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Guida ufficiosa alla MLB 2016
03 apr 2016
I principali temi della nuova stagione del "passatempo" preferito dagli americani.
(articolo)
15 min
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A Raùl Castro pare piacciano un sacco i combattimenti di galli. A Cuba non sono ufficialmente ammessi ma in realtà nemmeno vietati: su di loro in teoria vige il divieto del gioco d’azzardo applicato dall’inizio della dittatura. Il Baseball gli interessa molto meno e per questo, martedì 22 marzo, Raùl avrebbe fatto anche a meno di sedersi sugli spalti dello stadio “Latinoamericano” per assistere alla sfida tra la Nazionale cubana, o ciò che ne resta, e Tampa Bay. Ma accanto a lui c’erano Barack Obama, sorridente in maniche di camicia, e la consorte Michelle, che sfoggiava un vestitino con motivi floreali. Quindi neanche a pensarci.

Ad officiare quella che qualcuno si è già affrettato a definire la “diplomazia del baseball”, che segna un passo ulteriore del disgelo tra Cuba e gli Usa e che rimanda all’abile tentativo di Nixon con il ping-pong nei confronti della Cina durante la guerra fredda, c’era però un grande assente: Fidèl, da sempre innamorato perso, lui sì, del baseball.

La passione del Lider Maximo per il baseball è talmente nota che sono persino fiorite alcune leggende secondo cui Castro in gioventù sostenne due provini in con i New York Yankees e i Washington Senators, che però non ebbero un esito positivo. In realtà questo non sembra sia mai accaduto. Fidèl ha giocato a baseball, era un lanciatore dotato secondo la propaganda di una potente fastball, ma solo ad infimo livello.

La sorte è crudele perché mentre sulla “Isla Grande” gli investitori americani, tra la spuma di una piña colada e gli spruzzi delle onde sul Malecòn, studiano come avventurarsi nell’economia cubana, sotto lo sguardo benevolente del proprio 44esimo presidente, Fidèl chissà dov’era. Forse in un letto d’ospedale. O in poltrona con le pantofole. A mangiarsi le mani, perché in fondo la stagione di baseball 2016 quest’anno è partita da Cuba.

L’arte della sconfitta

Ad agosto 2015 è balzato agli onori delle cronache il caso di una partita persa deliberatamente dalle ragazzine di 13 anni della squadra di baseball femminile di Snohomish, Stato di Washington, durante le World Series della Little League. Il cui risultato è stato far avanzare alle semifinali il team della North Carolina piuttosto che quello dell’Iowa. Le proteste di questi ultimi e le ragioni addotte, hanno convinto gli organizzatori ad annullare la classifica, facendo disputare una partita di spareggio tra Washington e Iowa, vinta da Iowa 3-2. Nonostante il trionfo della giustizia, il comportamento di allenatore e giocatrici è stato molto criticato perché tacciato di antisportività. In America c’è un termine preciso per definire questo genere di cose: il tanking. Ovvero, secondo il vocabolario, “non fare nessuno sforzo per vincere una sfida; perdere deliberatamente una partita”.

Il confine tra perdere deliberatamente una o più partite per ottenere vantaggi in futuro e l’antisportività è di per sé sottilissimo, dalle nostre parti è praticamente inesistente. In America ha però dei risvolti culturali da non sottovalutare perché mette in crisi uno dei postulati cardini della società, ovvero quello “di dare sempre il massimo per vincere”. Ma a giudicare dall’intensità del dibattito invernale sul “problema tanking” nell’Mlb, il “pelo sullo stomaco” deve essere cresciuto a più di qualcuno anche dall’altro lato dell’oceano.

