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Foto di Grant Halverson/Getty Images
NBA Redazione basket 15 novembre 2016 15'

Guida al college basket 2016/17

Squadre ambiziose, freshman talentuosi e giocatori di culto per prepararsi alla stagione NCAA.

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  • Quali squadre possono legittimamente ambire alla vittoria finale?

 

Lorenzo Neri

La stagione parte con una favorita ben delineata: Duke. Coach K nella off-season ha perso Brandon Ingram, Derryck Thornton e Marshall Plumlee, ma si presentano ai blocchi di partenza con quello che è probabilmente il miglior blocco di giocatori tra quelli che hanno deciso di tornare al college. Grayson Allen, in prima linea per il titolo di giocatore dell’anno, è il giocatore di riferimento e leader emotivo della squadra; Luke Kennard sembra pronto per essere uno dei migliori realizzatori nelle Big Conference; e Matt Jones e il redshirt Amile Jefferson garantiscono difesa. Come se non bastasse a questo gruppo si è aggiunta la miglior classe di liceali del 2016, aggiungendo al reparto più scarno (la frontline) elementi di valore come Harry Giles, Jayson Tatum e Marques Bolden, elementi che di cui si parla già in ottica Draft. Se riuscissero a superare i problemi difensivi visti lo scorso anno e a rimanere sani – Giles si è già dovuto operare a entrambe le ginocchia, Tatum e Bolden arrivano entrambi da un infortunio – un seed #1 sembra ampiamente alla portata, anche nella giungla della ACC.

 

Andrea Beltrama

Di Duke ci ha già detto tutto Lorenzo: è la netta favorita, per la combinazione di talento fresco ed esperienza. E se non bastasse avere i migliori freshman e un serio candidato al titolo di giocatore dell’anno, hanno pure uno dei migliori allenatori mai visti nella storia del gioco in Mike Krzyzewski. Un uomo che ha il carisma per gestire le star NBA a un’Olimpiade, la saggezza per svezzare dei diciottenni, la sagacia tattica per far giocare assieme i propri uomini, mescolando esecuzione e libertà di azione in maniera quasi perfetta. Ma è la sua sete di vittorie, appena nascosta dal suo atteggiamento sempre posato, che lo rende speciale. Ha vinto tutto, conquistato qualsiasi lode, battuto praticamente ogni record. Ma su una buona azione difensiva dei suoi, anche avanti di 30, lo vedrete 2 metri in mezzo al campo, a esultare e caricare i suoi come se fosse la sua prima volta in panchina. Lo stesso discorso, su scala leggermente minore, vale per Kansas e Bill Self. Che, come i Blue Devils, hanno adottato un approccio misto al talento mordi & fuggi, cercando di integrare freschezza ed esperienza. Ha funzionato bene, e continuerà a funzionare bene quest’anno, con l’arrivo di Josh Jackson, inserito in un gruppo già collaudato. Potrebbe e anzi dovrebbe bastare ad arrivare in Final Four, anche se le recenti uscite premature dei Jayhawks – una sola semifinale negli ultimi 8 anni, a fronte di regular season dominanti – lasciano spazio a un po’ di agitazione. Chiudono il gruppo la solita Kentucky, che riparte da zero, e dunque rischia un po’ di più delle altre due, pur avendo secchiate di talento; e un trittico di squadre esperte, fisiche, rodate, con tutti i mezzi per sperare di arrivare in fondo: North Carolina e Villanova, ultime due finaliste, e Virginia, da anni all’immediata periferia dell’élite, e ora disperatamente vogliosa di entrarci.

 

