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Francesco Lisanti
Guida al Torino 2017/18
28 ago 2017
28 ago 2017
Cosa ha preparato Sinisa Mihajlovic per dare l'assalto all'Europa.
(di)
Francesco Lisanti
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Lyanco, Alex Berenguer, Tomas Rincon, Vanja Milinkovic-Savic, Nicolas N'Koulou, Salvatore Sirigu, Umar Sadiq.

 

Marco Benassi, Luca Rossettini, Gaston Silva, Daniele Padelli.

 



Nell’ultimo biennio, nonostante una leggera flessione nelle prestazioni sportive, che vale a dire una metà classifica vagamente meno dignitosa della metà classifica precedente, il Torino ha aumentato del 15% il numero dei biglietti venduti e del 25% il numero degli abbonati. In mezzo ai risultati altalenanti, la società è riuscita a mantenere una rispettabile politica di prezzo e a condurre una serie di “operazioni simpatia” che hanno saputo fidelizzare l’affezionato pubblico granata.

 

Dapprima la nuova intitolazione dello stadio Olimpico, diventato “Stadio Grande Torino”, poi la riapertura dello storico Filadelfia, lo stadio che a sua volta ospitò il Grande Torino. Dopo un’estenuante trattativa con il Comune e la Fondazione, a partire da quest’anno sarà utilizzato come centro sportivo per la prima squadra e la Primavera. Il 25 maggio, giorno dell’inaugurazione, oltre 50,000 tifosi hanno atteso fuori dai cancelli il taglio del nastro, nonostante l’impianto potesse contenerne circa 4,000. «Penso che un centro sportivo del genere sicuramente in un campionato ti porta 7-8 punti in più», ha detto Mihajlovic durante la presentazione della squadra.

 

Al presidente Cairo, cui negli anni è sempre stata rinfacciata una generale mancanza di ambizione, va dato atto di aver costruito il prodotto perfetto per godersi la metà classifica, più o meno dignitosa che sia. Il Torino FC ha chiuso in utile gli ultimi quattro bilanci consecutivi, per un risultato netto complessivo tra i 22 e i 23 milioni di euro, ovviamente legato alle plusvalenze ma non in senso vincolante: perché chiuda in attivo, è sufficiente che il Torino si assicuri una buona cessione ogni anno, nell’ordine dei 10/15 milioni. Il che significa che la cessione del solo Belotti sarebbe in grado di ripianare le perdite del quinquennio successivo.

 

L’investimento su Belotti è particolarmente rilevante non solo per la clamorosa plusvalenza che si appresta a generare, ma per la strategia che riflette. L’intuizione di investire su un gruppo di giovani italiani si è rivelata vincente su diversi livelli di lettura: i talenti maturano in fretta e i tifosi ci si riconoscono, riempiendo lo stadio.

 

Negli ultimi anni il Torino compare stabilmente tra le prime cinque posizioni del campionato nella classifica del "load factor", ovvero l’indice di riempimento dello stadio, uno di quei parametri che separano drammaticamente il nostro campionato dai modelli Premier League e Bundesliga. L’unica squadra italiana che compete per percentuali di riempimento con le grandi squadre europee è la Juventus, che dall’inaugurazione dello Stadium (2011) ha perso in casa soltanto tre partite. Anche il rendimento casalingo del Torino di Mihajlovic è stato brillante: quinto attacco del campionato, due sole sconfitte e una media punti di 1,84 che avrebbe proiettato i granata a quota 70 nella classifica finale.

 

Per larghi tratti della stagione il Torino è stata una squadra divertente, che ha segnato molto, subito moltissimo, compiuto rimonte insperate e sofferto rimonte inattese. Il meraviglioso gol di Ljajic allo Juventus Stadium è stato il 

della gestione Mihajlovic, prima che Higuaín rovinasse tutto. In un mercato perfettamente di media grandezza (undicesima squadra per ricavi totali, undicesima per presenze complessive allo stadio), con un rendimento costantemente da metà classifica, il Torino è riuscito ad offrire motivazioni concrete ai tifosi per sostenere la squadra, giovane e imprevedibile, e motivazioni concrete a proprietà e creditori per investire nella società, sotto forma di ricchi dividendi.

 

Non è poco. Non servirà a garantire alla squadra un posto in Europa, per cui il presidente Cairo si augurava di competere a partire da questa stagione, ma costituisce un’ottima premessa per arrivarci.

 



Dopo il brusco cambio di rotta della passata stagione, quest’anno il Torino cambierà ancora. Seguendo l’impronta direttiva di Sinisa Mihajlovic, fin dalle prime settimane di campionato la squadra aveva sposato i princìpi di un calcio aggressivo, giocato su distanze ravvicinate, che concedeva molta libertà di inventare agli uomini di maggior estro. Non è stata una transizione indolore, e come nel più tradizionale dei romanzi di metà classifica, è cambiato tutto senza che cambiasse niente.

