
GIOVANNI FONTANA (@Distantisaluti):
Una chiacchierata sulla Fiorentina, specie su questa Fiorentina, non può che partire dalla società. Da tifoso, sono abbastanza confuso, e probabilmente lo sono da diversi anni. Io non ho ancora capito cosa vogliano fare i Della Valle da grandi, e non è normale, visto che sono 12 anni che hanno la Fiorentina. Oramai ciclicamente qualcuno della società dichiara che c'è un progetto a medio termine, e che si punterà allo scudetto nel giro di 3-5 anni. Poi quegli anni passano, e c'è un'altra dichiarazione simile. Nel frattempo vediamo un po' di bel calcio (più spesso) e un po' di brutto calcio (più raramente), abbiamo qualche soddisfazione (più raramente) e qualche delusione (più spesso).
Intendiamoci, nessun tifoso della Fiorentina aspira verosimilmente allo scudetto, e bisogna avere cinquant'anni per averne visto uno. In questo senso, ogni fiorentino conosce bene i propri limiti: sa di supportare la settima squadra d'Italia per bacino d'utenza, e quanto contino queste cose nel calcio di oggi; sa di tifare una squadra che è in quella indecifrabile via di mezzo fra una provinciale e uno squadrone, senza essere davvero nessuna delle due cose. In fondo la Fiorentina è tornata in Serie A da 10 anni, e sette volte su dieci è stata fra le prime quattro squadre italiane. C'è davvero da lamentarsi, allora?
Eppure, è proprio quella parola, "progetto", che vien costantemente ripetuta dalla dirigenza, sia perché un giocatore non ci crede – e allora lo si vende – sia perché non ci credono i tifosi – e allora Della Valle si dimette – sia perché non ci crede l'amministrazione comunale – e allora non si investe perché mancano gli introiti dello stadio – a far rimuginare. All'inizio di ogni nuovo ciclo, ora con Montella, prima con Prandelli, sembra che la società abbia idee chiare e risolute, e un piano di crescita graduale e ben articolato. Poi, negli anni successivi, quell'impressione di pianificazione sembra via via venir meno, e le scelte cominciano ad apparire più dettate da esigenze di giornata che non da una strategia coerente e di lungo respiro. Mi sembra che il mercato di quest'anno, il terzo dell'era Montella, abbia manifestato precisamente questa dinamica.
FABIO BARCELLONA (@FabioBarcellona):
Mi pare che il punto sia stato pienamente centrato: dove vuole arrivare la Fiorentina, e soprattutto, come vuole arrivarci? La prima parte della domanda ha una risposta forse banale, ma in fondo corretta: vuole arrivare sportivamente più in alto possibile a costi sostenibili. Il resto è un po’ confuso. Senza spingersi troppo indietro nel tempo, la risposta alla tragica stagione culminata con le botte di Delio Rossi a Ljajic, fu a mio parere esatta e sembrava preludere all’inizio di un ciclo tecnicamente coerente. Fu fatta una vera rivoluzione della rosa, quasi totalmente finanziata dalle cessioni di Nastasic, Behrami e Cerci. La strategia di acquisti della società consentì di effettuare questo esteso rinnovamento a costi contenuti: si approfittò della retrocessione del Villareal per prendere a prezzi di saldo Rodriguez e Borja Valero, si puntò su giocatori, per motivi diversi da ricostruire, come Mati Fernandez e Aquilani, su talenti giovani come Savic e Cuadrado e su calciatori a parametro zero come David Pizarro. A legare il tutto e a dare un senso sportivo alle “occasioni” prese sul mercato c’era il nuovo tecnico Montella e il progetto di un calcio palleggiato, basato essenzialmente sulla tecnica e sul controllo del pallone e dei ritmi della partita. E, in coerenza a questo progetto, tutti i calciatori presi erano tecnicamente adatti a quest’idea di calcio. Quell’anno