
Fiorentina
Luca Misculin (@LMisculin)
Se potessi cambiare nome, probabilmente non sceglierei Max Power ma Harry Kane. Oltre ad avere un nome bellissimo, quest'uomo è anche la rivelazione del Tottenham di questa stagione: finora l'avevano mandato in prestito per quattro stagioni di fila, in questa è esploso. Ad oggi ha giocato il doppio dei minuti totali di Soldado, acquistato per 30 milioni di euro solo un anno e mezzo fa. Segna in ogni modo, è bravo coi piedi, ha un gran senso del gol. Contro la Fiorentina, vedremo cosa gli succederà intorno: la difesa del Tottenham è fragile (finora ha preso 34 gol in 25 partite), e secondo me molto dipenderà da come la Fiorentina riuscirà ad uscire palla al piede evitando il pressing delle quattro punte e sfruttando la propria capacità di attaccare "a nube", senza però perdere in qualità.
Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)
Attenzione: pensare che il Tottenham di oggi sia solo Harry Kane è un errore. Gli Spurs sotto Pochettino stanno diventando una squadra vera, dal carattere indomito tipico di una formazione inglese: basti pensare che in questa stagione sono riusciti a recuperare 15 punti dopo essere passati in svantaggio. Col pressing a tutto campo e con la difesa alta, hanno demolito la costruzione bassa dell’Arsenal, una squadra per certi versi simile alla Fiorentina. Nel derby del nord di Londra l’undici iniziale degli Spurs aveva un’età media di 23,6 anni, la più bassa in tutta la Premier League. Giocano ad un’intensità alla quale nessuna squadra italiana è abituata, ed è per questo la sfida più difficile del lotto. Quest’anno sta finalmente emergendo Christian Eriksen, soprattutto per la straordinaria facilità di calcio con cui riesce a creare pericoli su ogni palla inattiva. Luca ha ragione, circa la fragilità difensiva del Tottenham: Dier, Fazio e Vertonghen non sono dei fulmini e il campo aperto li rende vulnerabili.
Daniele V. Morrone (@DanVMor)
Personalmente non sono molto ottimista riguardo le possibilità della Fiorentina contro l’attuale Tottenham di Pochettino. Il ritmo che gli Spurs sono in grado di imporre agli avversari, con e senza il pallone, male si sposa con la necessità della squadra di Montella di giocare ragionando. Il Tottenham non ti permette di ragionare a centrocampo, dove il vantaggio numerico voluto da Montella può servire a poco contro il dinamismo e l’energia di Dembélé e di Mason. La fase di recupero del pallone da parte del Tottenham è tra le migliori in Europa e non so se la Fiorentina riuscirà a mantenere il possesso tanto da organizzare un attacco posizionale. Anche il punto debole esposto dagli altri di una difesa alta ma non molto reattiva si scontra con l’abitudine della Fiorentina a non attaccare le difese in transizione, come invece potrebbe essere in questo caso più efficace. Il buon talento dei viola nel gioco aereo potrebbe essere un’arma da poter sfruttare a Londra, tentando di non subire gol. A Firenze poi la squadra dovrà far vedere quanto il calcio di possesso voluto da Montella sia in grado di reggere i ritmi europei ben più alti rispetto alla Serie A.
Emanuele Atturo (@Perelaa)
Quando ho letto gli accoppiamenti, la partita tra Tottenham e Fiorentina era quella che mi intrigava maggiormente. Forse perché ho pensato che si trattasse di una sfida tra due dei giovani tecnici più interessanti e propositivi d’Europa.
Poi ho letto le vostre opinioni e il quadro che viene fuori è che l’unico tecnico realmente interessante è Pochettino, mentre Montella si limiterebbe a proporre un calcio sottoritmo e poco competitivo. Quindi la situazione è così drastica? Uno dei nostri migliori giovani tecnici è concettualmente così inadeguato?
Sulla carta sono d’accordo con voi. È difficile pensare che l’intensità e l’aggressività sulle fasce del Tottenham non possano mettere in crisi la Fiorentina; sono inoltre molto d’accordo con Alfredo quando dice che la vittoria degli Spurs sull’Arsenal è stata scoraggiante in prospettiva, dal momento che l’Arsenal è una Fiorentina con più ritmo e qualità.
E intanto Pochettino è così coatto che vince le sfide di punizioni con Eriksen (capito Alfredo?); (Pochettino in allenamento è un genere letterario: l'anno scorso umiliò Shaw a calciotennis).