 

Del Torino di Ventura sono scomparsi quei difetti che i tifosi mal sopportavano, come la circolazione lenta, il baricentro basso, la sterilità offensiva, ma sono anche del tutto scomparsi i pregi, rivelando una squadra fragile nella gestione delle transizioni e spesso in balia degli attacchi avversari. Al contrario, nella gestione Mihajlovic si ha spesso la sensazione che il più grande limite del Torino siano

.

 

Il Torino di Mihajlovic è una squadra coraggiosa, che sa giocare le partite importanti con la dovuta intensità (una critica spesso mossa nei confronti della gestione Ventura) e ha l’ambizione di muovere il pallone sempre in verticale. Purtroppo, ed è un tema parzialmente emerso anche in questo pre-campionato, crea pericoli con continuità solo quando riesce a sovrastare gli avversari per intensità, quando applica con efficacia pressing e riaggressione, e approfitta del disordine negli schieramenti difensivi. L’idea di far circolare molto rapidamente il pallone sul terreno funziona solo quando gli spazi si aprono, i controlli diventano più semplici e le decisioni da prendere più ovvie e immediate.

 

Per questo il Torino ha sofferto quei momenti in cui saltavano i nervi e gli schemi, e la squadra si scopriva vulnerabilissima. Esattamente come contro l’Udinese, nella partita che ha convinto Mihajlovic a cambiare modulo e punti cardinali del suo sistema di gioco. È il 2 aprile, trentesimo turno del campionato, il Torino gioca in casa, Mihajlovic alla vigilia dice che chi dà l’anima merita sempre rispetto, al di là del risultato, e che non avrebbe accettato «una partita da mezza sega». Allora la squadra ci prova, dà l’anima, colpisce tre legni, ma nella prima metà del secondo tempo si fa bucare centralmente in transizione da Jankto e Badu e va sotto di due gol a venti minuti dalla fine.

 

In un tentativo disperato, Mihajlovic circonda Belotti di attaccanti: gli affianca Maxi López per agevolare gli scambi nello stretto, investe Ljajic del ruolo di regista a tutto campo, e schiera Boyé a sinistra e Iturbe a destra, due ali a piede invertito con la tendenza a puntare il centro. Davanti alla difesa rimane il solo Acquah, ultimo baluardo contro gli attacchi avversari. La strategia si rivela vincente, segna Moretti in mischia, poi Belotti di testa, e il Torino strappa un pareggio da squadra divertente, tra gli applausi dello stadio: uno

che meglio definisce i gol di Belotti.

 

Da questo momento in poi, Mihajlovic rinuncia definitivamente al regista davanti alla difesa e sposta Ljajic al centro, alle spalle di Belotti, nel cuore della trequarti. Lì lo stiamo vedendo quest’anno, sin dalla prima partita contro il Bologna.

 

«Voglio che il Toro sia pratico e aggressivo, ma anche elegante, un po’ come la scena di Sean Connery in Goldfinger quando esce dal mare con la muta e sotto porta lo smoking». Mihajlovic vuole costruire una squadra a sua immagine e somiglianza (perché è ovvio che si riveda in Sean Connery), ma dovrà cercare di costruire degli argini perché finora, ogni volta che il suo Torino ha provato a togliersi la muta da sub per sfoggiare lo smoking, è stato puntualmente travolto dall’onda di ritorno.

 

Adesso il 4-2-3-1 dovrebbe consentire una migliore copertura dell’ampiezza rispetto all’anno scorso, quando le ali erano poco coinvolte in fase di non possesso e al più toccava a Belotti inseguire il mediano avversario. «Anche con questo modulo mi trovo molto bene: mi viene richiesto un maggiore sforzo difensivo, ma in entrambi i casi sono a mio agio», ha riconosciuto Iago Falque. Però non bastano i moduli a spiegare

: con un lancio alle spalle dei terzini, il Bologna arriva in porta in dieci secondi.

 

Nella passata stagione, circa il 75% delle azioni offensive del Torino proveniva dalle fasce (è stata la fortuna di Belotti): ora l’accentramento di Ljajic sposterà il baricentro della squadra, e alle ali saranno richiesti compiti più tradizionali di copertura. Per questo è arrivato Berenguer, un giocatore atletico, dotato di un ottimo controllo con entrambi i piedi, in grado di consentire combinazioni nello stretto sulla trequarti e un contributo costante in fase difensiva. Per lo stesso motivo, Mihajlovic farà a meno dei lanci di Valdifiori, su cui il Torino investiva soltanto un anno fa e che adesso si ritrova ai margini del progetto.

