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Guida ufficiosa alla March Madness
19 mar 2015
19 mar 2015
Le favorite, le possibili sorprese, quelle da non sottovalutare mai, i futuri giocatori NBA e le immancabili Cinderella.
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Il momento è arrivato.

Inizia oggi la March Madness, la più grande overdose di basket dell’anno. Un percorso che durerà per 3 settimane, con 12 ore di partite giornaliere nelle prime quattro giornate (si inizia alle 17:15 con la sfida tra Notre Dame e Northeastern) che ci porteranno fino all’incoronazione della vincitrice nella notte tra il 6 e il 7 aprile.

Non ce l’ha fatta a qualificarsi la squadra campione in carica, Connecticut, mentre il Selection Committee ha ricevuto un sacco di critiche per alcune scelte dubbie, come quella di preferire power-houses come UCLA e Texas, reduci da stagioni con (pochi) alti e (tanti) bassi, a discapito di mid-major come Murray State, beffata allo scadere da Belmont dopo una striscia di 26 vittorie consecutive.

Non è stato un anno semplice per la NCAA: oltre alle solite critiche sullo status degli studenti-atleti, è arrivata l’esclusione autoimpostasi di un’università importante come Syracuse da qualsiasi forma di postseason a causa di investigazioni sui voti e sul rendimento scolastico di alcuni giocatori. A questo si aggiungono gli addii a due icone del College Basketball, Dean Smith e Jerry Tarkanian, scomparsi a quattro giorni di distanza l’uno dall’altro.

Il Torneo NCAA serve quindi a far calare il sipario su una stagione che ha lasciato molte ombre, ai piani alti si spera che queste vengano coperte dall’ondata di entusiasmo che contraddistingue da sempre la seconda metà di marzo. In attesa del lieto fine, ovviamente sulle note di One Shining Moment.

Se questo non vi emoziona, non voglio conoscervi. Mai!

La favorita

La stagione giocata finora da Kentucky (#1 Midwest Region) va oltre l’imbattibilità mantenuta. La consapevolezza e la forza del gruppo sono i veri segreti che li hanno portati a raggiungere questo traguardo storico, spazzando via gli avversari non appena mostravano anche il minimo segno di debolezza e reagendo collettivamente ai momenti di difficoltà. È il capolavoro di John Calipari, allenatore perennemente criticato dai puristi del College Basketball per l’impronta poco accademica delle sue squadre, che con un’incredibile rotazione formata da 10 giocatori con prospettive e aspirazioni NBA—il cosiddetto "Platoon system"—ha trovato il giusto compromesso tra il talento dei singoli e la chimica di squadra, partendo dall’aspetto tecnico più adatto a sfruttare le caratteristiche fisiche dei suoi giocatori, ovverosia la difesa.

Con 5 giocatori sopra i 208 centimetri a disposizione è quasi impossibile segnare nella loro area, soprattutto quando in campo possono permettersi il mostro a due teste formato dalla solidità e dal talento di Karl-Anthony Towns e dal dinamismo e l’energia di Willie Cauley-Stein. Towns è anche il giocatore più pericoloso in attacco—non a caso il suo nome non dovrebbe uscire dalle prime due scelte del prossimo Draft NBA—anche se la vera differenza la fanno le percentuali al tiro di Devin Booker, letale tiratore da fuori che costringe le difese ad aprire il campo e sfruttare nel migliore dei modi il binomio potenza-atletismo degli altri elementi.

Giocare contro Kentucky è paragonabile ad affrontare i Monstars di Space Jam: hanno una quantità di talento mai vista in ambito collegiale abbinata a una fisicità senza pari. Questo sono diventati i Wildcats: i cattivi, i "villains", e la loro conquista del mondo è il raggiungimento del 40-0, che significherebbe non solo Titolo NCAA, ma anche un posto di riguardo nella storia, considerando che l’ultima "Perfect Season" è datata 1976, a firma di Bobby Knight e della sua leggendaria Indiana.