Ciò nonostante resto curioso di vedere l’impatto che la squadra di Montella avrà in Europa, visto che finora non è stato misurabile in alcun modo: così come quest’anno, la scorsa stagione i viola hanno dominato contro tutte squadre di basso livello che l’Europa League propone fino a febbraio, per poi uscire contro la Juventus, in una partita non probante della tenuta europea della Fiorentina. Ora invece dovrà incontrare una squadra molto europea e molto forte, che ad oggi indicherei forse come la favorita per la coppa. Magari la sfida sarà capace di chiarirci questo triste dubbio: Montella gioca un calcio anacronistico?
Francesco Lisanti (@effelisanti)
Del gruppo-avversari, gli Spurs sono ampiamente i migliori. Le chiavi per la Fiorentina sono due: sfruttare lo spazio che si crea tra linee quando la difesa tarda ad accorciare sul centrocampo iperaggressivo, e creare superiorità sugli esterni, come il Liverpool con il 3-4-3, date le difficoltà del Tottenham a coprire il campo in ampiezza. Confido in un Gomez catalizzatore spalle alla porta, impegnato solo a ricevere e scaricare nello spazio che gli si dovrebbe creare di fronte. Funzionasse l’intesa con Salah, in grado come pochi di ricevere in corsa e tuffarsi al di là della linea di difesa, guadagnerebbero qualche soluzione offensiva. Più probabilmente assisteremo ad un possesso straziato e ad una resa per asfissia (recentemente la Fiorentina ha sofferto molto i ritmi alti del Genoa), e all’eterno ritorno del dibattito sullo spread del nostro campionato in termini di ritmo. Attenzione alla tenuta difensiva, può capitare che Eriksen e Lamela decidano di nascondere la palla, hanno il passo per permetterselo.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Mi preme ringraziare Michel Platini e tutta la Uefa per questi sorteggi di Europa League che prendo un po’ come un tributo alla mia éducation sentimentale calcistica. Per il Tottenham ho una cotta pluriennale. La prima volta che li ho visti giocare è stato il giorno del mio decimo compleanno, semifinale di FA Cup, vittoria per 3-1 contro l’Arsenal. C’erano Gascoigne, Lineker e un tiramisù scialbo preparato da mia madre, con le candeline che non si reggevano tanto era liquefatto: se come fruste-da-uova avesse usato il centrocampo attuale degli Spurs, con la sua vorticosa intensità, sono certo che sarebbe venuto più sodo. La partita nella partita, oltre a quella tra il bielsismo di Pochettino e il guardiolismo di Montella (a conti fatti due tra i giovani allenatori più interessanti d’Europa, se può valere come spot per questa Coppa che non è la Championsina, ma ha una sua dignità) credo che sarà tutta nella sfida tra i moti centrifughi dei tre mediani offensivi Dembélé-Eriksen-Lamela (ma quanta qualità e rapidità ha, il centrocampo del Tottenham?) e quello centripeto del cerebrale Pizarro, al quale non resterà che resistere stoicamente, armato solo della sua Finta Con Giravolta™. Così ad occhio, al White Hart Lane potrebbe addirittura andarci a finire, quest’anno, il trofeo.
Torino
Luca Misculin (@LMisculin)
Si dice sempre: in una partita secca può succedere di tutto. Ecco, può succedere anche di tutto. Questo, per dire che anche se Torino-Athletic Bilbao si giocasse in una partita secca, dubito che il Torino avrebbe qualche possibilità, se non quella di rintanarsi nella propria metà campo e sperare di tirare a campare fino al 120esimo. L'Athletic è persino in crisi: non ha vinto nemmeno una partita di Liga, fra dicembre e gennaio; Muniain non sta facendo la differenza; in attacco gioca Aritz Aduriz (o meglio, giocherebbe, visto che non è stato convocato). Però il Torino ha un sistema di gioco così plasmato sulle esigenze del calcio italiano che trovo difficile che riesca a prendere le misure per giocarsela: colloso, prevedibile, di massa piuttosto che di qualità. Persino quando attaccano, a meno che ci sia di mezzo un calcio piazzato o un'azione personale.
Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)
L’Athletic ci ha mostrato il meglio e il peggio di sé contro il Napoli, nel preliminare di Champions League dello scorso agosto. Gli azzurri, con le gambe pesanti e senza i reduci dal Mondiale, furono travolti dall’aggressività e dalla compattezza dei baschi. Dei buoni schemi da calcio piazzato e il chiasso infernale del pubblico del Nuovo San Mamés fecero il resto. Nel triangolo di centrocampo, dove stazionano Mikel Rico, Beñat e Iturraspe (infortunato e fuori dai convocati), latitano i piedi buoni mentre la catena di destra, formata da de Marcos e Susaeta (comunque assente nella gara d'andata), non ha più vissuto i fasti della stagione 2012/13, quella con Bielsa in panchina. L’attacco del Toro ha ripreso a funzionare allo scoccare del 2015 e, in un’ipotetica classifica avulsa di inizio anno, i granata sarebbero primi con la Juventus e il Napoli. Ciò nonostante, due come Cerci e Immobile, devastanti negli spazi aperti e abili nel non dare punti di riferimento, mancheranno come l’aria.
Daniele V. Morrone (@DanVMor)
La travagliata stagione dei baschi nasce fondamentalmente con la partenza di Ander Herrera per Manchester. L’incapacità di sostituire Ander con un giocatore che possa almeno garantire lo stesso tipo di gioco (se non la qualità), unita alla pessima stagione dell’altro centrocampista Iturraspe ha minato la base dei successi della scorsa stagione. Davanti il solo Aduriz sarebbe bastato (non è stato convocato), visto l’ottimo livello delle prestazioni che sta offrendo, mentre sugli esterni si va dal discontinuo Muniain al timido Susaeta (anche lui però è stato tenuto a riposo da Valverde). Nel caso in cui la squadra di Valverde decida di pressare con la stessa veemenza con cui ha impostato ed eseguito la partita contro il Barcellona (finita comunque con 5 gol subiti) poco potrebbe fare la squadra di Ventura, se non provare ad attaccare con transizioni precise o sperare in errori difensivi del talentuoso, ma poco continuo, Laporte. Come sottolineato bene da Luca, il Torino non è attrezzato per far fronte ad un Athletic Club a pieno regime che vuole imporre il ritmo alla gara, ma non si può sapere se non si presenterà invece a Torino la squadra sonnolenta di dicembre e gennaio. Il 3-5-2 di Ventura potrebbe soffrire molto le sovrapposizioni degli esterni bassi; giocare la prima in casa poi non aiuta il Torino, che potrebbe dover andare a vincere a Bilbao, cosa non certo facile, come ha capito sulla propria pelle il Napoli in estate.
Emanuele Atturo (@Perelaa)
Per certi versi la partita tra Bilbao e Torino ci pone di fronte agli stessi interrogativi di tenuta di ritmo del calcio italiano in Europa. Una tematica su cui il confine tra realtà e paranoia diventa sempre più sfumato. Da quello che avete detto il Torino sembra praticamente spacciato. Eppure il Bilbao non ha grande qualità e attualmente non riesce neanche a compensarla con la solita organizzazione e forza nervosa. La coperta sembra troppo corta: ogni volta che si tenta di proporre un’intensità alta la squadra perde le distanze (vedi partita contro Barcellona) oppure non riesce a mettere a frutto la mole di gioco e subisce il ritorno degli avversari (vedi partita contro l’Atletico Madrid, persa per 4 a 1 dopo l’iniziale vantaggio e un primo tempo dominato). I baschi hanno totalizzato 5 punti nelle ultime 8 partite, durante le quali hanno segnato 7 gol subendone 15. Il Toro è invece in un momento di forma diametralmente opposto: è imbattuto da 10 partite, con 5 vittorie e 5 pareggi, e viene da quattro vittorie consecutive e un pari. Gli enormi problemi offensivi di inizio stagione sembrano completamente risolti (16 gol nelle ultime 8 partite; erano 6 nelle prime 8!). Il buon momento ha coinciso peraltro con l’ingresso da titolare di Josef Martinez, attaccante venezuelano sul cui taglio di capelli chiedo un parere a Fabrizio Gabrielli. La diversità dei campionati non rende questi numeri troppo rivelativi, ma dovrebbero bastare a ridimensionare le nostre considerazioni sul Bilbao, forse anche pompate dall’eliminazione del Napoli (che però era per caratteristiche, e in quel momento della stagione, una vittima perfetta dei baschi). Per me il Toro può passare.