 



Dopo una serie di colpi arrivati con largo anticipo per sistemare il pacchetto difensivo (Sirigu, Lyanco, il ritorno di Bonifazi), il mercato del Torino ha iniziato a stagnare. Cairo ha tranquillizzato i suoi tifosi: «Dobbiamo aggiungere tre giocatori, ma senza fretta, perché la fretta è foriera di errori». Il presidente si è poi spinto oltre, indicando i profili da inseguire, tutti poi raggiunti entro la metà di agosto, con buon anticipo sull’inizio del campionato: un difensore centrale, un centrocampista centrale e un attaccante di riserva. È stato di parola, e la lista della spesa ha preso forma con gli acquisti di N’Koulou, Rincón e Sadiq. Adesso la rosa presenta una buona varietà di soluzioni e una panchina abbastanza lunga per provare a salire quell’ultimo faticosissimo gradino che separa la metà classifica da un piazzamento in Europa.

 

Bonifazi è un difensore moderno: testa alta, grande equilibrio, grande pulizia tecnica, si destreggia con disinvoltura sia con il destro che con il sinistro. Non è molto alto, e gli manca un po’ di malizia per spostare avversari più esperti, forse per questo Mihajlovic ha detto di vedere più pronto nell’immediato il brasiliano Lyanco, più giovane di qualche mese ma più alto, più robusto, e più aggressivo nello stile difensivo. Idealmente i due potrebbero formare una coppia di difesa ben assortita, ma per ragioni di esperienza Mihajlovic ha iniziato il campionato affidandosi ancora al super veterano Moretti, che a dispetto dei 36 anni rimane insostituibile: nell’ultima stagione è stato il difensore con la più alta percentuale di contrasti vinti del campionato. Ne ha persi soltanto 4.

 

Accanto a lui in questo inizio di stagione sta giocando Nicolas N’Koulou, arrivato un po’ a sorpresa rispetto alle voci di mercato, ma che ha tutte le caratteristiche che soddisfano le richieste di Mihajlovic per il ruolo: aggressività, forza fisica, esperienza internazionale e sufficiente fiducia per assumersi qualche responsabilità in fase di impostazione. N’Koulou si è subito caricato la responsabilità di 

 in campo aperto, e dare indicazioni ai colleghi di reparto sui tagli da seguire.

 

Sempre nell’ottica di conservare un blocco giovane e italiano, il Torino ha resistito alla tentazione di cedere Barreca, che con Zappacosta formerà una solida coppia di terzini, molto interessante anche in chiave Nazionale, destinata a essere molto coinvolta nello sviluppo dell’azione. Tuttavia qualche sacrificio, reso necessario dalla ristrutturazione tattica, è stato inevitabile.

 

Mihajlovic aveva ampiamente dichiarato di non vedere bene Benassi all’interno di un centrocampo a due, per un po’ ha provato a riciclarlo sulla fascia sinistra, poi ne ha avallato la cessione alla Fiorentina (dove, curiosamente, il capitano dell’Under 21 incontrerà Pioli, un altro tecnico affezionato al 4-2-3-1). Nel frattempo al Torino sono stati accostati profili di centrocampisti più forti fisicamente e più resistenti nei contrasti, come Rincón, Kucka, Imbula, e alla fine è arrivato il venezuelano. Probabilmente Mihajlovic ha intenzione di costruire una linea mediana estremamente flessibile per non lasciare certezze agli avversari in fase di pressing. Nelle amichevoli si è visto Obi abbassarsi tra i difensori e Baselli cercare spazio più avanti tra le linee, e si è visto (più spesso) Baselli agire da regista arretrato e Obi fare l’opposto. Lo 

 con cui il nigeriano viene cercato in area è: uno contro uno sulla fascia, cross, inserimento deciso di Obi.

 

Obi è una scommessa su cui Mihajlovic ha investito molto, e che ha fiducia di vincere. Quando si parla di Obi, uno dei giocatori con il record di infortuni muscolari peggiore del campionato, bisogna usare i guanti e probabilmente anche il camice da chirurgo, ma i segnali sono confortanti. Nel corso del ritiro il nigeriano è stato seguito con un programma individuale dal nuovissimo responsabile sanitario, il dott. Tavana, e si è sempre allenato regolarmente. Ha ripagato la fiducia dell’allenatore con tre bei gol in altrettante amichevoli: un destro da 25 metri contro il Renate e due colpi di testa contro Guingamp e Huddersfield, che non hanno trovato contromisure per i suoi inserimenti profondi. Infine è arrivato anche il gol contro il Sassuolo in campionato, una partita in cui è stato uno dei migliori in campo. In ogni caso l’acquisto di Rincón tutela i granata dal rischio di ulteriori infortuni, sempre dietro l’angolo.