Ma occhio, in questo periodo dell’anno fioriscono i Michael Jordan del caso (in senso cinematografico, ovviamente): il supereroe che in una partita riesce a salvare il mondo dall’avvento dei cattivi. Perché appunto, basta una sola partita per mandare all’aria un traguardo storico di questa importanza. È per questo che la chiamano "Madness".

Quando così tanti allenatori avversari spendono quel tipo di parole, o stanno cercando una scusa dopo essere stati arati, oppure è tutto fottutamente reale.

Le altre seed #1

Tra le altre squadre che hanno raggiunto la prima posizione negli altri tre quarti di tabellone, Duke (South Region) è sicuramente l’avversaria che renderebbe più affascinante un’eventuale finale contro Kentucky. Sarebbe la sfida tra le due squadre più talentuose dell’intera nazione, con due allenatori come Calipari e Krzyzewski che quest’anno ha raggiunto l’incredibile traguardo delle 1.000 vittorie in carriera, e tra i due prospetti più importanti in vista del Draft di giugno, vale a dire Towns e Jahlil Okafor, il favorito nella corsa alla primissima scelta.

Il gioco nei pressi dell’area di Okafor è il perno su cui gira il gioco offensivo di Duke (il terzo migliore della nazione, secondo il sito specializzato kenpom.com), ma il lungo di Chicago è affiancato anche dalla grande personalità di Tyus Jones e dall’esuberanza atletica di Justise Winslow, oltre all’ottima stagione al tiro del senior Quinn Cook, che sta diventando il vero ago della bilancia di una squadra che in difesa lascia ancora molti dubbi in certi frangenti di gara. Ma le possibilità per tornare alla Final Four dopo cinque anni ci sono tutte.

Villanova (East Region) è invece la squadra che fa dell’equilibrio in attacco il credo di gioco di coach Jay Wright. Una pericolosità diffusa che però nei quattro tornei scorsi non ha dato i frutti sperati, non riuscendo mai a superare il primo weekend di gioco. Quest’anno il gruppo ha dimostrato di essere molto solido, vincendo agevolmente la Big East, e la quantità di giocatori capaci di cambiare la partita con giocate di energia e/o con percentuali letali nel tiro da 3 li rende un’avversaria veramente imprevedibile nei 40 minuti di gioco. La loro principale bocca da fuoco è il senior Darrun Hilliard, ma il giocatore di riferimento è il direttore d’orchestra Ryan Arcidiacono, play che può assicurare, allo stesso tempo: solida regia, scoring ben selezionato e grande leadership. Non a caso premiato con il titolo di miglior giocatore della Big East con Kris Dunn di Providence (ci ritorneremo).

Quali sono i principali dubbi su di loro? In un Torneo dove non c’è possibilità di replica, una squadra che affida il 43% delle proprie conclusioni al tiro da fuori potrebbe vedere il proprio punto forte ritorcersi contro in serate storte, e non avere un piano B potrebbe essere molto pericoloso, un errore che Wright ha già fatto in passato e che i tifosi sperano di non rivedere.

L’ultima squadra a raggiungere la testa del proprio tabellone è stata Wisconsin (West Region), la più esperta tra quelle appena citate. Guidata da Bo Ryan e dalla sua Swing Offense (un attacco basato su un concetto old-school di pallacanestro adattato ai canoni offensivi odierni, con uso di isolamenti e pick&roll) i Badgers sono al termine di un ciclo che a fine anno vedrà partire almeno 4 membri del quintetto titolare alla volta del basket professionistico. Questa sorta di Ultimo Ballo è stato più che positivo: hanno perso solo tre volte in una Conference molto competitiva come la Big Ten, che ha mandato ben 7 squadre su 14 al Torneo. Nonostante l’infortunio del play titolare Traevon Jackson (figlio dell’ex-globetrotter NBA Jim), sono riusciti a tenere un passo deciso grazie soprattutto alla presenza di quello che dovrebbe essere votato come Giocatore dell’Anno, Frank Kaminsky. “Frank The Tank” è un culto: al di là dei suoi atteggiamenti bambineschi (un’altra dimostrazione durante e dopo i festeggiamenti per il titolo della Big Ten), in campo è il lungo con maggior impatto sulle partite. La sua poliedricità offensiva gli permette di essere pericoloso in ogni parte del campo: un mismatch continuo sempre difficile da arginare. I Badgers hanno un conto in sospeso con Kentucky dopo la sconfitta sulla sirena nella scorsa Final Four, e credo faranno di tutto per cercare la vendetta, nonostante una panchina troppo corta, almeno fino a che non ritornerà Jackson in quintetto.

