Come si vince un campionato di baseball? Una domanda intorno alla quale si sono interrogate schiere di autorevoli commentari e scrittori sportivi, senza mai trovare una risposta univoca. Secondo alcuni nei playoff dominano i lanciatori; per altri invece è importante l’esperienza dei singoli giocatori e del manager; senza dimenticare il fattore campo e perfino le maledizioni, che hanno un senso proprio perché continuano a perpetuarsi quando la posta in palio diventa importante.
La verità è che i playoff dell’Mlb sfuggono a qualsiasi lettura e ogni fattore può essere tanto decisivo quanto inutile. Perché, come del resto spiegano in questo stesso articolo due addetti ai lavori come Max Marchi e Renè Saggiadi, è impossibile paragonare la performance di una squadra durante le 162 partite di stagione regolare, contro la dozzina, o giù di lì, che si giocano in una postseason.
Ma in fondo proprio questo sfuggire a qualsiasi logica, questo attraversare una “Terra di mezzo” popolata da personaggi e fatti al limite del sovrannaturale, ci restituisce il senso della bellezza dei playoff dell’Mlb. Una bellezza che risiede anche nell’attesa lenta (logorante a volte) dell’evento che cambierà il corso delle cose. Una tensione costante e a bassa intensità, che raggiunge all’improvviso, in genere nel finale, momenti di grande pathos. A volte infatti, con il telecomando in mano durante quelle interminabili nottate d’autunno, capita di sentirsi come Giovanni Drogo nella Fortezza Bastiani.
I playoff 2016 sono inizialmente iniziati martedì 4 ottobre con i wild card game, vinti da Toronto e San Francisco. Ecco una breve guida alle division series che iniziano giovedì 6 ottobre.
Cleveland – Boston, “the spaghetti series”
L’eventuale ultima partita di “Big Papi” o il ritorno a Boston di Terry Francona (il manager dei titoli 2004 e 2008) e di Mike Napoli (una delle più belle barbe del trionfo del 2013) sono solo alcune delle “top stories” della serie tra Red Sox e Indians. Una sfida che con malcelato sciovinismo si tinge anche un po’ di tricolore grazie alla presenza di Renè Saggiadi e Max Marchi, che per Boston e Cleveland svolgono da diversi anni il ruolo di capo degli scout per l’Europa, Africa e Medio Oriente (Saggiadi) e quello dell’analista (Marchi). Sono proprio loro due ad introdurre la sfida.
«Vediamo come si svegliano i giocatori giovedì» dice Saggiadi, ormai un veterano delle Major. Dal 2006 ha lavorato per i D’Backs, gli Angels e dal 2013 è con i Red Sox. Finora è l’unico italiano «fulltimer» a poter scrivere nel proprio CV un non proprio banale “2013: vittoria delle World Series”. Saggiadi infatti non fa mistero che dopo 162 partite di stagione regolare in una serie dove devi vincerne 3 su 5 contano gli episodi: «Tre partite non significano niente. Ai divisional playoff una gara può far girare tutto».
Ma come si prepara una squadra di Mlb alla postseason? Personalmente avrei immaginato stanze con i pc fumanti, posacenere stracolmi di mozziconi, giocatori e staff sull’orlo di una crisi di nervi. Invece, almeno a Boston, non è così: «Sono tutti concentrati e tranquilli – assicura Saggiadi-. A Boston ci si aspetta di arrivare ai playoff e quando non accade è una delusione. Perciò non c’è particolare agitazione, ad inizio stagione il nostro obiettivo era questo. Però ci rendiamo contro di aver fatto una cosa importante: ai playoff ci sono tre squadre della American League East».
Per Saggiadi è difficilissimo indicare chi sarà l’uomo decisivo dei Red Sox in questa postseason. «A settembre quando abbiamo vinto 11 partite consecutive hanno fatto la loro parte Pedroia, Ortiz, i lanciatori partenti, ma anche il bullpen. Non c’è un giocatore particolare, ma una squadra intera. Se dovessi scegliere che in un momento chiave ci fosse in battuta un particolare giocatore direi David Ortiz. Quest’anno lui era determinato già dallo spring training, voleva dare un grandissimo addio al baseball e sapeva che avrebbe sparato tutto. È un uomo in missione».
Tutto fa pensare che dalle parti di Boston David Ortiz sia stato un giocatore abbastanza apprezzato
Il tricolore sventola anche sulle sponde del lago Erie, grazie a Max Marchi che dal 2014 fa parte della squadra degli analisti dei Cleveland Indians. Da una scrivania alla Regione Emilia Romagna, attraverso un cursus honorum che l’ha visto pubblicare articoli su Hardball Times e Baseball Prospectus, lo statistico bolognese è approdato nell’Mlb. Per Marchi è la prima volta in una postseason e, nonostante l’algido cuore da analista, trapela un filo di emozione. «Per il momento c’è grande soddisfazione –dice-. La vittoria della division in qualche modo corona un lavoro continuo. Ancora non sento la tensione, suppongo che a breve arriverà».
