Dopo mesi di attesa e di incertezza sulla ripresa del ciclismo per via della pandemia di Covid-19, il Tour de France prenderà il via da Nizza il 29 agosto. Una situazione unica che anche la Grande Boucle ha dovuto subire, piegandosi agli eventi che hanno stravolto questo 2020.
«Come un regista che sa di dover tutto ai suoi attori, così noi sappiamo che il successo del Tour dipende principalmente dallo splendore dei corridori», ha scritto il direttore del Tour de France Christian Prudhomme nel suo editoriale di presentazione alla Grande Boucle 2020. Sarà così anche quest’anno, anche se la Ineos ha annunciato a sorpresa che non ci sarà Chris Froome, il quattro volte vincitore del Tour de France, che ancora deve recuperare del tutto dal grave incidente di un anno fa che ha rischiato di porre fine alla sua carriera. Non ci saranno nemmeno Geraint Thomas - escluso per scelta tecnica - e Vincenzo Nibali, che invece ha scelto autonomamente di puntare sul suo Giro d’Italia.
Anche senza questi tre campioni, però, il Tour de France rimane una corsa di altissimo livello tecnico, con diversi ciclisti eccelsi, tra cui alcuni “grandi vecchi” come Nairo Quintana, che pur essendo solo un classe ‘90 pare essere in giro da un’eternità. Nonostante ciò, sarà di sicuro un Tour molto giovane e per certi versi inesperto. Senza Froome, Thomas e Nibali, infatti, l’unico altro atleta in gara ad aver già vinto un Tour de France è il campione uscente, il colombiano Egan Bernal che a 23 anni può già puntare a una straordinaria doppietta.
Da Nizza a Parigi, 3470 chilometri da percorrere divisi in 21 tappe, 4 arrivi in salita e una sola cronometro prima del consueto arrivo sugli Champs-Élysées il 20 settembre che segnerà la conclusione di questa edizione numero 107 della Grande Boucle. Il Tour de France 2020, nonostante tutto, è finalmente pronto a partire.
Foto di KENZO TRIBOUILLARD/AFP via Getty Images
La stagione 2020 è stata stravolta per il lungo stop dovuto alla pandemia di Covid-19 e anche il Tour de France ne ha risentito con lo slittamento a fine agosto. Questa situazione inedita cambierà le carte in tavola?
Gabriele Gianuzzi
Da un punto di vista sportivo, la preparazione delle squadre è cambiata radicalmente. Innanzitutto le squadre sono state costrette a scegliere le corse di preparazione in base a criteri geografici più che sportivi per far sì che i propri atleti non uscissero dalle cosiddette “bolle” e potessero quindi correre il rischio di non correre. Un caso emblematico è quello della Movistar, unica squadra spagnola World Tour, che non ha fatto partecipare i suoi tesserati destinati al Tour ai campionati nazionali spagnoli.
I piani degli atleti sono di conseguenza cambiati. Pensiamo per esempio ai ciclisti colombiani che solitamente rientrano in Europa a ridosso delle competizioni per beneficiare dei picchi di forma dovuti all’allenamento in altura e che quest’anno sono dovuti tornare circa un mese prima del previsto con un volo di stato. D’altra parte, l’allenamento casalingo forzato sui rulli nei mesi di lockdown potrebbe influire su possibili infortuni dovuti alla postura. Nell’ultimo Delfinato molti atleti, tra cui Bernal e Landa, hanno accusato dolori alla schiena riconducibili a questo tipo di sforzo.
Vista l’incertezza sul prosieguo della stagione, inoltre, quasi tutti i team hanno strutturato la preparazione fisica per cercare di partire subito a tutta nel tentativo di massimizzare vittorie, esposizione degli sponsor e ricavi nell’immediato. Mantenere un picco di forma di 6/7 settimane è possibile in linea teorica ma visto il calendario compresso e la riduzione dei giorni di recupero e di allenamento tra una gara e l’altra, è verosimile che gli atleti più giovani che solitamente necessitano di meno chilometri nelle gambe per entrare in forma siano avvantaggiati nella prima settimana.
