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Daniele V. Morrone
Guida al Mondiale: Corea del Sud
11 giu 2014
11 giu 2014
Fare meglio della squadra di Hiddink del 2002 non sarà un'impresa facile, e Myung-Bo Hong lo sa. La sua Nazionale, ancora in costruzione, per passare il turno avrà bisogno della "tigre".
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Daniele V. Morrone
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La Corea del Sud è uno stato che vive senza poter mai togliere gli occhi da ciò che succede fuori dai propri confini. Il motivo è evidente: la guerra iniziata nel 1950 e interrotta nel 1953 non è ancora ufficialmente terminata e la nazione coreana è ancora divisa in due stati agli antipodi. Inoltre i rapporti con gli altri vicini sono serratissimi per quanto accaduto nell’ultimo secolo. In ballo ci sono dispute territoriali, dispute economiche, dispute ideologiche. Il dover convivere con una spada di Damocle posta sopra la testa di ogni singolo cittadino ha forgiato una società iper-competitiva che richiede fin dall’età pre-scolare massimo impegno e che punisce con l’isolamento chi non riesce a stare al passo con il livello di risultati richiesto. La Corea del Sud deve correre, deve andare più veloce degli altri e deve farlo compatta. L’aveva capito bene Guus Hiddink, giramondo olandese che preso l’incarico di CT nel 2001 in poco più di un anno ha cambiato per sempre il calcio sud coreano. L’impresa del Mondiale 2002 è stata sì aiutata da arbitraggi indecenti, ma non nasce per caso: quella Nazionale era una squadra vera. Compatta, veloce, aggressiva, verticale. Il sogno di ogni tifoso coreano si realizza quando vede la propria Nazionale giocare con i principi cardine su cui si basa anche la loro società. Hiddink è andato via da eroe nazionale e da allora la missione della federazione coreana è stata quella di ricostruire sui principi di quella squadra. Purtroppo scelte sbagliate e risultati non all’altezza portano piano piano allo spostamento verso un calcio meno consono alle caratteristiche dei giocatori coreani, con i lanci lunghi per sfruttare la velocità dei giocatori come arma sempre più abusata. Il punto più basso viene raggiunto quando nel 2013 la Nazionale si qualifica per il Mondiale in Brasile come seconda del proprio girone solo per differenza reti. Il morale è sotto le scarpe e il CT Kang-Hee Choi decide di assumersi la responsabilità e dimettersi dall’incarico. La federazione deve trovare un sostituto e per loro fortuna la scelta è semplice: Myung-Bo Hong, l’ex capitano della squadra del 2002, da allenatore dell’U-23 conquista la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra 2012 contro i rivali del Giappone cercando proprio un gioco simile a quello impostato da Hiddink. Hong viene promosso CT ad un anno dal Mondiale e decide che la sua Nazionale avrà come base di partenza i ragazzi delle Olimpiadi. Si fida dei propri ragazzi e sa che avendo poco tempo per lavorare è meglio farlo con chi conosce già bene i principi su cui basare il suo gioco. Dodici dei diciotto vincitori della medaglia vengono promossi in pianta stabile in Nazionale maggiore e saranno convocati anche per il Mondiale. http://youtu.be/v-CD-siLwsk?t=2m18s

A fine partita grandi festeggiamenti per la medaglia guadagnata…e per il fatto che la medaglia comporta l’esenzione dai 21 mesi di militare altrimenti obbligatori per tutti i cittadini coreani.