Francesco Lisanti (@effelisanti)
Battere il Torino è difficile per tutti. Nell’analisi sul possesso palla in Serie A il rapporto tra quantità e qualità delle giocate è l’immagine dell’efficienza. Tuttavia i 180 minuti dovrebbero agevolare la tecnica superiore dei baschi rispetto all’approccio conservativo-esplosivo di Ventura, soprattutto con il ritorno al San Mamés. Il pressing alto che ha già irriso nei preliminari il primo possesso del Napoli rischia di far crollare le poche certezze di una squadra sostanzialmente mediocre. Poi puoi sempre sperare di arrivare in porta con sei passaggi, ma devi essere il Barcellona. Il Toro deve obbligarli alla sterilità, nascondere gli spazi che sono bravissimi ad occupare e poi sognare Glik staccare su calcio d’angolo o Quagliarella segnare alla-Quagliarella™. Sarà difficile, Muniain resta sempre un talento superiore alla media, e a centrocampo la qualità pende sul piatto dell’Athletic.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Sono d’accordo con Emanuele, anche secondo me il Torino può passare il turno. Credo che l’idea che ci siamo fatti dell’Athletic, quella soggezione frammista a rispetto, sia un po’ troppo condizionata dall’eliminazione del Napoli nei preliminari e da quell’aura fascinosa che (da sempre) si sprigiona intorno alle maglie dalle righe strette bianche e rosse, l’Euskera, il San Mamés, nuovo o vecchio che sia. L’Athletic se la sta passando maluccio, è a cinque punti dalla zona retrocessione, è tornato a vincere agli albori di febbraio dopo due mesi, praticamente, in cui non ha mai portato a casa i tre punti. Ventura, invece, è in striscia positiva dalla sconfitta nel derby della Mole (e per chi non se lo ricordasse più, ragionevolmente, sto parlando di fine novembre), è a cinque punti dalla zona Europa, ha trovato la quadratura del cerchio con una (l’ennesima) reinterpretazione del 3-5-2 e con uno sforzo nei centottanta minuti potrebbe addirittura lasciarsi alle spalle gli afflati nostalgici del Cercimmobilismo. Ah, dimenticavo: i capelli di Martinez somigliano a una cascata di frijoles neri, tipo quelli che riempiono il piatto quando in Venezuela ti servono il Pabellón criollo.
Napoli
Luca Misculin (@LMisculin)
Il Trabzonspor arriva dal secondo posto nel girone forse più facile. In campionato è quarto, in zona Europa League. Il capocannoniere della squadra - e vice-capocannoniere della Süper Lig - è una vecchia volpe mica male come il paraguayano Óscar Cardozo. C'è persino Kevin Constant (anche se è squalificato), che ha già fatto due gol in Europa League; una delle altre vecchie conoscenze del calcio europeo è José Bosingwa. Sono tignosi, come dice mio nonno. Ci fosse un allenatore diverso da Benitez, probabilmente rinforzerebbe il centrocampo, mettendo un'altra mezzala per proteggere Gargano/Inler/Jorginho/David López. Ma questo non succederà. Vero?
Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)
Dev’essere un bel tipo, Ersun Yanal, che ha sbattuto la porta al Fenerbahçe dopo aver vinto lo scorso campionato con tre giornate di anticipo e dopo aver firmato un rinnovo biennale. E non è stata la prima lettera di dimissioni della sua carriera. Saltato in corsa sulla panchina del Trabzonspor, a novembre, deve essere riuscito a trasmettere il suo carattere spigoloso nello spogliatoio: 69 cartellini gialli in 19 partite di campionato, primi in questa classifica. Quindi occhio al gioco duro e alle provocazioni. Il gioco dei turchi è fatto di continue sovrapposizioni per rifornire di cross la testa di Cardozo. Sono temibili anche su calcio piazzato e per questo detengono in campionato il record per i gol segnati da palla inattiva. Per il resto il Trabzonspor sembra reggersi sull’umore di Mehmet Ekici, fantasista classe 1990 che quest’anno ha fatto il percorso inverso da Brema. Buon tiratore, tutto destro, un discreto temperamento che, nella gara con il Legia Varsavia, gli è valso un’espulsione (è quindi squalificato).