Il fattore climatico giocherà anch’esso un ruolo importante. Siamo abituati ad avere un Tour de France adatto a quei corridori in grado di sopportare le alte temperature di luglio e invece ci troveremo tappe alpine sopra i 2000m da correre a metà settembre, con tutto ciò che ne consegue.
Dal punto di vista organizzativo, i problemi endemici di questo sport si sono notati ancora una volta. I protocolli stilati dall’Unione Ciclistica Internazionale hanno il grande merito di essere adattabili alle differenti situazioni riscontrabili nelle varie parti del mondo, ma allo stesso tempo hanno il limite di essere di fatto sostanzialmente inapplicabili se non nei termini generali. I vari organizzatori sono quindi costretti ad attuare un proprio protocollo specifico al quale le squadre devono per forza adeguarsi in tempi rapidi con tutto il caos che ne consegue.
Nel caso di ASO, gli organizzatori del Tour de France, le ultime regole sono state decise durante una riunione martedì, a quattro giorni dalla partenza. Attualmente non si sa ancora se esista un piano B qualora la situazione sanitaria in Francia richiedesse la sospensione o l’annullamento della corsa.
Un aspetto da non sottovalutare è il rischio che una squadra possa essere allontanata dal Tour de France qualora qualche corridore o membro dello staff dovesse risultare positivo al tampone. Una decisione che potrebbe complicare decisamente la regolarità della corsa e addirittura portare a situazioni surreali che andrebbero a falsare completamente il risultato finale.
Le squadre, dal canto loro, dopo i primi casi di falsa positività e di abbandono forzato alle corse stanno iniziando a mostrare i primi segni di insofferenza. Insomma, l’equilibrio precario su cui da sempre si fonda il ciclismo quest'anno sarà ancora più fragile, e chissà che non lo vedremo spezzarsi già a partire da questo Tour.
Quali sono le tappe più importanti, quelle in cui si deciderà la corsa?
Gabriele
Molti appassionati considerano questo Tour un po’ scialbo perché manca una lunga crono pianeggiante a decidere il vincitore finale ma io non sono d’accordo. In realtà il percorso è interessante anche senza e le tappe che potrebbero regalarci spettacolo sono diverse.
La prima tappa che potrebbe darci indicazioni importanti sull’esito finale arriva subito il secondo giorno di gara. Due passaggi sopra i 1500 metri con il Col de la Colmiane e il Col de Turini e il passaggio sul Col d’Eze prima del circuito finale a Nizza potrebbero dirci qualcosa su chi si vestirà di giallo a Parigi. Indicazioni che potrebbero rafforzarsi ulteriormente nella tappa numero 4 con il primo arrivo in salita alla stazione sciistica di Orcières - Merlette, la prima vera giornata di lotta tra i big. Nel 1971 proprio su questo arrivo Ocaña ebbe la meglio su Merckx di circa 8 minuti.
Anche la tappa 6, con l’arrivo in salita al Mont Aigual, è degna di nota, soprattutto per via del Col de la Lusette a circa 20 km dal traguardo. Due giorni dopo si corre la prima tappa pirenaica (tappa 8), con due GPM di prima categoria e uno Hors Catégorie racchiusi in 141 km. Un percorso che potrebbe iniziare a far male a qualcuno.
La tappa 10, dopo il primo giorno di riposo, dipenderà dal vento. Essendo 168 km lungo la costa Atlantica potrebbe esserci il rischio di ventagli. Nel caso contrario sarà un lungo trasferimento scenografico.
Le tappe 12, 13 e 14 saranno dure e interessanti (la 13 in particolare, attraverso i vulcani dell’Alvernia e l’arrivo a Puy Mary) ma saranno soprattutto utili a montare l’attesa per la domenica con lo spettacolare arrivo al Grand Colombier dopo la Selle de Formentel e il Col de la Biche. Qui sarà corsa vera.
Nella tappa 17 si supereranno per la prima volta i 2000 metri con il Col de la Madeleine e l’arrivo brutale sul Col de la Loze con rampe fino al 20%. Spesso si dice che sopra i 2000 metri i valori visti fino a quel momento siano insignificanti. Staremo a vedere. La tappa successiva non avrà praticamente un metro di pianura e avrà anche l’incognita del Plateau de Glières con un tratto in sterrato che potrebbe regalare qualche grattacapo.
La tappa 18 è l’ultima frazione di montagna vera e propria.
Infine potrebbe essere decisiva la cronoscalata alla Planche de Belles Filles. 36,2 km che si possono dividere in 3 parti più o meno uguali. La prima parte pianeggiante sulle strade di casa di Thibaut Pinot, la seconda parte movimentata e per concludere la salita. Ci saranno dei ribaltoni? Credo di no, però sarebbe bello vedere qui qualcosa di simile alla battaglia a crono tra LeMond e Fignon del 1989.
Ineos e Jumbo sembrano le due squadre più forti del gruppo. Qualcuno riuscirà a inserirsi in questo duopolio?
Umberto Preite Martinez
Anche senza Froome e Thomas da un lato e Kruijswijk dall’altro, Ineos e Jumbo-Visma sono senza alcun dubbio le due squadre più solide al via. In realtà, dopo anni di dominio assoluto del team Sky/Ineos, è già una notizia che ci sia un’altra squadra pronta a competere ad armi pari contro la corazzata britannica. L’altra notizia, però, è che i tecnici della Jumbo hanno evidentemente osservato e studiato con attenzione le tattiche dei rivali e sembrano intenzionati a riproporle con modalità molto simili. Già al Delfinato, la principale corsa di preparazione al Tour de France, abbiamo avuto modo di vedere la Jumbo-Visma adottare il famoso “trenino” in salita, esattamente come in tutti questi anni ha fatto la Sky/Ineos.
Lo strapotere tecnico e atletico dei gregari che compongono questo “trenino” rende molto difficile immaginare un inserimento esterno, un qualche attacco che possa stravolgere i piani della squadra al comando. Una situazione che già in passato ci aveva condannato a lunghe e noiose processioni su e giù per le salite del Tour de France senza che nessuno avesse la forza per ribellarsi.
Quest’anno però per la prima volta ci saranno due squadre capaci di cannibalizzare la corsa e forse questo comporterà una maggiore vivacità della gara, soprattutto perché una delle due squadre si troverà per forza di cose a dover recuperare terreno sull’altra. E non è detto, quindi, che in questa lotta fra titani non si possa inserire qualche altro contendente.
La Bahrain-McLaren, ad esempio, si presenterà al via con un organico molto solido, pieno di ottimi gregari tutti a disposizione del capitano Mikel Landa, che ha lasciato la Movistar proprio per evitare di dover condividere la leadership della squadra con chicchessia. A supportarlo, quest’anno, avrà nomi di primo livello fra i quali spiccano Wout Poels, ex gregario di lusso della Sky, e Pello Bilbao, neo campione spagnolo a crono e ottimo scalatore.
Anche la EF di Uran, Martinez e Higuita potrebbe dire la sua. Ma vedendo i nomi previsti al via mi sembra una squadra piena di mezzepunte, più adatti a fare azioni di disturbo, magari con attacchi combinati da lontano, più che imporre il proprio ritmo al gruppo.
L’anno scorso Egan Bernal ha vinto un po’ a sorpresa. Riuscirà a ripetersi?
Gabriele
Egan Bernal corre con la maturità di un campione navigato, nonostante i soli 23 anni. Per questo motivo e più in generale per il suo talento è lecito pensare che quella dell’anno scorso non sarà la sua ultima vittoria al Tour de France. Purtroppo per lui, però, la Grande Boucle di quest’anno non è molto adatta alle sue caratteristiche. C’è molta montagna e poca crono, e questo potrebbe essere un punto a suo favore, ma le salite da affrontare sembrano più adatte ad altri atleti.
Oltre al fattore tecnico peserà anche quello mentale. Bernal riuscirà a gestire la pressione di essere il campione in carica, di avere una squadra alla ricerca quasi maniacale del successo a sua completa disposizione e di avere un intero Paese, la Colombia, alla continua ricerca di un salvatore della Patria in ambito sportivo?