la Fiorentina, che sfiorò la Champions League giocava con tre centrocampisti di tecnica elevatissima come Pizarro, Fernandez (o Aquilani) e Borja Valero e un attacco formato da Cuadrado, Jovetic e Ljajic. La palla era loro e si arrivava in porta fraseggiando. I primi dubbi l’anno successivo. Parte Ljajic e soprattutto viene ceduto Jovetic. Ha un senso (anzi, probabilmente è l’unica scelta possibile) finanziarsi vendendo il proprio pezzo pregiato. Ha meno senso, a mio parere, investire buona parte dei soldi di Jovetic per Mario Gomez. E qui mi pare che la società e, purtroppo, Montella, abbiano cercato una scorciatoia per arrivare a vincere prima, acquistando un “top-player”, ma che poco aveva a spartire tatticamente col progetto e che, oltretutto, difficilmente si sarebbe potuto rivendere a prezzi maggiorati continuando così a finanziare i mercati successivi. È vero che tanti sostengono che la scorsa stagione la vera Fiorentina non si sia vista per gli infortuni di Gomez e di Rossi, ma al di là di una convivenza a mio parere complicatissima tra i due, che giocano le stesse zone di campo, penso che ben difficilmente la squadra avrebbe potuto fare meglio della stagione precedente, perché un attacco Gomez/Rossi mal si conciliava con il resto della squadra, che necessitava di punte capaci di supportare il palleggio dei centrocampisti. Io ho visto nell’acquisto di Gomez una prima rinuncia a quello che pareva essere il piano societario/sportivo della Fiorentina: giocatori giovani da potere valorizzare e rivendere e giocatori tecnicamente adeguati al calcio che sembrava volere proporre Montella. E 20 milioni per un giocatore che non rispondeva a nessuno dei due requisiti, mi sembravano più un espediente per provare a vincere con meno fatica che un mattone di un progetto a medio termine. E anche quest’anno mi pare che non si sia presa nessuna strada netta.
GIOVANNI FONTANA:
Condivido molto di quello che dici e penso sia utile introdurre una distinzione: ci sono due tipi di “occasioni”, da una parte ci sono i giovani con una possibile prospettiva, dall’altra c’è l’acquisto del “top player”, giocatori già affermati che sono in un momento di appannamento. Le due cose si intersecano, e spesso c’è l’una e l’altra, ma la Fiorentina degli ultimi anni non è sempre stata entrambe. Direi che il tentativo di acquisto di grandi giocatori, spesso teoricamente fuori dalla portata del club, è uno dei tratti della gestione del mercato Pradè-Macia: delle volte va bene, come con Gomez (Gomez, quel Mario Gomez, alla Fiorentina?!?), delle altre va male, come con Berbatov. La prima soluzione, invece, era propria della gestione Corvino, che ha portato Jovetic e Nastasic, ma anche Mazuch e Hable: è quello che – forse a un livello diverso – ha fatto per tanti anni l’Udinese, potendoselo permettere perché priva di un’immediata necessità di arrivare in alto in classifica, per ogni Alexis Sanchez ci sono decine di scommesse fallite. Nell’idea della società è evidente che passare alla seconda opzione, quella dell’acquisto di grandi giocatori appena svalutatisi, dimostra maggiore ambizione: sicuramente dal punto di vista economico, visto che per tanti anni i costi limitati della Fiorentina sono stati garantiti da uno stringente salary cap a 1.5 milioni di €, poi diventati 2, e ora – con Gomez, e presto Cuadrado – diventati 3. La Fiorentina ha, tutt’ora, un monte stipendi relativamente molto basso (il sesto della serie A, assieme alla Lazio, meno della metà di quello della Juve), ed è evidente che da questo punto di vista la Fiorentina sia una squadra di successo, una di quelle che fa meglio fruttare i propri investimenti.