Daniele V. Morrone (@DanVMor)
Il Trabzonspor è un avversario alla portata del Napoli. Il che naturalmente non significa che il Napoli può sottovalutare la partita, ma che se gioca il proprio calcio può vincere andata e ritorno. La squadra turca proverà a giocarsi la qualificazione nella gara d’andata a Trebisonda, facendo leva sul gioco duro e le provocazioni di cui hanno già parlato Luca e Alfredo, e sperando di rendere duro l’impatto con la gara al Napoli. La stella della squadra è il trequartista Ekici, nato a Monaco di Baviera e cresciuto nelle giovanili del Bayern. Sembrava potesse far parte della generazione d’oro nata poco prima della caduta del Muro ma alle grandi doti balistiche con il tempo non ha saputo affiancare un repertorio completo. È tornato in Turchia preferendo i soldi e lo status di stella, piuttosto che rimanere anonimo in Bundesliga. Benitez (al ritorno, visto che nella gara in Turchia Ekici è squalificato) dovrà provare a rendergli la vita difficile, soprattutto al limite dell’area, evitando di lasciargli lo spazio per calciare in porta o assistere la punta Óscar Cardozo (un giocatore per cui provo una di quelle antipatie difficili da spiegare razionalmente). Nota di merito per il Trabzonspor è il bello stemma, dove la T e la S del nome si intersecano con un tratto sinuoso, quasi a ricordare la costa del Mar Nero dove si affaccia Trebisonda.
Emanuele Atturo (@Perelaa)
La trasferta del 19 a Trebisonda rappresenta bene il tipo di partite per cui giocare l’Europa League può diventare un incubo e la ragione per cui smorzerei un po’ le sicurezze attorno al Napoli. Non perché non sia favorito contro un modesto Trabzonspor; ma per tutto il contorno di nervosismo, falli, provocazioni e negatività mentale che i turchi riescono a mettere nella partita; e che per una squadra mentalmente fragile come il Napoli potrebbe essere complicato da gestire. Per questo sarà determinante l’approccio alla gara d’andata in Turchia: il Napoli dovrà essere intenso e sicuro di sé per far pesare la propria maggiore qualità. Del Trazbonspor vorrei dedicare una menzione d’onore ad Oscar Cardozo, 35 gol tra Champions ed Europa League, mestierante con una carriera trascorsa nel limbo tra i forti e i mediocri. Un Pauleta ancora più malinconico, il cui career high è rappresentato da un rigore inutile segnato nella finale persa di due anni fa, con successivi crampi.
Francesco Lisanti (@effelisanti)
Con l’accesso ai sedicesimi ottenuto per miglior differenza reti negli scontri diretti contro il Lokeren, la recente eliminazione dalla Coppa di Turchia e la vetta del campionato distante 14 punti, il Trabzonspor delendum est. Vincere aiuta a vincere, sempre, ma a Napoli un po’ di più, ed è il momento di strappare qualcosa di concreto a questa brillante fase della stagione. Il Trabzonspor appare l’obiettivo concreto e immediato per consolidare nel Napoli l’idea di squadra vincente, indispensabile in ottica secondo posto e cammino europeo. Dei turchi registriamo la difesa che ha commosso il web, l’eterno Bosingwa capitano e terzino destro, i tre titolari appena tornati dalla Coppa D’Africa: Yatabaré, Constant, Medjani (Waris e Belkalem hanno dato forfait per infortunio). L’esito del turno dipenderà dal ritmo del centrocampo del Napoli, concetto caro a Benítez e ad oggi determinante nelle vittorie e nelle sconfitte. Per controllare il gioco serviranno idee chiare, i turchi corrono male ma corrono molto.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Da qualche altra parte nell’universo, il 19 Febbraio, il Napoli scenderà in campo nella ridente cittadina di Trebisonda e si troverà di fronte tifosi educati, amichevoli ed accoglienti e una squadra che gioca un calcio pregevole e per nulla violento. Nella nostra parte di universo, invece, finiremo per fare la conta dei cartellini gialli, degli scontri ruvidi e faremo finta di tornare a stupirci, con il brillio malinowskiano dello studente di antropologia negli occhi, quando al 61’ sugli spalti scoppieranno i petardi, si accenderanno i fumogeni e la rievocazione della conquista di Trebisonda da parte degli Ottomani (che risale, infatti, al 1461) sarà compiuta. C’è talmente tanta prevedibilità in ogni scontro con il Trabzonspor che il Napoli se ne sbarazzerà agevolmente, come è appunto prevedibile, e io mi immalinconirò ancora pensando a tutto il tempo che - per colpa di una didascalia sbagliata del Guerin Sportivo - ho speso a immaginare Hami Mandirali, la stella della squadra negli anni ’90, con i baffi che invece non aveva.