Stiamo parlando di questo tipo di pressione (Foto di Diego Cuevas/Vizzor Image/Getty Images).
Le prime gare di stagione ci hanno detto che il suo stato di forma è buono ma non ancora ottimale. Bernal è parso leggermente affaticato, ma se dovesse raggiungere il picco di forma a cavallo tra la seconda e la terza settimana (senza perdere troppo nelle fasi iniziali) potrebbe fare la differenza sulle Alpi e, soprattutto, sopra i 2000 metri.
Il ciclista colombiano, inoltre, potrà contare su una squadra solida. Castroviejo, Amador e Sivakov saranno gregari importanti e Kwiatkowski, Van Baarle e Rowe lo aiuteranno a controllare la corsa nei momenti complicati.
Infine c’è la variabile Carapaz. Teoricamente nei piani della squadra il ciclista ecuadoriano avrebbe dovuto concentrarsi sul Giro per puntare alla vittoria. Il suo momento di forma, visto nella Vuelta a Burgos, in Polonia e al Lombardia, sembra essere altalenante. Per questo motivo è possibile che si limiti al ruolo di gregario (un eccezionale gregario). Se però si trovasse nella condizione di lottare per la vittoria finale, rispetterà le gerarchie? Chissà che Bernal per studiare i suoi avversari non debba guardarsi in casa.
Dopo la vittoria di Bernal, la Colombia si è affermata come una grande potenza del ciclismo mondiale. Quali sono le prospettive degli altri escarabajos in questo Tour?
Umberto
C’è stato un momento in cui praticamente tutti hanno pensato che il primo colombiano a vincere il Tour de France sarebbe stato Nairo Quintana. E che poi, dopo quel primo trionfo, ne avrebbe collezionati altri e altri ancora. Ma le cose non sono andate così.
Nairo Quintana sarà ancora una volta al via del Tour de France ma dopo i tre podi del 2013, 2015 e 2016 non si è mai neanche più avvicinato alla Top-5 in classifica generale e il suo ultimo podio in un grande giro risale al secondo posto al Giro d’Italia 2017. Dopo anni alla Movistar, però, Quintana ha cambiato drasticamente aria passando alla Arkea-Samsic, una squadra francese fuori dal World Tour, e quest’anno finalmente sembra aver ritrovato quella solidità e quella serenità che gli mancavano negli ultimi tempi.
Il problema è che nel frattempo altri escarabajos hanno seguito il suo percorso da questa parte dell’Atlantico. Egan Bernal ormai lo conosciamo tutti dopo la vittoria al Tour de France 2019 (lui sì, il primo colombiano di sempre) ed è sicuramente il più forte della compagnia. Ma occhio anche al trittico della EF: Rigoberto Uran, il grande vecchio del ciclismo colombiano che dovrà far da chioccia a Sergio Higuita e, in particolare, a Dani Martinez che ha recentemente vinto il Delfinato. Il tridente colombiano della EF è l’indiziato numero uno per far saltare in aria la corsa nelle tappe più impegnative ma non è detto che questo basterà per vincere.
L’altra punta di diamante della Colombia è Miguel Angel “Superman” Lopez, capitano della Astana e con forti ambizioni di classifica. Lopez è alla sua prima esperienza al Tour de France ma ha già dimostrato negli anni di essere un ciclista molto solido e in grado di puntare ai piani alti della generale. Il suo problema, paradossalmente, è che non è un grande attaccante, spesso sembra non aver piena fiducia nei suoi mezzi e questo lo porta a tirare un po’ il freno quando invece dovrebbe andar via a testa bassa senza pensarci troppo.
Roglic, nonostante la recente caduta al Delfinato, sembra essere l’uomo più in forma. Può essere la sua occasione?
