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Mauro Mondello
Guida al Sei Nazioni
06 feb 2016
06 feb 2016
Le favorite, le possibili sorprese, le partite da seguire e i giocatori da tenere d'occhio.
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Mauro Mondello
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Riparte sabato 6 febbraio il torneo delle Sei Nazioni, la competizione rugbistica a squadre più antica del mondo. È l’edizione numero 17 della formula che nel 2000 ha allargato la partecipazione anche all’Italia, la 122esima andando indietro nel tempo sino al lontano 1883, quando per l’allora trofeo Home Championship si sfidavano Inghilterra, Galles, Irlanda e Scozia. Sarà il torneo nel quale i cardi scozzesi cercheranno di tornare a vincere dopo sette sconfitte consecutive (l’ultima vittoria risale al febbraio del 2014, a Roma per 21 a 20 contro l’Italia), ma anche l’occasione per Inghilterra e Francia di ripartire con una nuova guida tecnica (Eddie Jones per gli inglesi, Guy Novès per i Bleus) dopo una disastrosa Coppa del Mondo. Al contrario, sono proprio le prestazioni convincenti di Galles e Scozia e il percorso più che dignitoso seguito dall’Irlanda al mondiale 2015 a rendere ancora avvincente il pronostico di una competizione nella quale cinque squadre su sei partono con l’ambizione di poter dire la propria per la vittoria finale (la sesta, purtroppo, è l’Italia).

 

https://www.youtube.com/watch?v=UmkbJlYx1v8

 



La batosta subita con l’eliminazione al primo turno nel Mondiale di casa, quel Mondiale organizzato sin nei più piccoli dettagli con l’intenzione di raggiungere quantomeno le semifinali, fa pensare che l’Inghilterra possa essere la principale candidata alla vittoria finale.

 

Alla lunga, la sensazione è che la straordinaria voglia di rivalsa del XV inglese possa riuscire a spazzare via i tantissimi dubbi legati ai grandi cambiamenti tecnici e sportivi portati avanti dalla Federazione nel corso degli ultimi tre mesi. Su tutti, spicca la scelta in panchina di Eddie Jones in sostituzione del dimissionario Stuart Lancaster. Jones, reduce dal miracolo costruito alla guida della nazionale giapponese, ha certo avuto poco tempo per lavorare sul tessuto tattico della squadra, ma ha già chiarito, sin dalle convocazioni, l’idea di rugby che intende perseguire. Innanzitutto, via la fascia di capitano al terza linea Chris Robshaw, mai entrato nei cuori di stampa e sostenitori e ritenuto da più parti troppo molle, spesso indeciso nei momenti topici del match e inadeguato caratterialmente per il ruolo. Al suo posto, Dylan Hartley, tallonatore dei Northampton Saints, una scelta che fa già discutere ma che di certo cambia radicalmente l’idea di conduzione della squadra sul campo.

 

Hartley, nemmeno convocato per la Coppa del Mondo a causa di una lunga squalifica rimediata per una testata a Jamie George dei Saracens (che ha poi preso il suo posto in rosa al mondiale) è un giocatore cui senza dubbio non mancano coraggio, personalità e carisma, oltre a eccezionali doti tecniche in mischia chiusa e sulle fasi di recupero del pallone. Semmai vi sono delle incertezze sulla tenuta disciplinare di un ragazzo che nella sua carriera ha collezionato ben 56 settimane di squalifica; ad ogni modo, in molti sono pronti a scommettere che i gradi di capitano riusciranno a calmarne gli istinti selvaggi.

 

Molte le novità oltre ad Hartley, fra cui le interessanti chiamate dei giovani Ollie Devoto, estremo del Bath, Jack Clifford, terza linea del Northampton e Paul Hill, pilone degli Harlequins, tutti in attesa del primo cap ed in odore di esordio già dalla partita di Murrayfield contro la Scozia. Resta fuori Danny Cipriani, una scelta in continuità con l’era Lancaster e che apre, ancora una volta, il dibattito per la maglia di numero 10. Il duello dovrebbe essere vinto, almeno in partenza, da Ford, con Owen Farrell spostato nel ruolo di primo centro, in attesa del rientro dall’infortunio di Manu Tuilagi.

 

Jones ha intenzione di proporre un gioco veloce, stabilizzando i punti di incontro e puntando ad una manovra di attacco meno impattante sulla linea dei trequarti, con uno sviluppo più ampio ed arioso e punti di contatto non troppo ossessivi, che sfruttino la velocità e il tasso tecnico del secondo centro Jonathan Joseph, a maggior ragione in un impianto di gioco che vedrà Farrell, da numero 12, garantire un’ulteriore opzione al piede sull’uscita rapida del pallone.

 

In mischia, oltre al rientro di Hartley e all’attesa consacrazione definitiva della seconda linea Joe Lanchbury, ormai uno dei 5 più forti al mondo nel suo ruolo, sarà interessante vedere all’opera una terza linea in cui, con Vunipola confermato al numero 8, l’ex capitano Robshaw dovrebbe spostarsi sul lato chiuso, per puntare, finalmente, su un flanker openside più reattivo e dinamico, come dimostra la convocazione di Clifford, destinato a togliere spazio al veterano Haskell nel corso del torneo.

 

Tra le incognite tattiche più pressanti vi è la rapidità con cui gli inglesi riusciranno ad assimilare le consegne di Jones, un allenatore che punta molto sull’organizzazione difensiva e su un gioco d’attacco estremamente solido, mai troppo attivo e spettacolare, spesso attendista: ne è un esempio perfetto la vittoria del Sudafrica, con lui in panchina, al mondiale 2007, un successo costruito intorno ad un impianto di gioco che puntava a sfiancare gli avversari con estenuanti battaglie sui punti di contatto per poi scatenare la velocità al largo di Habana, Montgomery e Fourie.

 

L’Inghilterra ha dalla sua parte un calendario che la oppone nelle prime due giornate a Scozia ed Italia, entrambe fuori casa. Due successi prima della sosta di metà febbraio potrebbero creare i presupposti di una campagna vincente e portare il XV di Jones a giocarsi le proprie chance di vittoria fra le mura amiche di Twickenham contro Irlanda e Galles, per poi magari sognare di chiudere il conto con una passerella trionfale a Parigi, contro la Francia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=d1ZLJcdiIDk

Ecco un esempio classico del tipo di azione scorretta per cui Dylan Hartley, nuovo capitano dell’Inghilterra, si è guadagnato una pessima fama fra gli appassionati della Premiership.


 

È la squadra che si è aggiudicata il torneo delle Sei Nazioni, raggiungendo il Grande Slam, dopo le edizioni dei mondiali 2007 e 2011. È anche la squadra che in questo momento occupa il posto più alto, il quarto, nel ranking IRB, appena dietro le tre corazzate dell’emisfero Sud, Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica.

 

Soprattutto, è la squadra che rispetto alle altre ha cambiato meno (il coach neozelandese, Warren Gatland, è in carica dal 2007) e con un calendario che le permette di giocare fra le mura amiche del Millennium Stadium di Cardiff tre delle cinque partite in programma.

 

Per tutte queste ragioni il Galles parte praticamente alla pari con l’Inghilterra per la vittoria finale, forse anche leggermente più avanti in considerazione delle difficoltà che la squadra di Eddie Jones potrebbe incontrare nella prima fase del torneo. I Dragoni punteranno tutto, ancora una volta, su una difesa che al mondiale ha concesso soltanto 3 mete e su un gruppo di giocatori di esperienza che nessun altro team del gruppo è in grado di proporre. Sam Warburton, Alu Wyn Jones, Gethin Jenkins e Paul James compongono il cuore di una mischia moderna, compatta, ben rodata nella fasi chiuse e con una straordinaria capacità dinamica al largo. Quello che manca al XV gallese per essere considerato un team perfetto è la creatività di giocatori come Priestland e Halfpenny, infortunati o fuori forma, sui trequarti. Gatland dovrà affidarsi ancora una volta a Dan Biggar, l’eroe dei mondiali, che comporrà una mediana di grande esperienza insieme a Gareth Davies e che è chiamato a dare ritmo ad una linea di back che dovrebbe ritrovare la velocità di George North all’ala e l’esuberanza atletica di Liam Williams al numero 15, entrambi al rientro dai rispettivi infortuni. Tutto il torneo passerà dalla partita d’esordio all’Aviva Stadium di Dublino, contro l’Irlanda. Una vittoria potrebbe spianare la strada verso due turni successivi casalinghi abbordabili contro Scozia ed Italia e una resa dei conti, probabilmente finale, a Twickenham, contro l’Inghilterra.

 

https://www.youtube.com/watch?v=iPnnmjPOw0c

Difficile trovare aggettivi per una squadra che riesce a giocare un campionato del mondo di questo livello, nonostante perda a pochi giorni dall’inizio due dei suoi giocatori più importanti.


 

L’ultima del lotto delle favorite è l’Irlanda. La squadra allenata dal neozelandese Joe Schmidt si è aggiudicata le ultime due edizioni del torneo e potrebbe guadagnarsi un posto nella storia riuscendo a conquistare il terzo trofeo consecutivo: nessun XV, nelle 121 edizioni della competizione disputate dal 1883 ad oggi, c’è mai riuscito. A rendere il compito quasi impossibile sono le defezioni di Cian Healy, Iain Henderson, Tommy Bowe, Peter O’Mahony e Luke Fitzgerald, tutti fuori per infortunio.

 

Le loro assenze, soprattutto quelle del seconda linea Henderson e del flanker O’Mahony, potrebbero risultare determinanti per una mischia andata in enorme sofferenza nelle ultime due partite giocate al mondiale contro Italia ed Argentina e che dovrà confrontarsi per la prima volta con il ritiro di Paul O’Connell, il capitano ed uno dei giocatori che insieme ad O’Driscoll ha contribuito a fare la storia recente della nazionale di rugby irlandese.

 

Aggiungendoci le trasferte consecutive di Londra e Parigi (davvero l’Irlanda può andare a vincere contro Inghilterra e Francia fuori casa?) si comprendono definitivamente le difficoltà dell’impresa. Le buone notizie arrivano dal nuovo skipper, il tallonatore Rory Best, un giocatore solido e di personalità, pronto a raccogliere l’eredità pesantissima lasciatagli dai suo predecessori. Con lui sono vicini al debutto in terza linea i giovani Josh Van der Flier e Cj Stander, protagonisti con Leinster e Munster di un ottimo inizio di stagione e pronti ad immettere potenza e dinamicità in un reparto di mischia che con Sean O’Brien schierato da flanker sul lato aperto può imporsi come uno dei più interessanti della competizione. Le sorti della squadra passeranno dallo stato di forma di Jonathan Sexton. Considerato prima del mondiale il più forte numero 10 dell’emisfero Nord, l’apertura di Leinster ha dovuto affrontare nell’ultimo anno una serie infinita di infortuni che ne hanno minato le certezze in cabina di regia. Sexton al massimo della forma è un giocatore con un calcio tattico straordinario, pronto ad accelerare nello spazio quando è necessario, tosto e deciso al placcaggio: il suo apporto sarà fondamentale per imprimere al gioco irlandese quelle accelerazioni tattiche che possono marcare la differenza in partite molto tirate, come ad esempio si prospetta il match con il Galles.

 

Se riuscirà a ritrovare equilibrio, Sexton è un numero 10 di un altro livello rispetto a tutti i diretti concorrenti del lotto. La prima partita, in casa contro i Dragoni, chiarirà le prospettive nel torneo di Best e compagni.

 

https://www.youtube.com/watch?v=YDjPSygvNH0

Tutta l’intelligenza tattica e le doti tecniche ed atletiche di Sexton, che prima va a guadagnare una touche a ridosso della linea di meta avversaria e poi, dopo due minuti di attacchi in penetrazione dell’Irlanda, trova un tempo di corsa perfetto e schiaccia in meta.


 



Per capire quali possano essere le reali ambizioni della Scozia per questo torneo delle 6 Nazioni basta fare un piccolo passo indietro e tornare al 18 ottobre 2015, stadio di Twickenham a Londra, minuto 80 dei quarti di finale della Coppa del Mondo contro l’Australia: la Scozia è incredibilmente avanti 34 a 32 e sta per conquistarsi un accesso storico alla semifinale contro l’Argentina. Una decisione controversa e un calcio piazzato del 10 australiano, Foley, distruggeranno il sogno di milioni di scozzesi, ma è da quella partita che i Cardi intendono ripartire. Nonostante l’ultima edizione del torneo sia stata una delle peggiori degli ultimi anni, con l’ultimo posto in classifica e una sconfitta in casa contro l’Italia che non arrivava dal 2007, il coach neozelandese Vern Cotter ha lavorato a fondo sull’anima tattica e psicologica della squadra, costruendo un gioco d’attacco moderno, coraggioso, creativo, con contrattacchi impostati palla alla mano sin dalla propria area dei 22 metri e un gioco al piede molto più limitato rispetto al passato: un trend tattico che altre squadre di fascia media stanno seguendo e che parte proprio dagli esperimenti di Cotter.

 

I dubbi tecnici rimangono piuttosto su una fase difensiva che tende a concedere molto spazio agli avversari (14 mete subite in 5 incontri al mondiale, fra cui 5 da Stati Uniti e Samoa, due squadre non trascendentali in attacco e poco organizzate) e su un gruppo di giocatori chiamato alla definitiva consacrazione. Accanto al mediano di mischia e capitano Greg Laidlaw, si aspetta la definitiva esplosione del numero 10 Finn Russell, un giocatore che potrebbe aver finalmente risolto l’atavica ricerca di un’apertura all’altezza da parte degli scozzesi: semplice, pulito, ordinato e con una bella visione di gioco, Russell ha anche mostrato buone doti difensive, per quanto debba ancora migliorare sul timing e nella comunicazione con i compagni di reparto.

 

La Scozia aprirà il suo 6 Nazioni affrontando ad Edinburgo la nazionale inglese e volando la settimana seguente al Millennium Stadium di Cardiff per provare a battere fuori casa, per la prima volta dal 2002, il Galles: se pensa davvero di potersi giocare una chance, il XV scozzese dovrà dimostrarlo in queste due partite.

 

https://www.youtube.com/watch?v=7B4XjTWf2BM

Quanto peserà sulla Scozia la voglia di rifarsi dopo l’incubo australiano?


 

La Francia non dovrebbe essere inserita fra le sorprese, eppure un’eventuale vittoria non potrebbe considerarsi diversamente. L’ultimo successo dei Bleus risale al 2010, la scorsa edizione è stata chiusa al quarto posto, appena sopra gli Azzurri, per non parlare di un Mondiale in cui i quarti di finale sono stati raggiunti solo grazie alla scarsa qualità delle avversarie nel gruppo eliminatorio (Italia, Canada, Romania ed Irlanda). Si riparte con una nuova guida tecnica, Guy Novès, un nuovo capitano, il tallonatore Guilhem Guirado, un impianto di gioco radicalmente modificato rispetto all’era Saint-André e tanti giocatori all’esordio. Novès ha passato 22 anni sulla panchina dello Stade Toulusain, vincendo per dieci volte il titolo francese e aggiudicandosi quattro Heineken Cup.

 

Il punto è che quella alla guida del club pirenaico rimane la sua unica esperienza di allenatore ed è quindi lecito chiedersi se il tecnico riuscirà a ottenere gli stessi risultati fuori dal suo ambiente naturale. L’intenzione è quella di abbandonare il gioco da autoscontri caro alla precedente gestione e riportare la squadra francese nel cortile di casa, con trequarti più veloci che fisici e un gioco creativo, spumeggiante e votato all’attacco: il manifesto della nuova idea tattica su cui sta lavorando Novès è l’esclusione eccellente dai convocati di Mathieu Basteraud, il gigantesco centro di Tolone, al cui posto dovrebbero giocare dall’inizio, già alla prima partita contro l’Italia, Gael Fickou, sin qui 10 caps totalizzati, e l’esordiente assoluto Jonathan Danty, centro dello Stade Francais: 45 anni in due.