Roma
Luca Misculin (@LMisculin)
Più che il Feyenoord, di questa partita mi incuriosisce in quali condizioni arriverà la Roma: tagliata fuori dallo Scudetto - col Napoli alle spalle, appena dietro - presa in mezzo fra mille infortuni, sfighe, acquisti così così, derive da capo ultras di Garcia. Quanto può dare in Europa League? Sarebbe più doloroso e pesante uscire subito, magari male, o andare avanti e perdere in semifinale o in finale? Stiamo per assistere a uno spettacolare sbriciolamento?
Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)
A ben vedere Feyenoord e Roma hanno diversi punti di contatto. Dal punto di vista statistico, entrambe primeggiano nei rispettivi campionati per percentuale di possesso palla. Entrambi gli allenatori, Rutten e Garcia, prediligono schierare le loro squadre col 4-3-3. Entrambe le società hanno il vantaggio domestico dato da due cattedrali del calcio europeo come l’Olimpico e il De Kuip. Per il resto, Kazim-Richards non è Totti ma è sicuramente un giocatore importante: capocannoniere stagionale, il 28enne centravanti, turco da parte di madre, è il punto di riferimento su cui si appoggia tutta la manovra olandese. Nei varchi aperti dal numero 15 tenteranno di infilarsi gli altri due componenti del tridente, Toornstra e il funambolico Boëtius. Per palati fini la sfida a centrocampo tra Miralem Pjanic e Jordy Clasie, di un anno più giovane, e forse frettolosamente ribattezzato “il nuovo Xavi”.
Daniele V. Morrone (@DanVMor)
La Roma del motivatore Garcia ha i giocatori per passare agevolmente il turno, ma sta affrontando la più grossa crisi in termini di gioco da quando il francese siede in panchina. I difetti della squadra li abbiamo affrontati con “Dov’è finita la Roma?” e non credo si risolveranno prima della partita di coppa. Il Feyenoord è una squadra costruita all’europea, con una ricerca del possesso continuo (in Olanda ha il 60% di possesso palla) e di un attacco posizionale che sfrutti l’ampiezza del campo. Il pallone passa per i piedi del capitano Jordy Clasie, un centrocampista completo in grado di svolgere tutte le fasi di gioco (2,4 contrasti e 2,1 intercetti non sono pochi per il regista di una squadra) che però potrebbe soffrire la presenza di Nainggolan, se Garcia decidesse di metterlo nella stessa zona di campo. Staremo a vedere se la risposta del tecnico francese sarà qualcosa di più di una semplice sfida a “chi ha più talento”.
Emanuele Atturo (@Perelaa)
Nonostante il blasone, la qualità, il clima storico del De Kuip, alla Roma è andata bene. Non dovrà sfibrarsi i nervi con il Trabzonspor, soffrire gli alti giri del Tottenham o la grinta spaventosa del Bilbao. Come avete sottolineato voi, al Feyenoord piace tenere il pallone e mandare la gara sottoritmo, affidando il possesso a questo Jordy Clasie di cui a questo punto è il caso allegare un video:
La prima cosa di cui la Roma dovrebbe avere una sana paura guardando questo video è la capacità di Clasie di far uscire la propria squadra dalla pressione avversaria. Pressione che la Roma solitamente esercita in modo piuttosto sgangherato.
Ma la Roma subisce maggiormente squadre di alta intensità, che puntano alla riconquista alta del pallone (mettendo in crisi la sua vergognosa costruzione bassa), non squadre che puntano a ritmi blandi e palleggio. Mettendola su quel piano alla Roma attuale basterebbe recuperare un minimo il filo del proprio gioco per passare il turno - cosa al momento non scontata peraltro. Guardando i gol del Feyenoord della prima parte di stagione emerge un altro aspetto a cui la Roma dovrà fare attenzione: le verticalizzazioni per i tagli centrali delle punte, una situazione di gioco che i giallorossi tendono a soffrire e che sia Clasie che Lex Immers sembrano saper applicare con una certa disinvoltura.