Umberto
Primoz Roglic ha dalla sua una squadra eccezionale, cosa che in questi ultimi anni abbiamo visto essere fondamentale per costruire una vittoria al Tour de France. Il trenino composto da Gesink, Bennett e Kuss sarebbe già di suo straordinario e a questi tre vanno aggiunti Wout Van Aert e un ritrovato Tom Dumoulin.
Paradossalmente potrebbe essere proprio l’olandese uno degli avversari più ostici per Roglic. Dumoulin, infatti, dopo più di un anno di stop è tornato in gruppo il 7 agosto al Tour de l’Ain, dove ha fatto da gregario vero e proprio, e poi ha corso il Delfinato da spalla di Roglic chiudendo in palese crescita sia di condizione fisica che di convinzione nei propri mezzi.
Roglic (che proprio al Delfinato si è ritirato precauzionalmente per una caduta) però partirà senza ombra di dubbio con i gradi di capitano della Jumbo-Visma, anche in virtù di quanto finora ha mostrato in questo scampolo di stagione. Al Delfinato andava talmente forte che c’è chi pensa che sia arrivato alla forma ottimale troppo presto e che rischi di non arrivare in fondo alle tre settimane. D’altra parte, è esattamente ciò che successe l’anno scorso al Giro quando si presentò da dominatore del Romandia per poi crollare nella terza settimana.
C’è però da dire che quel Giro lo chiuse comunque in terza posizione nella classifica generale, che non è mai un risultato banale. Quest’anno ha corso ovviamente di meno rispetto alla preparazione al Giro 2019 e paradossalmente il piccolo infortunio che l’ha costretto al ritiro al Delfinato potrebbe essergli servito per riposare un po’ e arrivare al Tour un po’ più fresco.
In linea generale, Roglic sembra ad oggi il più forte nel lotto dei favoriti, sicuramente il più in forma e quello con la squadra più solida. Le uniche incognite sono la tenuta sulle tre settimane e le letture tattiche delle tappe che gli fecero perdere il Giro d’Italia l’anno scorso. Il dominio alla Vuelta 2019, però, sta lì a dimostrare che lo sloveno della Jumbo-Visma è uno che impara in fretta dai suoi errori.
Chi potrebbe essere la sorpresa di questo Tour de France?
Gabriele
In molti fremono all’idea di vedere Mikel Landa vestito di Giallo a Parigi. Vederlo scattare in faccia a tutti in salita, alzandosi sui pedali “Agarrado de abajo” (in Italia diremmo alla Pantani, ma letteralmente sarebbe “aggrappato alla parte bassa del manubrio”). E sarebbe tutto bellissimo se non fosse che Landa è il Re dei “se”: se non fosse caduto, se non avesse avuto quel problema meccanico, se la sua squadra l’avesse supportato meglio, eccetera. Se quest’anno Landa sarà capace di trasformare tutti questi “se” in “nonostante” allora potremmo vedere qualcosa di straordinario.
Un’altra potenziale sorpresa potrebbe essere Bauke Mollema. Per molti anni si è detto che il ciclista olandese corresse il Tour per prepararsi al meglio a vincere la Klasikoa di San Sebastian. Quest’anno la classica non si correrà, e quindi i sogni in giallo potrebbero essere meno campati in aria. Mollema condividerà i gradi di capitano con Richie Porte, un altro grande incompiuto del ciclismo, ed entrambi sembrano essere in buona forma. Potrebbero farci divertire, insomma.
Poi c’è Tadej Pogačar, che, almeno potenzialmente, è talento allo stato puro. Il podio a La Vuelta dello scorso anno ci dice che sulle tre settimane è già pronto a lottare con i migliori. Sulla carta sarebbe dovuto essere il gregario di Fabio Aru ma a questo punto sembra molto più realistico il contrario.
Il podio della Vuelta 2019. Pogacar è quello a destra che sorride più degli altri due messi insieme (foto di OSCAR DEL POZO / AFP).
Infine altri due nomi per chiudere. Emanuel Buchmann dopo il quarto posto dello scorso anno e l’inizio di stagione scoppiettante sembrava essere lanciato verso un Tour da protagonista. Una caduta al Delfinato lo farà iniziare con qualche acciacco di troppo. Dovesse tenere duro i primi giorni, potrebbe riservare sorprese.
