FABRIZIO GABRIELLI (@conversedijulio):
Anche se sono un tifoso della Roma devo dire che quest’anno la Lazio è piena di giocatori che mi piacciono.
E meno male che El Gran Capitán Marquez è finito all’Hellas Verona, altrimenti avrei dovuto dire piacciono moltissimo.
Ho cercato di darmi una spiegazione, come se esistesse una ricetta, e quindi un antidoto, a questo (relativo, intendiamoci) entusiasmo. Forse dipende dal fatto che molti uomini che lavoreranno per la società di Lotito nella stagione 2014-15 in passato sono stati, in un modo o nell’altro, associati alla Roma.
A partire dall’allenatore Pioli: l’ultima stagione è affondato con tutta la barca, anche se a Bologna non c’è il mare. Però le “catene laterali” (l’argomento forte della sua tesi a Coverciano), ovvero le combinazioni tra laterale di difesa, interno di centrocampo e laterale d’attacco della stessa porzione longitudinale di campo, se gli anelli della catena sono quelli giusti, possono far vedere qualcosa di interessante, e divertire il pubblico sugli spalti. Ammesso che la Lazio abbia ancora un pubblico intenzionato a riempire gli spalti. Tare aveva un compito gravoso: portare nomi di richiamo, che rinfocolassero la passione della piazza. Secondo me l’ha fatto: Braafheid, De Vrij, Parolo. Basta, Djordjevic. Ma davvero basta Djordjevic?
TOMMASO GIAGNI:
La Lazio un pubblico ce l’ha, mica la scampi così. Un pubblico che si è fatto un periodo sottotraccia, ma d’altra parte stare sottotraccia è ben in linea con il nostro tipo. Giocatori buoni ne sono arrivati, ma la questione non è risolta. Intanto perché c’è uno scollamento tale fra le parti (pubblico e società) che ha bisogno di prove, risultati concreti, per rientrare. La diffidenza è un’altra caratteristica del nostro tipo. Poi, la questione non è risolta perché manca un pezzo in difesa.
Ma tu parlavi dell’attacco. Djordjevic non l’avevo visto al Nantes né con la nazionale, tendo a diffidare – sì, la diffidenza – delle raccolte Youtube sugli attaccanti, ho sempre in testa la videocassetta in cui il “Corriere dello Sport” presentò ai romanisti il nuovo bomber Fabio Junior. Dalla mezz’ora contro il Milan e l’ora contro il Cesena, mi pare che si muova come un attaccante, ha una buona presenza fisica e va con la tigna sui palloni. È qualcosa. Mi ci aggrappo perché so che quest’anno Djordjevic giocherà più partite di Klose. Altri centravanti non ce ne sono (a parte il ’96 Tounkara, come Keita uscito dalla “Masia” del Barcellona e sbocciato nella Primavera della Lazio: è potente e concreto ma non so quanto spazio potrà avere), e insomma la situazione è delicata.
Oltre a quel ruolo, in attacco sarà la stagione cruciale per Keita (a sinistra) e mi piace molto che Candreva stia largo (a destra) senza grandi compiti difensivi. Dico “sinistra” e “destra”, ma contro il Cesena hanno spaziato per tutto il fronte offensivo, a volte ritrovandosi dalla stessa parte addirittura. Keita, a oggi, è titolare: non usa molto, in Italia, far giocare titolari i ’95. Se Djordjevic non può essere Fabio Junior, Keita deve liberarsi del fantasma di Zarate: altrettanto sorprendente alla prima stagione, altrettanto funambolico e amato dalla gente. Ho più fiducia in Keita di quanta ne avessi in Zarate, rispetto alla capacità di disamorarsi di sé. E Candreva è l’altro che deve piacersi di meno, anche se la grazia con cui stoppa la palla in corsa… Non so se non avere il posto in nazionale (mi pare che Conte voglia altre caratteristiche, sugli esterni) potrà scaricarlo. Così, tanto per avere una preoccupazione sull’unico che fa la differenza nella squadra – Klose non vale.
Oltre a scelte prudenti (Lulic, Mauri), la vera alternativa a Keita è Felipe Anderson, che è un’incognita (pagata otto milioni di euro) anche sul piano tattico e forse è troppo emotivo per imporsi fuori dal Brasile, ma due lire sopra ce le metterei – ha tecnica e ha corsa.
