Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Redazione
Guida ai quarti di Copa América
25 giu 2015
25 giu 2015
La presentazione delle tre partite rimanenti dei quarti di finale: Bolivia - Perù, Argentina - Colombia e Brasile - Paraguay.
(di)
Redazione
(foto)
Dark mode
(ON)

 



 



Quello tra Bolivia e Perù è sostanzialmente un derby. I due stati rappresentavano il cuore dell’Impero inca nell’era precolombiana, sono rimasti insieme sotto la dominazione spagnola e persino dopo l’indipendenza provarono a riunirsi nuovamente in una confederazione. Quel progetto fu però fatto fallire sul nascere dall’intervento militare del Cile con cui ancora oggi sia Perù che Bolivia hanno rivendicazioni legate allo sbocco sul mare.

 

L’artificialità del confine tra le due nazioni, oggi spezzata solamente dalla condivisione del lago Titicaca, ha spartito con ingiustizia tipicamente umana ciò che una volta era comune, facendo ricadere dal lato di Lima tutte le fortune: le miniere d’oro, il Machu Picchu, il talento sui campi da calcio.

 

Il fatto che il Perù abbia superato la fase a gironi, nonostante il suo girone fosse probabilmente il più difficile del torneo, è quindi una sorpresa a metà: nell’edizione precedente arrivò terzo e negli ultimi 22 anni non ha superato la fase a gironi solamente una volta. La vera sorpresa in realtà è la Bolivia: l’ultima volta che arrivò ai quarti di finale di Copa América era il 1997.

 

Le due squadre arrivano alla partita in maniera totalmente differente. Per la prima volta il Perù si presenta ai quarti di finale in veste di grande favorita non potendo non ammettere la fortuna sfacciata nell’aver pescato quella che, dopo la Giamaica, è la squadra meno attrezzata tecnicamente dell’intero torneo. La Bolivia, invece, ha già superato lo steccato che la divideva dal concetto di Impresa™ e tutto ciò che farà d’ora in avanti non farà che alimentarlo.

 



La pressione sarà quindi sulle spalle dei ragazzi vestiti di bianco-rosso, di solito non abituati ad avere tutte le aspettative dalla parte della propria vittoria. La squadra guidata da Gareca si è dimostrata più a suo agio contro avversari blasonati, come Brasile e Colombia. In questi casi il Perù lasciava volentieri l’iniziativa all’avversario per tenere strette le linee di difesa e centrocampo in modo da recuperare più facilmente il pallone e ripartire con transizioni offensive veloci ed efficaci. Una volta in fase di possesso le due diligenti ali, Cueva e Sanchez, entravano dentro il campo per giocare con Guerrero, che andava in profondità, mentre Pizarro (o Farfán) andava incontro per proteggere il pallone e favorire la salita dei terzini.

 

L’unica volta in cui si è ritrovato costretto a giocare con costanza nella metà campo avversaria, cercando di arrivare in porta con una manovra ragionata (con il Venezuela, tra l’altro in inferiorità numerica), il Perù ha faticato terribilmente a costruire un gioco credibile. È riuscito a vincere solamente nei minuti finali grazie a una carambola fortunosa che ha messo il pallone sul piede del totem Pizarro. In quella partita la completa mancanza di creatività in mezzo al campo è emersa in tutta la sua drammaticità per una squadra che già aveva problemi strutturali nel creare situazioni di pericolo per gli avversari (è quartultima per media tiri e passaggi chiave, penultima per tiri in porta).

 

https://www.youtube.com/watch?v=5S3dSaQCx5I

Goal, carajo.



 

In questo senso, non stupisce che i primi due peruviani per passaggi chiave realizzati siano i due terzini, Vargas e Advíncula. Non avendo la capacità di sfondare centralmente, il Perù si rifugia spesso sugli esterni per far arrivare cross utili per le grandi qualità nel gioco aereo di Pizarro e Guerrero.

 

Sembra che Gareca sia perfettamente conscio di questi difetti e che abbia iniziato a far allenare i suoi ragazzi sui rigori. Il regolamento della Copa América, infatti, non prevede supplementari in caso di parità alla fine dei novanta minuti regolamentari, ma passaggio diretto ai calci di rigore.

 



La Bolivia potrà invece giocare la partita che preferisce: da sfavorita, naturalmente, ma anche contro una squadra che non la sovrasta in maniera eclatante sul piano tecnico (come per esempio il Cile). La squadra di Mauricio Soria ha realisticamente abbandonato ogni velleità legata al controllo del gioco e alla costruzione della manovra palla a terra (attualmente ha la media più bassa del torneo per quanto riguarda il possesso palla, 34,7%, e l’accuratezza dei passaggi, 66,3%) e va in grossa difficoltà se viene dominata per lunghi tratti di partita.

 

Lo stile di gioco che ne uscito fuori è qualcosa di molto simile al panorama andino: iperverticale (la Bolivia è la squadra che tenta più lanci lunghi dopo l’accoppiata Uruguay-Paraguay e meno passaggi corti in assoluto), arido (nessuno in Copa América tira e dribbla di meno) e che toglie letteralmente il fiato (la Bolivia ha un gioco intenso e aggressivo, è la squadra che commette più falli di tutta la competizione). Un gioco talmente votato all’efficacia a scapito della bellezza che si fa fatica ad assimilarlo all’universo barocco e sgargiante dell’America Latina.

 

La squadra è perfettamente rappresentata dal suo tecnico, abilissimo nel leggere le diverse fasi della partita e disposto a tutto pur di ottenere il risultato finale. Nell’unica vittoria durante la fase a gironi, Soria, pur di mantenere il vantaggio sull’Ecuador, è arrivato a rimodellare la squadra su un 5-4-1 vero e proprio, togliendo tra l’altro l’unica punta di ruolo in campo.

 

Eppure quando la Bolivia ha incontrato squadre tecnicamente simili al Perù (e ha avuto le motivazioni giuste, contro il Cile era già qualificata matematicamente) non solo non ha mai perso ma soprattutto non ha affatto sfigurato. Ecuador e Messico, che solo un anno fa avevano fatto un’ottima figura ai Mondiali brasiliani, sono rimaste sorprese dalla battaglia campale, fatta di intensità fisica e ordine tattico, messa in atto dalla Bolivia in mezzo al campo.

 

Il 4-2-3-1 disegnato da Mauricio Soria non si disunisce quasi mai e raramente è preda delle transizioni avversarie. Il merito è del sacrificio delle pedine in campo: non è raro vedere Martins, la punta centrale, ripiegare in fase di non possesso sui lati, se nell’azione precedente le due ali hanno tagliato in mezzo o Chumacero, uno dei due mediani, letteralmente sdoppiarsi tra pressing e recupero del pallone. Anche passare per le fasce laterali, come ama fare il Perù, non sarà semplice, considerando i due ostici terzini boliviani (particolarmente roccioso quello destro, Hurtado, primo nel torneo per contrasti vinti).

 

Un gioco efficace, abbiamo detto, ma anche molto dispendioso. La Bolivia tende a dare il massimo nei primi tempi, quando la fatica fisica e mentale è ancora sostenibile per gambe e cervello. Durante la fase a gironi, tutti i goal segnati dalla Bolivia sono venuti nel primo tempo dell’incredibile partita contro l’Ecuador (e anche contro il Messico le migliori occasioni da goal sono arrivate nella prima frazione di gioco) mentre dei sette goal subiti ben cinque sono arrivati nei secondi tempi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=1WBrr-oY1ME

Cosa può succedere se la Bolivia sblocca la partita nel primo tempo.



 



È presumibile quindi che anche in questo quarto di finale molto si deciderà nel primo tempo. Se la Bolivia riuscirà a far girare la partita dalla propria parte nella prima frazione di gioco (magari su calcio da fermo o con un’invenzione del suo elemento migliore, Pedriel), allora i nervi peruviani potrebbero crollare lasciando il campo ai risultati più imprevisti. La Bolivia avrà tra i suoi alleati anche il tempo, essendo i calci di rigore più un’opportunità che un rischio per la squadra sfavorita.