A gennaio scorso i presidenti delle squadre di baseball si sono incontrati all’ombra delle palme di Coral Gables alle porte di Miami per il classico meeting di inizio anno. Nell’incontro sembra che più di uno abbia ammesso le crescenti preoccupazioni per la massiccia ricostruzione in atto che coinvolgerebbe cinque squadre della National League: Atlanta, Philadelphia, Cincinnati, Colorado, Milwaukee e San Diego. Ricostruire significa, in termini molto semplici, seguire l’esempio dei Cubs o meglio ancora degli Astros che dopo tre stagioni in cui hanno collezionato il maggior numero di sconfitte della storia del baseball, hanno raggiunto i playoff e quest’anno sono addirittura favoriti per il titolo. In altre parole significa perdere deliberatamente o meglio non fare niente per vincere, guadagnandosi la possibilità di scegliere per primi al draft, ricostruendo in poco tempo e senza spendere una barca di dollari una squadra vincente.

Il rovescio della medaglia è che se davvero queste cinque squadre si riveleranno le peggiori della nazione, almeno stando alle previsioni di fangraphs.com, nella National League soltanto nove team si contenderanno uno dei cinque posti a disposizione per i playoff, rendendo la corsa prevedibile e poco appassionante, provocando comprensibili malumori nei tifosi-consumatori del prodotto baseball.

«Beh ,vuol dire che quest’anno le altre squadre avranno una grande occasione per essere vincenti», ha dichiarato ridacchiando John Art, “president of baseball operations” degli Atlanta Braves. Il punto è che nemmeno sotto tortura qualcuno dei rappresentanti delle squadre potenzialmente accusate di tanking ammetterà il progetto, trincerandosi dietro dei più politicamente corretti «proveremo a vincere ma abbiamo una visione più grande», «giochiamo per vincere ogni partita ma il ruolo del management è quello di bilanciare il breve e il lungo termine» e così via.

Lo stesso commissioner, Rob Manfred, che l’anno scorso ha accelerato il passo del gioco per rendere il prodotto più televisivamente accattivante, interrogato da Espn sulla vicenda ha fatto buon viso a cattivo gioco: «Credo che le nostre squadre – ha detto Manfred- perseguono delle strategie lungo un arco di tempo per diventare vincenti. Occasionalmente queste strategie comprendono la ricostruzione. Ma le nostre squadre non fanno tanking». E ancora: «Quando hai 30 squadre è normale che 5 o 6 affrontino un ciclo di ricostruzione».

In realtà la questione è più complicata di quanto sembri perché la ricetta degli Astros non è un metodo infallibile, né è corretto ridurla a un mero “più sconfitte uguale più giocatori forti dal draft”. Nel caso di Houston vanno infatti considerati altri aspetti. Pescare per primi al draft è indubbiamente un ottimo modo per assicurarsi eccellenti giocatori ma non è mica detto che ogni anno venga fuori un Kris Bryant o un Bryce Harper. Finora del resto l’unica prima scelta a finire nella hall of fame è stato Ken Griffey Jr.

Non tutti i commentatori però la pensano così e secondo Dave Cameron di fangraphs.com il problema del tanking nel baseball è un fenomeno statisticamente trascurabile rispetto ad altri sport in cui invece assume proporzioni ben più eclatanti. Il paragone è con la Nba, le cui squadre sempre con maggiore frequenza mettono in pratica strategie di tanking per provare ad assicurarsi quel “franchise player” capace da solo di cambiare le sorti di una squadra. Il conto è presto fatto. Nell’Mlb il giocatore più forte nel migliore dei casi ha una War (wins above replacement, il peso specifico di un giocatore all’interno di una squadra tradotto nel numero di vittorie che riesce ad assicurare al suo team) di 8. Nel basket questo numero può arrivare fino a 20. Inoltre se l’impatto di un singolo giocatore in un team di Nba può essere immediato, nel baseball ci vogliono spesso due o tre stagioni perché un rookie esprima il suo potenziale per intero. Se andassimo a spiare dentro la hall of fame ci accorgeremmo che a Cooperstown c’è solo un giocatore di baseball numero uno del draft, mentre a Springfield ce ne sono 14 senza contare Shaq, Yao e Iverson, che entrano quest’anno, e Duncan e James che ancora giocano.

