Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Daniele V. Morrone
Guida al Mondiale: Giappone
06 giu 2014
06 giu 2014
La Nazionale guidata da Zaccheroni è matura, tecnica, cerebrale e sa come aggirare il problema della fisicità. Passare il turno non sembra impossibile, superare gli ottavi sarebbe un record storico.
(di)
Daniele V. Morrone
(foto)
Dark mode
(ON)

HOLLY, BENJI, KEISUKE HONDA E ZACCHERONI Quando si vive su di un piccolo arcipelago schiacciato tra il continente asiatico e l’immenso Oceano Pacifico, un gruppo di isole dove i terremoti e gli tsunami sono avvenimenti con cui dover convivere, è naturale aver paura di non controllare la realtà. È forse da questa paura dell’incontrollabile che nasce una cultura dedita alla ricerca della perfezione in ogni cosa. Dedicare la massima precisione all’esecuzione dei movimenti così da raggiungere la perfezione rassicura la mente facendo dimenticare che non tutto può essere sempre sotto controllo. La scuola calcistica nipponica non è immune a questa ossessione per la perfezione. Nel calcio la palla è lo strumento per decidere il destino della partita quindi migliaia di ragazzi nipponici si allenano sui campi per migliorare una cosa specifica: il controllo di palla. Anche la cultura pop con cui sono cresciuti i ragazzi giapponesi enfatizza la voglia di controllare la palla: il più importante anime sul calcio (Capitan Tsubasa, che noi italiani ricordiamo come Holly e Benji, quello con i campi infiniti e le partite di un mese… quello dove il Giappone vince i Mondiali) ripete come un mantra che la palla è un’amica e che si deve correre avendo sempre il controllo su di essa. L’attuale Nazionale Giapponese di calcio per volontà del CT italiano Zaccheroni pone il possesso del pallone come requisito necessario. Controllare il ritmo della partita porta la squadra ad esprimersi in sicurezza, i movimenti ad essere precisi e il pallone ad arrivare dove vuole la testa. Sapere di avere il controllo del pallone sblocca la mente dei giocatori nipponici e li libera dalla paura di sbagliare movimenti o giocate. Un Giappone senza timore di sbagliare è quello dalla manovra fluida e precisa che Zac vuole in campo. Presa in mano nel 2010 una squadra veloce, dai movimenti precisi, ma prettamente reattiva, a suo agio nelle ripartenze e a disagio nel proporre un proprio gioco contro squadre chiuse in difesa, il CT ha cambiato le cose mettendo al centro del progetto due giocatori. Il primo sembra nato in Giappone solo per caso: il milanista Keisuke Honda. L’immaginario collettivo vuole un giocatore nipponico diligente tatticamente, umile, introverso, dedito totalmente alla causa. Honda è estroverso, indolente, egoista, sicuro di sé. Questo spiega in parte il magnetismo che Honda esercita sui compagni di squadra: quando con la palla alzano lo sguardo istintivamente cercano i suoi capelli biondi in mezzo al campo. È lui il giocatore che può trovare una soluzione immediata che li aiuti ad uscire dalla pressione, una giocata impensabile che porti in gol un compagno, una conclusione in porta improvvisa per sbloccare il risultato. Il biondo milanista è il Sole intorno al quale Zac fa muovere gli altri componenti della squadra. Honda ha carta bianca nei movimenti e può decidere come meglio crede il punto dove ricevere il pallone, l’unica cosa richiesta è quella di offrire sempre una linea di passaggio libera ai compagni. Quando alzano la testa il milanista ci deve essere sempre. Secondo me non è un caso se prima di arrivare in ritiro gli altri due biondi della squadra (Yamaguchi e Kakitani) si siano tinti i capelli di altro colore. Il messaggio è chiaro. http://youtu.be/iH737-Krfow?t=7m3s

Honda esce dalla pressione dopo essersi andato a prendere il pallone largo e il compagno cerca subito di ridarglielo, fallito il tentativo si ricicla il possesso sull’esterno, che consegna palla al regista Endo che a sua volta guarda subito verso Honda. Stabilita l’impossibilità di passargli la palla, Endo decide di dialogare con un compagno e trovare finalmente Honda che questa volta si mantiene su una linea di passaggio pulita.

IL DECLINO DI ENDO E IL RICAMBIO GENERAZIONALE Il secondo pezzo fondamentale dal quale Zac ha tirato fuori la vittoria nella Coppa d’Asia 2011 è il centrocampista del Gamba Osaka Yasuhito Endo. Regista sia alla base della prima giocata che nella trequarti, elegante nel controllo di palla e preciso nel lancio lungo, era il meno talentuoso della generazione d’oro di centrocampisti che riportò il Giappone sulla mappa del calcio dal Mondiale francese del ’98 ad inizio 2000: quella di Hidetoshi Nakata, Shunsuke Nakamura e del "Tensai" ("genio" in giapponese) Shinji Ono. La capacità di riciclare il possesso e il senso della posizione però ne hanno fatto col tempo uno Xavi nato nell’isola di Kyushu. Perfetto per rendere il Giappone una squadra di possesso. Purtroppo con trentaquattro anni Endo mantiene la classe e il cervello che hanno contraddistinto la sua carriera e che hanno fatto la fortuna di Zac nel primo anno come CT, ma non è più in grado di mantenere il volume di gioco richiesto per la totalità della partita. Zac ha quindi deciso di mantenerlo come regista ma di lasciagli compiti meno impegnativi una volta nella trequarti (riciclo del possesso o conclusioni da fuori area sono le uniche priorità). Spesso esce dopo un’ora di gioco o addirittura entra a partita in corso per dare tranquillità alla squadra mantenendo la lucidità necessaria dovendo giocare parte della partita e non tutta. Il declino di Endo è stato uno dei tre principali problemi riscontrati dal CT nella spedizione in Brasile per la Confederations Cup 2013. Nella Confederations, Zac ha portato in larga parte il gruppo storico che aveva vinto la Coppa d’Asia due anni prima, permettendo al CT di toccare con mano le falle nel sistema nelle condizioni ambientali e contro le squadre del Mondiale 2014. I tre problemi riscontrati sono stati: la mancanza di un centrale che desse garanzie, il già detto declino di Endo e l’assenza di una punta che sappia sia dialogare con i compagni che mantenere la freddezza davanti alla porta se necessario (Maeda aveva solo la prima qualità e il gigante Havenaar nessuna delle due). Intelligentemente Zac porta con sé una squadra composta completamente da debuttanti o semi debuttanti per formare la rosa della Coppa dell’Asia Orientale (giocata subito dopo la Confederations Cup sempre nell’estate 2013 da Cina, Corea del Sud, Giappone e Australia come squadra a scelta, non potendo invitare per motivi politici la Corea del Nord). Questa competizione diventa l’occasione per trovare le soluzioni ai problemi della Nazionale. Il Giappone finisce con il vincere la coppa, ma la cosa più importante è che Zac riesce a trovare i giocatori che cercava. Al centro della difesa si mette in mostra Masato Morishige del FC Tokyo, un ex centrocampista difensivo con buona tecnica che con il tempo ha arretrato la posizione fino a diventare un centrale che imposta con compiti di marcatura. A 27 anni Morishige è il centrale che Zac stava cercando da tempo, in grado di poter impostare l’azione, ma avere comunque la stazza per poter reggere i contrasti (183 cm). La coppia di centrocampisti formata da Toshihiro Aoyama e Hotaru Yamaguchi si dimostra ben assortita e piace talmente tanto al CT da essere portata in Brasile a scapito anche di giocatori più esperti e affermati come il centrocampista dell’Hertha Berlino Hajime Hosogai. https://www.youtube.com/watch?v=yoBFrhIlFKU

Yamaguchi è ormai un personaggio in Giappone, tanto da essere stato chiamato per ricreare il famoso “twin shot” che chiunque abbia visto Holly e Benji ricorda bene…

Aoyama (ventotto anni) è tarantolato, si lancia a recuperare il pallone e giocarlo subito dopo, è il cuore pulsante dei Sanfrecce bicampioni della J. League e Zac vede in lui il giocatore con la mentalità necessaria per mantenere svegli i compagni nella fase di recupero del pallone. Yamaguchi invece (ventitré anni, capitano del Cerezo Osaka) è equilibrato e calmo, nonostante l’altezza nella media (174 cm) grazie al senso di posizione in campo sembra più grande, e parte spesso da lontano per accompagnare l’azione con una tecnica non disprezzabile. Zac vede in lui un giocatore di posizione in grado di aiutare nelle due fasi e la sua importanza viene riscontrata anche nelle amichevoli pre-Mondiale dove si prende la maglia da titolare. Il CT era partito sperando di trovare il sostituto di Endo e si può dire che sia finito col trovare il complemento ideale per il regista. LA RICERCA DELLA PUNTA Il terzo e ultimo problema è quello più pressante e a cui l’opinione pubblica dà più peso. Il Giappone crea occasioni, ma la sensazione per la critica è che una punta di caratura internazionale farebbe fare il salto di qualità definitivo alla squadra. Zac per la Coppa dell'Asia Orientale ha convocato tre attaccanti: Yoichiro Kakitani del Cerezo Osaka (sempre loro quando si parla di talenti), Yuya Osako del Kashima Antlers e Yohei Toyoda del Sagan Tosu. La scelta non è casuale, i tre attaccanti sono tre profili completamente diversi e sono anche i tre migliori che la J. League possa offrire nell’estate del 2013. Nel 2013 Kakitani è il miglior attaccante del Giappone. Ex trequartista prodigio nelle selezioni giovanili Giapponesi fatica a trovare spazi nel Cerezo Osaka che decide di cederlo per due anni nella serie inferiore per farlo giocare con continuità. La mossa si rivela azzeccata perché il ragazzo torna come un uomo: molto più strutturato fisicamente gioca ora come attaccante dove fa esplodere la sua progressione palla al piede risultando inarrestabile per le difese giapponesi. Torna a casa dove diventa l’idolo dei tifosi (specialmente delle tifose…) chiude l’anno con 21 gol in 34 partite e gioca una Coppa dell’Asia Orientale da stella della squadra trascinando con una doppietta il Giappone alla vittoria contro i rivali della Corea. Zac si lecca i baffi, l’attaccante che serviva gli è finito in braccio proprio l’anno prima dei Mondiali. Però il lieto fine non è scontato… probabilmente schiacciato dalle attenzioni e aspettative dei media e da due stagioni in campo senza mai fermarsi, il 2014 di Kakitani è stato da dimenticare. Come se vedesse la porta più piccola e più distante non riesce ad essere decisivo per la sua squadra, si impegna ma quello che sembrava facile ora costa più fatica e i gol non arrivano più a grappoli come prima. https://www.youtube.com/watch?v=V-eo9ftc0uA

Kakitani, con una musica decente per una volta.

Il tecnico italiano è però fortunato perché quello che sembrava dietro nelle gerarchie nel 2013 decide di tentare la mossa per poter ribaltare la situazione: a gennaio 2014 Yuya Osako lascia i Kashima Antlers, una delle squadre più famose e titolate della J. League (con 7 campionati sono proprio loro la squadra che ne ha vinti di più) per trasferirsi nella seconda serie tedesca al Monaco 1860. Dopo una stagione da 19 gol in 33 partite il ventiquattrenne tenta l’avventura europea. Le cose gli vanno benissimo, si adatta subito e con 6 gol in 15 partite in cinque mesi è già un nome importante sul mercato tedesco. Per fisico (183 cm), età (ventiquattro anni) e caratteristiche tecniche (sa proteggere la palla, vede bene i movimenti dei compagni e la porta) diventa un pupillo di Zac che inizia tra lui e Kakitani una staffetta da cui ancora non è chiaro il risultato: nelle quattro amichevoli contro Olanda, Belgio, Nuova Zelanda e Cipro ha giocato titolare rispettivamente Osako, Kakitani, Osako e Kakitani. https://www.youtube.com/watch?v=1DqzEeLWWm4

Osako, il pupillo di Zac.

La terza punta in rosa, Yohei Toyoda, non ha mai convinto Zac. Nonostante i numeri importanti (20 gol in 33 partite), il fisico per fare a spallate con ogni centrale (185 cm), l’età della piena maturità per una punta (ventotto anni). La gara da titolare contro la Cina non ha impressionato l’italiano che dopo la competizione decide che il ruolo di terza punta verrà tenuto aperto fino all’ultimo… Toyoda segnerà altri 7 gol in 9 partite trascinando la squadra ad un’incredibile prima posizione in questo inizio di stagione (in Giappone il campionato inizia a marzo). Portare sul piatto i gol però significa poter perdere contro chi di gol ne ha segnati di più. Infatti Zac nelle convocazioni per il Mondiale decide di richiamare dopo anni il capocannoniere della J. League Yoshito Okubo. Okubo non è veloce, non è molto tecnico, non ha il fisico (170 cm), Zac però spiegherà così la sua decisione: “[Okubo] è un giocatore con esperienza e fiuto per il gol, e qualcuno capace di creare occasioni dal nulla. Fino ad ora avevo scelto altri giocatori davanti a lui in modo tale da consentire una chance di crescita. Anche se ho aspettato fino all’ultimo [per scegliere], lui è stato capace di farmi vedere esattamente quello che stavo cercando”. UN GIOCO AD ALTO DISPENDIO ENERGETICO Zac era partito con tre problemi e si affaccia al Mondiale con quelle che secondo lui sono le soluzioni migliori. Il resto della squadra è lo stesso blocco storico che ha portato il Giappone sul tetto d’Asia nel 2011, che integrati con i nuovi arrivati portano la squadra a giocare un calcio veloce e armonioso, dove il possesso palla viene mantenuto con passaggi corti e precisi. Naturalmente per rendere al massimo i giocatori giapponesi devono essere al 100% fisicamente. Ne parla in modo preciso Zac: “Ho scelto giocatori con un alto livello di intelligenza tattica e versatilità. La cosa che ho voluto di più sono giocatori capaci di giocare due o più posizioni. I giocatori conoscono i concetti e le tattiche della squadra, [quindi] la cosa a cui prestare maggiore attenzione è la nostra condizione fisica. Quando non abbiamo giocato bene generalmente è stato per la nostra mancanza di fitness. Il tipo di gioco che vogliamo fare richiede che i giocatori siano al massimo fisicamente. […] La cosa che voglio migliorare è la velocità nelle giocate e condizione fisica significa velocità.” Quando questo succede non è raro vedere azioni come quella che ha portato al secondo gol contro l'Olanda.

Il Giappone gioca con un 4-2-3-1 in cui i quattro davanti hanno compiti specifici che cambiano a seconda degli interpreti. Posto Honda al centro del progetto nel caso in cui Zac si sente sicuro di poter mantenere il possesso del pallone ad affiancarlo ci sono Shinji Kagawa sulla sinistra e Shinji Okazaki sulla destra. Kagawa è il giocatore più talentuoso della rosa, un giocatore che si muove magistralmente senza palla, ma che dà il meglio quando la palla è tra i suoi piedi dove può decidere se accentrarsi per il tiro, per l’assist o provare a saltare l’uomo. Spostato a sinistra accentra spesso la propria posizione cercando però sempre di non calpestare i piedi a Honda. Dialoga con l’esterno basso aspettando la sovrapposizione per farlo crossare dal fondo. In alcune situazioni di gioco Nagatomo è stabilmente più alto di Kagawa nel momento in cui riceve il pallone. Sulla destra, Okazaki ha un compito ben preciso: è lui quello che muovendosi negli spazi andrà a concludere in porta. Da vero e proprio “attaccante ombra” Okazaki punta da lontano la porta senza palla per concludere senza che nessuno degli avversari abbia potuto seguire la corsa dell’attaccante esterno. In questo i movimenti della punta (nel caso di Kakitani allargarsi a sinistra per fargli spazio e nel caso di Osako tornare indietro sempre sul centro sinistra anche di venti metri e finendo addirittura sulla stessa linea di Honda portandosi dietro il marcatore) e dell’esterno basso Uchida o Sakai (arrivare sul fondo anche senza palla per non permettere all’esterno avversario di seguire Okazaki) sono fondamentali. Quando però Zac non si sente sicuro di poter mantenere un possesso palla tale da garantire alla squadra la sicurezza di controllare il ritmo ecco che entra in gioco l’asso nella manica Hiroshi Kiyotake del Norimberga. Kiyotake viene messo al posto di Okazaki e si tratta di un giocatore la cui caratteristica principale è la capacità di mantenere il pallone sempre a contatto con i piedi o sotto controllo. Il Giappone perde totalmente profondità (il solo Kakitani attacca lo spazio) ma con Kagawa, Honda e Kiyotake il CT costruisce una rete di sicurezza in grado di garantire una perdita quasi minima del pallone (qui Kiyotake e Kagawa contro 55 ragazzini: magie della televisione nipponica).

In fase di non possesso la transizione negativa del Giappone è data da una ricerca immediata del pressing sui portatori di palla avversari. Il pressing viene iniziato dalla punta che va ad infastidire i centrali avversari con Honda pronto ad aggredire un centrocampista che arretra. La squadra però non pressa in modo uniforme, mentre tutti i giocatori della fascia centrale si muovono in pressione i due esterni alti tornano indietro sulla linea dei due centrali di centrocampo seguendo gli esterni bassi avversari fino a quando la difesa non torna in posizione. C’è quindi un pressing iniziale per vie centrali, che si trasforma in pressing alto da parte di tutta la squadra che si sistema con una sorta di 4-4-1-1. La necessità di arretrare gli esterni nasce da uno dei punti deboli del sistema di Zac: avendo entrambi gli esterni bassi che accompagnano l’azione arrivando sul fondo, la perdita del pallone porta gli esterni avversari a poter attaccare in velocità dalle fasce i due centrali, rimasti isolati e con tanto spazio da dover coprire. Le squadre avversarie quindi spesso attaccano proprio con esterni veloci o con gli attaccanti che si allargano aggredendo lo spazio lasciato libero. Altro problema è la fragilità sui cross. Purtroppo qui c’è poco da lavorare, come dicono nel basket l’altezza non si insegna e di tutta la rosa solo un giocatore è più alto dei 185 cm (il centrale Yoshida 189 cm). Ogni cross subito fa trattenere il sospiro ai tifosi. Ma il CT è cosciente che dovrà convivere con questa cosa per tutta la competizione. https://www.youtube.com/watch?v=BSEZ1AjJLfk

Giappone-Belgio, il Giappone tutto in una partita.

CONCLUSIONI Quella che Zac porta ai Mondiali è una squadra matura, che sa a cosa gioca e come vuole farlo. In questi quattro anni l’italiano ha fatto ben presente che il suo interesse è per una squadra tecnica, cerebrale e che compensi il deficit di fisicità con la velocità di esecuzione. Il Giappone è una squadra con talento che dovrà però superare un girone molto complicato con due ottime squadre come la Colombia e la Costa d’Avorio e una squadra sempre difficile da affrontare come la Grecia. “Abbiamo fatto risultato in ogni competizione che abbiamo affrontato in questi quattro anni con l’eccezione della Confederations Cup, e abbiamo anche battuto squadre ritenute più forti di noi. Adesso voglio che la squadra continui su questa strada e credendo nelle cose che ci hanno permesso di arrivare fin a qui”. Passare il turno non è impossibile e i giapponesi sono consapevoli che questo potrebbe essere il Mondiale in cui potranno superare finalmente gli ottavi di finale, cosa che significherebbe un record storico per una scuola calcistica che solo 23 anni fa non aveva neanche un campionato professionistico. A guidarli sarà un uomo che in questi 4 anni non ha imparato il giapponese, ma è riuscito da subito a comprendere la mentalità di questa nazione e innamorarsi della sua cultura. In un momento storico in cui la stagnazione economica, il sorpasso da parte della Cina come prima potenza asiatica e la decrescita demografica hanno reso il Giappone una nazione apatica, che non sembra più in grado di controllare il proprio destino e con poco ottimismo per il futuro; una squadra in grado di giocare alla pari con le grandi potenze calcistiche, che fa del controllo del pallone e della velocità e precisione nell’esecuzione dei movimenti la base del proprio gioco è motivo d’orgoglio e di identificazione per un piccolo arcipelago da dove sorge il Sole.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura