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Guida alla Eastern Conference NBA
05 nov 2014
Tutto quello che c'è da sapere sulla Eastern Conference 14/15, a cura del nostro team NBA: Alessio Marchionna, Lorenzo Neri e Dario Vismara, con la partecipazione speciale di Francesco Pacifico.
(articolo)
14 min
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Atlantic Division:

Boston Celtics, Toronto Raptors, Philadelphia 76ers, Brooklyn Nets, New York Knicks

Central Division:

Chicago Bulls, Cleveland Cavaliers, Milwaukee Bucks, Indiana Pacers, Detroit Pistons

Southeast Division:

Miami Heat, Washington Wizards, Atlanta Hawks, Charlotte Hornets, Orlando Magic

League Pass Watch

di Francesco Pacifico

Paradossi: chi vince l’NBA si dichiara campione del mondo per manifesta superiorità della lega statunitense su ogni altra; ma al tempo stesso, la lega è divisa in due metà così sproporzionate, quanto a talento, che una squadra costruita a tavolino viene data per vincente con tutta sicurezza. Per questo motivo, hate-watching i Cavs sarà interessante come guardare gli Heat degli ultimi quattro anni. Non escludo un’uscita al primo turno, ma voglio conoscerli bene e li guarderò spesso. A est fanno sensazione, in mancanza di talento, aspetti secondari come: la maglia degli Wizards non è un po’ troppo vivace per Pierce? Gli Hawks ricostruiranno lo spirito di una città sul pacman logo? Perché, con tutto il retro imperante a Charlotte, le uniformi e il font massiccio e noioso fanno così tanto squadra mediocre di oggi? Non guarderò una partita di Indiana, che mi ha dato un piacere perverso l’anno scorso col suo flop ma che senza Paul George infortunato e Lance Stephenson partito per Charlotte ha come unici grandi temi come cambierà il suo gioco George Hill, che ha una faccia molto noiosa, e che egotrip attraverserà Roy Hibbert, ritrovandosi al centro dell’attacco dopo gli alti e bassi dei playoff.

Una forma di hate-watching più dolorosa riguarda Chicago: due persone belle da guardare e da tifare come Noah e Pau devono aiutare i sogni di gloria di Derrick Rose, che è riuscito a tenere lontano da Chicago – si dice in giro – LeBron quattro anni fa e Melo quest’anno perché (mia interpretazione) la statua e l’MVP delle finali eventualmente li vuole lui. Sono dinamiche che non mi fanno stare tranquillo. Cosa rimane? Gli highlight di Nerlens Noel, i primi inevitabili fallimenti della triangle offense di New York, che già stanno portando su YouTube azioni sballate come bug nei videogiochi. Nel complesso, non è una conference seria: alla fine da vedere ci sarà solo Lance Stephenson, e quanto Jordan vorrà fargli da mentore in questo mezzo reclamation project: cioè Balotelli + una puntata di Intervention.

La Top-3 dei personaggi da nerdgasm

di Alessio Marchionna (@alessiomarchio):

1. Jonas Valanciunas

La notizia tecnicamente più interessante del mondiale di Spagna è che i lunghi veri, quelli pesanti, che intimidiscono sul serio, sono tornati. I vari Cousins, Drummond e Plumlee erano la risposta agli Ibaka e ai Gasol, che sono a loro volta i precursori della nuova schiera di centri europea di cui si sta ripopolando l’Nba. A cominciare da quello che è stato forse il miglior centro del mondiale: Jonas Valanciunas. Quest’estate i dirigenti dei Raptors si sono accorti di avere un tesoro in casa. Valanciunas rappresenta la rivincita del lungo europeo vecchio stile, il gigante lento e statuario che si riprende prepotentemente il controllo dell'area ai tempi dei cecchini frenetici alla Bosh e delle strane creature alla Javale McGee. Come i centri europei di una volta, Valanciunas sa fare tutto quello che serve a 3-4 metri dal canestro, è costante, è tostissimo e tira bene i liberi. Più che a Sabonis fa pensare a Rik Smits, il tulipano dei Pacers anni novanta, forse con mani un po' più ruvide ma con più mobilità e più cattiveria. È uno dei migliori lunghi della lega.