Anche per Marchi però l’avventura degli Indians ai playoff è impossibile da pronosticare. «Mentre durante la regular season prevale la tranquillità di aver fatto un buon lavoro, in 162 partite bene o male gli alti e bassi della sorte finiscono per bilanciarsi, immagino che in postseason, quando ogni azione può cambiare il tuo destino, sarà diverso – commenta-. Seguirò il primo turno da casa poi, sperando che l’avventura nei playoff sia lunga, volerò a Cleveland. Mentalmente non vedo problemi: per tutto l’anno la squadra ha saputo reagire alle difficoltà che normalmente emergono, del resto più volte è stato sottolineato che gli Indians sono stata l’unica squadra ad aver avuto strisce negative di al massimo tre partite. Se dovessi indicare un giocatore decisivo direi Trevor Bauer».
Gli Indians arrivano alla postseason con tanti infortuni pesanti sulle spalle che hanno dimezzato una rotazione fortissima: mancherà sicuramente Carlos Carrasco; Danny Salazar sarà forse disponibile solo per il bullpen e Corey Kluber deve fare i conti con un problema al quadricipite, ma è il lanciatore partente designato per gara 2. Oggi il reparto si affida a Trevor Bauer (4.26 Era nel 2016), ma si fa grande affidamento sul bullpen in cui spicca Andrew Miller, arrivato in estate dagli Yankees.
Boston, che dovrà rinunciare ai lanciatori Drew Pomeranz (utilizzabile solo nel bullpen) e al knuckerballer Steven Wright, è la squadra che per distacco guida la AL per i punti messi a segno e fa affidamento su un line up tanto pericoloso quanto ben assortito (Mookie Betts, Dustin Pedroia, David Ortiz, Jackie Bradley Jr. e Hanley Ramirez). I dubbi sorgono invece sulle prestazioni del lanciatore David Price (in carriera nella postseason ha una Era di 5.12, contro il 3.21 in regular season) e del closer Craig Kimbrel. Nonostante il fattore campo e la suggestione, peraltro molto forte, di vedere la gente di Cleveland scendere per le strade in trionfo solo pochi mesi dopo la straordinaria impresa dei Cavs, il pronostico pende leggermente verso Boston.
Texas – Toronto, la rissa parte 2
Diciamoci la verità, non aspettavamo altro che vedere un nuovo episodio della sfida tra Texas e Toronto che l’anno scorso, proprio in gara cinque delle division series, ci ha regalato momenti di grande intensità.
Al settimo inning il batflip di Josè Bautista, che celebrava l’home run che avrebbe deciso la serie, ha suscitato la decisa reazione della panchina dei Rangers. La vicenda ha avuto degli strascichi anche in stagione regolare con la vendetta di Rougned Odor.
Toronto arriva alle division series dopo aver eliminato nel wild card game i Baltimore Orioles grazie al fuoricampo walk-off firmato da Edwin Encarnacion che all’11esimo inning dopo una maratona, ha sbloccato il risultato, dando la vittoria al team canadese per 5-2.
Quando si parlava di attimi di grande pathos ci si riferiva proprio a questo. Sul banco degli imputati è finito il manager degli Orioles Buck Showalter che inspiegabilmente non ha mandato in campo il rilievo Zach Britton, che possiede l’Era più bassa di tutta la lega (0.58) e quest’anno in 67 inning ha concesso solo 4 punti
Toronto resta altamente performante in attacco con sei uomini (Encarnacion, Donaldson, Saunders, Tulowitzki, Bautista e Martin) capaci di superare quota 20 fuoricampo in stagione, è migliorata sul monte di lancio (3.78 Era, la sesta di tutta l’Mlb), grazie soprattutto alle prestazioni di Aaron Snchez e J.A. Happ a al contribuito dei veterani Francisco Liriano e Marco Estrada. Solido anche il bullpen con il closer Roberto Osuna, uscito ammaccato dal match contro gli Orioles, e i rilievi Jason Grilli e Joe Biagini
I Rangers invece rimangono una brutta gatta da pelare, forse anche peggiore di quella dello scorso anno. Intanto hanno vinto 95 partite, il record migliore dell’American League, che consegna loro anche il vantaggio di poter giocare l’ultima in casa (perfino nelle eventuali World Series). L’attacco possiede tanti battitori pericolosi guidati dal 37enne Adrian Beltre, a cui si aggiungono Odor, Desmond, rivitalizzato nel ruolo di esterno centro, e gli innesti del mercato estivo Carlos Beltran dagli Yankees e Jonathan Lucroy da Milwaukee.
Yu Darwish è tornato a buoni livelli dopo l’operazione al gomito (7-5, 3.41 Era) mentre Cole Hamels resta un lanciatore di tutto rispetto, capace di 15 vittorie nel 2016. Il punto interrogativo sono gli altri due lanciatori: Colby Lewvis e Martin Perez, perché il bullpen (Matt Bush e Sam Dyson) è forte. L’altra abilità sulla quale fanno affidamento i Rangers, che sulla carta nei playoff potrebbe rivelarsi decisiva, è la capacità di vincere le partite sul filo. I texani hanno un record di 36-11 nelle gare finite con un solo punto di scarto.
Toronto ha senza dubbio più chance di passare il turno ma Texas deve pareggiare i conti dopo l’amarezza dello scorso anno. Magari all’ultimo inning di gara 5.