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Guida al college basket 2016/17
15 nov 2016
Squadre ambiziose, freshman talentuosi e giocatori di culto per prepararsi alla stagione NCAA.
(articolo)
20 min
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  • Quali squadre possono legittimamente ambire alla vittoria finale?

Lorenzo Neri

La stagione parte con una favorita ben delineata: Duke. Coach K nella off-season ha perso Brandon Ingram, Derryck Thornton e Marshall Plumlee, ma si presentano ai blocchi di partenza con quello che è probabilmente il miglior blocco di giocatori tra quelli che hanno deciso di tornare al college. Grayson Allen, in prima linea per il titolo di giocatore dell’anno, è il giocatore di riferimento e leader emotivo della squadra; Luke Kennard sembra pronto per essere uno dei migliori realizzatori nelle Big Conference; e Matt Jones e il redshirt Amile Jefferson garantiscono difesa. Come se non bastasse a questo gruppo si è aggiunta la miglior classe di liceali del 2016, aggiungendo al reparto più scarno (la frontline) elementi di valore come Harry Giles, Jayson Tatum e Marques Bolden, elementi che di cui si parla già in ottica Draft. Se riuscissero a superare i problemi difensivi visti lo scorso anno e a rimanere sani - Giles si è già dovuto operare a entrambe le ginocchia, Tatum e Bolden arrivano entrambi da un infortunio - un seed #1 sembra ampiamente alla portata, anche nella giungla della ACC.

Andrea Beltrama

Di Duke ci ha già detto tutto Lorenzo: è la netta favorita, per la combinazione di talento fresco ed esperienza. E se non bastasse avere i migliori freshman e un serio candidato al titolo di giocatore dell’anno, hanno pure uno dei migliori allenatori mai visti nella storia del gioco in Mike Krzyzewski. Un uomo che ha il carisma per gestire le star NBA a un’Olimpiade, la saggezza per svezzare dei diciottenni, la sagacia tattica per far giocare assieme i propri uomini, mescolando esecuzione e libertà di azione in maniera quasi perfetta. Ma è la sua sete di vittorie, appena nascosta dal suo atteggiamento sempre posato, che lo rende speciale. Ha vinto tutto, conquistato qualsiasi lode, battuto praticamente ogni record. Ma su una buona azione difensiva dei suoi, anche avanti di 30, lo vedrete 2 metri in mezzo al campo, a esultare e caricare i suoi come se fosse la sua prima volta in panchina. Lo stesso discorso, su scala leggermente minore, vale per Kansas e Bill Self. Che, come i Blue Devils, hanno adottato un approccio misto al talento mordi & fuggi, cercando di integrare freschezza ed esperienza. Ha funzionato bene, e continuerà a funzionare bene quest’anno, con l’arrivo di Josh Jackson, inserito in un gruppo già collaudato. Potrebbe e anzi dovrebbe bastare ad arrivare in Final Four, anche se le recenti uscite premature dei Jayhawks - una sola semifinale negli ultimi 8 anni, a fronte di regular season dominanti - lasciano spazio a un po’ di agitazione. Chiudono il gruppo la solita Kentucky, che riparte da zero, e dunque rischia un po’ di più delle altre due, pur avendo secchiate di talento; e un trittico di squadre esperte, fisiche, rodate, con tutti i mezzi per sperare di arrivare in fondo: North Carolina e Villanova, ultime due finaliste, e Virginia, da anni all’immediata periferia dell’élite, e ora disperatamente vogliosa di entrarci.

Lorenzo Bottini

Mi sbilancio e dico che la stagione che permetterà a Bill Self di eguagliare la leggenda di John Wooden con tredici titoli consecutivi in una Major Conference (nel suo caso la Big12) potrà anche restituire ai Jayhawks il sorriso di tagliare le retine che contano. Kansas ha perso la guida di Perry Ellis ela fumosità di Wayne Selden, ma ha mantenuto il backcourt formato da Frank Mason e Devonté Graham a cui sarà demandato il compito di far girare la squadra e di mettere punti a tabellone. Al terzo anno insieme i due hanno stabilito un rapporto simbiotico che potrebbe risultare determinante verso marzo. Accanto alla loro leadership Bill Self ha a disposizione una serie di giocatori estremamente atletici e versatili, primo tra tutti Josh Jackson, sicura chiamata in Top-3 al prossimo Draft, per proseguire con Lagerald Vick e Sviatoslav Mykhailiuk, chiamati a compiere lo step successivo per diventare pedine importanti di una squadra da titolo. Sotto canestro la certezza è il senior Landen Lucas, esperto mestierante del pitturato, le scommesse si chiamano Carlton Bragg Jr., lungo e rapido, e Udoka Azibuike, un cingolato da guerra. Se entrambi riuscissero a guadagnare la fiducia di Self - notoriamente molto cauto nell’affidarsi agli underclassman - Kansas avrebbe un team profondo e flessibile, con concrete possibilità di arrivare fino in fondo. Outsider intriganti rimangono Oregon (che ha praticamente lo stesso quintetto che lo scorso anno ha garantito un seed #1 a Ovest e un viaggio alle Elite Eight) e Xavier (che, nel caso raggiungesse l’improbabile vittoria, coronerebbe l’anno perfetto di Bill Murray).

Non ne avremo mai abbastanza di vedere Bill Murray ubriaco e felice.

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  • In che condizioni si presentano le super potenze del college basket?

Neri

Mentre Duke, UNC e Kentucky cercheranno di dar seguito a quanto di buono fatto finora, c’è una big school che da anni sta provando a ritrovare ritrovare la propria identità di grande ateneo, anche solo per ricordare di essere la squadra con più titoli NCAA della storia.

Per far capire da quanto manchi UCLA nel basket che conta basta ricordarsi alcuni dei giocatori presenti nell’ultima apparizione della squadra alle Final Four: gente come Kevin Love, Russell Westbrook, Darren Collison e Luc Mbah a Moute ora sono tutti veterani NBA. Da quel momento il percorso dei Bruins è stato impalpabile facendo sempre grande fatica in una Conference in declino come la Pac-12 e conquistando il Torneo a singhiozzo; l’avvicendamento tra Ben Howland e Steve Alford ha dato qualche risposta nelle prime due stagioni, ma già nella scorsa la squadra ha mancato l’approdo alla postseason e ha chiuso con record perdente.

Le speranze di quest’anno passano dalle mani del visionario Lonzo Ball, creativa point guard con istinti JasonKidd-eschi che va a completare un reparto esterni tutto pepe con le capacità balistiche di Bryce Alford (figlio del coach), la versatilità di Isaac Hamilton e l’atletismo di Aaron Holiday, mentre l’altro freshman TJ Leaf e il biancone Thomas Welsch provvederanno a dare solidità nei pressi del canestro.

Nella prima uscita stagionale, Ball ha già flirtato con la tripla doppia.

Nel tour australiano estivo, UCLA ha mostrato un gioco divertente e fluido, a forte trazione perimetrale e improntato sui ritmi alti e sulla capacità di tanti giocatori di poter creare dal palleggio. Se la difesa riuscisse a reggere il colpo contro squadre più fisiche, allora la squadra di Alford potrebbe iniziare a respirare di nuovo l’aria dei bei vecchi tempi andati.

Beltrama

Una premessa necessaria: parlare di super potenze è sempre più difficile. Perché la NCAA è cambiata molto, e con essa sono mutati gli equilibri di potere e le tradizionali categorie di analisi. Per fare un esempio, sono più super potenze atenei come Gonzaga (che agisce in una zona periferica della nazione ma da vent’anni è tra le prime 20-25 squadre della nazione), o Illinois (che si trova nel cuore del Midwest e della Big Ten, eppure sembra condannata a una perenne mediocrità)? L’esempio di Lorenzo calza alla grande: UCLA ha storia, blasone, successi. Ma negli ultimi sette-otto anni non ha praticamente fatto nulla per giustificare il suo status. Se dovessimo andare con i nomi classici, però, dovrebbe essere un’annata abbastanza in linea con la fama: Duke, Kansas, Kentucky e North Carolina hanno legittime speranze di titolo. Indiana e Arizona, dopo un periodo difficile e varie turbolenze cestistiche e amministrative, sembrano pronte a tornare sui palcoscenici importanti, come mostrato dalle loro belle vittorie nella notte di apertura. Sono in seconda fascia per il titolo, la ma F4 è un obiettivo possibile, per quanto ambizioso. Michigan State parte dalle retrovie, il che non significa assolutamente nulla, vista la capacità degli Spartans di emergere a stagione in corso.

Bottini

Duke, Kansas e Kentucky sono le prime tre squadre della nazione, quindi tutto procede secondo i piani. Coach K ha raggiunto Calipari nella gara a chi fa firmare più lettere d’intenti ai McDonald’s All-American e Duke è talmente profonda che potrebbe sopravvivere agli infortuni dei due migliori freshman, Harry Giles e Jayson Tatum, grazie agli innesti di Frank Jackson e Marques Bolden - entrambi da tenere sotto la massima attenzione. Ovviamente il capo rimane Grayson Allen, perché va bene l’one&done ma se non sono bianchi, viziati & cattivi non potranno mai essere i padroni di Durham. Calipari ha portato a Lexington la consueta infornata di mostri, guidata dal backcourt superatletico De’Aaron Fox - Malik Monk, una coppia che vi farà male alle tempie, e farcita di giganti che corrono e schiacciano tutto ciò che trovano tra loro e il ferro. Bam Adebayo si candida già da subito come giocatore onomatopeico dell’anno. Kansas come detto sopra è una squadra strana, che ha sempre soffocato il talento dei freshman nell’impasto della chimica di gruppo. Per Bill Self questo deve essere l’anno giusto per bilanciare la ricetta.

North Carolina è forse un gradino sotto dopo una stagione da incorniciare arrivata a un Kris Jenkins dalla gloria imperitura, ma rimpiazzare due All-American come Marcus Paige e Brice Johnson non è compito facile, anche se Joel Berry e Isaiah Hicks hanno preso le misure negli anni a Chapel Hill. Roy Williams è rimasto un po’ al palo nella corsa ai reclutamenti a causa forse anche di una situazione accademica non limpidissima. Sono sbarcati però Tony Bradley, Brandon Robinson e Seventh Woods, guardia esplosiva e possibile sleeper al prossimo Draft, oltre a portare un nome da Serie Tv da primo pomeriggio di Italia 1. Per trovare altri nomi da serial anni ‘80 tocca andare a Westwood dove la coppia tutta brillocchi & beatbox è quella formata da Lonzo Ball e Prince Ali: forse i Bruins non vinceranno la Pac12 ma almeno per quest’anno i fuochi d’artificio sono assicurati.

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  • Quali squadre sono assolutamente da seguire per godere a pieno della bellezza del college basket?

Neri

Difficilmente in NCAA vedrete bella pallacanestro. Colpa dei 30 secondi per il tiro, della linea del tiro da 3 a 6.30m che non permette adeguate spaziature, ma se provenite dalla NBA, dall’Eurolega, ma anche campionato italiano - per quanto ci metta del suo per farsi escludere da questo discorso - rimarrete molto delusi del livello di gioco proposto. Una cosa però vi terrà sempre incollati allo schermo: l’intensità di gioco. Sono 40 minuti in cui le squadre non molleranno neanche nelle situazioni disperate, e ogni occasione è buona per vedere un finale punto-a-punto deciso da un canestro alla sirena, o una rimonta da un passivo considerevole, il tutto ben incorniciato da un pubblico sempre di primo livello.

Ecco, se parliamo di intensità, allora la Texas di Shaka Smart mette tutti in fila. Una squadra che si lega ai concetti della sua Havoc Defense, pressando gli avversari per tutta la durata della partita aggredendoli quando raggiungono gli angoli, dove in un attimo due giocatori si fiondano come falchi sul povero sventurato, cercando di ripartire quanto prima in attacco cercando sempre di tenere altissimo il ritmo della gara.

Coach Smart - qui quando era a VCU - sa bene come tenere alto il morale dei suoi.

In attacco si punta alla ricerca della migliore soluzione nei primi secondi dell’azione, e Smart può avvalersi finalmente di un recruit di alto livello come Jarrett Allen, uno dei migliori lunghi della classe liceale di quest’anno, che andrà a prendere la posizione di centro assicurando grande esplosività. Non sarà un bel vedere come la Princeton Offense di Georgetown o la Swing Offense di Wisconsin, ma sicuramente è molto più divertente della 2-3 di coach Bo(ring)eheim a Syracuse.

Beltrama

Ovviamente il punto cruciale è definire cosa significhi “bello” nel college basket (e, se è per questo, nel basket in generale). Tra le 300 e rotte squadre in Division I, si trovano stili e approcci molto diversi, con due denominatori comuni: l’intensità media, fisiologicamente elevata in una stagione che si gioca su 20-25 partite al massimo; e l’inesperienza dei giocatori - tutti tra 18 e 22 anni, ricordiamolo - che garantisce mani nei capelli, passaggi a vuoto, ma pure tanta imprevedibilità, come testimoniato dall’abnorme numero di rimonte, collassi, e colpi di scena che rendono questo tipo di pallacanestro affascinante. Senza possibilità di fare mercato e con il tempo di lavorare su giocatori ancora molto plasmabili, è indubbio che l’impronta degli allenatori e delle scuole di pensiero che rappresentano sia molto più facile da vedere che nei campionati professionistici.