La mia preoccupazione risiede nel fatto che questo atteggiamento ha, di per sé, un limite strutturale: sia che si tentino di acquistare dei giovani che potrebbero diventare dei campioni, sia che si tenti di approfittare della momentanea svalutazione di grandi giocatori, la linea guida di questo corso d’azione è il tentativo di identificare qual è la scommessa vincente, non qual è la necessità dell’organico. È il mercato a definire gli acquisti, quindi la propria identità di squadra, e non viceversa. Così io, che sono un grandissimo amante delle ali dribblomani e indisciplinate, mi domando: ma Marko Marin è stato comprato perché serviva a Montella, o perché potrebbe essere una grande occasione? Quando si rifonda una squadra, si possono riempire le caselle con quello che di meglio offre il mercato. Ma una volta che alcune caselle sono occupate c’è bisogno di tenere presente quali sono le caselle rimaste vuote. È per questo che io ho sempre avuto l’impressione che la Fiorentina fosse più brava a ricominciare da capo, a mettere nuove fondamenta, che a dare sostanza a questi nuovi – obiettivamente azzeccati – inizi. Nel 2012, con 7 milioni, la Fiorentina ha costruito un centrocampo fatto solo di palleggiatori: Borja Valero, Pizarro, Aquilani. Borja si è dimostrato un fenomeno, Pizarro il secondo miglior regista in Italia, Aquilani l’incursore che serviva al gioco di quella squadra (un gol o un assist ogni 127 minuti, più di molti attaccanti). È stato, giustamente, celebrato come un successo della convinzione di Montella di poter giocare senza un vero interditore, di fare del palleggio la propria arma difensiva: chi pensava che una cosa simile potesse essere applicata in Italia?
Eppure non ci ricordiamo che a gennaio quella stessa Fiorentina aveva preso Momo Sissoko (oltre che, in estate, Migliaccio): era il tipico acquisto di un giocatore di fama internazionale, scelto in un momento di grande svalutazione. Se Sissoko si fosse rivelato una grande scommessa vinta, oggi probabilmente staremmo celebrando l’equilibrio della squadra di Montella: invece ha completamente fallito, e le contingenze hanno portato la squadra a proseguire per quella strada. L’anno scorso l’unico interditore è diventato Ambrosini: un’occasione, ma non certo un investimento strutturale. In tutto questo Pizarro ha dimostrato la propria età e Aquilani la propria discontinuità. Quest’anno non c’è neanche un Ambrosini: sono arrivati Badelj (il tentativo di sostituire Pizarro che con Bakic non aveva funzionato), Kurtic (un giocatore anche fisico, adatto a fare il primo pressing, ma non certo un interditore), Brillante e Octavio (due vere scommesse). A oggi, il reparto che due anni fa era nettamente il più forte della Fiorentina, è quello che presenta più incognite. Naturalmente è più che possibile che Badelj si riveli il giocatore talentuosissimo che sembrava 3 anni fa alla Dinamo Zagabria, e che la scelta di rinunciare completamente a un interditore si dimostri azzeccata: ma la domanda che mi faccio è quanto sia stata una precisa scelta tattica di Montella e quanto sia invece stata dettata dalle contingenze del mercato. Naturalmente è una domanda a cui non ho una risposta, e mi sembra che stiamo entrando nel campo delle valutazioni tattiche su questa Fiorentina sulle quali mi interessa molto conoscere il tuo parere.
FABIO BARCELLONA:
Mi pare evidente che quest’anno, come dire, alla Fiorentina sia rimasto Cuadrado sul groppone. Secondo me l’idea, giusta, era quella di far cassa con la cessione del colombiano e finanziare col ricavato la campagna acquisti. Purtroppo non è arrivata l’offerta o non è stata ritenuta soddisfacente e allora ci si è limitati a fare manutenzione della rosa. Babacar e Bernardeschi in attacco al posto di Matos e Rebic; Kurtic, Brillante e Badelj al posto di Ambrosini e Wolski in mezzo al campo. Dietro Micah Richards e Basanta al posto di Compper, Roncaglia e Diakite. Quasi tutti in prestito. Più Marko Marin.