Squadre da seguire se...

...se cercate "Quella In Costante Crescita Che Probabilmente Meritava Maggior Considerazione per un seed #1", quella è sicuramente Arizona (#2 West). Mai belli da vedere in attacco, ma mastini insuperabili in difesa (la loro efficienza difensiva è dietro solo a Virginia e, manco a dirlo, Kentucky), con una componente fisico-atletica che hanno in pochissimi a livello nazionale. Dopo la sconfitta con Arizona State di inizio febbraio non hanno più sbagliato una partita, dominando la Pac-12 in lungo e in largo. Il cervello della loro squadra è T.J. McConnell, uno che fino a due anni fa era totalmente fuori dai radar e confinato nel piccolo college di Duquesne, mentre Stanley Johnson è un man-child di appena 19 anni capace di sovrastare fisicamente avversari ben più esperti.

...se volete il "Divertimento Puro", indirizzatevi verso le partite di Iowa State (#3 South). Fred Hoiberg, conosciuto come "The Mayor" dai tempi in cui giocava per i Minnesota Timberwolves, è uno degli allenatori emergenti su cui tenere gli occhi aperti. Ogni stagione riesce a modellare un gruppo di ragazzi, spesso con storie non proprio edificanti alle spalle (è stato l’unico capace di far giocare a Royce White un basket di ottimo livello, rendiamoci conto), lasciandogli libertà d’azione, puntando molto sul tiro da 3, su attacchi ad alto ritmo e su Georges Niang, centro sottodimensionato con qualità a dir poco atipiche, visto che agisce molto con palla in mano sul perimetro. Rimangono una squadra molto umorale, ma mai darli per morti: nelle ultime 5 partite sono stati in svantaggio per un totale complessivo di 75 punti, e sono riusciti sempre a recuperare e vincere.

...se cercate la "Miglior Esecuzione Offensiva", non andate oltre Gonzaga (#2 South). Hanno messo a ferro e fuoco la loro Conference fallendo una sola partita (costatagli però la seed #1) con un attacco fluido e dalle mille risorse e soluzioni, spaziature sempre perfette e consapevolezza dei propri ruoli e delle proprie mansioni. Mark Few ha istruito molto bene i suoi ragazzi, tra i quali svettano il playmaker canadese Kevin Pangos e l’ala Kyle Wiltjer, arrivato da Kentucky. Sono la squadra più global dell’intero tabellone, avendo in roster anche un polacco, un lituano (Domantas Sabonis, figlio di quel Sabonis) e pure un italiano dietro la panchina nel ruolo di assistente, Riccardo Fois. Negli anni passati si è sempre criticata agli Zags una difesa fin troppo permissiva, ma a giudicare dalle statistiche (93.4 di efficienza difensiva) e dalle shot-chart si nota un’importante inversione di tendenza.

A sinistra la shot-chart offensiva degli Zags, a destra quella difensiva. Rosso in attacco è bene, blu in difesa è benissimo.

Never underestimate the heart of a champion

In partite "Win Or Go Home", il destino di ogni squadra si decide nell’arco di 40 minuti e se c’è un fattore su cui non si può soprassedere è "La Variabile Impazzita". Che sia opera di un singolo giocatore, una squadra o un allenatore, è la scintilla che aiuta a raggiungere una fiducia tale da permettere di fare danni notevoli anche contro squadre ben più attrezzate, facendo a pezzi i vostri bracket e rendendo il Torneo La Cosa Più Bella Mai Vista Sulla Faccia Della Terra™.