Il giudizio quindi al momento è sospeso. Ma da più parti si fa largo l’idea di modificare in qualche modo il meccanismo del draft, che allo stato attuale premierebbe troppo chi decide di perderle tutte. Secondo il potentissimo agente dei giocatori Scott Boras, una soluzione potrebbe essere quella di assegnare i potenziali migliori giocatori solo alle squadre che hanno raggiunto un numero minimo di vittorie in stagione, disincentivandole quindi dal farla sporca e garantendo maggiore equilibrio. Infatti il tanking, o supposto tale ha anche degli effetti sul mercato e sui contratti dei giocatori. Per questo motivo il tavolo sul quale questi nodi verranno al pettine e si proverà a scioglierli, dovrebbe essere quello del “Colletive Agreement Bargaining”, previsto a dicembre prossimo durante il quale lega e giocatori si incontrano per discutere contratti e altre cose amene di natura finanziaria.

American League: il regno dell’equilibrio

Tanking o non tanking il campionato che prende il via domenica 3 aprile con la sfida tra Pirates e Cardinals, sarà senza dubbio in grado di regalarci nuove emozioni. Ancora una volta la magia delle palline che volano fuori dagli stadi sarà in grado mettere a tacere tutte le chiacchiere. Dopo la pausa invernale ecco come si presentano le 30 squadre dell’Mlb.

Nell’American League la corsa si annuncia molto combattuta. L’obiettivo è provare ad impedire ai Royals di conquistare il terzo pennant consecutivo. Se dovessimo scegliere le tre favorite ai titoli delle division diremmo: Toronto, Kansas e Houston. Boston, Chicago e Seattle sono invece le possibili sorprese.

AL East

I favoriti per la vittoria della division sembrano essere ancora una volta i Toronto Blue Jays. La rotazione ha perso David Price, accasatosi a Boston, ma può contare sul collaudato “gruppo di fuoco” composto da Josh Donaldson, l’Mvp dell’American League della scorsa stagione, Josè Bautista ed Edwin Encarnacion, questi ultimi in scadenza di contratto e vogliosi di guadagnarsene un altro magari ancora più ricco. In prima base conferma in vista per l’italo-americano Chris Colabello che l’anno scorso è stato capace di tenere una meravigliosa media battuta di .321 condita da 15 hr.

Toronto non deve sottovalutare i Red Sox che puntano a riscattare un 2015 avaro di soddisfazioni. La chiave di volta della stagione sarà lo stato di salute di giocatori come Ortiz (alla stagione di addio), e Pedroia. Se stanno bene e contribuiscono per tutto l’arco dell’anno chissà che non venga fuori qualcosa di straordinario; anche perché i giovani (Betts, Bogaerts) hanno talento e il reparto lanciatori (Price, Bucholz e Porcello) sembra assortito bene. Occhio al Panda Pablo Sandoval che si è presentato allo spring camp più grasso che mai.

Tampa Bay, Yankees e Baltimore sembrano un gradino sotto. I Rays hanno tanto talento nei lanciatori (Chris Archer e Jake Odorizzi) ma sono carenti in attacco; il roster degli Yankees invecchia di anno in anno e il GM Brian Cashman sembra finalmente orientato a puntare su nuovi prospetti più che sugli onerosi (dal punto di vista contrattuale) free-agent. Quest’anno infatti stranamente non ne hanno preso nemmeno uno. Si prospetta complicato inserirsi nella lotta per gli Orioles della stellina Manny Machado.

Al Central

Vincere è difficile, ma ripetersi lo è di più. Figuriamoci per tre anni di fila. Sarà un impresa improba quella che attende Kansas City che riparte da dove aveva lasciato. Stessa squadra, stesso allenatore-guru, stesse frecce al proprio arco: difesa, corsa, voglia di non arrendersi mai e un bullpen spettacolare. I punti deboli? Riserve non all’altezza e giovani non ancora pronti al grande salto.