Se vi piace vedere esecuzioni offensive pulite, equilibrio dentro-fuori, spazi bilanciati e fondamentali offensivi raffinati, Gonzaga e St. Mary’s, eterne rivali nella West Coast Conference, sono una garanzia. Se vi piace un basket compassato, a bassi ritmi ma altissima efficienza, Wisconsin è una squadra che ha raggiunto risultati entusiasmanti proprio grazie alla fedeltà al proprio sistema offensivo. Se volete godervi tanto uno-contro-uno ed esaltazione del talento individuale, la dribble drive di Calipari a Kentucky rappresenta l’antipasto più fedele alla pallacanestro NBA. Se vi piacciono quintetti mostruosamente atletici, esterni di 2 metri e ritmi forsennati, North Carolina resta un’opzione sicura. Per i cultori di punteggi bassi e difese fisiche, in modalità super potenze del basket europeo negli anni ‘90, Virginia, Michigan State e Purdue potranno regalare soddisfazioni. E se siete romantici seguaci del pressing a tutto campo, oltre alla Texas descritta da Lorenzo, guardatevi qualche partita di Louisville. Dove Rick Pitino, tra scandali e cambiali, continua a predicare senza rivali l’arte di trasformare le partite in corride, aspirando la lucidità degli avversari a suon di raddoppi e aggressioni sulla palla. Quando va male, finisce con 60 tiri liberi a testa; quando va bene, ci si galvanizza con un mix di recuperi, tuffi e cambiamenti di fronte da fare invidia a una partita di hockey.

Bottini

Tutta la schizofrenia del College Basketball è riassumibile nella contrapposizione tra gli approcci a questa stagione da parte degli Hoosiers e dei Cavaliers. In Indiana, la culla del basket collegiale, ogni annata assume fin dalla prima palla a due i contorni della cartella psichiatrica di un paziente con disturbi bipolari. Praticamente la cartella medica di Tom Crean, che passa dalla spumeggiante esaltazione alla depressione più scura con la rapidità di un canguro sui rollerblade.Nelle puntate precedenti di “The People of Indiana vs. Tom Crean” se ne sono viste di tutti i colori, da una Big10 vinta contro tutti i pronostici all’ennesimo blowout nelle SweetSixteen. La nuova stagione promette di essere ancora più spettacolare nonostante l’uscita di scena di Yogi Ferrell e Troy Williams grazie alle conferme di Thomas Bryant e OG Anunoby e all’insperato ritorno dai morti di James Blackmon. L’upside di questa squadra è persino superiore di quella precedente ed ha mostrato tutti i carati nella scintillante vittoria contro Kansas che ha immediatamente trasportato gli Hoosiers nell’Hysteria. Aspettiamo ora la classica sconfitta in casa contro Nebraska in apertura della Big10 per iniziare la consueta altalena emozionale.Al completo Nadir esistenziale risiede la serafica tranquillità degli uomini di Tony Bennett, un programma super pettinato immerso nel verde dell Virginia che ha scalato i piani alti dell’ACC e non ha alcuna intenzione di scendere. Non c’è alcun dubbio che sapranno come rimpiazzare l’All-American Malcom Brogdon e il senior Anthony Gill visto che tra i Cavaliers non esiste l’identità individuale. Il trasfer Austin Nichols e ben quattro Espn100 Recruit garantiranno la giusta quantità di carne da spendere per rimpolpare la Pack Line Defense brevettata da Bennett e aiutare London Perrantes a diventare il miglior playmaker della nazione. A Charlottesville sono pronti per un’altra stagione da primi della classe.

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  • Quali sono i giocatori più interessanti in ottica Draft?

Neri

La classe freshman di quest’anno è pazzesca per profondità e livello di talento a disposizione: non è un caso gran parte di questi giocatori avrà un ruolo centrale all’interno della propria squadra e della riuscita della stagione di essa. A Kansas invece Josh Jackson non sarà il perno su cui ruotano tutte le speranze della squadra - così come non lo sono stati negli anni passati pari-ruolo come Wayne Selden, Kelly Oubre e neppure Andrew Wiggins - ma cercherà di non farsi sotterrare a livello mediatico così come successo ai suoi predecessori, mai inseriti completamente nel gioco di Bill Self, tanto bravo a creare una vera e propria dinastia nella Big12, quanto limitato nell’inserire esterni di alto lignaggio nel suo credo. La capacità di Jackson di attaccare gli spazi sia con palla che soprattutto senza, aiutato da un esplosività élite e misure perfette per un 3 moderno, potrebbe essere il giusto compromesso per far scattare l’amore con il coach dei Jayhawks. Quantomeno in campo, visto che fuori dal rettangolo di gioco il ragazzo sembra poter conquistare chiunque con la sua personalità ed intelligenza.

Se Markelle Fultz di Washington è il principale candidato alla scelta n°1, il prodotto di Detroit sembra essere la più valida delle alternative. Tra i potenziali riser invece non perdete di vista OG Anunoby di Indiana: ala di 2.05 con apertura alare mostruosa (duecentotrentacentimetri!) e naturale predisposizione per la difesa, in costante miglioramento nella produzione offensiva. Parte forse qualche scalino dietro ad altri prospetti più pubblicizzati, ma non mi stupirei se nella notte del Draft venisse scelto a ridosso dei migliori.

Qui OG Anunoby usa lo wingspan per entrare negli incubi di Frank Mason III

Beltrama

Poco da aggiungere a quanto detto da Lorenzo. Se la classe di freshmen è mostruosa - come del resto succede ormai ogni stagione da sette-otto anni a questa parte - non dimentichiamoci però dei giocatori più esperti. Quelli che vengono guardati con sospetto perché hanno la colpa di avere già compiuto i vent’anni, e che pure, una volta messi in condizione di giocare, fanno bene anche al piano di sopra. Menzione particolare per Josh Hart, anima della Villanova campione e guardia con una rara versatilità, sia offensiva che difensiva. Fa canestro, va in post basso, passa bene la palla, aiuta a rimbalzo. Fa tutto quello che Jimmy Butler faceva al college, per citare un altro esempio di giocatore che è restato al college per più di un anno. Diventerà più forte? Probabilmente no, ma ha tutto per potersi inserire bene. Altri due esempi sono Dillon Brooks, ala di Oregon ora infortunata, e Melo Trimble, uno dei migliori passatori. Un finale di stagione in calando ne ha oscurato le gesta lo scorso anno, ma rimane uno dei migliori giocatori quando si tratta di creare dal palleggio.

Bottini

La classe dei Freshman quest’anno è davvero strepitosa, sia per talento che per profondità. Tutti questi lustrini rischiano però di far passare inosservati giocatori al secondo anno che sono sull’orlo della detonazione. Ho scelto quindi cinque sophomore di profilo più basso rispetto a OG, ma che prima o poi vi faranno cadere on both knees. Donovan Mitchell (Louisville) è il classico pretoriano di Pitino, tutto intensità e abnegazione ma con in dotazione un pacchetto di capacità atletiche non comuni. Lui e il compagno Deng Adel sono dei potenziali crack se pescati nel secondo giro. Dwayne Bacon (Florida St.) doveva uscire dopo il primo anno, ma una voce dal cielo lo ha portato a riconsiderare l’importanza del college e restare un anno in più sui libri. Esterno fisico, con punti nelle mani, è un T-Max con le ruote chiodate che entra nel pitturato come un cowboy entra in un saloon facendo mulinare le porte a vento.

Se davvero gli X-Men di Chris Mack vogliono insediare la leadership di Villanova nella Big East devono sperare che Edmond Sumner diventi quel fiore esotico che il bocciolo lascia intravvedere. Playmaker filiforme, a metà tra Shaun Livingston e una mantide religiosa, può rappresentare l’epitome del late bloomer. Allo stesso modo da seguire come Kerwin Roach (Texas) si inserirà nella press di Shaka Smart con i suoi fenomenali mezzi fisici. La sua lunghezza e mobilità sembrano disegnate per soffocare le iniziative avversarie e far innamorare gli scout sempre alla ricerca di talenti così naturali. Per concludere lente d’ingrandimento puntata sui campioni in carica e sulla seconda stagione di Mikal Bridges, un altro pterodattilo che sembra esser nato con le stigmate del 3&D. Se dovesse confermare le qualità difensive viste l’anno passato e aggiungere una maggiore creatività offensiva, una chiamata nel primo giro potrebbe rivelarsi una scommessa vincente.