2. Stan Van Gundy

Se fossi nato nella rust belt, se fossi cresciuto tra gli scheletri fatiscenti delle acciaierie di Cleveland o tra i ruderi delle fabbriche di automobili della periferia di Detroit, avessi visto gli stabilimenti delle aziende di motociclette di Milwaukee diventare enormi cassoni abbandonati, penserei che forse, almeno un po’, la fortuna ha cominciato a girare. LeBron è tornato in Ohio, portandosi dietro tutto un pacchetto di talento che dovrebbe essere sufficiente a trasformare una squadra modesta in una pretendente per il titolo. Nel Wisconsin è atterrato come una manna dal cielo Jabari Parker, il rookie più talentuoso da tanti anni a questa parte, per vitalizzare una squadra che non offre niente di decente da troppo tempo. Per Detroit il discorso è diverso. Già l’anno scorso i Pistons avevano una squadra teoricamente non malaccio, o almeno non così scarsa da perdere 53 partite e arrivare undicesimi in una conference dove bastavano 38 vittorie per arrivare ai playoff. Avevano Josh Smith, abbastanza solido per giocare da ala grande e mettere in crisi giocatori più lenti, abbastanza mobile per fare l’ala piccola e sfruttare il fisico contro avversari più piccoli e leggeri. Avevano Greg Monroe, un altro mancino, un buon difensore, un altro lungo difficile da marcare perché sa usare il corpo spalle a canestro, sa palleggiare verso il ferro quando serve e sa mettere la palla nel posto giusto quando si tratta di servire un compagno. E soprattutto avevano Andre Drummond, un giocatore tecnicamente meraviglioso con una personalità trascinante, un potenziale leader. Poche squadre avevano tanta potenza e tante armi da usare sotto canestro. Banalmente, mancava qualcuno che dicesse ai giocatori cosa fare. Finalmente quella persona è arrivato, e se non trasformerà automaticamente la squadra in una contendente per il titolo, potrebbe avere lo stesso impatto trasformatore che avrà LeBron a Cleveland. Stan Van Gundy è l’uomo giusto per Detroit. Una delle cose che sa fare meglio è lavorare con i lunghi costruendoci intorno delle buone squadre. Ha trasformato Dwight Howard nel campione offensivo e difensivo che ha trascinato i Magic—quei Magic—in finale. E cercherà di fare lo stesso con Drummond e i Pistons. Ci vorrà tempo, ma almeno quest’anno a Detroit avranno qualcosa di cui andare orgogliosi.

3. Bradley Beal

Nella Southeast Division, le aspettative maggiori riguardano gli Washington Wizard. Riguardano Bradley Beal. Che sia uno dei migliori tiratori sugli scarichi della lega non è in discussione, come il fatto che la sua tecnica di tiro è probabilmente la più bella da vedere, per la posizione della palla al momento del lancio, per l’estensione e per il rilascio. La questione centrale è che migliora a una velocità impressionante in tutti quegli aspetti del gioco d’attacco che segnano la linea di demarcazione tra un giocatore di talento e una minaccia offensiva totale. A cominciare dall’abilità di leggere la difesa e fare aggiustamenti in corsa in base alle scelte degli avversari. Ha reagito alle marcature strette sul tiro da tre punti migliorando tantissimo la partenza in palleggio e l’arresto e tiro dalla media distanza. Capisce quando è il caso di rifiutare il tiro o di fermare il palleggio per coinvolgere i compagni. Soprattutto, sempre più spesso si butta in area e attacca il canestro con personalità, aiutato da un atletismo notevole. Tutto questo – tiro letale da fuori, tecnica sopraffina, doti atletiche, personalità - fa pensare che abbiamo trovato l’erede di Ray Allen.