È un aspetto che coach Tom Izzo (Michigan State #7 East) conosce molto bene: sottovalutare i suoi Spartans in questo periodo dell’anno è decisamente sconsigliabile. Dire che Izzo è di casa nella March Madness è riduttivo, diciamo piuttosto che l’ha arredata: dal 2000 Michigan State è arrivata alla Final Four per ben 6 volte e in altre 4 occasioni è andata ad un passo dal farlo, fermandosi alle Elite Eight ma riuscendo sempre ad elevare il loro gioco nei momenti in cui si inizia a respirare aria primaverile. Non dovrebbe fare sconti neanche in questa occasione, visto che sono arrivati a contendersi il titolo della Big Ten contro Wisconsin, beffati da un tiro che ha ballato sul ferro prima di finire fuori e permettere poi ai Badgers di imporsi al supplementare. Occhio.

Wichita State (#7 Midwest) è un’altra mina vagante da non sottovalutare. Hanno avuto una stagione travagliata, soprattutto se la confrontiamo con quella precedente dove chiusero la regular season imbattuti prima di andare a sbattere su—manco a dirlo—Kentucky, ma il trio di guardie formato da Fred VanVleet, Ron Baker e Tekele Cotton è il migliore d’America e due anni fa con questo nucleo hanno raggiunto la Final Four. Hanno esperienza, un allenatore furbo come un volpe in Gregg Marshall e sono un gruppo incredibilmente solido.

Le speranze di Notre Dame (#3 Midwest) invece sono tutte rivolte verso le prestazioni di Jerian Grant, il miglior giocatore della stagione che non faccia di cognome Kaminsky. Grant è il miglior scorer che si possa avere in momenti del genere: non è un volume-shooter, non è un accentratore, ma ha un feeling unico per il gioco, sa benissimo quando alzare il livello, salire in cattedra e diventare irresistibile. Ne sa qualcosa Duke (battuta due volte in stagione) e ne sa qualcosa tutta la Atlantic Coast Conference, che ha visto lui e i suoi "Fightin’ Irish" alzare il trofeo sopra a squadre come Duke (appunto), Virginia e North Carolina.

McGradyiano.

Cinderellas

Altro argomento da cui non si può scappare in periodo di Torneo NCAA: chi sarà la Cenerentola, ovvero la squadra con seed relativamente bassi capaci di dare fastidio/battere le squadre ben più quotate?

Seguendo anche quanto successo in passato, le caratteristiche possono essere diverse. Solitamente vengono premiate le squadre con uno stile di gioco adattabile alle varie situazioni della partita, con giocatori intelligenti e allenatori dalle grandi doti tattiche. La Stephen F. Austin (#12 South) di Bob Underwood risponde perfettamente all’identikit e in attacco gira come un orologio svizzero, ma rischia di essere sovrastata fisicamente da chiunque: l’unico lungo che hanno in campo, Jacob Parker, non arriva ai 2 metri, ai 100 kg e ha un'elevazione irrisoria (in compenso piazza blocchi e va a rimbalzo offensivo con tempismo incredibile, e per questo noi lo amiamo).

Un’altra caratteristica importante dell’aspirante Cenerentola è la potenza di fuoco da dietro l’arco, a patto che sia inserita in un sistema strutturato. Davidson (#10 South) è la scelta che va per la maggiore in questo caso: Bob McKillop è uno degli allenatori più sottovalutati della nazione, la visione della sua motion offense è una gioia per gli occhi e Tyler Kalinoski è il perfetto interprete capace di prendere in mano la partita quando conta. L’ultima volta che Davidson è andata oltre il primo weekend a guidarla c’era uno che al momento aspira a un riconoscimento di tutto riguardo.