L’operazione Marin è appunto una tipica operazione effettuata negli ultimi anni dalla dirigenza della Fiorentina: giocatore di grande talento che sembra essersi perso per strada da prendere a prezzi di saldo. È il giocatore che occupa un casella vuota nella rosa della squadra? Il tedesco è un giocatore agile e veloce, molto tecnico. La sua collocazione tattica ideale è alle spalle di un centravanti in un 4-2-3-1, preferibilmente in posizione esterna, o come punta laterale di un 4-3-3. Nel ruolo di punta esterna del suo 4-3-3 Montella ha a disposizione, seppure con caratteristiche diverse, Cuadrado, Ilicic, Bernardeschi, Joaquin. In questo inizio stagione hanno giocato a sinistra nel tridente anche Vargas e Babacar. Considerando intoccabile Cuadrado e tenendo a mente che tante volte la squadra viene schierata col 3-5-2, per me l’acquisto di una mezzapunta/punta esterna non era certo una priorità per la Fiorentina. Ciò non è in assoluto una bocciatura per Marin o il suo arrivo a Firenze. Non conosco le sue condizioni fisiche e tecniche; magari tornerà il giocatore di Brema, contribuirà all’innalzamento della qualità della squadra e tutti applaudiremo Pradè e Macia per il geniale colpo di mercato. Però mi sembra più un acquisto dettato dal database “ex grandi promesse da rivitalizzare” (vedi Anderson la passata stagione) che il risultato di un’analisi delle esigenze tattiche della squadra. Anche perché per una società delle dimensioni economiche della Fiorentina non sarebbe affatto una cattiva idea puntare alla valorizzazione di un prodotto di casa come Federico Bernardeschi.
A mio parere, vista la composizione delle rosa della squadra, la Fiorentina è ancora, come dall’inizio dell’era Montella, una squadra che ha l’assoluta necessità di gestire in proprio i ritmi della partita e di imporre sempre il suo gioco palleggiato. Le caratteristiche dei centrocampisti rendono ingestibile per la squadra periodi troppo prolungati della partita in cui la Fiorentina è costretta a subire i ritmi e il gioco avversario. Il 4-3-1-2 visto alla prima giornata a Roma, con Vargas e Brillante in posizione di mezzala e due punte scarsamente portate alla manovra (e sostanzialmente, ancora una volta, poco compatibili) come Gomez e Babacar, era inevitabilmente destinato al fallimento tattico visto nel primo tempo per la sua incapacità, viste le caratteristiche dei giocatori impiegati, di padroneggiare il ritmo del match senza peraltro essere in grado di giocare una partita di attesa e ripartenza. Un ibrido senza molto senso, che pesa sulle spalle di Montella. Che, intendiamoci, io ritengo un ottimo allenatore, ma ancora in fase di crescita e formazione e che molte volte negli ultimi tempi mi è apparso troppo poco “montelliano”, rinunciando a credere sino in fondo al progetto tattico cominciato 3 anni fa.
Continuando a legare il discorso tattico a quello di mercato, quello che più serviva alla Fiorentina era un centrocampista che, pur non abbassando la qualità tecnica e l’orientamento al palleggio del reparto, portasse in dote la capacità di alzare il ritmo in fase offensiva e, soprattutto, di contrastare con efficacia gli innalzamenti del ritmo da parte degli avversari, che la squadra patisce particolarmente. Non conosco Badelj, ma da come viene descritto non sembra avere tali caratteristiche (potrebbe essere l’indispensabile vice Pizarro?) e in effetti Kurtic, buonissimo calciatore, è più bravo a correre in avanti che a gestire con efficacia la fase difensiva.
Continuo ad avere più di un dubbio sul campionato della Fiorentina. Sul percorso di crescita del suo allenatore, sulla composizione della rosa ed anche sul tipo di sviluppo che può avere la squadra al terzo anno di Montella.
GIOVANNI FONTANA:
Io penso che, per quanto un disastro a livello tecnico (e umano), l’infortunio di Rossi abbia reso le cose più semplici a Montella. Non sono così scettico sulla convivenza fra Rossi e Gomez, sia per quella manciata di minuti che sono riusciti a fare assieme, sia perché Rossi aveva sempre giocato accanto a un’altra punta, prevalentemente Nilmar, ma anche occasionalmente con giocatori più fisici. Il mio dubbio è, semmai, quanto Gomez – che è un attaccante fortissimo – sia adatto al gioco che Montella ha impostato: ancora una volta, è stata un’occasione o una scelta tattica? Resta il fatto che quando hai Rossi e Gomez, li devi far giocare, così come devi far giocare Cuadrado, visto che, come dicevi, è un po’ rimasto sul groppone (io non escludo che senza l’infortunio di Rossi, la Fiorentina avrebbe abbassato le pretese, vendendolo così a United o Barcellona). La coesistenza di questi tre grandi giocatori costringeva Montella a un modulo solo: il 3-5-2, con Cuadrado abbastanza lontano dalla porta. Le alternative, quella di mettere Rossi esterno in un 4-3-3 (o 4-3-2-1) o Cuadrado dietro le punte in un 4-3-1-2 rischiavano di penalizzare i due più di quanto non fosse il beneficio di averli in campo. Naturalmente il 3-5-2 con Cuadrado esterno è una buona soluzione, in particolare contro squadre che ti lasciano il gioco, ma è chiaro che è molto limitante nel corso di un intero campionato, specie per Montella che ama avere una squadra duttile (l’anno scorso la Fiorentina ha giocato in almeno cinque modi diversi, passando agevolmente dal 4-3-3 al 3-6-1 nello spazio di una settimana).