Mi sa che di Klose non è necessario dire niente. La serietà, l’umiltà, la voglia: non c’è bisogno. Spero che farà come Roberto Mancini ha fatto l’ultimo anno da noi: giocando praticamente da fermo, il tocco giusto quando il pallone capita dalle sue parti, le direttive ai compagni intorno. Ma senza Scudetto alla fine, lo so.
FABRIZIO GABRIELLI:
Mi sembra interessante che queste caratteristiche quasi fisiognomiche, lombrosiane del tifoso della Lazio cui fai cenno, la diffidenza, la ritrosia, il mettersi sulla difensiva, abbiano delle ripercussioni involontarie, quasi metatestuali, sul nostro dialogo: abbiamo cominciato dall’attacco e piano piano arretriamo, verso la difesa. Facevo caso al fatto che dei sei-sette centrocampisti che Pioli verosimilmente utilizzerà quest’anno, tre giocano in Nazionali che nell’ultimo Mondiale si sono trovate nello stesso girone: Lulic (Bosnia), Onazi (Nigeria) e Biglia. Soprattutto lui, per come la vedo io, sarà chiamato a un compito complicatissimo: ripetersi ai livelli dell’Argentina mondiale, tutto sommato positivo, anche se non si è mai spinto più in là del compito-ben-fatto-vergato-in-bella-calligrafia, senza avere a fianco uno come el jefecito Mascherano. Tare non c’ha pensato a uno scambio Mascherano-Ledesma? Sia Biglia che Onazi, nelle rispettive nazionali, giocano inseriti in uno schema 4-2-3-1, e sono di fatto il barometro manovale della manovra (contro il Cesena e il Genoa – prima che si infortunasse e lasciasse il posto a Ledesma, starà fuori forse due mesi, peccato perché sembrava una soluzione accattivante – ho visto Biglia fare addirittura il playmaker basso): tra le linee di passaggio più nutrite, in ogni partita di Argentina e Nigeria in Brasile, c’erano sempre Biglia e Onazi (rispettivamente al servizio di Messi e di Mikel, i due numero dieci).
Ma Pioli non sembra voglia giocarci, con il 4-2-3-1, anche se gli uomini a sua disposizione sarebbero pure perfetti. Per ripresentare le sue “catene” tende a convertire al ruolo di interno un uomo molto predisposto alla corsa sulla fascia come Lulic.
Sulla mia stima per Parolo, invece, non devo spendere una riga di più. Ho già confessato, l’anno scorso su L’Ultimo Uomo, che se fossi stato un tifoso del Parma avrei preparato uno striscione con su scritto “Dammi tre Parolo”. Certo, anche se contro il Cesena ha fatto vedere quanto può essere incisivo il suo incunearsi credo che dovrà un po’ lasciar perdere quella sua mania di attaccare la profondità, o almeno stare attento a non congestionare l’area già intasata dalla massiva presenza di Klose. Insomma: un Parolo è poco, è vero; ma due forse sono decisamente troppi.
TOMMASO GIAGNI:
Questo centrocampo mi piace molto, per l’equilibrio delle caratteristiche e per gli interpreti specifici.
La mia impressione è che tutto ruoti intorno a Biglia, alla rottura dell’equivoco tattico che lo vuole regista basso, fulcro dell’impostazione, carismatico variatore dei ritmi di gioco. Biglia è piuttosto uno scudiero, un intelligente uomo d’appoggio, un ottimo satellite che ruota attorno al vero regista e gli permette di scaricare. Fa quasi sempre il passaggio più semplice, non si prende responsabilità. D’altro canto neanche ha particolari capacità di interdizione. Se lo metti al centro di un centrocampo a tre senza un regista, com’è successo nelle prime due giornate, finisce che qualcuno debba continuamente abbassarsi – soprattutto Parolo – per dargli una mano in impostazione. La storia dell’incompatibilità tra Biglia e Ledesma non ha senso, secondo me, anzi vale esattamente il contrario. Perché Ledesma è quello che Biglia non è: un cervello che smista i flussi di gioco, che decide a quale velocità andare. Un leader silenzioso, che si può sacrificare al centro della difesa e si ostina a cercare la porta nonostante abbia fatto tredici gol in trecentotre partite con noi (uno è questo). E mi piace che hai parlato di 4-2-3-1, perché è così che giocherei: con loro due a fare schermo davanti alla difesa. Le catene mi interessano il giusto.