Lorenzo Bottini

Mi sbilancio e dico che la stagione che permetterà a Bill Self di eguagliare la leggenda di John Wooden con tredici titoli consecutivi in una Major Conference (nel suo caso la Big12) potrà anche restituire ai Jayhawks il sorriso di tagliare le retine che contano. Kansas ha perso la guida di Perry Ellis ela fumosità di Wayne Selden, ma ha mantenuto il backcourt formato da Frank Mason e Devonté Graham a cui sarà demandato il compito di far girare la squadra e di mettere punti a tabellone. Al terzo anno insieme i due hanno stabilito un rapporto simbiotico che potrebbe risultare determinante verso marzo. Accanto alla loro leadership Bill Self ha a disposizione una serie di giocatori estremamente atletici e versatili, primo tra tutti Josh Jackson, sicura chiamata in Top-3 al prossimo Draft, per proseguire con Lagerald Vick e Sviatoslav Mykhailiuk, chiamati a compiere lo step successivo per diventare pedine importanti di una squadra da titolo. Sotto canestro la certezza è il senior Landen Lucas, esperto mestierante del pitturato, le scommesse si chiamano Carlton Bragg Jr., lungo e rapido, e Udoka Azibuike, un cingolato da guerra. Se entrambi riuscissero a guadagnare la fiducia di Self – notoriamente molto cauto nell’affidarsi agli underclassman – Kansas avrebbe un team profondo e flessibile, con concrete possibilità di arrivare fino in fondo. Outsider intriganti rimangono Oregon (che ha praticamente lo stesso quintetto che lo scorso anno ha garantito un seed #1 a Ovest e un viaggio alle Elite Eight) e Xavier (che, nel caso raggiungesse l’improbabile vittoria, coronerebbe l’anno perfetto di Bill Murray).

 

Non ne avremo mai abbastanza di vedere Bill Murray ubriaco e felice.

  • In che condizioni si presentano le super potenze del college basket?

 

Neri

Mentre Duke, UNC e Kentucky cercheranno di dar seguito a quanto di buono fatto finora, c’è una big school che da anni sta provando a ritrovare ritrovare la propria identità di grande ateneo, anche solo per ricordare di essere la squadra con più titoli NCAA della storia.
Per far capire da quanto manchi UCLA nel basket che conta basta ricordarsi alcuni dei giocatori presenti nell’ultima apparizione della squadra alle Final Four: gente come Kevin Love, Russell Westbrook, Darren Collison e Luc Mbah a Moute ora sono tutti veterani NBA. Da quel momento il percorso dei Bruins è stato impalpabile facendo sempre grande fatica in una Conference in declino come la Pac-12 e conquistando il Torneo a singhiozzo; l’avvicendamento tra Ben Howland e Steve Alford ha dato qualche risposta nelle prime due stagioni, ma già nella scorsa la squadra ha mancato l’approdo alla postseason e ha chiuso con record perdente.

 

Le speranze di quest’anno passano dalle mani del visionario Lonzo Ball, creativa point guard con istinti JasonKidd-eschi che va a completare un reparto esterni tutto pepe con le capacità balistiche di Bryce Alford (figlio del coach), la versatilità di Isaac Hamilton e l’atletismo di Aaron Holiday, mentre l’altro freshman TJ Leaf e il biancone Thomas Welsch provvederanno a dare solidità nei pressi del canestro.

 

Nella prima uscita stagionale, Ball ha già flirtato con la tripla doppia.

 

Nel tour australiano estivo, UCLA ha mostrato un gioco divertente e fluido, a forte trazione perimetrale e improntato sui ritmi alti e sulla capacità di tanti giocatori di poter creare dal palleggio. Se la difesa riuscisse a reggere il colpo contro squadre più fisiche, allora la squadra di Alford potrebbe iniziare a respirare di nuovo l’aria dei bei vecchi tempi andati.

 

Beltrama

Una premessa necessaria: parlare di super potenze è sempre più difficile. Perché la NCAA è cambiata molto, e con essa sono mutati gli equilibri di potere e le tradizionali categorie di analisi. Per fare un esempio, sono più super potenze atenei come Gonzaga (che agisce in una zona periferica della nazione ma da vent’anni è tra le prime 20-25 squadre della nazione), o Illinois (che si trova nel cuore del Midwest e della Big Ten, eppure sembra condannata a una perenne mediocrità)? L’esempio di Lorenzo calza alla grande: UCLA ha storia, blasone, successi. Ma negli ultimi sette-otto anni non ha praticamente fatto nulla per giustificare il suo status. Se dovessimo andare con i nomi classici, però, dovrebbe essere un’annata abbastanza in linea con la fama: Duke, Kansas, Kentucky e North Carolina hanno legittime speranze di titolo. Indiana e Arizona, dopo un periodo difficile e varie turbolenze cestistiche e amministrative, sembrano pronte a tornare sui palcoscenici importanti, come mostrato dalle loro belle vittorie nella notte di apertura. Sono in seconda fascia per il titolo, la ma F4 è un obiettivo possibile, per quanto ambizioso. Michigan State parte dalle retrovie, il che non significa assolutamente nulla, vista la capacità degli Spartans di emergere a stagione in corso.