Senza l’insostituibilità di Rossi, il ventaglio di alternative è ben più ampio, principalmente perché – come dicevi anche tu – tutti i possibili sostituti di Rossi sono più adatti di lui a giocare sull’esterno, a destra come Ilicic o Joaquin, a sinistra come Marin (o Vargas), o su entrambi i lati come Cuadrado e Bernardeschi, e sembra che Montella voglia farci giocare anche Babacar. È un parco di esterni non soltanto ampio, ma con caratteristiche molto diverse, che può rivelarsi utile, in particolare contro le tante squadre che difendono a 3. A centrocampo, come abbiamo detto, molto dipenderà da quanto Kurtic e Badelj (e Mati Fernandez) si dimostreranno in grado di supplire alla discontinuità di Aquilani e alle pause di Pizarro. L’atteggiamento della Fiorentina nella partita contro la Roma ha stupito anche me, per due ragioni: sia perché Montella ha rinunciato a quello che era l’unico vero assunto di tutte le sue formazioni, ovvero la presenza di tre veri centrocampisti centrali (che qualche volta diventavano quattro), sia perché è stata una forma di abdicazione alle proprie convinzioni. Il che non è necessariamente un male, ma andava in un senso – come detto – completamente diverso da quello che aveva indicato il mercato della società (e stiamo parlando della prima di campionato!). Non penso che questo sarà un esperimento che rivedremo presto, almeno in questa forma quasi a rombo, con delle mezzali/esterni.
Se le cose stanno così, mi sembra che Montella abbia punti fermi in 7 delle 10 posizioni libere: due difensori centrali, Gonzalo e Savic, con il primo che sale quasi sulla linea del secondo quando ci sono due terzini; tre centrocampisti, principalmente Pizarro (Badelj), Aquilani (Kurtic), e Borja (Mati Fernandez), con l’ultimo che va a fare il trequartista quando c’è bisogno di un centrocampo più folto (questa è una mossa che Montella usa spesso per cercare di dettare i ritmi della partita anche contro avversari abituati a fare possesso palla: l’unica strategia difensiva che, per tutte le ragioni dette, la Fiorentina è in grado di fare quest’anno); una punta, Gomez (o Babacar); e Cuadrado, che non ha un ruolo definito, ma nella formazione tipo è sempre in campo. Rimangono 3 posizioni da decidere: un difensore, un esterno, e una punta per un 352 (con Cuadrado esterno); due terzini (Pasqual/Alonso e Tomovic/Richards) e un esterno d’attacco per il 4-3-3 (con Cuadrado esterno sinistro o destro); due terzini e un centrocampista/trequartista per un 4-3-1-2 (con Cuadrado attaccante). Delle posizioni rimaste, mi sembra interessante notare come a sinistra Montella consideri molti dei sostituti sullo stesso livello, e li scelga a seconda della necessità della partita, quasi in una catena: Basanta più centrale che terzino, Alonso è più terzino che centrale, Pasqual più fluidificante che terzino, Vargas più esterno che fluidificante. Tutti questi giocatori possono giocare in entrambe le posizioni, per garantire caratteristiche più ibride ai moduli. Sulla destra, essendoci il punto fermo Cuadrado, e Savic che gioca prevalentemente sul centrodestra, la scelta è molto meno varia: si tratta soltanto di scegliere il più difensivo e affidabile Tomovic o il più offensivo e atletico Richards (o nessuno dei due).
Ripassandoti la palla, ti propongo due domande sciocche ma divertenti per chiudere la Guida: dove arriverà la Fiorentina? E tu come la schiereresti?