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  • Quali sono i giocatori di culto che ci faranno innamorare?

Neri

Cerchiamo di andare spulciare anche l’universo delle mid-major. Se state cercando una macchina da canestro, un giocatore di farvi saltare dalla sedia come Doug McDermott e Jimmer Fredette hanno fatto negli anni passati, allora Alec Peters di Valparaiso è la scelta che fa per voi. Il suo stile ricorda molto quello di Dougie McBuckets: un 4 tiratore dotato anche di grande tecnica individuale e intelligenza tattica, abile a sfruttare i mismatch in post e sul perimetro, capace di far male in tutte le zone del campo, la scorsa stagione ha chiuso con 18.4 punti (con 61% di eFG!) e 8.4 rimbalzi. Dopo aver testato le acque del Draft in giugno senza ottenere risposte soddisfacenti, è tornato ai Crusaders con la volontà di aiutare la squadra a raggiungere il Torneo dopo averlo perso di un soffio nel marzo scorso e coach Bryce Drew ha tra i migliori set offensivi dello Stato. Per lui si prospetta una stagione da vero protagonista. Dietro di lui occhi alle prestazioni dei piccoli Jack Gibbs di Davidson (23.5 punti lo scorso anno) e Justin Robinson di Monmouth (23.4) di cui è sempre giusto ricordarne l’epicità della panchina.

Beltrama

Aggiungerei Przemek Karnowski, centro polacco di Gonzaga. Un infortunio all’inizio dello scorsa stagione gli ha permesso di conservare un anno di eleggibilità - una manna dal cielo per gli Zags, per il nostro amico Rick Fois, e per noi appassionati del bel gioco. Che potremo così goderci le incredibili abilità di passatore di un giocatore dalla stazza enorme, dall’andatura goffa, e dall’intelligenza cestistica smisurata. Ha mani dolci, tempi di reazione velocissimi, e un’espressione in volto che cattura all’istante qualsiasi telespettatore distratto. Un centro di quelli con cui vorremmo sempre giocare al campetto, e che sarà fondamentale nel sistema offensivo di Gonzaga.

Qui un po’ di highlights, direttamente dal suo anno il Polonia prima di volare a Spokane. Come vedete, metà sono assist.

La cosa più importante da dire, prima di congedarci, è che i giocatori di culto non si seguono: si scoprono. Per questo, non fatevi mai sfuggire l’occasione di vedere spezzoni di partite, dal vivo o in streaming, qualunque sia la conference o la posta in gioco. Perché nelle pieghe di squadre sommerse, palestre semi deserte e ferri scheggiati, ci sarà sempre qualche atleta che colpirà il nostro immaginario. Permettendoci di improvvisarci saccenti esperti nella prima settimana di marzo, quando i tornei delle conference spediranno questi personaggi alla ribalta. Se non fosse chiaro, è la strategia che adottiamo anche noi da quando ci siamo ritrovati a seguire questo bizzarro mondo.

Bottini

Qui mi si nomina Jimmer e non il suo emulo a BYU? Nick Emery è un realizzatore implacabile che metterà a ferro e fuoco lo Utah durante sua stagione da sophomore dopo aver chiuso la prima a più di 16 punti di media. Tiratore, bianco, competitivo spesso e volentieri oltre i limiti del sano agonismo: i tifosi a Salt Lake sono pronti ad un dejavù. Sempre per la rubrica “la rivincita dei cloni” a Saint Mary lo spirito di Dellavedova si è incarnato nel corpo di un altro giovane australiano che guida i Gaels in punti e assist. Emmet Naar ha il compito di riportare l’ateneo più aussie della costa Ovest alla Big Dance sfuggita in extremis lo scorso anno. Lo spirito di Steve Francis invece vaga per la North Carolina: per capire se Dennis Smith è tornato lo spacca-partite che era prima dell’infortunio ed è un nome da inserire tra quelli da pescare in Lottery, le partite del Wolfpack di N.C. State meritano qualche ora del vostro sonno. Anche perché potrebbe anche apparire un Omar Yurtseven selvatico. Infine lo spirito dei playground newyorkesi vive e prospera nella figura extrasmall di Marcus LoVett, ball-handler tascabile che vi farà sbucciare le ginocchia anche solo vedendolo in streaming dal vostro divano.

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