
Gli scatti d’ira in diretta TV, le cerimonie sfarzose al largo del golfo di Napoli, le fughe in scooter – lui, imprenditore del cinema, che emula le “Vacanze romane” – dalla sede del sorteggio dei calendari, non fanno più simpatia; anzi sono episodi ormai catalogati come una precisa strategia comunicativa. Non siamo ancora arrivati al “Ferlaino vattene”, urlato prima di ogni altro coro, prima di ogni evento; ma il clima avvelenato ricorda quel periodo storico.
ADL – ma questa è la mia opinione – ovvero l’uomo che ha “lasciato Hollywood per salvare il Napoli”, sta seguendo un copione ben noto ai tifosi per delegittimare Rafa Benítez, l’allenatore che lui stesso ha voluto per inaugurare l’alba del nuovo quinquennio post-Mazzarri. L’allenatore spagnolo è in scadenza di contratto e ormai nessuno ha speranze circa il suo rinnovo, perché la distanza tra i due è diventata incolmabile. Un anno fa Benítez è stato portato a Napoli perché innescasse un cambio di mentalità a 360 gradi. Con questo mandato lo spagnolo ha chiesto la costruzione di un centro sportivo all’avanguardia, con tre campi regolamentari, palestre per il potenziamento fisico, piscine per il recupero degli infortunati e residenze per tenere vicino alla prima squadra tutte le squadre giovanili, attualmente sparse in tutta la regione. Cantieri, ad oggi, a Castelvolturno non se ne sono visti. Il Presidente in un’intervista parla di società ricche ed irraggiungibili, in quella successiva di scudetto; in una comunicazione schizofrenica che ha l’effetto di dividere, non quello di unire. Benítez ha chiesto rinforzi dal mercato: ancora oggi i tre attori principali di questa commedia poco romantica (ADL, allenatore e direttore sportivo Bigon) non chiariscono se il tecnico sia stato accontentato o meno, quali erano gli obiettivi di inizio estate e se questi sono stati o no raggiunti.
EMILIANO BATTAZZI:
Non so se mi sto costringendo a vedere solo il lato positivo della situazione del Napoli, ma il catastrofismo che leggo in giro, dopo il pareggio con il Palermo, inizia a sembrarmi esagerato. Le accuse di cialtronaggine sparse un po' a casaccio, Benítez trattato in malo modo, e poi questo incredibile spettro del "mercato sbagliato" che gira intorno al Napoli e chissà fino a quando volteggerà sulla città. Per valutare sul serio la campagna trasferimenti del Napoli bisogna prendere in considerazione la prima stagione del nuovo corso tecnico: andò via Cavani per una cifra record (circa 64 milioni di euro), e con quell'ammontare si rinforzò la squadra in tutti i reparti. L'acquisto di Higuaín, ad esempio, e parliamo di uno dei centravanti più moderni al mondo per capacità non solo di segnare ma di fare diverse cose sul fronte d'attacco (tipo lo splendido assist a Callejón per il gol contro il Sassuolo). Albiol sarà pure il re delle gaffe quando parla dei canguri in Austria o quando candidamente afferma di non ricordare l'ultimo libro letto, però è un ottimo centrale difensivo che ha vinto tutto con la Spagna, per la quale ha giocato quasi 50 partite. Callejón era molto sottovalutato in patria, ed abbiamo visto invece che si tratta di un ottimo giocatore; Mertens, poi, a me piace da impazzire; e ce ne sarebbero altri. Insomma, sto parlando molto dell'anno scorso perché vorrei far passare questo concetto: il mercato del Napoli, evidentemente, non è fatto da incapaci. Benítez stesso è un grande scout, lo è sempre stato, e grazie ai suoi contatti è in grado di seguire un numero smisurato di giocatori.
Uno di questi, ad esempio, è David López, il centrocampista acquistato dall'Espanyol. Da quello che ho visto, e letto, potrebbe essere il giocatore perfetto per il Napoli: dinamico nonostante la grande prestanza fisica, non perde un contrasto, perfetto nella salida lavolpiana e ottimo anche nel lancio lungo. Certo non è un giocatore per l'immediato: dovrà entrare nei meccanismi della squadra, dovrà ambientarsi, ci sono tante variabili che incidono sulle prestazioni di un giocatore al suo primo anno in nuova squadra. Capisco la delusione dei tifosi napoletani: forse qualcuno più pronto l'avrei inserito, magari anche un po' più in avanti con l'età. Soprattutto, mi sembra che i problemi della squadra siano così concentrati in zone specifiche (il doble pivote e il centrale da affiancare ad Albiol), che con un piccolo sforzo, magari anche solo su due giocatori, si sarebbe potuto sistemare molto.