FABIO BARCELLONA:
Il vero problema non è come schierare la Fiorentina, ma qual è il clima all’interno della squadra. Mi spiego meglio: la spina dorsale è rimasta invariata ed è giunta al terzo anno. L’allenatore è lo stesso e i cardini in campo sono sempre gli stessi: Gonzalo Rodriguez, Pizarro, Borja Valero, Cuadrado. E quest’ultimo non so se sia contento di essere rimasto a Firenze. La questione è che dopo tre anni la squadra non ha avuto, nemmeno in questo, un’evoluzione e non è riuscita ad aggiungere un altro giocatore chiave a quelli che già aveva. Anzi, a ben pensarci il primo anno c’era uno Jovetic in più. Certo il discorso sugli infortuni di Pepito Rossi e sulla sfortuna di Mario Gomez è sempre a portata di mano, ma la realtà è che il centro gravitazionale della squadra è ancora dov’era quando l’avventura Montella è iniziata. La sensazione è che la Fiorentina, dopo la splendida prima stagione, sia rimasta a metà del guado e che l’evoluzione tecnica e tattica sia rimasta bloccata. E questa è una cosa che i giocatori avvertono. La vera sfida per l’allenatore è quindi quella di convincersi e convincere i giocatori che sono in cammino verso qualcosa, rinnovare gli stimoli.
È un anno decisivo per Vincenzo Montella. È un allenatore dal grande potenziale, ma, come detto, deve ancora crescere. Al di là di qualche carenza, il valore complessivo della rosa può consentire alla squadra di competere per un posto alle spalle di Juventus e Roma. Probabilmente Napoli, Milan e Inter hanno maggiori individualità e, in assoluto, non sarebbe un fallimento tecnico arrivare dietro queste squadre. Ma il potenziale per competere a fondo per il terzo posto esiste, ma per farlo la Fiorentina deve giocare bene. I successi e gli insuccessi della squadra passano per forza dalla qualità del gioco e Montella deve essere bravo a ricercarla con rinnovato entusiasmo, applicando maniera radicale (e non si può essere radicali senza entusiasmo) i principi fondanti del proprio calcio. Insomma, niente più Fiorentina come quella vista a Roma, ma volontà sempre e comunque di essere padroni della partita, di palleggiare, controllare il ritmo. Al di là dei moduli di gioco, su cui Montella è stato sempre piuttosto elastico, la costante deve essere un gioco legato e armonioso. Considerando Cuadrado, a ragione, un punto fermo, c’è inevitabilmente, ed è lui, un giocatore disarmonico in questa Fiorentina, un giocatore che rompe distanze reciproche, allunga la squadra quando non è necessario, che strappa il disegno. Per questo è assolutamente necessario che il resto della squadra si muova in sincronia. A me, al di là della sua discontinuità, piace molto Ilicic, per la sua capacità di raccordare centrocampo e linea offensiva, senza però perdere efficacia in fase di pura finalizzazione. Per me può fare il vertice alto di un rombo, la punta esterna che viene dentro al campo e persino il centravanti tattico (vecchia definizione dell’odierno “falso nove”). E, tornando a Cuadrado, a mio parere dovrebbe stare più vicino possibile alla porta e il più lontano possibile dal pallone. Sarebbe un cambiamento piuttosto estremo per un giocatore che ama invece avere il pallone tra i piedi, tenerlo, giocarlo anche lontano dall’area avversaria, ma un Cuadrado più finalizzatore e meno creatore di gioco sarebbe un’ottima cosa per l’economia generale del gioco della Fiorentina e, secondo me, pure per il giocatore. E magari, contestualmente a questo, sguarnire l’area avversaria (come del resto faceva il primo anno con Jovetic che da centravanti veniva costantemente fuori dal cuore della difesa avversaria) e avere spazi negli ultimi trenta metri da fare attaccare al colombiano.
Da amante del calcio faccio il tifo per le squadre che giocano bene, figlie di un’idea e definite dal lavoro in allenamento. Spero che tra queste ci sia la Fiorentina, perché il primo anno di Montella sembrava proprio potesse essere l’inizio di una bella storia di calcio.