Young Guns

di Lorenzo Neri (@TheBro84):

Atlantic Division

Al momento i Philadelphia 76ers hanno un roster in cui è indecifrabile capire quali saranno gli starter durante la stagione, e al 99,9% faranno un altro anno nei più profondi bassifondi dei record di squadra per guadagnare più scelte possibili al draft. In mezzo a tutto questo smantellamento però c’è un forte progetto di ricostruzione e questo è tenuto su da tre pilastri importanti. Il primo si chiama Michael Carter-Williams, è il rookie dell’anno uscente ed è atteso a una stagione in cui dovrà far vedere che oltre ai numeri c’è altro. Nerlens Noel (e il suo flat top) è il maggior candidato a essere il successore del compagno a sollevare quel premio, viene da una stagione ai box per recuperare un brutto infortunio al ginocchio sinistro e già dalle prime partite di preseason ha fatto vedere ottime cose. Lo stesso periodo lontano dai campi potrebbe trascorrerlo una delle scelte più attese dell’ultimo draft, Joel Embiid, che mentre cerca di recuperare dalla frattura da stress al piede destro è diventato idolo delle folle per alcune notevoli uscite su twitter. Questi tre sono le fondamenta su cui il tanto criticato GM Sam Hinkie costruirà il futuro della franchigia, aspettandoli nel loro processo di maturazione fisica e tecnica. Una situazione simile, ma non così drastica, la stanno passando anche i Boston Celtics che devono capire cosa fare con Rondo soprattutto dopo che in estate è stato scelto Marcus Smart, giocatore dalle caratteristiche molto simili e che non sembra molto adatto per una convivenza in campo con Rajon. Per Ainge potrebbe essere l’occasione per privarsi senza troppi rimpianti del play 4 volte all-star e del suo valore inutilizzabile in questo momento storico della franchigia se non come pregiata merce di scambio.

Central Division

Doug McDermott e Nikola Mirotic nonostante la giovane età hanno già raggiunto dei notevoli risultati nelle loro seppur giovani carriere. Dougie è stato uno dei migliori realizzatori a livello collegiale della storia, assicurando medie e percentuali mostruose in tutti e 4 anni gli anni in cui è rimasto a Creighton. Il montenegrino con passaporto spagnolo è stato uno dei protagonisti di una delle migliori squadre d’Europa degli ultimi anni, a cui è mancata solo la vittoria dell’Eurolega per coronare un esperienza che lo ha portato per due volte a vincere il premio come miglior prospetto europeo e l’MVP del campionato iberico a 22 anni. Ora entrambi si ritrovano ai Chicago Bulls da rookie e dovranno dimostrare a coach Thibodeau di essere adatti ad uno dei sistemi più chiusi della NBA, quello di coach Thibodeau. Dougie farà leva sulle sue incredibili capacità balistiche e sulla carenza nello spot di ala piccola, che lo mette dietro al veterano Mike Dunleavy. Già più difficile il compito di Mirotic, alle prese con un ruolo, quello di stretch-4 tanto determinante quanto di difficile adattamento in NBA, soprattutto difensivo. Il talento per venir fuori a loro non manca di certo, basta togliersi di dosso paragoni scomodi come quelli con Adam Morrison e Andrea Bargnani.

C’è attesa ed eccitazione a Milwaukee per vedere la coppia che dovrà risollevare le sorti dei Bucks nel futuro, quella formata dalla seconda scelta assoluta dell’ultimo draft, Jabari Parker, e uno dei potenziali più intriganti della lega, Giannis Antetokounmpo, altresì conosciuto come The Greek Freak. Rischiano di essere una combinazione perfetta, complementari nelle caratteristiche tecniche (scorer Jabari, incubo difensivo Giannis) e fisico-atletiche (un carro armato il primo e una specie di scherzo della natura il secondo) e pure nell’aspetto mentale. Questa è la combo che deve riportare la cittadina del Wisconsin ai playoff in futuro, dopo anni di mediocrità e il ritiro dell’unica attrazione per cui valeva fare il biglietto, la mascotte Bango.