Parolo è un centrocampista moderno come forse non ne abbiamo mai avuti: di lotta e di governo, capace di portare un dinamismo di cui la Lazio aveva bisogno. È utilissimo come intermedio, ma soprattutto mi piacerebbe vederlo alto, incursore nel mio 4-2-3-1 ideale. Insisto su questo modulo ma non mi sembra la direzione che Pioli intende prendere. L’altro titolare finora, Lulic, è un giocatore estremamente duttile, che può giocare fluidificante nel 3-5-2 (così così), terzino sinistro (male), intermedio di centrocampo nel 4-3-3 (bene), ed esterno offensivo ancora nel 4-3-3 o nel 4-2-3-1 (il suo optimum). Nelle ultime due stagioni ha avuto una flessione, in confronto al suo primo anno, ha preso a innervosirsi, ma è troppo utile per non avere spazio. È lo stesso meccanismo che porta Mauri, sempre considerato un comprimario ai nastri di partenza, a strappare un minutaggio altissimo ogni anno. Mauri aggiunge un’intelligenza tattica che nella Lazio non ha nessuno.
Sulla carta, Onazi e soprattutto Gonzalez hanno la fila davanti. “El Tata” ha visto saltare il suo trasferimento al Parma per un ritardo sul deposito dell’accordo, mentre il nigeriano ha problemi col rinnovo e nemmeno è arrivata l’offerta monstre che l’avrebbe fatto partire quest’estate. Gonzalez non si risparmia, è il tipo da maglietta sudata che dà soddisfazione, e Onazi credo abbia grosse potenzialità (è un dicembre ’92). A me piacciono, e in generale mi sembra assurdo non avere centrocampisti puramente di rottura. Perché Onazi secondo me è il più classico dei cagnacci, un distruttore, che ha un gran tiro da fuori ma resta un mediano, mi ricorda Dabo. Non capisco come si possa pretendere che abbia piedi gentili, eppure è quello che hanno fatto tutti (Petkovic, Reja, il Ct Keshi). Poi c’è Ederson, che appena ti concentri su quant’è forte si infortuna e te lo devi dimenticare. Adesso pare star bene, non voglio dirlo.
Infine due parole sul talento di Cataldi. Nazionale U21, campione d’Italia con la Primavera, una buona stagione in B con il Crotone, ora finalmente in prima squadra. Se non lo trattano da ragazzino (è un ’94, all’estero verrebbe messo alla prova) l’unico peso di cui liberarsi è l’essere romano, “Come Nesta, come Di Vaio”, che ha bruciato tutti quelli venuti dopo Nesta e Di Vaio.
FABRIZIO GABRIELLI:
Rivangare quel gol di Ledesma è stato un colpo basso. Peccato, proprio adesso che concordavamo su (quasi) tutto. Chi lo sa, se avessimo fatto un po’ più blocco stai a vedere che Pioli, imbattendosi in questa guida, non ci avrebbe puntato, almeno una volta, sul 4-2-3-1, con Parolo dirottato nel ruolo di incursore, tipo Perrotta nella Roma di Spalletti, se te lo ricordi.
Certo, la Lazio quest’anno è piena di argentini. Ledesma a parte, che non m’ha mai fatto impazzire, sono piuttosto dispiaciuto che Santiago Gentiletti sia finito fuori dai giochi (per lui si parla di uno stop di sei mesi, rottura del crociato) proprio adesso che ne stavate scoprendo la personalità. È soprannominato el chueco, significa lo storto. Anche se contro il Cesena e il Genoa, prima dell’infortunio, m’è sembrato piuttosto un dritto, invece.