L’idea da cui ripartire quindi è una squadra dal ritmo altissimo, che ricerca in modo costante di aggredire il portatore di palla avversario per poi lanciare ripartenze veloci. La Corea del Sud deve sempre guardare verso la porta, la determinazione nel correre verso di essa è fondamentale e alimenta l’aggressività nel recupero del pallone. I movimenti senza palla sono tutti finalizzati a una cosa: arrivare in rete. Lo stemma della federazione è una tigre bianca e Hong vuole vedere i suoi giocatori riconoscersi in questo simbolo. Li vuole aggressivi e li vuole determinati. Vuole ricreare la squadra del 2002. Purtroppo per lui le amichevoli pre-Mondiale hanno reso evidente una tendenza che va a scalfire i principi di Hong: questa squadra regge un ritmo veloce, ma manca di creatività in grado di rendere imprevedibili i movimenti o la manovra con la palla, portando la squadra ad uno possesso palla prolungato a centrocampo. Una tigre che gira lungo il perimetro della gabbia, una gabbia però che creano da soli con un possesso sterile del pallone e che li rende impazienti di aggredire la porta, risultando in troppi tiri da fuori area come valvola di sfogo per una squadra che vede l’obbiettivo ma si sente frustrata nel non poterlo raggiungere. Non è raro vedere anche due tre tiri da fuori consecutivi come azioni principali e questo è sinonimo di un disagio da parte dei giocatori forse dettato dalla riluttanza di Hong a gettare la maschera e giocare in modo reattivo, cercando le ripartenze veloci e non creando azioni partendo dal possesso prolungato del pallone. La riluttanza di Hong ad abbracciare completamente i propri principi è data dal fatto che la stella della squadra fonda i propri punti di forza proprio sul possesso del pallone e non sull’aggressività nel recuperarlo. Si tratta di Sung-Yueng Ki e chi segue la Premier League lo conosce bene. https://www.youtube.com/watch?v=Glpi4ceI2EM A 25 anni Ki è uno dei reduci della medaglia di bronzo alle Olimpiadi ed è stato per lunghi tratti il miglior giocatore del Sunderland nella stagione appena passata. Parliamo di un giocatore che fa della precisione dei passaggi (nel 2013/2014 ha avuto il 91% di passaggi riusciti), della visione e del controllo di palla i propri punti di forza. Grazie all’altezza (187 cm) utilizza anche il corpo per aiutarsi nella protezione del pallone e risulta virtualmente impossibile privarlo della sfera con contrasti decisi. Purtroppo per Hong la natura della sua stella non aiuta affatto l’idea iniziale del CT. Ki ha bisogno della palla e Hong ha pensato di dargliela. Ki però non è un playmaker nel vero senso della parola, Ki non fa gioco, non crea occasioni, non è creativo nelle decisioni. Ki è un’ancora di sicurezza per i compagni visto che se il movimento senza palla è giusto il passaggio di Ki arriverà sempre a destinazione, se la pressione è alta Ki saprà uscirne con tranquillità. Ma affidarsi a Ki significa anche lasciarsi trasportare da questo senso di sicurezza nel possesso che porta a un’assuefazione alla certezza di poter mantenere il pallone, dal poter dettare il gioco. Ma questo snatura la squadra dato che i ritmi alti di cui la squadra ha bisogno nascono dall’aggressività nel recupero del pallone e le lacune nel gioco di Ki sono proprio quando il giocatore non ha il possesso del pallone: nonostante la stazza che farebbe pensare ad un ottimo centrocampista difensivo il numero di tackle (1,7 a partita sono meno della metà dei tackle a partita di giocatori come Arteta o McCarthy tra i pari ruolo in Premier) e quello degli intercetti (poco meno di 1 a partita) sfatano la falsa idea che il giocatore possa fare le due fasi. Quando la squadra ha il possesso del pallone Ki è fondamentale, ma quando il pallone deve essere riconquistato Ki diventa un giocatore normalissimo. E questa sua tendenza al possesso sposta il volume di gioco della squadra verso di lui, centrocampista arretrato abbassando il baricentro e rendendo impazienti di concludere a rete alla prima occasione gli attaccanti. Hong ha pensato di poter bilanciare il centrocampo inserendo un incontrista puro. La decisione è per l’ennesimo reduce da Londra, Kook-Young Han. https://www.youtube.com/watch?v=RrvHk8OtABo Han, come altri connazionali, è in realtà di scuola calcistica giapponese dato che trasferitosi da liceale viene preso in squadra dallo Shonan Bellmare (la squadra dove è cresciuto Hidetoshi Nakata) e la definitiva esplosione lo porta ad essere il centrocampista titolare del Kashiwa Reysol, una squadra di prima fascia della J. League. Han fa della conquista del pallone una ragione di vita, si lancia senza problemi in tackle anche rischiosi, senza paura e spesso a buon fine. Lo scopo è il recupero o l’intercetto immediato del pallone e sarà lui stesso a lanciare la ripartenza veloce dando il primo passaggio a Ki o verticalizzando lui se necessario. Han rappresenta il braccio in campo del CT, la sua aggressività e il suo coraggio servono da stimolo per tutti i compagni e portano anche Ki a gettarsi in inusuali tackle. La sua determinazione è contagiosa.