Lo scorso anno Dayton è arrivata fino alle Elite Eight facendo leva su grandi prove difensive, e quest’anno Harvard (#13 West) sembra volerne ricalcare le orme. Con un solo grande scorer nelle proprie fila come Wesley Saunders, il resto della squadra si occupa di facilitargli il compito cercando di arginare le avversarie sull’altro lato del campo, con una frontline possente e sovradimensionata rispetto alle altre mid-major. La sfida con North Carolina è un incrocio interessante non solo per il confronto tra due formazioni fisiche, ma anche perché l’allenatore di Harvard è Tommy Amaker, uno dei grandi playmaker della storia di Duke, acerrima rivale dei Tar Heels.

Tre giocatori chiedono la vostra attenzione

Non è un segreto che chi si avvicina al College Basketball lo faccia con la curiosità di vedere come se la cavano i giocatori che in un futuro molto vicino vestiranno la casacca di una franchigia NBA. Noi malati di College Basketball ve lo permettiamo e anzi vi invitiamo a farlo, a patto però che la valutazione di questi prospetti non venga limitata in modo semplicistico a quanto fatto vedere durante il Torneo, che è sì un evento importante e di portata mondiale, ma non lo Stadio Finale di quello che questi giocatori (che non arrivano ai 22 anni, ricordatevelo sempre) devono dimostrare. È un errore fatto lo scorso anno con Andrew Wiggins e Jabari Parker (usciti presto dal Torneo), ma anche con superstar quali Kevin Durant, Russell Westbrook e Chris Paul. Quindi il mio consiglio è di andarci sempre con la giusta cautela.

Dietro ai già citati Okafor e Towns scalpita D’Angelo Russell. In una sola stagione l’esterno di Ohio State (#10 West) si è trasformato da “possibile lottery” a “top-5 pick” prendendosi sulle spalle le maggiori responsabilità, dimostrando partita dopo partita di meritarsele e di saperle affrontare. Ha tutto per essere il nome nuovo per la NBA: istinti realizzativi e capacità di mettere in ritmo i compagni, faccia tosta e talento naturale. I Buckeyes non sono stati fortunati durante la Selection Sunday, con un seed #10 che li metterà di fronte alla difesa ossessiva della VCU di Shaka Smart, e se anche riuscissero a passare il turno rischierebbero di trovare un’agguerrita Arizona. Ma se sono arrivati a questo punto (e le squadre li temono per il loro cammino), lo devono quasi esclusivamente al loro freshman.

Non ha niente da perdere neanche Eastern Washington (#13 South) e l’accoppiamento contro Georgetown al primo turno potrebbe essere intrigante, soprattutto se Tyler Harvey continuerà a segnare con la continuità che l’ha contraddistinto per tutto l’anno. Harvey è il miglior realizzatore della nazione con 22.9 punti a partita, si affida principalmente al tiro da 3 dove nonostante tante conclusioni (oltre 9 di media) riesce a segnare con un impressionate 42.8% e avrà la motivazione extra dell’esposizione del Torneo per giocarsi le sue carte al Draft, non importa se sarà il prossimo o quello del 2016.

Infine nella East Region c’è molta attesa per quello che farà Kris Dunn (Providence, #6) a seguito di questa esaltante stagione. Dopo aver combattuto contro problemi continui alla spalla che ne hanno segnato in maniera significativa i primi due anni della sua carriera collegiale, Dunn ora sta mostrando a tutti il motivo per cui era quotato al livello di Nerlens Noel e Marcus Smart al momento del suo reclutamento. Point guard moderna, tendenza naturale a creare gioco da pick&roll con grande equilibrio tra scoring e passaggi, sembra di vedere in azione un piccolo John Wall per la tendenza ad agire negli attimi in cui la difesa si scopre e per la capacità di prendere in mano la partita quando la palla scotta. È materiale da NBA, lo sta dimostrando e il Torneo potrebbe aiutarlo ad affermarsi al grande pubblico.

Pronti a salire sul bandwagon?