TOMMASO GIAGNI:
Tutti stavamo cercando di capire qualcosa di Gentiletti. Argentino, centrale di difesa, classe ’85, nessuna esperienza in Europa (esclusa una malinconica stagione al Brest, ma fuori ruolo)… anche senza far rimare i cognomi, aveva troppo in comune con Novaretti per lasciarci tranquilli. In più arrivava con le credenziali del titolare, col compito di affiancare e guidare il giovane De Vrij. Nella conferenza stampa di presentazione Tare ha accusato la piazza di averlo già bocciato senza neanche averlo visto. Nessuno l’aveva mai visto, è vero. Ma con de Vrij aveva la responsabilità di sostituire Biava e Dias, una coppia che negli anni ci ha dato affidabilità. E forse l’assortimento sulla carta funzionava per i piedi (uno destro, l’altro mancino naturale) ma nessuno dei due è un fulmine di guerra e con la velocità di certi attaccanti (tipo El Shaarawy… ) come la mettiamo? Probabilmente bastava prendere un difensore che conoscesse il campionato italiano, un difensore solido che non facesse danni e aiutasse il giovane olandese ad ambientarsi. Invece no, Gentiletti, un’altra scommessa. Che magari si poteva pure vincere, eh: le sua partita col Cesena e col Genoa sono state perfette. Poi l’infortunio.
Parlo di De Vrij con preoccupazione e paternalismo, ma secondo me è stato un colpo notevole. L’abbiamo festeggiato un decimo di quello che avrebbero fatto i romanisti: un ’92 capitano del Feyenoord, talento di cui si parla da anni, titolare della nazionale olandese e tra i migliori giocatori dell’ultimo Mondiale. Peraltro porta in dote un po’ di gol sui calci piazzati, che ci mancano da parecchio. Per come siamo fatti aspettiamo a giudicare, cauti. Lui si è stupito che in squadra non si parli inglese, mi sa che deve rendersi ancora conto, smaliziarsi un po’.
Bene col Cesena, ma a Milano non ha capito niente (e non intendo il piano linguistico). In realtà è chiaro che c’è qualcosa che non va nell’atteggiamento generale, se prendi un contropiede a San Siro dopo sette minuti. Pioli vuole giocare con una difesa molto alta. C’è però la cosa molto intuitiva per cui puoi giocare alto solo se hai difensori abbastanza veloci da recuperare in caso di guai. E non è il nostro caso.
Peraltro, con il Milan, i terzini non avevano spinto. Questo ha a che fare con le catene di Pioli che dicevi?
FABRIZIO GABRIELLI:
Beh, di certo ha a che vedere con qualcosa che nel normale chincagliare della catena non ha funzionato. A leggere quella famosa tesi di Coverciano di Pioli cui accennavo, che si reperisce facilmente in rete, si capisce subito dov’è che non ci si possa permettere di sbagliare: nelle combinazioni, nei tempi d’esecuzione e nei movimenti. Il primo dettame di Pioli è “gioca con chi vedi”: evidentemente se i terzini non sono saliti è perché qualche altro “anello”, diciamo l’interno di centrocampo o l’esterno d’attacco, si è eclissato al momento dello “sferragliamento”. Pioli dice: “i difensori centrali devono trasmettersi la palla, l’esterno effettuare un contro movimento per ricevere dentro il campo, poi scaricare per il sostegno dell’interno che verticalizza per il terzino”. In Milan – Lazio, per esempio, De Vrij e Cana si sono scambiati la palla, vicendevolmente, 26 volte: quindi molto spesso. Eppure, mentre Basta ha imbeccato spesso Candreva (che ha applicato lo schema, rientrando e cercando ripetutamente che dai piedi di Biglia partisse la verticalizzazione di ritorno per Basta), sul versante opposto Keita è stato cercato pochissimo, quasi mai, e Radu è finito per trovarsi bloccato nei suoi compiti difensivi (interno a sinistra c’era Lulic, più indicato per l’affondo che per l’assist, secondo me). Se c’è una fallacia, sempre teorica e non necessariamente ancora attuale, piuttosto, è nelle forme d’allenamento che applica Pioli: quando prova le “catene” si concentra sui tempi d’esecuzione e sul movimento, ma senza avversari. Per avere una cartina di tornasole bisognerebbe chiedere almeno agli avversari di entrare in campo.