Il resto della squadra è costruito intorno al doble pivote con un 4-2-3-1 che in fase di recupero del pallone diventa quasi un 4-4-2. I quattro davanti sono scelte quasi obbligate da parte di Hong, i tre centrocampisti offensivi più talentuosi in rosa sono nati per giocare insieme e in velocità come piace a lui. Non c’è quindi grossa difficoltà nello schierare da sinistra a destra Heung-Min Son, Ja-Cheol Koo e Chung-Young Lee. Son è senza ombra di dubbio l’attaccante asiatico più talentuoso, trasferitosi dalle giovanili del FC Seoul direttamente a quelle dell’Amburgo il ragazzo classe ’92 si è trasferito la scorsa estate nel Bayer Leverkusen dove tutte le sue qualità si sono messe in mostra: veloce, tecnico, dal buon fisico (183 cm) e soprattutto dal tiro fulminante dalla distanza che può far partire da entrambi i piedi essendo ambidestro. Nel Bayer Leverkusen gioca sulla fascia sinistra da dove può tagliare in velocità e accentrarsi per il tiro. Anche in Nazionale viene schierato a sinistra e in fase di possesso prolungato accentra la propria posizione per lasciare il fondo libero all’esterno basso così che possa crossare se ha il pallone o semplicemente occupare la fascia lasciata scoperta dal movimento di Son. https://www.youtube.com/watch?v=cImQcRXrJy8 Al centro gioca il trequartista del Mainz Koo. La stella della Nazionale Olimpica ha trovato la sua dimensione in Germania giocando dietro la punta e sfruttando le doti tecniche fuori dal comune e il buon tiro. Di piedi non è veloce quanto i compagni del reparto offensivo, ma la velocità con cui pensa calcio lo rendono utilissimo nell’ultimo passaggio o nell’inserimento. Hong lo vuole schierato molto alto in campo, finendo quasi in linea in ampi tratti di partita in modo da sfruttarlo per lanciare i compagni di reparto in velocità. Il suo gioco elegante non deve confondere, il capitano della squadra è determinato e partecipa attivamente alla fase di riconquista del pallone pressando senza sottrarsi anche a scontri aperti con gli avversari A completare i tre dietro la punta viene schierato Chung-Yong Lee. Trasferitosi diciottenne al Bolton in Inghilterra ha adattato il suo gioco ai dettami britannici. A 25 anni è un’ala a cui piace raggiungere il fondo per crossare. Tecnico e veloce, non ha un infinito bagaglio di mosse e trucchetti per saltare l’uomo, preferisce la velocità pura e il controllo di palla più che il dribbling puro. La buona visione di gioco evita l’effetto buco nero tipico delle ali tutte trucchi e Hong lo ritiene fondamentale per la sua capacità di garantire sempre profondità e ampiezza alla fascia destra anche quando Son decide di accentrarsi palla al piede dalla parte opposta. Le sicurezze per Hong purtroppo terminano qui. I punti deboli strutturali della rosa erano già evidenti prima dell’arrivo di Hong: assenza totale di un portiere affidabile, reparto arretrato incline a cali di concentrazione e infine assenza di una punta che veda la porta. E a differenza di Zaccheroni la Coppa dell’Asia Orientale 2013 non ha aiutato a trovare valide soluzioni. La questione del portiere è serissima, nella K-League (il campionato sud coreano) è stata istituita da tempo la regola che solo portieri coreani possono essere tesserati e la mancanza di concorrenza invece di aiutare la crescita del movimento ha adagiato sugli allori i portieri, formando giocatori poco carismatici e dalla continua perdita di concentrazione. Il titolare Sung-Ryong Jung garantisce almeno una papera a partita e il ventitreenne Seung-Gyu Kim nonostante sia tra i vincitori del Bronzo di Londra non ha veramente mai convinto Hong, prendendo 6 gol nelle 5 presenze da titolare. Il reparto arretrato è formato da due esterni bassi che spingono e due centrali alti. A sinistra spinge molto Suk-Young Yoon del QPR che dalla prossima stagione tornerà in Premier, mentre a destra Hong chiede maggiore attenzione a non togliere spazi a Lee davanti, si avanza se la fascia si libera. I due centrali sono Young-Gwon Kim a sinistra e Tae-Hwi