Underdogs

Tra chi calcherà il campo nei prossimi weekend non ci sono solo futuri professionisti—anzi, la maggior parte di loro difficilmente riceverà uno stipendio o anche solo un rimborso spese per giocare a basket (è stato stimato che solo il 2% degli studenti-atleti riesce a farcela)—quindi quella del Torneo NCAA rischia di essere un’opportunità unica nella loro vita per presenziare ad un evento di tale portata. Ma c’è chi ha sfruttato al meglio le chance riservate dalla vita per arrivare fino a questo punto e non è detto che per loro finisca qui.

Basti pensare ad Alex Barlow, uscito dal liceo con una sola offerta di scolarship di Tiffin University, sperduto college dell’Ohio che milita in Division II. Non ha accettato e nella sua convinzione di poter intraprendere la carriera di allenatore si è iscritto a Butler University (non gli mancavano certo i voti) e ha fatto i provini per entrare nella squadra allora allenata da Brad Stevens, il "Modello Da Studiare" accuratamente. Non solo è riuscito a entrare, ma dopo un primo anno in cui ha giocato solo 77 minuti, nel successivo è riuscito a trovare ampio spazio nelle rotazioni e nel suo anno da junior ha ottenuto la borsa di studio. Ora si affaccia alla March Madness come faro dei Bulldogs. Molto probabilmente la sua carriera continuerà su una panchina, e forse sarà quella su cui ora si siede nei timeout per riprendere fiato, partendo da assistente e cercando di arrivare al ruolo a cui aspirava nel momento in cui è arrivato al campus.

Perché certi giocatori non sono interessati ai riflettori, anzi farebbero di tutto pur di andarci il meno possibile. Lo sa bene Kevin Ware, il cui nome ormai è legato a un’immagine indelebile nella storia della NCAA, quella del suo brutale infortunio occorso durante le Elite Eight di due anni fa quando giocava con Louisville. I Cardinals si strinsero attorno a lui e la loro emozionante cavalcata verso il titolo di quell’anno fu una storia bellissima... ma non per Ware: le continue attenzioni dei media, le domande sul suo recupero e l’estenuante interesse della gente lo ha portato vicino a prendere la decisione di smettere di giocare. Nel momento peggiore, l’offerta arrivata da Georgia State (#14 West), un piccolo ateneo della Sun Belt Conference, lo ha riportato sui suoi passi e ora, recuperato a pieno, è pronto a tornare al Torneo. Ware spera di fare lo sgambetto a Baylor con l’aiuto di R.J. Hunter, guardia-ala dalle aspirazioni NBA, e Ryan Harrow, un altro ragazzo che non è riuscito a dare il suo contributo a Kentucky.

Da non perdere

Ultime annotazioni di colore:

- Un peccato che Chris Obekpa sia stato fermato per essere risultato positivo a un test antidroga: i suoi pantaloncini ad altezza inguine sarebbero stati un bel tuffo nel passato;

- Lo shimmy di Rondae Hollis-Jefferson prima di tirare un libero. Non ha un vero motivo, ma è sicuramente una preparazione al tiro migliore della vostra, oltre ad avere una pagina Facebook;

- Non sottovalutate lo spettacolo sugli spalti: potreste perdervi la crazy dance del membro della band di North Florida, che rischia di sopperire alla mancanza di Stanford e del suo cowbell guy.

Un ultimo consiglio

Una delle parti più divertenti della March Madness è la compilazione del bracket. Un appuntamento che nessuno in America si fa mai mancare, neppure il presidente Obama, per sfidarsi tra amici, appassionati e conoscenti senza per forza essere informati su squadre e andamenti, visto che i pronostici saltano con grande facilità in questo periodo dell’anno.

L’importante è che riusciate a non rovinarvi lo spettacolo di questo periodo a causa di un pronostico sbagliato. Non ne vale la pena, a meno che non ci abbiate scommesso dei soldi.

(Se volete unirvi al nostro, qui trovate le indicazioni. L’hashtag di riferimento per le vostre gioie, delusioni e frustrazioni su Twitter è #ItalianBracket. Ci vediamo lì).

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