Francesco Lisanti (@effelisanti)
Servisse ricordarlo, in questo confronto è il Feyenoord la testa di serie. Ho comunque il sospetto che non sarebbe scusante gradita in caso di insuccesso. Il Feyenoord si è ritagliato il ruolo di squadra felicemente costretta a rifondare ogni anno, ponendo alla base una filosofia di gioco (4-3-3 rapido e offensivo) e un florido vivaio. In estate hanno salutato Rotterdam: Pellè, Janmaat, Martins Indi, de Vrij e Ronnie Koeman. Dopo un inizio di stagione traumatico, hanno ritrovato la forma, vinto il girone di EL che ospitava anche il Siviglia e in campionato competono per il secondo posto. Sulle difficoltà della Roma a gestire l’aggressività degli avversari abbiamo consumato pagine, per passare il turno dovranno ritornare le giocate in verticale. Gli olandesi se la giocano con un centrocampo leggerino, El Ahmadi e Immers sono brillanti nel proporsi negli spazi ma se attaccati con la fluidità e l’efficacia proprie della (vecchia) Roma, trovare la porta non sarà un problema. Di Clasie avete già detto tutto voi, mi limito ad aggiungere che ho la sua maglia, ma la terrò nel cassetto. Daje.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Questi non sono i sedicesimi di finale dell’Europa League, ma una scatola intera di madeleines. C’è stato un tempo in cui ero infatuato di questa squadra, che schierava due funamboli come Regi Blinker e Gaston Taument e arrivava a un passo così dal giocarsi le finali di Coppa delle Coppe. Oggi il Feyenoord, pur rimanendo nel novero delle Grandi d’Olanda, ha visto lo scarto con l’Ajax - ma soprattutto con il PSV - aumentare vertiginosamente: mentre scrivo sta perdendo 2-0 in casa dell’Heracles di Almelo, che è terzultima in campionato, e l’Eredivise non è la Serie A (con tutto quello che può significare). Insomma: la gara contro la Roma ha il sapore della sfida tra due squadre che stanno attraversando una pianura gonfia di nebbia, e l’impressione è che a spuntarla sarà chi avrà il fendinebbia più potente. Se per fendinebbia intendiamo la qualità tecnica dei singoli e l’efficacia del gioco, a Garcia basterà riordinare un po’ le idee - per quanto i tempi siano brevi, e la pressione elevata - per avanzare. Anche a rischio di andare incontro a braccia aperte, come efficacemente ha anticipato Luca, a uno stillicidio.
Inter
Luca Misculin (@LMisculin)
L'Inter la vedo bene. È vero, probabilmente in estate dovrà vendere Icardi perché non riuscirà ad arrivare terza. È vero, ha vinto solo tre partite nelle ultime otto. E però il gioco comincia a vedersi, e i giocatori per farlo ce li ha: la rosa, soprattutto dopo il mercato di gennaio, è probabilmente appena dietro a quella del Napoli. Tiratemi pure delle cose, se non siete d'accordo. Un'altra storia, dall'altra parte: il capocannoniere del Celtic della stagione è John Guidetti - svedesone del '92 che a nemmeno vent'anni fece 20 gol in Eredivisie - che è partito fortissimo e poi si è fermato (arrivando comunque a 11 gol), e che ha detto che deciderà cosa fare del suo futuro a marzo o aprile.
Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)
Sono stato al Celtic Park, imbucato occasionale nello Jock Stein Stand in una fredda notte di dicembre. La passione e l’orgoglio di quelle persone non possono essere compresi fino a che non ti trovi letteralmente sommerso dalle loro urla per novanta minuti. L’avversario di quella sera - il Milan dei Nesta, dei Costacurta e dei Maldini - ringraziò per essere scampato indenne e sembrò accontentarsi del pareggio. I primi 45 minuti della sfida di andata saranno quindi decisivi per le sorti della qualificazione. Oltre a John Guidetti - che è stato il Martin Ødegaard del 2008 - tra gli scozzesi segnalo due calciatori, protagonisti minori al Mondiale brasiliano: l’honduregno Izaguirre, terzino sinistro, e il nigeriano Ambrose, difensore centrale.
Daniele V. Morrone (@DanVMor)
Il fallimento dei Rangers (ora in seconda serie) ha tolto la concorrenza tra le due uniche forze del campionato, dando il colpo di grazia a un movimento già in difficoltà. Senza concorrenza (e i soldi di minimo quattro derby a stagione) il Celtic ha abbassato il proprio livello, uscendo in modo definitivo anche dal gruppo delle squadre nobili in difficoltà, come l’Ajax, andando addirittura a perdere nel turno preliminare di Champions League contro il Maribor. Ormai costretto a vendere minimo una stella della squadra a stagione, il Celtic va sul mercato per prendere giocatori scovati da campionati minori (sulla base comunque di un’ottima rete di scouting) o da rilanciare (come le punte Guidetti e Scepovic). In attesa del ricambio generazionale a centrocampo, è ancora il capitano Scott Brown il simbolo della squadra. A 29 anni non ha perso l’agonismo e l’energia che ne fanno l’idolo del Celtic Park; uno stadio tra i più belli del mondo, riempito da tifosi che meriterebbero di cantare l’inno della Champions League, ma che visti i tempi sperano di continuare a sentire quello dell’Europa League.