Kwak a destra. Kim è un centrale mancino che gioca in Cina nell’Evergrande allenato da Lippi e che per lui stravede. A ventiquattro anni ha il fisico per tenere botta nei contrasti ma risulta lento se attaccato in velocità. Kwak è l’unico sopra i 30 nella rosa, si garantisce il posto grazie alle ottime doti aeree. Purtroppo per lui i cali di concentrazione sono sempre dietro l’angolo e il possibile sostituto Jeong-Ho Hong (ventiquattrenne che gioca nell’Augsburg in Bundesliga) non sembra in grado di garantire un livello tanto superiore. https://www.youtube.com/watch?v=8e24SlOc7H4 Alla stampa però interessa altro: chi la butta dentro? Il ruolo di punta è un ballottaggio tra l’esperto Chu-Young Park e il gigante Shin-Wook Kim. Convocato ventunenne al Mondiale di Germania nel 2006 Park era l’astro nascente del calcio coreano. Persona molto intelligente, fluente in più lingue e personaggio di culto in patria, giocava cercando di fare quello che serviva alla squadra e muovendosi sempre in modo impeccabile. Lo sbarco in Europa arriva al Principato di Monaco, dove diventa l’attaccante titolare della squadra. Dopo tre anni sembra pronto il trasferimento ai futuri campioni di Francia del Lille ma una chiamata da Londra lo fa volare a trattative praticamente concluse per giocare con l’Arsenal. L’occasione della vita però finisce nel peggior modo possibile: Wenger non lo vede, lui non fa nulla per impressionare nei pochi minuti in campo e la stagione successiva l’Arsenal lo cede al Celta Vigo sapendo che la sua sfortunata avventura a Londra poteva ritenersi conclusa. Hong però non demorde e lo utilizza come fuori-quota per le Olimpiadi per far valere la sua esperienza e alle perplessità della stampa coreana al momento di leggere il suo nome tra i convocati per il Brasile Hong risponde brevemente “è in squadra perché si trova bene con i compagni”. Hong lo vede come la punta in grado di garantire movimenti continui e mirati su tutto il fronte togliendo punti di riferimento alla difesa e liberando spazio per Son o Koo o lanciandosi lui una volta recuperato il pallone. https://www.youtube.com/watch?v=j44M9Hf2TRw Kim è una torre di 196 cm per 98 kg che svetta sui compagni nonostante l’altezza media della squadra coreana sia piuttosto elevata. Spostato da centrale della difesa a centravanti da un allenatore delle giovanili in patria la sua stazza fa la differenza e da tre anni flirta con i venti gol a stagione. In Nazionale viene utilizzato per un motivo facile da immaginare. Da target man domina fisicamente i centrali avversari accentrando le attenzioni su di se e permettendo ai vari Son e Lee di ricevere palloni lanciati ricavati da sponde aeree liberandoli per la conclusione. CONCLUSIONI La Corea del Sud di Hong è una squadra ancora in costruzione, con difetti evidenti e che parte sapendo già che sarà impossibile eguagliare i record della Nazionale del 2002. Se Hong dovesse finalmente gettare la maschera e liberarsi di questi tentativi di gioco di possesso per abbracciare totalmente i propri dettami e giocare in modo reattivo la Corea del Sud potrà sfruttare al massimo le proprie qualità di squadra veloce, tecnica e aggressiva, che può mettere in difficoltà qualsiasi difesa con ripartenze precise. Il girone non è affatto semplice e presenta la candidata d’obbligo al primo posto nel Belgio, la Russia di Capello e la solida Algeria. Il calendario però permetterebbe di affrontare il Belgio già qualificato all’ultima giornata che potrebbe schierare una squadra senza titolari in campo. Hong deve quindi raggiungere almeno una vittoria e un pareggio tra Russia e Algeria. Obbiettivo 4 punti e poi vedere quale Belgio si dovrà affrontare. Obbiettivo non impossibile e che si potrà raggiungere solo rimanendo fedeli ai dettami lasciati dall’olandese giramondo nel 2002. Se vuole passare il turno la Corea del Sud deve giocare da Corea del Sud: compatta, veloce, aggressiva, verticale. Sta a Hong liberare la tigre dalla gabbia.

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