Southeast Division

Tra le squadre più giovani di questa stagione spicca il progetto di ricostruzione oculata degli Orlando Magic. A differenza di altre franchigie nella stessa situazione, il GM Hennigan ha deciso che la linea verde deve essere guidata da un gruppo di giocatori dove al talento venga anche abbinata una versatilità in modo da plasmare la squadra a seconda degli arrivi. Lo scorso anno venne scelto Victor Oladipo alla 2, il prototipo di questa tipologia di giocatore ovvero un gran difensore sulla palla capace di gestire bene un attacco, colpire a livello realizzativo senza essere specialista e soprattutto maturo e dotato di QI dentro e fuori dal campo. Quest’anno dovrebbe essere lui il leader designato ma i primi mesi di gioco li salterà a causa della rottura di uno zigomo, il suo posto verrà preso inizialmente da Elfrid Payton, rookie dalla sconosciuta università di Louisiana-Lafayette che per caratteristiche, compresa una efficienza al tiro ignobile, ricorda il primo Rajon Rondo. L’altro esordiente è Aaron Gordon, collante difensivo che può marcare ali ed esterni senza problemi, con buon trattamento di palla ed un gioco offensivo tutto da costruire. Si aspettava un’altra squadra invece Shabazz Napier, scelto da Miami quando ancora LeBron James (tra l’altro estimatore di Shabazz) era nei piani salvo poi vedere le prospettive degli Heat sgonfiarsi piano piano. Il grande protagonista dell’ultimo Torneo NCAA deve smentire i tanti dubbi che si hanno su di lui, come stazza e adattabilità al gioco NBA, in un ambiente dove nel corso della stagione dovrà conquistare spazio nel ruolo di point guard, vista la presenza di Chalmers e Cole.

I personaggi del sottobosco

di Dario Vismara (@canigggia):

Atlantic Division

Partiamo da un assunto su cui non ammetto repliche: se siete dotati di un cuore, non potete non tifare per Marcus Smart dei Boston Celtics. Ho avuto il piacere di intervistarlo a Las Vegas lo scorso luglio e mi ha immediatamente colpito la sua maturità nel rispondere alle mie domande e nel porsi nei miei confronti, specialmente per uno della sua età (20 anni) che di solito è portato a tenere un comportamento un po’ diverso nei confronti di un 25enne giornalista non-USA. Poi ho letto la sua storia, il suo passato, la perdita di suo fratello e le difficoltà che ha dovuto affrontare e ho capito da dove derivava tutta quella maturità. Ripeto: se avete un cuore, dopo aver letto la sua storia vi si creerà un piccolo buco a forma di Marcus Smart. Così succederà anche per Mirza Teletovic per il quale, ad inizio anni 90', sentire una sirena equivaleva all'annuncio dell'arrivo delle bombe sulla sua Jablanica, in Bosnia. Ora la stessa sirena la sente solo nelle arene NBA quando sta per cominciare la partita, ma non fa più così tanta paura. Non gli fa paura nemmeno LeBron James in campo aperto, se è per quello. In una squadra non bellissima da vedere e non simpaticissima da affrontare come i Nets di quest’anno, la sua connection con Bojan Bogdanovic (nato a 25 minuti di distanza da Jablanica ma fuggito presto per la guerra, tanto che gioca per la Croazia) sarà una delle poche cose interessanti da vedere a Brooklyn. Poi, ogni volta che entra in campo Pablo Prigioni per i Knicks mi chiedo: “Ma come è possibile che Pablito sia ancora in NBA?”. È arrivato nella Lega due anni fa, a 35 anni suonati, ed è il più vecchio rookie degli ultimi 64 anni di NBA. Non ha mai segnato più di 4 punti di media e dubito che li supererà quest’anno, però quando lo vedo in campo che si nasconde dietro i playmaker avversari sulle rimesse per rubargli la palla… mi si stringe il cuore.