 

A completare il ringiovanimento una linea mediana che potrebbe essere composta da Sebastien Bezy, 24 anni e nessun caps all’attivo, e dal numero 10 dello Stade Francais, Jules Plisson. Un cambiamento radicale insomma per una Francia che vuole ripartire e che potrà comunque contare sull’apporto in mischia di Rabah Slimani, un pilone dominante in mischia chiusa e fortissimo in prima fase e nei momenti di recupero del pallone, destinato a diventare uno dei giocatori più forti al mondo nel suo ruolo.

 


Un esempio visivo perfetto di che significato assuma l’aggettivo “dominante”applicato a Rabah Slimani.


 



Cosa aspettarsi da una squadra il cui allenatore si presenta alla conferenza stampa di commento alle convocazioni per il 6 Nazioni dichiarando le stesse, identiche cose dell’anno precedente (leggere per credere, è inquietante:

«Saremo la sorpresa»,

«Speriamo di essere la sorpresa»)? Francamente, molto poco. La sensazione è questa nazionale italiana di rugby più che in una sorpresa dovrebbe trasformarsi in un miracolo per evitare una brutta figura che al momento pare oltremodo scontata. Un enorme numero di esordienti o semiesordienti fa il paio con una lunga lista di infortunati e un gioco che negli ultimi due anni non ha certo brillato per dinamismo ed equilibrio. Mettiamoci pure le difficili motivazioni da trovare in un gruppo che alla fine del torneo saluterà l’attuale tecnico Jacques Brunel, già ufficialmente scaricato dalla federazione da quasi un anno.

 

Certo, come al solito non c’è nulla da perdere, ed è forse questo l’unico pensiero positivo che può farsi largo fra i tanti dubbi di una squadra che ancora una volta si aggrappa con ogni forza al carisma e alle doti tecniche del suo capitano, Sergio Parisse. Toccherà nuovamente a quello che è forse, già da diversi anni, il numero 8 più forte al mondo caricarsi gli Azzurri sulle spalle per provare a salvare almeno la faccia. Difficile parlare di idea di gioco per un XV che cerca certezze sia in mischia chiusa - dove le assenze per infortunio di Ghiraldini, Rizzo, Geldenhuys e Favaro daranno spazio a Lovotti, Zanusso, Fuser, Giazzon, Gega e Van Schalkwyk - che sulla linea di trequarti, orfana di Masi e Tommaso Allan.

 

Nel reparto di back l’Italia dovrebbe puntare in mediana sulla coppia Gori-Canna, mentre ai centri, data per scontata la presenza di Campagnaro al numero 13, Brunel potrebbe adattare Haimona, numero 10 designato all’ultimo mondiale ma infortunatosi in giugno, nel ruolo di primo centro: un tentativo di allentare la pressione su Canna al numero 10 e di assicurarsi un’opzione tattica in più sulla linea di attacco.  Pronti all’esordio assoluto anche i giovani Odiete, estremo del Marchiol Mogliano, e Bellini, ala in forza al Petrarca Padova, selezionati campionato di Eccellenza e senza nessuna esperienza internazionale: una scommessa enorme da parte di Brunel.

 

Per il resto, c’è da immaginare che gli Azzurri proveranno a sviluppare un gioco conservativo, lavorando molto al piede e puntando soprattutto sulle ripartenze vicino al pacchetto di mischia, specie per le sfide a Inghilterra e Galles. Contro Irlanda e Francia potremmo forse vedere un’impostazione più offensiva, ma la partita chiave, come sempre, sarà quella contro la Scozia, a Roma il 27 febbraio. In caso di disfatta azzurra sarà molto difficile contenere la proposta, ormai sempre più forte, di un torneo con retrocessione dell’ultima qualificata e spareggio per rimanere nel gruppo contro la vincente dell’European Rugby Cup, una sorta di Sei Nazioni B: la Georgia è appena due posti sotto l’Italia nel ranking IRB e dopo le ultime, confortanti prestazioni alla Coppa del Mondo non vede l’ora di sfidare gli Azzurri ed entrare definitivamente nel rugby che conta.

 



Sarà un bel 6 Nazioni, equilibrato, duro, probabilmente combattuto sino all’ultima giornata. Eppure, dovendo pescare un incontro da non lasciarsi scappare, non si può di certo prescindere dalla sfida del 12 marzo fra Inghilterra e Galles, quarto turno del torneo.

 

I gallesi torneranno sul luogo del delitto, quel Twickenham Stadium nel quale appena pochi mesi fa hanno sancito l’uscita dal mondiale del XV inglese. Sarà una battaglia epica, fra due squadre che non molleranno un centimetro, qualunque sia la loro posizione in classifica. Per il XV d’Inghilterra sarà importante capire lo sviluppo del progetto tecnico di Jones dopo tre partite e le ferite che lascerà il difficile impegno contro l’Irlanda del 27 febbraio. A quel punto gli esperimenti sulla linea dei trequarti potrebbero essere completati, considerando che per quella data potrebbe rientrare Manu Tulagi, il devastante centro di origine samoana che oltre al suo apporto tecnico e atletico riporterebbe Farrell nel ruolo di numero 10 e Ford in panchina.

 

Da lì, la sfida si sposterà sul pacchetto di mischia, un reparto nel quale il Galles può contare, a meno di infortuni, su un’organizzazione di gioco e qualità individuali nettamente superiori rispetto agli inglese, soprattutto in prima e terza linea.  Per l’Inghilterra sostenere l’onta di una nuova sconfitta sarebbe psicologicamente impossibile, mentre c’è da credere che i Dragoni preferiranno morire sul campo, piuttosto che uscire perdenti.

 

https://www.youtube.com/watch?v=RPgjGuc_rZ0

Inghilterra 25 – Galles 28. L’Inghilterra è fuori dalla coppa del mondo di casa.


 





24 anni, seconda linea dei London Swaps, ha saltato l’ultimo Sei Nazioni per infortunio e si propone come uno dei protagonisti assoluti di questo torneo. Nel suo ruolo ha già dimostrato di essere uno dei migliori al mondo. Fortissimo in touche, solido in difesa, devastante come ball carrier e con un bel gioco alla mano ed in offload, con un gran timing al sostegno nelle fasi al largo e in possesso di un bagaglio tecnico fuori dalla norma per un giocatore della sua stazza, Lanchbury è una seconda linea totale, un flanker aggiunto in grado di coprire tutto il campo e dotato anche di importanti doti di decision making che potrebbero lanciarlo come futuro capitano della nazionale inglese.

 

https://www.youtube.com/watch?v=W5Dckvq2ur0

Lanchbury in pressione e poi al placcaggio: pulito, preciso, tecnico.


 



A 26 anni e con 47 caps sulle spalle, è questa l’occasione definitiva per Ugo Gori di dimostrare leadership e carattere in una squadra alla ricerca disperata di un erede carismatico di Sergio Parisse. Gori ha già dimostrato di poter essere un giocatore importante se mantiene lucidità ed equilibrio. Accelerazioni negli spazi, coraggio difensivo e rapidità di scelta non gli mancano, vanno però migliorate costanza di gioco e ritmo nella gestione del pallone sulle ripartenze dalle fasi statiche. In questo 6 Nazioni dovrà farsi carico anche di tenere lontana la pressione dall’esordiente Carlo Canna, designato al ruolo di numero 10: per Gori questo può essere il torneo della consacrazione. O la definitiva certezza di essere di fronte a un giocatore semplicemente normale.

 

https://www.youtube.com/watch?v=NKsEDxrl8zg

Quando Gori è in giornata, è forse uno dei mediani di mischia più completi dell’emisfero Nord.


 



Nominato nella short list dei candidati al World Player of the Year per il 2015, Wyn Jones a 30 anni e con 94 caps con la maglia gallese non è certo una sorpresa. Il suo gioco alla mano, la difesa instancabile, le linee di corsa in appoggio offensivo e difensivo, ne fanno un fattore determinante per gli equilibri della mischia gallese e un incubo per i suoi diretti avversari: è un piacere vederlo giocare sulle ripartenze d’attacco con la palla in mano e seguirne chiusura al largo a sostegno delle ali.

 

 

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