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Fabio Barcellona
Guida al Mondiale: Germania
11 giu 2014
11 giu 2014
Da diciotto anni la Nazionale tedesca non vince un trofeo internazionale. Con una straordinaria generazione di talenti e la guida brillante di Löw è arrivato finalmente il suo momento?
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Fabio Barcellona
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INTRODUZIONE Il 9 novembre 1989 il governo della DDR annunciò l’abolizione delle restrizioni per i viaggi verso Occidente dei propri cittadini. Quella sera stessa decine di migliaia di berlinesi si precipitarono verso i checkpoint del Muro costringendo le guardie di confine ad aprirli. Da quel momento in poi la Nazionale di calcio della Germania Est disputò ancora 8 incontri. L’ultimo fu disputato a Bruxelles il 12 settembre 1990. Sarebbe dovuta essere la prima partita delle qualificazioni ai campionati europei, ma l’incombente riunificazione della Germania, aveva convinto la Federazione calcistica a ritirarsi dalla competizione. La Germania Est vinse quella partita con due gol del capitano Matthias Sammer. Ventuno giorni dopo, il 3 ottobre 1990, i territori dell’ex DDR furono annessi alla Repubblica Federale Tedesca. http://www.youtube.com/watch?v=k7TWKkdyVNs

Sì, era proprio lui. Sammer, quello che poi ha vinto il Pallone d’oro. E sì, Sammer ha vinto il Pallone d’oro.

Al contempo la Germania Ovest vinceva il suo terzo titolo mondiale giungendo alla quarta finale nelle ultime 5 edizioni (la terza consecutiva), la quinta nelle ultime sette. Era la Nazionale di Lothar Matthäus, Andy Brehme, Rudi Völler, Jurgen Klinsmann e la prossima riunificazione faceva presagire un futuro se possibile ancora più fulgido per il calcio tedesco. Chi avrebbe potuto fermarli. La frase attribuita a Lineker sembrava proprio rappresentare bene la realtà: «Il calcio è uno sport semplice: si gioca in undici contro undici e alla fine vincono i tedeschi». Oltretutto, tetragoni come da stereotipo, si divertivano a spezzare a un passo della vittoria i sogni di squadre leggere, fantasiose e leggendarie come l’Ungheria del 1954 e l’Olanda del 1974. Da allora la Germania unita ha vinto solamente gli Europei del 1996, guidati da Sammer. E se è vero che ancora nel 2002 i tedeschi raggiungevano la finale di Coppa del Mondo (forse il canto del cigno del “vecchio” calcio tedesco), all’alba degli anni 2000 si parlava apertamente di crisi del calcio tedesco. Al Mondiale del 1998 la Germania era stata umiliata per 3-0 ai quarti di finale dalla Croazia. Ancora peggio aveva fatto agli Europei del 2000: un solo punto in 3 partite nel girone di qualificazione e 3-0 all’ultima partita dentro-fuori contro il Portogallo. Ecco, quella partita descrive plasticamente il calcio tedesco di quell’epoca: il Portogallo già qualificato si permette di tenere in panchina due talenti quali Luís Figo e Rui Costa; il centravanti della Germania è Carsten Jancker e il numero 10 è ancora il trentanovenne Matthäus. Da questi anni bui nasce l’esigenza di investire pesantemente sulla formazione dei calciatori e sui settori giovanili. Cambiano i criteri di selezione e gli obiettivi di formazione: all’atletismo e alla forza si preferiscono tecnica e destrezza. Il frutto del lavoro tedesco è la splendida Bundesliga odierna e la talentuosissima generazione di calciatori che vedremo in Brasile. Da Ballack e Hamann si è passati a Götze e Özil, un cambiamento radicale per il calcio tedesco. http://vimeo.com/73689671