Central Division

Se si facesse un ranking delle “storie più assurde” della NBA, difficilmente quella di Jimmy Butler uscirebbe dalle prime tre. A 13 anni sua madre lo guardò e gli disse: “Non mi piace il tuo sguardo. Fuori da casa mia”. A 13 anni. Da lì iniziò la sua odissea di divano in divano, di cui non ha mai gran voglia di parlare, ma che si può leggere nella sua integrità qui. Ora è titolare al fianco di Derrick Rose nei Chicago Bulls, coach Thibodeau non lo toglie mai dal campo e c’è un grosso contratto in arrivo. Quella di Ersan Ilyasova invece, è senza dubbio la storia più misteriosa della NBA. Quando apparve sulla scena giovanile turca nel 2002, a 15 anni, nessuno lo aveva mai visto prima (neanche all’anagrafe, dove fu registrato stranamente a 15 anni… il padre “si era dimenticato”). In compenso, in Uzbekistan già da qualche anno dominava tale Arsan Ilyasov, 18 anni, un fortissimo lungo bianco-cadaverico le cui ultime notizie risalgono al 2002, e parlavano giusto giusto di un trasferimento in Turchia… Coincidenze? Secondo la FIBA — che si è interessata al caso per via del contenzioso aperto dalla federazione uzbeka — sì. Ma allora dov’è finito Arsan?

Caron Butler, invece, inizierà quest’anno la 13esima stagione della sua carriera, nel corso della quale ha guadagnato più di 70 milioni di dollari. Ma i soldi li ha sempre avuti in tasca fin da quando aveva 11 anni, quando iniziò a spacciare a Racine, nel Wisconsin, la sua città natale. A 16 anni i poliziotti entrarono a scuola e trovarono una pistola e della droga nel suo armadietto, oltre a 1.200$ addosso a lui. Era la 16esima volta che lo arrestavano, solo che questa volta lo hanno tenuto dentro più di un anno. Lì è cambiato, e a 22 anni era già in NBA.

Southeast Division

Getto la maschera: io per il Professore Andre Miller provo una venerazione totale. Non è mai stato il più veloce in campo e non ha mai avuto un tiro da tre affidabile in tutta la sua carriera. Eppure, a 38 anni suonati è ancora in campo a spiegare a tutti come si gioca a basket, usando il suo culone in post basso, avendo sempre perfettamente nel suo radar ogni centimetro quadrato di campo, mettendo in ritmo tutti i compagni. Senza mai dire una parola, per non uscire dal personaggio.

Nella scorsa stagione, quando ancora giocava per gli Spartans di Michigan State, la storia dell’amicizia di Adreian Payne con Lacey Holsworth, una bambina di 8 anni affetta da cancro che era diventata la sua più grande tifosa, aveva conquistato il cuore di tutta l’America. “Princess Lacey” è morta lo scorso aprile e Adreian l’ha ricordata nel giorno del Draft, portando la madre della piccola al suo tavolo della Green Room.

Invece non mi interessa se quest’anno Payton Siva potrebbe non essere neanche a roster per i Magic, la sua storia è troppo bella, triste e complicata per non essere condivisa. Iniziamo col dire che è di Seattle, e quindi guadagna punti. Poi è di origine samoana, che ne aggiunge ulteriori. Metteteci una storia familiare difficilissima, dovendo fare da padre a suo padre da quando ha 13 anni (salvandolo da droga, alcool e suicidio), con un fratello membro di una gang, una sorellastra-madre giovanissima e taccheggiatrice, e la madre impegnata in 3 lavori. Lui ha vinto un titolo NCAA e li ha portati fuori tutti da quel casino, o quantomeno ci sta provando, cercando di trovarsi un altro contratto in NBA.

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