A dare la caccia ai Royals nella Central, che come al solito si annuncia equilibrata e difficilmente decifrabile, saranno gli Indians, forti sia in attacco (Francisco Lindor è un grande prospetto) che sul monte (Kluber, Carrasco, Salazar, Bauer è una ottima rotazione), i soliti Tigers (hanno aggiunto Justin Upton nel lineup, Jordan Zimmerman ex Washington nella rotazione e rifatto il bullpen) e i White Sox del potenziale Cy Young Chris Sale. Più dietro partono i Twins.

Al West

Secondo Sports Illustrated dovevano essere i campioni del 2017, ma può darsi che si siano sbagliati di una stagione. Gli Astros stanno bruciando le tappe e il processo verso la vetta, la cosiddetta “Houston route” madre di tutti i tanking, potrebbe realizzarsi proprio quest’anno. Ripartono da un manipolo di giocatori affamati come Carlos Correa, rookie dell’anno dell’AL 2015, Josè Altuve, George Springer più gli scafati Carlos Gomez, Colby Rasmus e Evan Gattis. Sul monte lo splendido Dallas Keuchel (Al Cy Young 2015) e il nuovo arrivo Doug Fister.

L’unica squadra che sembra in grado di contendere agli Astros il primato della division sono i Rangers di Jeff Bannister (Al manger dell’anno 2015). In attacco Prince Fiedler, Adrian Beltre, Ian Desmond (lo shortstop proveniente da Washington) sono tanta roba. Sul monte Cole Hamels, Derek Holland e il rientro di Yu Darvish dall’infortunio possono fare grandi cose.

Le altre tre partono un filo dietro ma se riescono a risolvere i rispettivi problemi non è detto che non possano dare filo da torcere. Nel caso di Seattle il problema è l’Obp che il nuovo manager Jerry Dipoto ha provato a risolvere con gli innesti di Aoki, Lind e Iannetta. La classe di Robinson Cano, Nelson Cruz e Felix Hernandez resta fuori discussione. Per gli Angels invece la questione è lo scarso staff di supporto intorno al talento innato di Mike Trout. Gli A’s invece hanno il problema opposto: sul monte dietro Sonny Gray c’è il vuoto.

National League: il grande divario

Quest’anno c’è spazio un po’ per tutti nella National League. Il processo di ricostruzione di Philadelphia, San Diego, Cincinnati, Colorado, Milwaukee e Atlanta dovrebbe, a meno di miracoli, concedere delle possibilità alle altre nove grandi di arrivare a giocarsi qualcosa il prossimo ottobre. Sembra quindi piuttosto semplice pronosticare Mets, Cubs e Dodgers in cima alle rispettive division. Ma attenzione alle esplosioni di Marlins, Nationals e Diamondbacks. Omettiamo i Cardinals solo perché non possono essere considerati una sorpresa.

NL East

C’è un record che non è mai stato infranto nella storia del baseball: mettere strike out 1000 battitori nell’arco di una sola stagione. Ora c’è una squadra che può per la prima volta riuscire nell’impresa: i New York Mets. La rotazione Matt Harvey, Jacob deGrom, Noah Syndergaard, Steven Matz e Bartolo Colon (oppure Zach Wheeler quando guarirà) è in assoluto la migliore di tutte le Majors, probabilmente una delle più forti di sempre. Eppure gli amanti delle statistiche sostengono che difficilmente i lanciatori arancio-blu riusciranno a ripetere i numeri della scorsa stagione. Dietro di loro c’è un lineup che ha perso Daniel Murphy, l’eroe di gran parte dei playoff, ma si è liberata anche dei suoi esiziali errori difensivi, commessi durante le World Series. Sembra proprio questo il tallone d’Achille dei Mets: la difesa. Perché la potenza con i vari Cespedes, Wright e Duda non manca.

L’errore di Murphy in gara 4 delle World Series.

La East division però resta una brutta gatta da pelare. Le minacce provengono da Washington e Miami. Sulla panchina dei Nationals è arrivato Dusty Baker, un manager navigato capace di tirare fuori il meglio dai veterani, come Jayson Werth e Ryan Zimmerman, e di fare meraviglie con gli slugger mancini (Barry Bonds, doping a parte, vi dice niente?). Una notizia che farà felice Bryce Harper. Nationals forti anche sul monte con Scherzer, Strasburg e Gonzalez. L’anno scorso erano i cacciatori e hanno fallito, quest’anno invece sono loro ad andare a caccia.

Se dovessimo però puntare un copeco lo faremmo sui Marlins. L’ex manager dei Dodgers Don Mattingly ha voglia di prendersi le proprie rivincite. Giancarlo Stanton in battuta e Josè Hernandez sul monte (entrambi fermati l’anno scorso da fastidiosi infortuni) sono probabilmente le persone giuste per attuare il proprio piano. Attenzione all’esterno Christian Yelich di cui si aspetta l’esplosione.

I Phillies dovrebbero lottare per evitare le 100 sconfitte mentre i Braves dovrebbero passare questo giro in attesa di tornare competitivi l’anno prossimo, quando cominceranno a giocare nel nuovo stadio.

NL Central

Il ritornello (riusciranno i Cubs a vincere il titolo?) è ormai lo stesso da tempo e forse ha anche scocciato un po’. Se non ce la fanno quest’anno dopo aver speso 200 milioni solo per l’esterno Jason Heyward, arrivato dai Cardinals insieme al lanciatore John Lackey e al seconda base Ben Zobrist (free agent), che si aggiungono ad un lineup giovane e forte che annovera già Kris Bryant, Addison Russel e Kyle Schwarber e ad una rotazione eccellente che comprende il Cy Young Jake Arrieta e Jon Lester, beh vuol dire che non ce la faranno mai più. Se riuscissero anche a fare qualche contatto in più dimezzando il numero dei giocatori lasciati in base in posizione punto non ce ne sarà per nessuno.

Visto così il ruolo di St. Louis e di Pittsburgh sembra da assoluti comprimari. Eppure mai sottovalutare i Cardinals che sul tema di “come vincere una stagione” possono tenere un corso all’università e che recuperano l’asso sul monte Adam Wainwright; inoltre possono sempre contare sul nugolo di bambini prodigio che ogni anno vengono fuori dal proprio sistema delle Minors. Sembra invece leggermente appannata la stella dei Pirates che per tre anni consecutivi non hanno ottenuto niente di concreto dopo una regular season vincente. Si dice però molto bene di due lanciatori giovani: Tyler Glasnow e Jameson Taillon. Brewers e Reds invece sono annunciate in ricostruzione.

Nl West

Forse tra le tre questa è la division dove tutto potrebbe accadere. Sulla carta parte favorita Los Angeles, che ha cambiato manager (è arrivato Dave Robertson alla prima esperienza da capo allenatore) e ha perso Zach Greinke (accasatosi ad Arizona). Klayton Kershaw sul monte è una sicurezza ma il cast di supporto (Kazmir e Maeda, Anderson è fuori per infortunio) non sembra all’altezza. Le speranze sono Yasiel Puig, se mette la testa a posto, e il rookie Corey Seager che pare sia un prodigio.

Per questi motivi la corsa per il primato può interessare da vicino sia i Giants che i D’Backs. San Francisco ha inserito nella propria rotazione Johnny Cueto e Jeff Samardzjia che insieme a Madison Bumgarner e Matt Cain (se rimane sano) compongono un ottima squadra. In battuta è arrivato da Washington Denard Span e poi questo è l’anno pari. Chissà che il miracolo non si ripeta ancora una volta. Arizona riparte da una rotazione nuova di zecca con il fortissimo Zach Greinke e l’ottimo Shelby Miller da Atlanta. In battuta Paul Goldscmidt ha il talento per diventare Mvp, mentre A.J. Pollock, Chris Owings e Yasmani Tomas rappresentano un cast di tutto rispetto.

I Padres dopo le spese pazze di una stagione fa e il bagno di sangue di solo 74 partite vinte, si sono dati una calmata e potrebbero vivere una stagione di ricostruzione. Una ricostruzione che invece sembra certa per i Rockies. Ma Nolan Arenado, nell’atmosfera rarefatta del Coors Field di Denver, saprà divertirsi lo stesso.

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