TOMMASO GIAGNI:
È un peccato perché Radu (settima stagione di Lazio: la continuità e l’affidabilità, oltre al carattere fumantino che lo fa benvolere) è un centrale ormai rassegnato a giocare esterno a sinistra, ma lanciarsi sulla fascia non è il suo. Mi aspetto grandi discese da Basta, invece, che ha quelle caratteristiche e a destra eredita un ruolo dagli ottimi interpreti recenti (Oddo, Behrami, Lichtsteiner). Soprattutto, questo acquisto è stato salutato con gioia perché finalmente ci libera dalle piccole paure di Konko, che al minimo fastidio non gioca e se gioca è sempre una concessione. È rimasto, Konko, farà panchina insieme ad altri due terzini, Cavanda e Pereirinha, che secondo me sono due ali e che i tifosi neanche vogliono sentir nominare – uno per limiti caratteriali, l’altro per limiti tecnici. E poi c’è Braafheid, che è lontano dai tempi in cui giocava al Bayern e nell’Olanda vicecampione mondiale 2010, ma è protagonista di una bella storia. Svincolato, dopo una stagione fuori rosa all’Hoffenheim, quest’estate fa un provino al ritiro della Lazio e riesce a convincere la società: firma un contratto annuale con opzione sul secondo. Pioli lo tiene in considerazione, contro il Cesena ha sostituito in modo sorprendente Radu infortunato.
Difficile comunque che possa stabilmente scalzare Radu o farlo spostare al centro se Gentiletti facesse disastri. In questo caso, piuttosto, giocherebbe Cana. Un carismatico mediano adattato al centro della difesa (nonostante ci giochi anche nella nazionale albanese, di cui è capitano, continua a sembrare adattato), uno dei pochi che fa quelle belle scivolate omicide di una volta, uno che ha preso 30 ammonizioni in 93 presenze. Ciani doveva essere ceduto e non è tanto contento della permanenza. Poi c’è Novaretti che, ribadisco, speriamo non faccia poi così rima con Gentiletti.
Insomma la difesa è, come da tradizione, il punto debole di questa squadra. E non aiuta il fatto che tre componenti su quattro siano nuovi. Due parole sul portiere. Che per me sarà Berisha, con la sua fisicità da vecchio calcio e l’occasione per dimostrarsi all’altezza del numero 1 che effettivamente ha sulla maglia. Secondo me ha dei limiti, ma in verità ho delle perplessità tecniche anche su Marchetti (la palla va deviata a lato, ci dicevano da ragazzini: a lui non gliel’hanno detto, mi sa, perché la lascia quasi sempre lì). Il vero problema di Marchetti è personale, questo almeno si racconta, e dispiace: sembrava potesse diventare il portiere della nazionale, adesso non gioca anche se i medici dicono che fisicamente è a posto.
FABRIZIO GABRIELLI:
Anche io sono convinto che De Vrij sia stato un colpaccio, vuoti di concentrazione a parte (lasciare i tuoi con un uomo in meno, come ha fatto a Genova per un evitabile fallo di mano che gli è costato il secondo giallo, è un’ingenuità che se prendi poi gol un minuto più tardi subito viene affiancata dall’aggettivo pesante). Temo che l’entusiasmo che il suo arrivo meritava sia stato un po’ troppo ingenerosamente mitigato dalla scorno per aver perso Astori. A me, per dire, sarebbe andata bene anche a parti invertite.
Piuttosto, davvero, mi sembra che Gentiletti in quei pochi minuti giocati da titolare abbia comunque dimostrato, anche se avrei tanto voluto poter dire il contrario, di avere ben poco in comune con Novaretti. Perché se è vero quest’ultimo spadroneggiava nella Liga MX (il cui rapporto qualitativo con la Serie A è inversamente proporzionale a quello tra le spiagge di Acapulco e Capocotta), lo Storto aveva pur sempre guidato una squadra tipo El Ciclon, che ha nell’ex leccese Piatti uno degli uomini più estrosi, ed è tutto dire, a una vittoria eclatante in Copa Libertadores, vieppiù da líder. Devi considerare che a El Nuevo Gasómetro c’è chi si è stracciato le vesti per la sua partenza: eravate davvero troppo diffidenti e malpensanti voialtri tifosi della Lazio. Stai a vedere che non ne sentirete la mancanza.
Sai pure chi era un grande tifoso del San Lorenzo? Osvaldo Soriano. Sono sicuro che el gordo lo avrebbe apprezzato, uno come Gentiletti, così cocoliche; sullo psicodramma dell’infortunio intempestivo avrebbe potuto, chi lo sa, scrivere pagine dal sapore agrodolce. Vallo a sapere se grazie a lui, magari, non l’avreste potuto contare tra i vostri simpatizzanti. Osvaldo Soriano un po’ della Lazio, c’è da sentirsi male.