 

Bottini

Duke, Kansas e Kentucky sono le prime tre squadre della nazione, quindi tutto procede secondo i piani. Coach K ha raggiunto Calipari nella gara a chi fa firmare più lettere d’intenti ai McDonald’s All-American e Duke è talmente profonda che potrebbe sopravvivere agli infortuni dei due migliori freshman, Harry Giles e Jayson Tatum, grazie agli innesti di Frank Jackson e Marques Bolden – entrambi da tenere sotto la massima attenzione. Ovviamente il capo rimane Grayson Allen, perché va bene l’one&done ma se non sono bianchi, viziati & cattivi non potranno mai essere i padroni di Durham. Calipari ha portato a Lexington la consueta infornata di mostri, guidata dal backcourt superatletico De’Aaron Fox – Malik Monk, una coppia che vi farà male alle tempie, e farcita di giganti che corrono e schiacciano tutto ciò che trovano tra loro e il ferro. Bam Adebayo si candida già da subito come giocatore onomatopeico dell’anno. Kansas come detto sopra è una squadra strana, che ha sempre soffocato il talento dei freshman nell’impasto della chimica di gruppo. Per Bill Self questo deve essere l’anno giusto per bilanciare la ricetta.

 

jjackson

 

North Carolina è forse un gradino sotto dopo una stagione da incorniciare arrivata a un Kris Jenkins dalla gloria imperitura, ma rimpiazzare due All-American come Marcus Paige e Brice Johnson non è compito facile, anche se Joel Berry e Isaiah Hicks hanno preso le misure negli anni a Chapel Hill. Roy Williams è rimasto un po’ al palo nella corsa ai reclutamenti a causa forse anche di una situazione accademica non limpidissima. Sono sbarcati però Tony Bradley, Brandon Robinson e Seventh Woods, guardia esplosiva e possibile sleeper al prossimo Draft, oltre a portare un nome da Serie Tv da primo pomeriggio di Italia 1. Per trovare altri nomi da serial anni ‘80 tocca andare a Westwood dove la coppia tutta brillocchi & beatbox è quella formata da Lonzo Ball e Prince Ali: forse i Bruins non vinceranno la Pac12 ma almeno per quest’anno i fuochi d’artificio sono assicurati.

  • Quali squadre sono assolutamente da seguire per godere a pieno della bellezza del college basket?

 

Neri

Difficilmente in NCAA vedrete bella pallacanestro. Colpa dei 30 secondi per il tiro, della linea del tiro da 3 a 6.30m che non permette adeguate spaziature, ma se provenite dalla NBA, dall’Eurolega, ma anche campionato italiano – per quanto ci metta del suo per farsi escludere da questo discorso – rimarrete molto delusi del livello di gioco proposto. Una cosa però vi terrà sempre incollati allo schermo: l’intensità di gioco. Sono 40 minuti in cui le squadre non molleranno neanche nelle situazioni disperate, e ogni occasione è buona per vedere un finale punto-a-punto deciso da un canestro alla sirena, o una rimonta da un passivo considerevole, il tutto ben incorniciato da un pubblico sempre di primo livello.

 

Ecco, se parliamo di intensità, allora la Texas di Shaka Smart mette tutti in fila. Una squadra che si lega ai concetti della sua Havoc Defense, pressando gli avversari per tutta la durata della partita aggredendoli quando raggiungono gli angoli, dove in un attimo due giocatori si fiondano come falchi sul povero sventurato, cercando di ripartire quanto prima in attacco cercando sempre di tenere altissimo il ritmo della gara.

 

Coach Smart – qui quando era a VCU – sa bene come tenere alto il morale dei suoi.

 

In attacco si punta alla ricerca della migliore soluzione nei primi secondi dell’azione, e Smart può avvalersi finalmente di un recruit di alto livello come Jarrett Allen, uno dei migliori lunghi della classe liceale di quest’anno, che andrà a prendere la posizione di centro assicurando grande esplosività. Non sarà un bel vedere come la Princeton Offense di Georgetown o la Swing Offense di Wisconsin, ma sicuramente è molto più divertente della 2-3 di coach Bo(ring)eheim a Syracuse.