Enric Mas, invece, sembrava destinato ad un futuro da campione. Il suo ritorno in patria alla Movistar lo proiettava verso i grandi del ciclismo spagnolo. Non sta attraversando il miglior periodo della sua carriera ma potrebbe avere in questo Tour una chance di riscatto.
Quali sono i giovani da seguire?
Umberto
Partirei da Pavel Sivakov, classe ‘97, che ormai tutti dovrebbero conoscere, chi più chi meno, per quanto ha fatto in questi due anni e mezzo al Team Ineos. Sivakov è senza alcun dubbio uno dei più grandi talenti della sua generazione. Ciclista completo tagliato su misura per le grandi corse a tappe, si è messo in mostra in questi anni soprattutto con attacchi dalla media e lunga distanza dimostrando di avere notevoli doti di resistenza e sul passo. Al Tour dovrà lavorare per Bernal, ovviamente, ma se il colombiano dovesse trovarsi a dover inseguire in classifica generale allora Sivakov potrebbe essere una pedina fondamentale da giocarsi per provare a ribaltare la situazione, anche magari con azioni dalla distanza.
Un altro nome da tenere d’occhio è quello di Marc Hirschi, svizzero classe ‘98, già campione del mondo U23 nel 2018. Hirschi è un ciclista più esplosivo rispetto al franco-russo della Ineos, capace l’anno scorso di piazzarsi al terzo posto del San Sebastian alle spalle di Remco Evenepoel. A differenza di Sivakov, Hirschi avrà maggiore libertà di muoversi e potrebbe togliersi qualche soddisfazione.
Marc Hirschi in solitaria sul traguardo di Innsbruck 2018. Secondo quel giorno fu Bjorg Lambrecht (foto di CHRISTOF STACHE/AFP via Getty Images).
Meno conosciuto, ma non per questo meno interessante, è invece il profilo hipster di Harold Tejada, giovane colombiano della Astana. Già l’elenco delle squadre che ha avuto finora basterebbe per farci innamorare di lui: fino al 2016 era alla “Orgullo Paisa”, poi è passato alla EPM-Scott, la squadra sponsorizzata dalla Empresas Públicas de Medellín, la società di multiservizi del comune colombiano, e infine alla “Medellín” fino al passaggio in Astana avvenuto quest’anno. L’anno scorso ha vinto il campionato nazionale U23 in Colombia sia a cronometro che in linea, in una prova che, stando a quanto riportano le cronache locali, strizzava l’occhio agli scalatori. Al Tour anche lui dovrà lavorare per il suo capitano, il connazionale Miguel Angel Lopez, ma sarà sicuramente interessante vederlo confrontarsi con i migliori al mondo al Tour de France per poi magari, fra qualche anno, poter dire agli amici “ve l’avevo detto”.
Il Tour de France è da sempre la vetrina principale per i velocisti. Chi sarà il migliore quest’anno?
Umberto
Il favorito per la Maglia Verde è ovviamente Peter Sagan, che l’ha già vinta sette volte in carriera. In questa ripresa si è visto poco ma saprà senz’altro farsi trovare pronto al momento giusto.
Negli ultimi anni, però, non è detto che a vincere la maglia Verde sia il miglior velocista del gruppo, o comunque chi riesce a vincere più tappe, e anche quest’anno è probabile che Sagan non riuscirà a imporsi come il miglior velocista in gruppo, visto il livello dei contendenti.
A partire dal duo della Lotto-Soudal: John Degenkolb e Caleb Ewan formano un tandem sulla carta formidabile per gli arrivi in volata. Ewan ha vinto tre tappe al Tour 2019, compreso l’ambito arrivo sugli Champs-Élysées a Parigi ed è oggi uno dei migliori velocisti al mondo. La Deceuninck-Quick Step porta l’irlandese Sam Bennett, altro nome da tenere d’occhio, mentre la Cofidis potrà contare sull’esperienza di Elia Viviani.