Emanuele Atturo (@Perelaa)
L’Inter si presenta a questo turno con una squadra sconvolta, tecnicamente e tatticamente, e ancora per lo più indecifrabile. I nuovi acquisti del mercato di gennaio, il cambio radicale di filosofia di gioco, oltre che di modulo, rendono la squadra poco prevedibile. In alcuni momenti sembra aver assorbito in un’identità di gioco abbozzata le indicazioni di Mancini; in altri momenti, a guardarla, si fa fatica a credere che si possa giocare a calcio così male. Stando a quanto dice Adani bisogna concedere a Mancini almeno 10 mesi di tempo e due sessioni di calciomercato per esprimere un giudizio definitivo, la cosa mi trova d’accordo e nel frattempo non saprei davvero cosa aspettarmi da questa squadra da qui a fine stagione. Teoricamente il Celtic non dovrebbe essere un problema, ma un avversario più consistente nel turno successivo potrebbe essere difficilmente superabile, nonostante, come dice Luca, una rosa molto migliorata, dominata dal giocatore geometricamente più strano del calcio mondiale.
Questo tipo vi spiega come farvi il petto e le spalle di Shaqiri.
Francesco Lisanti (@effelisanti)
Mi sono innamorato di Stefan Johansen. Mediocre ala di un piccolo club norvegese, lo Strømsgodset, cambia marcia quando viene delegato al playmaking. L’intuizione è di Ronny Deila, giovane allenatore che in pochi anni conduce il Godset dall’orlo del fallimento al titolo nazionale. Adesso sono entrambi a Glasgow. Johansen ha un sinistro delizioso e una straordinaria reattività nella lettura del gioco (a 1:36 è fuori inquadratura, cinque secondi dopo segna). Deila ha il pallino del divertimento, il Celtic gioca altissimo e affida al rombo offensivo un pressing furente, letale in SPL: il vertice basso è Johansen, il vertice alto Guidetti, le ali, strettissime, di base Stokes e Commons. Sono curioso di scoprire se conserveranno lo stesso approccio o se il credo di Deila si piegherà al buonsenso: 50 metri a Shaqiri non vuole regalarli nessuno. Nel 2015 il Celtic ha sempre vinto, senza mai subire un gol. L’Inter se la gioca senza Podolski e Brozović, mi piacerebbe fosse Kovačić a decidere il passaggio del turno: affidarsi a lui pare la soluzione naturale.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Se l’autodeterminazione non fosse un orpello dell’Ottocento la Scozia sarebbe già indipendente e il Celtic si troverebbe là dove ora c’è il Basilea. E inveceno. Probabilmente al Celtic Park non arriverà la coppa, quest’anno; difficilmente ci vedremo giocare un’altra squadra europea dopo l’Inter, per dirla tutta. Però nel frattempo c’è - e se lo coccolano - John Alberto Fernando Andres Luigi Olof Guidetti, in prestito dal Manchester City, e io spero che ci resti a lungo, tanto che ci torna a fare al City, che c’è tanta di quella concorrenza. Mentre a Glasgow, affrancati dall’obbligo di doversi guardare le spalle da rivali credibili, ci si può sbizzarrire segnando (molto) e improvvisando del buon rap sul beatbox di Virgil van Dijk. Guidetti dovrebbe ritenersi molto fortunato, anche perché ha solo 22 anni e un’occasione importante per diventare il secondo svedese più amato dai tifosi dei Bhoys, ovviamente dopo Henke Larsson. Poi magari neppure l’Inter riuscirà ad arrivare in fondo, chi lo può dire, sarebbe da considerare un insuccesso totale? Pensate che figata se l’estate prossima vendessero Icardi e per sostituirlo ingaggiassero proprio Guidetti: potrebbe inaugurare con Mancini un sodalizio che per certi versi non suonerebbe inedito. E dopo anni di successi Guidetti potrebbe tornare al Celtic, magari per trovarci un Ibra al fin felice d’essersi regalato uno sfizio a lungo anelato. Allora sì che potrebbero provare a vincerla insieme, un’Europa League. Con Larsson in panchina, pensate che apoteosi. Per i sogni c’è tempo: l’eliminazione, invece, sembra solo questione di poche settimane.