 

Il pacchetto degli esterni appare un po’ scarno ma di ottima qualità. Mihajlovic preferisce schierarli a piede invertito, per cui in teoria le opzioni sarebbero Berenguer e Boyé sulla sinistra, Iago Falque sulla destra. Il tecnico ha anche espresso l’esigenza di trovare sul mercato un ricambio per Iago, ma il presidente Cairo non ha inserito un’ala nella sua personale lista della spesa. A quel punto potrebbe trovare spazio nelle rotazioni il giovane Edera, anche lui ala destra di piede sinistro, che l’anno passato ha giocato da riserva tra Venezia e Parma in Lega Pro, e finora è stato sempre utilizzato nelle amichevoli (contro l’Huddersfield ha segnato un gran gol). Al centro, invece,

 mettendo al servizio della squadra controllo e visione per sciogliere gli schieramenti avversari.

 

L’impressione è che il mercato abbia consegnato a Mihajlovic una squadra in grado di inseguire quel sesto posto alle spalle di Juventus, Roma, Napoli, Inter e Milan che ossessiona i tifosi, in una stagione in cui Lazio e Atalanta saranno fiaccate dall’impegno infrasettimanale, dopo aver ceduto pezzi importanti. Il tecnico serbo si è detto fiducioso: «Se tutti riusciremo ad aumentare l’impegno e la qualità del lavoro, i miglioramenti individuali ci porteranno i punti che ci serviranno. Chi l’anno scorso ha corso 12 chilometri ne dovrà correre 13, e chi ha fatto 26 gol ne dovrà segnare 27».

 

Il riferimento è velato ma neanche troppo, perché la vera grande notizia dell’estate torinista è che (per il momento) il pezzo più importante della scacchiera è ancora al suo posto. Al centro dell’attacco, arroccato da una schiera di rifinitori di qualità che proveranno a fargli sollevare la personale asticella delle marcature.

 

Dopo la stagione del grande exploit, Belotti ha preferito trascorrere un’estate lontano dai riflettori. Si è rifiutato di fare da testimonial per la campagna tesseramenti di Sky, e persino per il lancio della nuova maglia del Torino: i pubblicitari hanno dovuto rimediare mettendo in prima fila Iago Falque, con uno sguardo truce che non gli si addice.

 

Questi ultimi giorni di mercato saranno particolarmente intensi per i tifosi torinisti (che immagino consumare la barra di ricerca Google a cadenza regolare per approfondire il presunto interesse di Chelsea e Monaco), ma è chiaro che solo nel caso in cui Belotti dovesse davvero vestire il granata ancora per un anno, potrebbero aprirsi le auspicate prospettive.

 

Riuscirà a migliorarsi ancora? Riporterà il Torino in Europa? Sarà l’attaccante che trascinerà la Nazionale oltre il gironcino dei Mondiali di Russia per riscattare le figuracce in Sudafrica e Brasile? Con la conferma di Belotti, in ogni caso, la proprietà avrebbe raggiunto il suo obiettivo principale: assicurarsi che, anche nella mediocrità del centro classifica, ci siano sempre dei buoni motivi per seguire il Torino.

 



Il sesto posto. Nel campionato che sembra destinato a giocarsi alle spalle delle prime cinque, il Torino parte alle spalle di Lazio e Atalanta e ha sufficiente benzina nel serbatoio per giocarsela fino all’ultima curva. Se Belotti dovesse confermarsi uno degli attaccanti più interessanti sul panorama europeo, se Ljajic dovesse trovare quella costanza che probabilmente non gli appartiene (dal momento che ogni anno torno a scrivere questo “se”), l’intera squadra avrebbe le certezze necessarie per non sciogliersi come spuma di mare alla prima difficoltà.

 



Per una società che può vantare di aver mantenuto un’identità forte e un seguito costante nonostante gli alti e i bassi, lo scenario peggiore sarebbe la disaffezione. Un nono posto meno esaltante del precedente, qualche contestazione, lo stadio semi-deserto, Belotti e Barreca che puntano i piedi per farsi vendere al primo offerente. Non cambierebbe nulla, i bilanci sarebbero ancora in salute e il rischio retrocessione lontanissimo, ma sarebbe il crollo di quanto meticolosamente costruito in questi anni, e dipende molto dall’esito di questa stagione.

 



«Rispetto a quando sono arrivato, tutti i giocatori sono cambiati. Ma credo che Baselli sia il giocatore che è migliorato di più, senza nulla togliere agli altri». Tra Mihajlovic e il centrocampista bresciano c’è un rapporto speciale, di grande affetto e reciproca ammirazione. Il tecnico serbo ha saputo dosare bastone e carota, spronandolo dopo le grandi prestazioni e coccolandolo dopo le partite sottotono. Ha sempre detto di volerlo vedere più cattivo, quest’anno gli ha affidato le chiavi del centrocampo e gli ha affiancato Rincón come guida spirituale: ci sono i margini per migliorare ancora.

 

 

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