 

Beltrama

Ovviamente il punto cruciale è definire cosa significhi “bello” nel college basket (e, se è per questo, nel basket in generale). Tra le 300 e rotte squadre in Division I, si trovano stili e approcci molto diversi, con due denominatori comuni: l’intensità media, fisiologicamente elevata in una stagione che si gioca su 20-25 partite al massimo; e l’inesperienza dei giocatori – tutti tra 18 e 22 anni, ricordiamolo – che garantisce mani nei capelli, passaggi a vuoto, ma pure tanta imprevedibilità, come testimoniato dall’abnorme numero di rimonte, collassi, e colpi di scena che rendono questo tipo di pallacanestro affascinante. Senza possibilità di fare mercato e con il tempo di lavorare su giocatori ancora molto plasmabili, è indubbio che l’impronta degli allenatori e delle scuole di pensiero che rappresentano sia molto più facile da vedere che nei campionati professionistici.

 

Se vi piace vedere esecuzioni offensive pulite, equilibrio dentro-fuori, spazi bilanciati e fondamentali offensivi raffinati, Gonzaga e St. Mary’s, eterne rivali nella West Coast Conference, sono una garanzia. Se vi piace un basket compassato, a bassi ritmi ma altissima efficienza, Wisconsin è una squadra che ha raggiunto risultati entusiasmanti proprio grazie alla fedeltà al proprio sistema offensivo. Se volete godervi tanto uno-contro-uno ed esaltazione del talento individuale, la dribble drive di Calipari a Kentucky rappresenta l’antipasto più fedele alla pallacanestro NBA. Se vi piacciono quintetti mostruosamente atletici, esterni di 2 metri e ritmi forsennati, North Carolina resta un’opzione sicura. Per i cultori di punteggi bassi e difese fisiche, in modalità super potenze del basket europeo negli anni ‘90, Virginia, Michigan State e Purdue potranno regalare soddisfazioni. E se siete romantici seguaci del pressing a tutto campo, oltre alla Texas descritta da Lorenzo, guardatevi qualche partita di Louisville. Dove Rick Pitino, tra scandali e cambiali, continua a predicare senza rivali l’arte di trasformare le partite in corride, aspirando la lucidità degli avversari a suon di raddoppi e aggressioni sulla palla. Quando va male, finisce con 60 tiri liberi a testa; quando va bene, ci si galvanizza con un mix di recuperi, tuffi e cambiamenti di fronte da fare invidia a una partita di hockey.

 

Bottini

Tutta la schizofrenia del College Basketball è riassumibile nella contrapposizione tra gli approcci a questa stagione da parte degli Hoosiers e dei Cavaliers. In Indiana, la culla del basket collegiale, ogni annata assume fin dalla prima palla a due i contorni della cartella psichiatrica di un paziente con disturbi bipolari. Praticamente la cartella medica di Tom Crean, che passa dalla spumeggiante esaltazione alla depressione più scura con la rapidità di un canguro sui rollerblade.Nelle puntate precedenti di “The People of Indiana vs. Tom Crean” se ne sono viste di tutti i colori, da una Big10 vinta contro tutti i pronostici all’ennesimo blowout nelle SweetSixteen. La nuova stagione promette di essere ancora più spettacolare nonostante l’uscita di scena di Yogi Ferrell e Troy Williams grazie alle conferme di Thomas Bryant e OG Anunoby e all’insperato ritorno dai morti di James Blackmon. L’upside di questa squadra è persino superiore di quella precedente ed ha mostrato tutti i carati nella scintillante vittoria contro Kansas che ha immediatamente trasportato gli Hoosiers nell’Hysteria. Aspettiamo ora la classica sconfitta in casa contro Nebraska in apertura della Big10 per iniziare la consueta altalena emozionale.Al completo Nadir esistenziale risiede la serafica tranquillità degli uomini di Tony Bennett, un programma super pettinato immerso nel verde dell Virginia che ha scalato i piani alti dell’ACC e non ha alcuna intenzione di scendere. Non c’è alcun dubbio che sapranno come rimpiazzare l’All-American Malcom Brogdon e il senior Anthony Gill visto che tra i Cavaliers non esiste l’identità individuale. Il trasfer Austin Nichols e ben quattro Espn100 Recruit garantiranno la giusta quantità di carne da spendere per rimpolpare la Pack Line Defense brevettata da Bennett e aiutare London Perrantes a diventare il miglior playmaker della nazione. A Charlottesville sono pronti per un’altra stagione da primi della classe.

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Tags : NCAA

La redazione basket è composta da gente molto alacre che vorrebbe giocare a basket ma che purtroppo sarebbe troppo bassa anche per il campionato filippino. Almeno due membri della redazione basket sono convinti che il film A Beautiful Mind parli di loro.

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