 

Ma giocare con il cronometro è anche un’arma a doppio taglio, perché il Perù potrà comunque sfruttare il calo boliviano nel secondo tempo facendo prevalere la maggiore caratura tecnica. A questo si aggiunge il confronto improbo tra i due centrali boliviani, Raldes e Zenteno, sempre inclini alla sbavatura e al calo d’attenzione, e le due punte peruviane, Pizarro e Guerrero, non certo gli ultimi arrivati.

 

In entrambi i casi, comunque, passare questo quarto di finale inizierebbe a dare sostanza al più dolce e illusorio dei sogni: vincere la Copa América in casa dei grandi rivali cileni.

 



Le Nazionali possono cambiare radicalmente a seconda di chi diventa l’allenatore del nuovo ciclo e di chi è più in forma all’inizio di una competizione. Non credo quindi che del precedente tra Argentina e Colombia del 2013 (per la cronaca finito 0-0) sia utile parlare, nonostante i nomi in campo fossero quasi gli stessi.

 

È utile però partire dallo scontro del 2013 perché in mezzo a questi due anni c’è stato un Mondiale che ha definito meglio i ruoli delle due Nazionali: la Colombia si è affermata come la migliore squadra emergente; l’Argentina come la più forte e favorita per questa competizione continentale. Sono cambiate quindi le aspettative nei confronti delle due squadre: adesso ci si aspetta che la Colombia arrivi almeno in semifinale; mentre in Argentina qualsiasi cosa di diverso dalla finale sarebbe preso come una tragedia nazionale. Dopo questa partita, quindi, una delle due tornerà a casa con la sensazione di aver fatto flop e la triste prospettiva di dover aspettare la prossima occasione per prendersi una rivincita.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ZRV1pVs6cO8

Ospina è stato il protagonista assoluto di quello zero a zero.



 

La Colombia è arrivata in Cile non solo con una maggiore autostima, ma anche con un attacco che non aveva al Mondiale e che sulla carta rimane impressionante. Bacca e Jackson Martínez hanno segnato circa 30 gol a testa la scorsa stagione, Teófilo Gutiérrez 20. A loro si aggiunge il ritorno di Falcao, che ha avuto un anno e mezzo per riprendersi dal devastante infortunio.

 

Per accomodare almeno due del poker d’assi a disposizione, Pekerman fin dalla prima partita con il Venezuela ha deciso di andare con il 4-4-2 alla sudamericana (più simile quindi ad un 4-2-2-2), con il capitano Falcao e Bacca davanti a un centrocampo non in linea, con al centro la coppia Valencia-Sánchez e più avanti James-Cuadrado.

 

Dopo la sconfitta shock all’esordio contro il Venezuela, la partita tesa con il Brasile e il noioso pareggio con il Perù, l’attacco è ancora a zero gol segnati, trasformandosi nel punto di principale tensione tra Pekerman e i tifosi. Nonostante l’impegno e i buoni movimenti, qualsiasi coppia scelta (dalla seconda partita Teófilo-Falcao) fatica a tirare in porta (5 tiri in tre partite nello specchio). La decisione di Pekerman di elevare Falcao a totem inamovibile, nonostante abbia mostrato di essere il peggior giocatore della competizione, non sta aiutando il rapporto con i tifosi.

 

Se l’attacco non riesce a produrre risultati tangibili, il centrocampo e la difesa, dopo aver fallito la partita d’esordio, hanno avuto un riscatto contro il Brasile. La coppia centrale Valencia-Sánchez è sembrata bilanciata e il coordinamento tra i due reparti ha funzionato bene nella gestione di Neymar (Sánchez e Zúñiga hanno fatto un lavoro magistrale nel controllare in superiorità numerica quando il numero 10 prendeva palla e nel seguire le salite di Filipe Luís). Chi giocherà al posto di Valencia, che si è rotto il crociato del ginocchio destro, dovrà replicare il lavoro su Neymar anche con Lionel Messi.

 

La coppia che deve creare gioco, ovvero James e Cuadrado, è salita di livello proprio contro il Brasile. Il giocatore del Madrid ha calamitato attenzioni e possesso del pallone mentre Cuadrado ha mantenuto un livello di attenzione tattica che non si era mai visto a Londra.

 

https://vimeo.com/131442010

Come la Colombia ha gestito Neymar.



 

L’Argentina è davanti all’ennesimo, possibile psicodramma nazionale. Sta affrontando la competizione con la consapevolezza di essere la più forte, eppure, tolto il primo tempo della gara d’esordio, non è ancora riuscita ad avvicinarsi anche minimamente a sfruttare tutto il potenziale a disposizione. Tata Martino ha portato un cambio di paradigma rispetto all’Argentina di Messi e Di María arrivata in finale in Brasile: la squadra sta abbozzando un gioco di posizione sulla base del 4-3-3, così da limitare la Messi dipendenza e al contempo farlo giocare in un ambiente che conosce alla perfezione.

 

L’assetto del centrocampo è stato modificato in tutte e tre le partite disputate. All’esordio ha giocato Mascherano dietro Banega e Pastore; contro l’Uruguay Biglia e Mascherano dietro Pastore; e contro la Giamaica Mascherano dietro Biglia e Pastore. Non sono state modifiche casuali ma consequenziali: Martino ha aggiustato di volta in volta i difetti mostrati dalla partita precedente e dovrebbe aver raggiunto con la versione della Giamaica quella finale.

 

Il passaggio da Banega a Biglia è stato dettato dalla mobilità senza il pallone e dalla duttilità tattica del centrocampista della Lazio, che pur mancando della visione di gioco e della creatività del centrocampista del Siviglia, si adatta molto meglio ai movimenti richiesti da Martino.

 

In difesa contro la Giamaica Demichelis ha affiancato Garay, ma forse solo per ragioni di turnover, visto che la coppia Otamendi-Garay è ampiamente la migliore a disposizione. I due centrali formano la base di un triangolo che si chiude con Mascherano e che permette un’uscita del pallone sempre pulita. Una volta uscita dalla difesa, la palla viene fagocitata da Messi. Leo sta trovando in Pastore il compagno di giochi ideale per assecondarne i movimenti e la voglia di associarsi del 10: il giocatore del PSG è la vera scoperta di Martino in questa competizione e forse la chiave di volta per permettere a Messi di non isolarsi nello scambio con Di María, il suo preferito.

 

https://www.youtube.com/watch?v=R9V9mEX7HJA

Pastore sta risultando un giocatore chiave accanto a Messi, il bel gol della vittoria contro l’Uruguay è per 1/3 suo.



 

Il giocatore dello United sta giocando una Copa América che non fa altro che aumentare i rimpianti per quanto visto da lui al Mondiale: questo Di María vuole mantenere il livello di influenza nel gioco, ma è solo lontano parente di quello visto in Brasile, seppure in una versione migliore di quello di Manchester. Rimane comunque un ottimo surrogato di Neymar per gli ormai famosi cambi di campo di Messi, e la cosa di per sé aiuta il 10.

 

https://www.youtube.com/watch?v=UfgiOmLqFZE

Non è una competizione seria se non c’è una rabona di Rojo.



 

Tutti stiamo aspettando LA PARTITA di Messi in questa competizione, ma l’Argentina anche con questo Leo “normale” ha tutto per battere la Colombia, sempre che mantenga alto il livello di concentrazione, evitando la figuraccia del secondo tempo contro il Paraguay e i deliri di onnipotenza visti contro la Giamaica.

 

La punta dovrebbe essere anche contro la Colombia Sergio Agüero, reduce da 2 gol in due partite da titolare. Tévez viene utilizzato per provare a spaccare la partita in corso e Higuaín, lasciando da parte il gol contro la Giamaica, è sembrato un giocatore avulso dal sistema, troppo lento e indolente.

 



Un anno dopo, il fantasma della Germania aleggia ancora sulle teste dei membri della Seleçao. Pur avendo cambiato molto nel frattempo, dal selezionatore (Scolari ha lasciato il posto al Dunga II) ai selezionati, alcuni episodi negli ultimi giorni hanno ricordato il tragico percorso nella competizione mondiale.

 

Il Brasile era ed è Neymar-dipendente. Al Mondiale, Scolari fu costretto a spostare il talentino paulista al centro, dietro l’unica punta Fred, già nel secondo match della fase a gironi, per aumentare la pericolosità di una manovra altrimenti senza idee. Nelle due partite giocate in questa Copa, Neymar ha mostrato il meglio e il peggio di sé. Contro il Perù ha rimesso in piedi una partita segnata dal gol subito in apertura in soli due minuti; e poi l’ha decisa al novantaquattresimo con un assist al bacio per Douglas Costa. Contro la Colombia, Neymar è sembrato intestardirsi nel volerla risolvere da solo. Gli episodi successivi al triplice fischio (la testata a Murillo e gli insulti all’arbitro nel tunnel) gli costano l’esclusione dalla manifestazione per via delle quattro giornate di squalifica poi comminate. Neymar ha uno storico disciplinare poco lusinghiero: dal 2009 ha sommato 101 cartellini gialli e 6 rossi; più di un attaccabrighe come il difensore del Real Madrid Pepe, che nello stesso lasso di tempo ha collezionato 78 ammonizioni e 5 espulsioni. Questo dimostra quanto un ventitreenne possa perdere la testa facilmente, se messo sotto pressione. Lunedì Neymar ha annunciato di voler lasciare il ritiro verdeoro e sospetto che dietro questa decisione ci sia il CT Dunga, che vuole forse così provocare una reazione nei suoi giocatori.

 

https://www.youtube.com/watch?v=maBbTn7-0hU

Sombreri e legnate: la Copa América di Neymar in quattro secondi.



 

Proprio la Colombia estromise Neymar dal Mondiale. O meglio, lo fece Zúñiga con una ginocchiata. Nel match susseguente il Brasile crollò contro la Germania, dopo un avvio di partita convincente e dopo aver preso il primo gol a causa di un banale errore su calcio d’angolo. All’epoca Dunga commentò aspramente le manifestazioni di solidarietà per Neymar che precedettero quella partita, ponendo l’accento sulla mancanza di concentrazione dei brasiliani.

 

Nel primo match di questa Copa senza Neymar, contro il Venezuela, i segnali che il CT ha ricevuto sono stati differenti. Molto ha fatto il gol di Thiago Silva in avvio, ancora su azione da calcio d’angolo, dal punto di vista emotivo, ma soprattutto hanno funzionato i tre uomini piazzati dietro l’unica punta Firmino. Willian, Coutinho e Robinho (sì, quel Robinho) si sono scambiati spesso di posizione, sparigliando le marcature pianificate dai venezuelani. Robinho poi, con le sue corse con e senza palla, ha fornito quella profondità alla manovra d’attacco che Roberto Firmino non è riuscito a dare né contro il Venezuela né contro la Colombia. È incredibile come il movimento calcistico brasiliano non riesca a produrre un centravanti di livello (dopo aver avuto il miglior numero 9 della

): Fred, disastroso in Coppa del Mondo, ha ceduto il passo a Diego Tardelli, proveniente da un campionato poco competitivo come quello cinese, dopo essere passato da Russia e Qatar. Lo stesso Firmino nell’Hoffenheim gioca da trequartista centrale e, come punta, tende a venire incontro alla palla portandosi dietro tutta la difesa, togliendo spazio ai trequartisti di ruolo.

 


Il centravanti Firmino si abbassa a volte oltre il trequartista Neymar. Il movimento incontro di quest’ultimo porta il difensore a tiro di intervento sul pallone, con gli spazi tra le linee che si annullano.