Certo, non è escluso che tra questi favoriti si possano inserire anche degli outsider, come Coquard, Nizzolo e il sempreverde Greipel.
L’ultimo francese a vincere il Tour de France fu Bernard Hinault nel lontano 1985. Quali sono i ciclisti francesi che potrebbero ripercorrere le sue orme?
È difficile rispondere a questa domanda senza avere in mente le lacrime di Thibaut Pinot mentre sale in ammiraglia e abbandona lo scorso Tour de France. Pinot sembra la versione degli anni 2000 di René Vietto, ciclista francese degli anni ‘30 e ‘40, passato alla storia come “roi maudit” (re maledetto) per quella sua incapacità di conquistare il Tour, anche a causa di tragicomici scherzi del destino.
Sempre dal Tour dello scorso anno, precisamente dal docufilm “Avec Thibaut” realizzato da France2, c’è però un’immagine che lascia aperta una speranza ai transalpini. Pinot è appena rientrato in albergo, a fatica trattiene le lacrime, quando nella sua stanza entra Marc Madiot, il vulcanico patron della sua squadra FDJ: «Non ti meriti tutto ciò che ti capita, ma devi sapere che ti può capitare lo stesso. Ci sei quasi, continua a lavorare così come fai e un giorno o l’altro la porta si aprirà. Ti manca un piccolo accrocchio del destino».
Ovviamente questo non significa niente e oltre a una piccola dose di fortuna inevitabilmente Pinot dovrà metterci del suo. Nelle prime uscite stagionali, comunque, il ciclista francese si è ben comportato e la gamba sembra essere quella buona.
Qualche riga va spesa anche per Guillaume Martin. Il 27enne scalatore della Cofidis, laureato in filosofia con una tesi sulla relazione tra lo sport di élite e la filosofia Nietzscheana, sembra aver raggiunto la maturità atletica e mentale per poter condurre un grande Tour. La sua dimensione al momento sembra essere quella della top10, ma chissà che non possa riservarci delle sorprese.
Ovviamente, in questa risposta, non si può non fare il nome di Julian Alaphilippe, che ha annunciato di non puntare alla classifica generale. Dobbiamo credergli? Visto il percorso, la sua squadra e la sua condizione non ancora ottimale, direi di sì. Penso sia più probabile vederlo lottare per qualche tappa e magari puntare alla maglia a pois, e lo stesso si può dire anche di Romain Bardet.
Quali risultati possiamo aspettarci dagli atleti italiani al via?
Umberto
Senza Vincenzo Nibali, che ha scelto di puntare sul Giro d’Italia, possiamo quasi sicuramente dire addio a qualsiasi speranza di piazzare un italiano ai piani alti della classifica generale. Una situazione che basterebbe a dipingere lo stato del nostro movimento che si regge, per quel che riguarda le corse a tappe, interamente sulle spalle di un uomo di quasi 36 anni.
Fabio Aru, infatti, che correrà il Tour de France con la UAE Emirates, non ha mai più raggiunto i livelli di qualche anno fa complici anche alcuni problemi fisici. Nella stessa squadra ci sarà anche Davide Formolo, ma anche lui sembra ormai più un ciclista da corse di un giorno. Entrambi, comunque, dovranno lavorare per il giovane Tadej Pogacar ma potrebbero avere la possibilità di andare a caccia di tappe, soprattutto il secondo.
Quello che ci possiamo attendere dagli italiani in gara è quindi la vittoria di tappa, o con una fuga da lontano in una tappa mossa (e qui sicuramente ci proveranno Formolo, Pozzovivo e De Marchi) oppure in volata con Elia Viviani, da quest’anno alla Cofidis, Giacomo Nizzolo e Niccolò Bonifazio, anche se questi ultimi due sono qualche gradino sotto ai migliori velocisti in circolazione. Una menzione va fatta anche per Matteo Trentin che sicuramente cercherà di approfittare di qualche arrivo a ranghi ristretti per piazzare la sua firma su questo Tour.
Pronostico secco: chi vince?
Gabriele
Tom Dumoulin.
Umberto
Egan Bernal.