La crisi del calcio tedesco: tre gol da Sergio Coinceção…

IL CICLO DI LÖW L’allenatore della nuova Germania è da ormai 8 anni Joachim Löw, alla guida della squadra dopo il Mondiale casalingo passato da secondo di Jürgen Klinsmann. Al primo tentativo giunge in finale al campionato europeo perdendola per 1-0 contro la Spagna. Ai Mondiali del 2010 fa quattro gol a Inghilterra e Argentina nella fase a eliminazione diretta e si ferma in semifinale: ancora sconfitta per 1-0 contro gli spagnoli. È la vera “nuova” Germania: i ventenni Thomas Müller e Toni Kroos, i ventunenni Özil e Boateng, il ventitreenne Khedira e il ventiquattrenne Neuer si sono uniti a Lahm (26), Schweinsteiger (25), Podolski (25) ed entusiasmano il mondo con un gioco veloce e brillante. Giovani, multietnici (Özil ha origini turche, Khedira tunisine, Boateng ghanesi, Podolski e Klose polacche) e “cool” sono schierati in campo con il 4-2-3-1 ancora oggi adottato da Joachim Löw. La Germania attua un calcio fatto da ripartenze verticali e giocate a velocità supersonica: la squadra gioca piuttosto bassa e libera sugli spazi la velocità di Podolski e Müller sugli esterni e il dinamismo di Khedira e Schweinsteiger in mezzo al campo, mentre Özil dipinge assist proponendosi come fulcro avanzato per orchestrare i repentini cambi di fronte della squadra. Una squadra “spumeggiante”, un aggettivo davvero mai usato per la Nazionale tedesca. Agli Europei del 2012 ci sono in rosa il ventenne Mario Götze e il ventitreenne Marco Reus. L’idea è quella di giocarsi il titolo nella finale annunciata contro la Spagna e prendersi la rivincita contro la squadra di Del Bosque dopo le due precedenti manifestazioni. Il piano tedesco viene fatto saltare per aria dall’Italia di Prandelli che in semifinale vince per 2-1. È la prima vera delusione per la Germania di Löw e la prima crepa nella considerazione generale dell’allenatore tedesco. Il gioco della squadra cambia dal 2010 al 2012. Inevitabilmente la Germania, da squadra giovane e promettente è diventata nell’opinione generale una potenza conosciuta, da temere e affrontare di conseguenza. La Germania non trova più così frequentemente gli spazi tanto amati e ben giocati dei Mondiali 2010 e viene forzata a fare la partita in spazi più stretti. Il talento è tanto e diffuso; Löw beneficiando anche del lavoro di van Gaal e Heynckes a Monaco e di Kloop a Dortmund, costruisce un gioco più ragionato e meno verticale che però viene irretito dal folto centrocampo dell’Italia. Nell’avvicinamento ai Mondiali la Germania osserva l’inesorabile avanzamento dell’età del centravanti Klose, gli infortuni di Mario Gómez e la mancata crescita della terza scelta, il numero nove del Bayer Leverkusen, Stefan Kiessling. Al contempo bisogna completare l’evoluzione della Nazionale tedesca da team reattivo, abile nel difendere compatto e innescare veloci e mortifere ripartenze, a squadra che vuole controllare il ritmo del gioco, avere il pallone tra i piedi e giocare transizioni difensive orientate alla riconquista rapida del pallone, assecondando, di fatto, le caratteristiche della talentuosa generazione nata attorno alla caduta del muro di Berlino.

NUEVE, FALSO NUEVE O THOMAS MÜLLER? In tre partite del girone di qualificazione la Germania ha giocato il proprio 4-2-3-1 senza un vero centravanti di ruolo. Lo stesso ha fatto nelle amichevoli contro l’Italia e nella penultima in preparazione ai Mondiali contro il Camerun. E anche quando ha giocato, Miro Klose è stato spesso sostituito a gara in corso da una mezza punta. Le convocazioni di Löw confermano l’idea di giocare spesso senza un vero interprete del ruolo. Il più volte provato Max Kruse non è entrato nemmeno nei 30 preconvocati e il ventunenne Kevin Volland dell’Hoffenheim è stato tagliato dalla lista dei 23: rimane il solo Klose, in parabola ampiamente discendente. Chi occuperà quindi, anche solo figurativamente, il ruolo di centravanti nel 4-2-3-1 della Germania? In lizza ci sono Özil, Götze, Müller, e, perché no, Schürrle. A un’occhiata superficiale si potrebbe dire che senza Klose, i tedeschi abbandonano il nueve per abbracciare il falso 9. In realtà non è sempre così. I tentativi più frequenti sono stati quelli con Özil e Götze e in questi casi si può parlare di falso 9 con alle spalle Kroos, o, nel caso in cui giochi nel ruolo Götze, lo stesso Mesut Özil. Con entrambe le opzioni il risultato è quello di svuotare lo spazio che il più forte giocatore del mondo ad attaccare gli spazi (il “Raumdeuter” Thomas Müller) può sfruttare con estrema pericolosità. In tale ottica, l’assenza di Marco Reus (se Müller è il primo al mondo negli spazi, Reus è di certo nei pressi del podio…) è un brutto colpo per i tedeschi. Özil, venendo dietro e sottraendosi con la sua leggerezza alla marcatura dei centrali avversari è capace di ricevere il pallone in posizione e postura tali da fungere da playmaker offensivo e giocare egli stesso i palloni per gli inserimenti degli esterni. Il più tosto Götze è invece più portato alla giocata ravvicinata e all’uno-due ed è meglio capace di reggere l’impatto fisico coi difensori avversari. L’opzione Müller, invece, non può certo essere catalogata nella categoria “falsi 9”. È chiaro che Thomas Müller non è un centravanti nel senso ortodosso del termine. Nella sua carriera si è (quasi) sempre avvalso della presenza di un riferimento offensivo per attaccare, partendo da dietro, da posizione centrale o da una delle due fasce, gli spazi creati in vario modo dal centravanti. Solo nell’ultima stagione, nella revisione di ruoli e compiti portata a Monaco da Pep Guardiola ha occupato la posizione numero nove. Troppo banalmente classificato come finto centravanti, in realtà Thomas Müller interpreta il ruolo in maniera completamente diversa da Özil/Götze e dal concetto di falso 9. Fedele al suo istinto di muoversi negli spazi, Müller regala una dimensione di profondità al ruolo sconosciuta con gli altri interpreti. Non crea spazi sottraendosi alla marcatura, ma come conseguenza indiretta dei suoi tagli profondi e chirurgici che generano linee di passaggio verticali per le mezze punte e i centrocampisti. Oltretutto i suoi tempi di impatto e le sue discrete capacità nel gioco aereo regalano una dimensione dentro l’area al numero nove che Özil e Götze non riescono a dare e che Klose garantisce a scapito però di un dinamismo infinitamente inferiore a Müller. https://www.youtube.com/watch?v=DooYpt9Gu1s

“The space ruler” sarebbe un soprannome spaventoso, se fosse davvero il suo soprannome.

CHE VUOLE FARE IN CAMPO LA GERMANIA? La soluzione del falso 9 sembra in effetti venire incontro a due esigenze diverse e concordanti della Nazionale tedesca. La prima, e più ovvia, consiste nella possibilità di fare giocare uno in più degli straordinari trequartisti a disposizione di Joachim Löw, sacrificando il declinante Klose e mantenendo così più alto possibile il livello qualitativo della squadra. La seconda esigenza è di tipo tattico. La Germania ha abbracciato un’idea di calcio basata sul controllo del ritmo e del pallone; gioca un calcio fatto di circolazione rapida e corta del pallone e occupa la metà campo avversaria con tanti uomini. In quest’ottica, estremizzare il concetto e avere ancora un uomo in più che arretrando dalla posizione di centravanti crea superiorità numerica in zona intermedia e consolida il possesso del pallone appare una buona idea. Perché, il possesso del pallone, anzi, il “buon” possesso del pallone è la chiave dei successi della Nazionale tedesca. L’occupazione del territorio avversario e una manovra che presuppone tanti uomini sopra la linea del pallone richiedono una bassa percentuale di errore nella circolazione della palla e la capacità di giocate rapide ed efficaci transizioni difensive. Le due cose, ovviamente non sono due variabili indipendenti e l’efficacia della transizione difensiva è influenzata da quanto e soprattutto da come perdi il pallone. In aggiunta a ciò, assecondando le caratteristiche di praticamente tutti i calciatori dalla metà campo in su, anche in fase pura di non possesso la Germania cerca di difendere “in avanti”, pressando alta e cercando di recuperare palla prima e più alta possibile e/o forzare errori degli avversari. I PUNTI DEBOLI Se si vogliono trovare dei difetti a questa grandissima squadra si può notare che sia la circolazione del pallone sia la transizione difensiva non sono sempre immuni da errori. Due degli apparentemente intoccabili di Joachim Löw sono in parte responsabili del problema. Uno dei due posti da interno di centrocampo sembra essere prenotato da Sami Khedira. Quando il giocatore del Real Madrid è stato disponibile Löw lo ha sempre schierato in mezzo al campo in coppia con Schweinsteiger o Toni Kroos. Sembra proprio che l’allenatore lo consideri un insostituibile del centrocampo tedesco probabilmente per la capacità di coprire in fase difensiva ampie porzioni di campo. La questione è però che le ampie porzioni di campo da coprire sono in parte generate dai suoi movimenti senza palla. Khedira si inserisce sulla linea avanzata senza soluzione di continuità; se ciò è funzionale alla creazione di pericoli per le difese avversarie venendo da dietro, il rovescio della medaglia è che, perso il pallone, la squadra appare sempre poco equilibrata. Il secondo intoccabile è Mesut Özil. Özil è stato in questi anni il vero creatore di gioco della squadra nell’ultimo terzo di campo. La sua capacità di fornire sempre una soluzione utile di passaggio ai compagni e le sue abilità in rifinitura hanno davvero reso fluido e pericoloso il gioco tedesco. Ma il nativo di Gelsenkrichen è reduce da una stagione non brillantissima all’Arsenal e nel tempo le esigenze della squadra sono cambiate; inoltre è cresciuto a dismisura Toni Kroos. Il progressivo passaggio da un gioco di ripartenza a un gioco di possesso ha reso necessaria un’evoluzione del ruolo di trequartista centrale nel 4-2-3-1 della Germania. Molto più frequentemente di prima il trequartista deve muoversi ai fianchi dei due interni per aiutarli a uscire dalla pressione avversaria e per carenza di spazio tra le linee. Inoltre, è richiesto maggiore controllo del gioco e percentuali di errori al passaggio minori. Più palleggio, magari sicuro, e meno rifiniture. E Toni Kroos risponde meglio di Özil all’identikit del trequartista richiesto: è maggiormente abile a giocare più basso a supporto degli interni di centrocampo e controlla meglio il gioco rispetto al giocatore dell’Arsenal che ha uno stile maggiormente “rischioso”. Le palle perse da Özil, unite agli inserimenti incessanti di Khedira rendono vulnerabile la squadra ogni volta che perde il pallone. A complicare le cose in fase di transizione difensiva c’è l’incapacità della linea arretrata di accorciare la squadra e di effettuare marcature preventive realmente efficaci. Il ruolo di centrale difensivo è conteso tra due tra Jerome Boateng, Mats Hummels e Per Mertesacker. In ogni caso la linea arretrata è spesso incapace, accorciando, di inibire la ricezione delle punte avversarie in fase di transizione difensiva della Germania. Oltretutto è una linea molto vulnerabile anche in situazione di linea schierata e soffre se presa in velocità e affrontata con veloci scambi palla a terra.

Francamente il primo e il secondo gol subito dalla Germania in Svezia non sono una esibizione della linea difensiva di cui essere particolarmente orgogliosi.

La vulnerabilità della squadra a seguito delle palle perse e i movimenti della linea difensiva sono le vere incognite della Nazionale tedesca. I gol subiti del resto ci confermano questo: nelle qualificazioni ai Mondiali hanno subito 8 gol in 2 partite dalla Svezia e nelle amichevoli dell’ultimo biennio hanno preso tre gol da Argentina, Stati Uniti, Paraguay e due da Ecuador e Camerun. CHI GIOCA? La transizione difensiva potrebbe essere migliorata con un maggiore controllo del pallone e delle posizioni in campo. Guardiola potrebbe avere trovato la soluzione e questa ha un nome e un cognome: Phillip Lahm. La mirabile gestione di palla, tempo e spazio del centrocampista Lahm sarebbe davvero una risposta efficace ai problemi di equilibrio della Germania. In una situazione di maggiore controllo le corse difensive di Khedira potrebbero non essere poi così fondamentali, ma Löw sembra ritenere il giocatore del Real Madrid insostituibile. Per le medesime esigenze di controllo Kroos potrebbe farsi preferire a Özil (o a Götze, Müller…) alle spalle del centravanti. Nell’ultimo match prima dei Mondiali, contro l’Armenia, è apparso un 4-3-3 con Lahm mediano a controllare il gioco, Khedira mezzala destra con movimenti verticali e Kroos mezzala in appoggio sicuro e orizzontale a Lahm. In attacco il tridente mobilissimo e senza ruoli fissi costituito da Müller, Schürrle e Reus.

Kroos è anche una delle possibili soluzioni in mezzo al campo assieme a Lahm, Khedira e Scheweinsteiger. Gli infortuni del tecnicissimo Gündoğan e dell’incontrista Sven Bender limitano (si fa per dire…) a questi quattro nomi le scelte per i due posti di interni. La presenza tra i 23 dei giovani e difensivi Kramer del Borussia Mönchengladbach e Ginter del Friburgo sono più scelte futuribili che possibilità concrete per il centrocampo tedesco. La stagione di Schweinsteiger è stata piuttosto complessa, sia per gli infortuni patiti che per un non perfetto inserimento nel mondo tattico di Guardiola. Il contesto tattico della Germania è peraltro più consono al centrocampista del Bayern. Dietro, detto dei tre difensori centrali, la posizione sugli esterni è sempre stata piuttosto contesa nel passato biennio. Chiaramente Lahm ha sempre giocato, a destra o a sinistra. A destra ha giocato pure Boateng e hanno collezionato presenze pure Westermann dell’Amburgo e Grosskreutz, riconvertito in terzino destro da Jurgen Kloop a causa dell’infortunio di Piszczek. A sinistra si sono alternati Jansen e Schmelzer. Nessuno dei due andrà in Brasile mentre è stato convocato il sostituto di Schmelzer al Borussia Dortmund, il ventiduenne, destro naturale, Erik Durm. L’impressione è che alla fine i due titolari saranno proprio Lahm (sempre che Löw non si decida a metterlo in mezzo al campo) e Boateng, con Hummels e Mertesacker in mezzo. Nel caso in cui Lahm fosse impegnato a centrocampo Durm e Höwedes si contenderebbero il posto di terzino sinistro. In avanti, analizzata la questione del centravanti e del trequartista, resta un’enorme quantità e qualità di scelta. Sui due esterni oltre a Müller possono giocare lo stesso Götze, sfruttando la sua abilità tra le linee, André Schürrle, capace di interpretare in maniera completa e dinamica il ruolo e il verticale Podolski, sempre positivo in Nazionale, sfruttabile magari in situazione di vantaggio acquisito per il suo contributo difensivo e la velocità in spazi aperti e che potrebbe trovare uno spazio inatteso dopo l’infortunio di Marco Reus. https://www.youtube.com/watch?v=8BcDxfx8jvU

Mai un video di highlights individuali è stato più crudele.

PROSPETTIVE Da centrocampo in su la Germania è la squadra che presenta la maggiore quantità di talento diffuso di tutto il Mondiale. La squadra è giovane, ma già esperta ad altissimi livelli. Gran parte del gruppo era già presente nella semifinale di quattro anni fa contro la Spagna e i nuovi innesti hanno grossa esperienza internazionale con le loro squadre di club. Pur non essendo certo all’ultima chiamata, vista la bassa età media, per questo gruppo di giocatori è arrivato il momento di vincere qualcosa. Insieme a Brasile e Spagna è la favorita di questo Mondiale. La Germania non vince una competizione internazionale da 18 anni e se non vincesse adesso supererebbe il più lungo periodo passato senza vittorie nel dopoguerra (dai Mondiali del 1954 agli Europei del 1972). La sfida di Löw è scegliere tra questa abbondanza di talento e trovare un equilibrio alla sua squadra, troppo spesso vulnerabile alle ripartenze e agli attacchi avversari. La strada cercata dal tecnico di Stoccarda, partito da un calcio essenzialmente reattivo e di ripartenze, è quella di controllare il match e tenere il più a lungo possibile il pallone tra i piedi forzando le transizioni difensive e giocando in maniera aggressiva la fase di non possesso. Gli squilibri nella fase di possesso e qualche inadeguatezza dei componenti della linea difensiva rendono però troppo spesso esposto agli attacchi avversari il reparto arretrato. Radicalizzare i concetti per ridurre gli squilibri, adottando il falso centravanti e Lahm a centrocampo col supporto di Toni Kroos potrebbe essere una buona idea. La prima partita è contro il Portogallo di Cristiano Ronaldo che in campo aperto potrebbe mettere a nudo gli scompensi della formazione tedesca. Il girone non è dei più semplici e vede anche un’affascinante derby contro Jurgen Klinsmann e la riedizione di una delle più belle partite del Mondiale 2010, Germania-Ghana. Ma appare davvero complicato immaginare una Germania fuori al primo turno. Da lì in poi, Joachim Löw si giocherà buona parte dell’enorme credibilità acquisita in questi anni come tecnico della Nationalmannschaft. Oggi è lo stiloso tecnico della nuova Germania, finalmente bella, leggera, brillante e divertente. Adesso deve anche vincere, o arrivarci quanto più possibile vicino, per non cominciare ad alimentare il sospetto di essere l’allenatore che non è riuscito a mettere assieme in maniera credibile questa fantastica generazione di talenti, nati durante o dopo la riunificazione della Germania.

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