Invece in difesa è arrivato Koulibaly, un grande prospetto, una forza fisica spaventosa, uno che prova spesso l'anticipo, ma che al primo anno in Serie A inevitabilmente qualcosa dovrà imparare. A centrocampo è arrivato De Guzmán, un cognome che a Napoli ha un certo peso storico (come il viceré della città a fine Cinquecento), molto dinamico, abituato al gioco di posizione e alla pressione alta sul portatore avversario (è il pupillo di Michael Laudrup, che l'ha allenato prima al Mallorca e poi allo Swansea). Michu poi è una bella scommessa, ma è uno che nel ruolo un po' ibrido di falso nove-centrocampista offensivo ha segnato molto sia nel Rayo Vallecano che nello Swansea.
Il problema vero di questo mercato è che il Napoli corre il rischio di essersi indebolito nell'immediato, sopratutto dopo che Pepe Reina, il portiere perfetto per Benítez (visione di gioco, qualità tecnica, uno dei migliori con i piedi), ha deciso di smettere con il calcio, cioè andare a fare il secondo di Neuer al Bayern Monaco. Il suo sostituto, Rafael, riserva di Jefferson nel "nuovo" Brasile di Dunga, che diventerà presto il titolare, non è ancora allo stesso livello. E poi sono andati via Federico Fernández, considerato sempre pochissimo (una grande plusvalenza, per carità), per essere un giocatore con due campionati di A alle spalle e 31 presenze nella nazionale argentina, e anche Behrami e Dzemaili avevano probabilmente fatto il loro tempo, ma sono comunque giocatori di grande esperienza.
L'idea paradossale che ne emerge, secondo me, è che il Napoli ha fatto un passo avanti nella costruzione del "progetto Benítez", e cioè quell'idea di dare alla squadra un gioco riconoscibile, di chiaro stampo europeo, con l'obiettivo di raggiungere grandi risultati nel lungo periodo (quando saremo tutti morti, come diceva Keynes, lo so); ma ha fatto un passo indietro nella realizzazione di una squadra pronta a competere da subito per grandi obiettivi, anche a livello internazionale, come sembrava volesse fare con gli acquisti dello scorso anno. La campagna trasferimenti di quest'estate ha un senso solo se è legata ad un progetto; e questo progetto ha un senso solo se è legato a Rafa Benítez. Però come giustamente tu evidenzi, non si costruisce il futuro con un contratto in scadenza. Se c'è un momento per rinnovare il contratto dell'allenatore, non può che essere questo. Sarebbe anche ora che le squadre italiane cominciassero a pensare per cicli, a programmare, e a dare per scontato che in panchina ci sarà per alcuni anni sempre la stessa persona.
ALFREDO GIACOBBE:
Per molti napoletani non c’è stata alcuna campagna acquisti. L’effetto Benítez si è esaurito in una sessione (di effetto Benítez si è realmente trattato: credete che Higuaín, Albiol, Callejón – alcuni di questi gestiti dallo stesso procuratore dell’allenatore spagnolo – avrebbero accettato la destinazione Napoli altrimenti?). Quest’anno mercato non c’è praticamente stato, perché il Presidente aveva promesso due colpi, due calciatori di peso internazionale; non solo non si sono visti ma non si sono viste neanche le trattative. Si è parlato di Fellaini, ma il belga guadagna 4,5 milioni di euro netti a stagione, uno sproposito per ogni società italiana, a maggior ragione per un Napoli molto attento a far quadrare il bilancio. Lo United avrebbe dovuto garantire disponibilità al prestito (oneroso, ma non troppo) e a compartecipare all’ingaggio del giocatore. Se le perplessità dal punto di vista economico erano tante, ancor di più quelle sul piano tattico. Fellaini è un box-to-box midfielder, un centrocampista bravo nel garantire presenza fisica – dall’alto dei suoi 194 cm – in entrambe le aree di rigore. Avrebbe conteso il posto dietro la punta già presidiato da Hamsik e Michu o avrebbe costretto Benítez a cambiare modulo. Oppure andava sacrificato come holding midfielder (mediano davanti alla difesa) nel 4-2-3-1. Insomma, certezze dal mercato non ne sono arrivate ad un gruppo già scosso per qualche motivo. Il gran rifiuto di Pepe Reina, unico leader carismatico dello spogliatoio, di intavolare trattative per la sua permanenza a Napoli, nonostante le preghiere dei compagni, è più di un segnale. L’irrequietezza di Higuaín e Callejón, quest’ultimo rimbrottato a muso duro da Benítez durante il ritiro, e la loro tentazione verso le sirene spagnole (l’attaccante è stato accostato al Barcellona mentre sul centrocampista c’era qualcosa di più, visto che l’Atletico ha virato su Alessio Cerci solo nelle ultime ore di mercato), mi portano a pensare che l’eliminazione dai playoff di Champions sia il sintomo e non la malattia del Napoli di oggi, come molti dicono. Da qualunque parte lo si voglia vedere, al rebus Napoli manca un tassello, un indizio. A proposito, anche per i suoi film ADL aveva promesso Di Caprio, Gosling, Clooney, Gere, Hopkins e poi alla fine – non me ne vogliano i diretti interessati – sono arrivati Lillo e Greg. Aurelio, credo sia ora di cambiar copione!
EMILIANO BATTAZZI:
Invece Lillo e Greg davanti alla difesa secondo me non sarebbero niente male. Scherzi a parte, a Benítez mancano davvero i due “holding midfielders”. Li ha sempre avuti, sin dai tempi del Valencia (Baraja e Albelda) con cui vinse due volta la Liga e un Europa League; il Liverpool campione d’Europa ne aveva due tra i più forti al mondo (Gerrard e Xabi Alonso prima, poi Mascherano e Xabi Alonso con Gerrard molto più avanzato), e persino nel Chelsea che vinse l’Europa League (mise David Luiz e Lampard davanti alla difesa). Si tratta di due veri punti di riferimento: devono chiudere gli spazi tra le linee, evitando alla squadra di essere troppo lunga (contro il Palermo, il Napoli a volte era spezzato in due, tanto per dire); in fase di possesso, devono costruire un quadrilatero con i due difensori centrali, per aiutare a far salire la squadra mantenendo il possesso; in fase offensiva, devono approfittare degli spazi creati dal movimento dei quattro giocatori d’attacco (che abbassano la linea difensiva avversaria). Ci vuole anche un’intensità superiore alla norma, non possono essere centrocampisti statici (a meno che non abbiano le qualità di gioco di Xabi Alonso): basti pensare appunto a Mascherano o David Luiz, e nel Napoli che ha giocato contro l’Athletic Club un profilo atletico-tattico di questo tipo non c’era. E non c’era neppure nella rosa dello scorso anno, ad eccezione forse di Behrami. Se non hai il centrocampo con le caratteristiche di cui hai bisogno, il tuo tipo di gioco parte già castrato. Ti puoi arrangiare ed accontentare di quello che hai, ma non potrai mai andare oltre un certo limite. Potenzialmente, David Lopez dovrebbe avere le caratteristiche giuste per il ruolo, ma avrà bisogno di tempo.
Una questione tattica tuttora irrisolta è quella di Hamsik. Di solito, il trequartista dietro la punta nelle squadre di Benítez può essere un fantasista molto mobile ed abile ad attaccare lo spazio (tipo Aimar nel Valencia); oppure uno come Gerrard, con visione di gioco, grande tiro da fuori, abilità in entrambe le fasi, e capacità di inserimento quasi da seconda punta; oppure, ancora, uno tipo Mata, con meno mobilità ma molto più bravo nel creare gioco sulla trequarti avversaria. Ecco, a me sembra che Hamsik sia un po’ fuori da questo quadro: quello visto con Mazzarri era bravissimo ad attaccare la profondità dietro la linea difensiva avversaria, sempre in movimento, e veniva coinvolto spesso con triangolazioni rapide. Non ha la visione né i tempi di un play offensivo come vorrebbe Benitez, invece; e sebbene Higuaín tenda a muoversi lungo le fasce e a creare spazio per gli inserimenti da dietro, rimane pur sempre un attaccante da area di rigore. Insomma, Hamsik sembra svolgere un compitino, ma niente di più. Non c’è quella sintonia Gerrard-Torres che si vedeva nel Liverpool, ad esempio. E occhio, perché De Guzmán nello Swansea ha giocato spesso anche come incursore dietro la punta centrale.
In fase offensiva, comunque, il Napoli a me piace parecchio: la capacità di dare contemporaneamente profondità ed ampiezza al gioco (a volte le due ali toccano sul serio la linea del fallo laterale), i tagli dall’esterno verso l’interno, le sovrapposizioni dei terzini, sono tutti elementi che ricordano le migliori squadre dirette dall’allenatore spagnolo. In questo inizio di stagione, però, il Napoli ha avuto timore anche di attaccare, con i terzini (a volte persino un centrale come Britos) che rimanevano spesso bloccati, mentre i due centrocampisti centrali sembravano immobili davanti alla difesa.
In fase difensiva, di segnali negativi ce ne sono anche di più. Normalmente, le squadre di Benítez sono ricordate per essere (soprattutto in Inghilterra) molto compatte ed iper-organizzate. Questo Napoli soprattutto, ma anche quello della passata stagione in alcuni momenti, sembrano decisamente fuori dalla tradizione tattica di Rafa. Con il possesso agli avversari, il Napoli ripiega in un 4-4-1-1: due linee che dovrebbero essere molto strette e vicine, quando si tratta di avversari che cercano di scavalcare il centrocampo. Contro avversari abituati ad impostare l’azione dal basso, il Napoli ha provato più volte un pressing alto, spesso scoordinato e mai davvero armonico. I problemi della squadra, cioè, non mi sembrano legati solo al quadrilatero difensivo, ma alla capacità di mantenere l’organizzazione di gioco: il 4-2-3-1 è un modulo perfetto per mantenere linee compatte e non spezzare mai la squadra, e soprattutto per garantire grande copertura in zona centrale e spingere l’avversario sulle fasce. Penso sul serio che ci voglia tempo per assimilare certe idee di gioco, e magari anche i giocatori più adatti.
Io spero che di tempo a disposizione ce ne sia ancora molto per Benítez, che resta uno dei migliori allenatori negli ultimi 15 anni in Europa (i risultati o contano per tutti, o per nessuno). Dopo il risultato positivo con il Sassuolo, non so bene quali possano essere le prospettive per questo Napoli. Finalmente ho visto una squadra molto compatta e concentrata, anche se solo a tratti (e alla fine ha rischiato davvero troppo, a dimostrazione che i problemi ci sono e non si possono risolvere in due giorni). A me sembra pienamente in grado di arrivare nelle prime tre posizioni, ma certo dovrà recuperare un po’ di lucidità, sia in campo che fuori. In ogni caso, se in campionato non riuscisse a recuperare il terreno perduto, il Napoli ha la grande opportunità dell’Europa League. Non so chi scenderà dalla Champions League ovviamente, ma al momento la squadra di Higuaín è tra le più accreditate per la vittoria finale, e sarebbe fondamentale. Nel calcio, alla fine, solo le vittorie aiutano a dare continuità, ed aiutano i giocatori a credere nei progetti di gioco del proprio allenatore.
ALFREDO GIACOBBE:
Il problema centrale è quello dei due giocatori davanti alla difesa fin dallo scorso anno. Pur avendo a disposizione quattro calciatori con caratteristiche differenti, Benítez non ha ancora trovato la coppia su cui far leva per elevare il potenziale del gioco della sua squadra. La scorsa stagione Inler e Jorginho hanno giocato insieme in maniera piuttosto stabile: nella configurazione ribattezzata dalla stampa “del doppio regista”, i due potevano raggiungere i trequartisti con passaggi rischiosi ma redditizi per vie centrali; meno bravi si sono dimostrati quando si trattava di coprire le discese dei terzini (ripensate al gol di Taarabt al San Paolo) o di seguire gli inserimenti in area dei trequartisti avversari (nelle partite contro Bilbao e Palermo, Muniain e Vazquez hanno approfittato di questa debolezza segnando due gol in fotocopia). Quest’anno Benitez sta trovando spazio “la strana coppia” formata da Walter Gargano e David Lopez. L’uruguaiano, sgradito alla piazza per le dichiarazioni rilasciate all’epoca del passaggio all’Inter, sembrava destinato all’ennesima cessione in prestito; lo spagnolo invece è arrivato alle ultime battute di mercato, e per ora è ancora un mistero. I due formano una coppia certamente meno tecnica e preferiscono servire i compagni con appoggi semplici, laterali o all’indietro, piuttosto che in avanti. Danno garanzie maggiori a Benítez in termini di copertura e di tenuta delle distanze: finora il Napoli non ha subito il gioco degli avversari, Udinese e Chievo hanno tratto il massimo profitto possibile dalle poche conclusioni scagliate verso la porta di Rafael. A proposito dei tiri effettuati, il Napoli è al terzo posto per quanto riguarda il numero totale delle conclusioni, mentre scende al decimo posto se si guarda al numero di tiri messi nello specchio. Potremmo dedurre che molti di questi tiri erano forzati, e che questo sia essere dovuto alla mancanza di spazi. L’anno scorso i terzini Henrique e Ghoulam garantivano la loro presenza nella metà campo avversaria in maniera costante. La loro azione forniva ampiezza alla manovra della propria squadra, costringeva gli avversari ad allargarsi e permetteva a giocatori tecnici come Callejon, Insigne e Mertens di accentrarsi per portare pericoli nella zona nevralgica, davanti all’area di rigore. Quest’anno sono stati impiegati maggiormente Britos, Maggio e Zuniga. Ma il problema è anche che se la costruzione di gioco ad opera dei due difensori e dei due mediani langue, i terzini sono costretti ad arretrare per offrire una linea di passaggio in più ai compagni ed evitare guai peggiori.
Io credo che Benítez debba lavorare sulla testa dei suoi e rendere lo spogliatoio impermeabile alle pressioni di una certa stampa e di parte della tifoseria. La conferenza stampa pre-Sassuolo ha avuto momenti surreali con Benítez (una Champions League e un Mondiale per Club in bacheca) che ha passato il suo tempo ad ascoltare i consigli dei reporter di radio e tv locali su come impiegare Higuaín e Hamsik o su quale tono tenere nelle dichiarazioni post-partita. Un clima che condiziona anche i giocatori. Le prestazioni di Lorenzo Insigne sono visibilmente peggiori quando gioca al San Paolo. Nonostante sia l’unico napoletano in rosa e abbia segnato una doppietta nella sciagurata finale di Coppa Italia, Insigne è fischiato dai suoi tifosi e ci sono state numerose occasioni di scontro. E in teoria il napoletano è ancora determinante nello scacchiere di Benítez per via della sua dedizione nella fase di non possesso. Su Marek Hamsik molto è stato detto e scritto, lui stesso si è pronunciato molto chiaramente quando lo scorso anno ad un certo punto ha dichiarato: “Non sono più lo stesso”. Quel che è sicuro è che la media gol di Hamsik con Benítez (0,17 gol a partita) si è nettamente abbassata rispetto a quelli degli anni precedenti (0,27 gol/partita). Ma il Napoli di Mazzarri e dei tre tenori giocava un calcio di rimessa, radicalmente diverso da quello di Benítez: le accelerazioni di Lavezzi e Cavani permettevano di ribaltare il fronte d’attacco in maniera rapida e Hamsik arrivava in area di rigore in corsa, difficilmente marcabile per gli avversari. Nel Napoli di Benítez, Hamsik fa fatica a giocare in spazi stretti e spalle alla porta; ma i movimenti che gli sono richiesti ora, per liberare lo spazio al centro per gli altri due trequartisti, sono del tutto simili a quelli che faceva con Mazzarri. Benítez aveva trovato in Pepe Reina un forte alleato, per i tempi di Liverpool e perché il portiere aveva un forte ascendente sui compagni. Recuperare Hamsik potrebbe avere una valenza doppia per il Napoli sia dal punto di vista tattico che da quello mentale: che ritrovi o meno la sua vena realizzativa c'è bisogno che interpreti in maniera convinta soprattutto il suo ruolo di capitano, per unire di nuovo una squadra spezzata sia in campo che fuori.