 

Dunga sembra aver restituito alla Seleçao qualche certezza in più in fase difensiva. Tra il naufragio nella semifinale mondiale e la sconfitta di misura contro la Colombia in questa Copa, il Brasile aveva imbroccato una serie di nove vittorie consecutive. La disciplina di Dunga richiede il sacrificio nei rientri dei fantasiosi esterni d’attacco per formare due banchi da quattro giocatori a protezione dell’area di rigore. Eppure degli ulteriori aggiustamenti nel corso del torneo ci sono stati: la bocciatura di David Luiz (schierato dopo il primo match come mediano, una mossa alla quale i suoi allenatori presto o tardi si rassegnano); il ridimensionamento di Thiago Silva (pur con l’assenza di Neymar, la fascia di capitano non è tornata sul suo braccio, il CT lo aveva anche tenuto in panchina nelle amichevoli pre-torneo); la promozione definitiva di Miranda (scartato da Scolari per il Mondiale nonostante la stagione mostruosa all’Atlético).

 

Anche a centrocampo, a causa dell’assenza di Luiz Gustavo per infortunio, Dunga ha dovuto lavorare su una nuova cerniera centrale formata da Fernandinho ed Elias. L’esclusione di “O Ney” ha aperto le porte della titolarità a Philippe Coutinho, che ha mostrato i suoi limiti quando è stato impiegato per quarantacinque minuti contro la Colombia sulla fascia sinistra: Rodgers a Liverpool ha ormai completamente trasformato Coutinho in un regista della manovra offensiva. Se, a quanto pare, Dunga decidesse di confermare in toto l’undici che ha affrontato l’ultima vittoriosa partita del girone, sarà l’ex interista ad agire ancora dietro l’unica punta Firmino.

 

Tanto umorale sembra il Brasile, quanto mentalmente solida è la squadra che va ad affrontare nei quarti. Il Paraguay è una squadra difficile da domare: ha rimontato uno svantaggio di un gol contro l’Uruguay e addirittura di due contro l’Argentina. Gli uomini di Ramón Díaz probabilmente difenderanno con un blocco basso, lasciando al Brasile l’impostazione, soprattutto se davanti avranno i due grandi vecchi: Nelson Haedo Valdez e Lucas Barrios non avranno le qualità di Cavani e Suárez ma sono entrambi andati a segno nella prima fase. Il primo potrebbe scalare sulla linea dei centrocampisti qualora Díaz decidesse di coprirsi di più, passando dal 4-4-2 al 4-5-1 (contro l’Argentina il passaggio fu inverso per recuperare dallo 0-2). Il paragone con gli uruguaiani non è casuale, perché anche i cugini paraguaiani sono soliti attendere l’occasione buona, magari da calcio piazzato: è una situazione dalla quale hanno già ricavato due dei quattro gol segnati fino a oggi, sfruttando un’impressionante media nei duelli aerei vinti (22,7 a partita, i migliori del torneo).

 


Quando il gioco si sviluppa sulle corsie esterne, che sia in possesso o meno del pallone, il Paraguay fa densità con tutti i suoi uomini: su questo fallo laterale tutti gli undici dell’Albirroja occupano la metà campo di sinistra.



 

Nella precedente edizione della Copa América, nel 2011, proprio il Paraguay eliminò il Brasile ai calci di rigore, sempre in un quarto di finale. Un pericoloso déjà vu per i verdeoro, che furono bloccati sullo 0-0 per 120 minuti (e più: il Brasile non riuscì a trasformare nemmeno un tiro dal dischetto). È curioso notare che le squadre si affrontarono quattro anni fa con gli stessi moduli di oggi (4-2-3-1 per il Brasile, 4-4-2/4-5-1 a seconda della posizione di Valdez per il Paraguay) anche se sulle panchine erano seduti altri due allenatori (Menezes su quella brasiliana, il Tata Martino su quella paraguaiana). Il primo quarto d’ora della sfida di sabato potrebbe orientare tutto il confronto: se il Brasile non riuscisse a sbloccare la partita presto con un gol, inizierebbe di nuovo a vedere i fantasmi.

 
 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura