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Guida al Bologna 2018/19
17 ago 2018
17 ago 2018
A Bologna si è concluso il ciclo Donadoni, e adesso starà a Filippo Inzaghi rilanciare le ambizioni della squadra.
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con 9 tiri e mezzo a partita il Bologna è la squadra che ha tirato meno in Serie A lo scorso anno.

 

Mattias Svanberg (Malmö), Federico Santander (FC Copenaghen), Gabriele Corbo (Spezia), Federico Mattiello (Atalanta), Nehuén Paz (Newell's Old Boys), Lucasz Skorupski (Roma), Diego Falcinelli (Sassuolo), Arturo Calabresi (Roma), Caio Vinicius Pirana (Campodarsego), Mitchell Dijks (Ajax).

 

Bruno Petkovic (Dinamo Zagabria), Simone Verdi (Napoli), Federico Di Francesco (Sassuolo), Antonio Mirante (Roma), Adam Masina (Watford), Vasilis Torosidis (Olympiakos), Emil Krafth (Amiens).

 


Mbayé potrebbe giocare al posto di Mattiello o di Danilo; De Maio potrebbe rientrare nelle rotazioni in difesa, così come Calabresi; davanti Santander potrebbe guadagnare presto un posto da titolare.


 

Dopo tre anni è finito il ciclo di Roberto Donadoni alla guida del Bologna. Non è stato solo un fisiologico cambio di allenatore, ma la certificazione che il progetto del club non è forse al punto in cui in molti avrebbero sperato. «Abbiamo ritenuto però che dopo tre anni il suo ciclo a Bologna fosse arrivato alla conclusione», 

il presidente Joey Saputo nel comunicato del club.

 

Non è stato un addio sereno, negli ultimi mesi la contestazione dei tifosi è stata amara. Ha circolato molto

di un tifoso che contestava Donadoni al campo d’allenamento di Casteldebole. Il tecnico sembrava ormai fuori controllo, mentre il tifoso gli diceva cose come «A Bologna non sei a casa tua» o «Facci vedere del calcio». Quello dell’assenza di un gioco piacevole è stato il motivo della delusione dei tifosi molto più dei risultati. Allo stadio il coro più frequente era “Donadoni pagaci il biglietto” e il tecnico è stato spesso incalzato sulla questione in conferenza stampa: «Se volete vedere il bel gioco vi pago il biglietto per andare a vedere il Real Madrid» rispondeva.

 



Nella guida dello scorso anno scrivevamo che il Bologna aveva ottenuto una salvezza tranquilla nei risultati ma poco convincenti nella forma, e un anno dopo non sembra cambiato nulla. Questo non significa che il Bologna non sia cambiato.

 

Nella stagione 2016/17 i rossoblù erano una squadra leggera e svagata, che mancava di agonismo e tensione mentale. Donadoni ha lavorato molto per costruire una mentalità più tosta e pragmatica. Ha abbassato il baricentro medio, cercando di costruire una comfort zone a un pacchetto di centrali difensivi troppo lenti per difendere correndo all’indietro; è stato più diretto e verticale col pallone fra i piedi, per assottigliare i rischi; ha trasmesso più aggressività senza palla e più scrupolo alla gestione dei risultati.

 

Il Bologna 2017/18, insomma, era una squadra reattiva, che amava difendersi nella propria metà campo e ripartire in transizione. Anche quando attaccava con molto spazio davanti però non era né molto coordinata né così verticale. Il modo migliore per descrivere l’identità di gioco del Bologna è che non aveva identità, e la sua forza era invece sapersi adattare ai contesti della partita. Un atteggiamento tipico della scuola italiana, ma sempre meno di moda nel calcio contemporaneo.

 

Alcune statistiche fotografano bene la praticità della squadra di Donadoni. I rossoblù sono stati la squadra che ha ricevuto più cartellini (94 gialli e 6 rossi); la seconda per percentuale di lanci lunghi; al contempo quella che ha tirato meno in porta in assoluto: appena 9 e mezzo per partita, un dato che è riuscito persino a peggiorare i già stitici numeri degli anni precedenti (11 la stagione prima, 10 di quella prima ancora). Nonostante il quindicesimo posto (e il quindicesimo attacco del campionato), il Bologna è stata la quintultima squadra per xG prodotti, davanti solo a SPAL, Chievo, Verona e Crotone.

 



Insomma, l’impressione dei tifosi che il Bologna non fosse una squadra spettacolare - per usare un eufemismo - non era lontana dalla realtà. È in questo contesto sembrava che il nome più accreditato per prendere il posto di Donadoni fosse la sua perfetta nemesi, e cioè Roberto De Zerbi, un allenatore noto per dare alle sue squadre un’identità proattiva molto radicale, anche se finora mal conciliata con i risultati. È stato sorprendente che invece sia arrivato il suo opposto, ovvero Filippo Inzaghi.

 

Dopo aver iniziato la carriera da allenatore tra i professionisti in modo traumatico, catapultato in un Milan a fine impero, Inzaghi è sceso di due categorie per rifarsi una verginità. Si è seduto sulla panchina del Venezia in Lega Pro e lo ha portato in due anni a un passo dalla Serie A. La società gli ha messo a disposizione sempre rose all’altezza ma, soprattutto in Serie B, dove ha raggiunto i playoff, il lavoro di Inzaghi è stato evidente e molto riconoscibile. Per certi versi non così lontano dal poco che si era visto con il Milan, quando aveva costruito una squadra di transizioni, ma arricchito di più complessità.

 

In questi due anni il tecnico ha cambiato spesso pelle alla sua squadra, dimostrando una grande elasticità tattica ma tenendo come costante la grande attenzione difensiva. In Lega Pro, Inzaghi, forte di una rosa superiore alla categoria, ha deciso di giocare con un 4-3-3 che puntava al dominio del pallone, ma spesso a scopi difensivi. Il Venezia costruiva le azioni con pazienza, tenendo il possesso per la maggior parte del tempo, faticando moltissimo a penetrare nell’area avversaria. Col tempo Inzaghi ha sperimentato diversi moduli, cercando soluzioni ai problemi e dimostrando una certa sensibilità empirica. In ogni caso i suoi successi sono stati fondati sulla difesa, la migliore del Girone B.

 

Dopo il salto di categoria, con una rosa totalmente rinnovata che sulla carta non poteva ambire al salto diretto, senza troppa qualità tecnica, è passato dal difendersi col pallone a difendersi senza. Il Venezia 2017/18 è stata una squadra reattiva, che senza palla si piazzava su un baricentro piuttosto basso e col pallone attaccava con calma, consolidando il possesso con i tre difensori centrali. Il 3-5-2 di partenza diventava subito un 5-3-2 molto compatto, con cui il Venezia ha ottenuto la terza miglior difesa del campionato, spingendosi fino alla semifinale playoff, persa poi contro un Palermo più attrezzato.

 


La linea a 5 della difesa, quella a 3 del centrocampo. Il baricentro bassissimo.


 

 



Insomma, passando da Donadoni e Inzaghi il Bologna ha scelto una strategia conservativa, non quella rivoluzionaria che in molti si sarebbero aspettati. Ha scelto un altro allenatore realista, che pensa innanzitutto a costruire una solidità difensiva, e poi a risolvere i problemi offensivi in maniera empirica, con piccoli aggiustamenti cuciti attorno alla rosa.

 

Questo non significa però che non ci siano differenze tra Inzaghi e Donadoni. Se il vecchio allenatore cercava di trasmettere alla squadra la capacità di saper interpretare più spartiti, Inzaghi è un tecnico dalle idee e dai principi di gioco più chiari.

 

In conferenza stampa ha cercato di rimandare un’idea di dedizione folle e assoluta alla causa: «Ho scelto Bologna non pensandoci un minuto. Non ho parlato con altri e non ho guardato i soldi. È due giorni che sono a Casteldebole e quasi quasi vorrei dormire lì». Lo stile incendiario tenuto da Inzaghi in conferenza è stato, quello sì, uno stacco forte rispetto alla moderazione borghese di Donadoni. È fin troppo chiaro che frasi come: «Il fuoco non mi manca, se mi avessero fatto dieci anni avrei firmato» o «qualsiasi cosa faccio quando alleno per me è la Champions League. A Venezia arrivavo alle 9 di mattina e andavo via alle 9 di sera» hanno come obiettivo restituire un po’ d’entusiasmo a una piazza un po’ ingrigita dalle ultime stagioni.

 



Anche la campagna abbonamenti del Bologna spinge sull’elemento emotivo e passionale.


 

Incalzato sulla questione del bel gioco, Inzaghi è stato schietto: «Possiamo anche giocare nella metà campo avversaria però si rischia di perdere le partite». Nonostante ciò, l'ex allenatore del Venezia ha anche rilanciato sul piano dell’immaginario: «Un modello può essere l'Atletico Madrid che non è bellissimo da vedere ma vince con il sacrificio di tutti, attaccanti compresi».

 

Ha insistito molto sull’atteggiamento della squadra, sull’etica del lavoro, ha parlato di “valori”, lasciando intendere una visione del calcio come ideale di vita e non solo di campo. Poi ha infilato una piccola stoccata a Donadoni - «la rosa è buona, anche se nell'ultima stagione ha reso meno di quanto avrebbe potuto» - e ha lasciato subito intendere di voler passare alla difesa a 3 - «Questa squadra ha giocato col 4-3-3 ma può giocare anche col 3-5-2 o col 3-4-3».

 



La società sembra lavorare per costruire una rosa coerente con i principi di Inzaghi. Non certo facendo i fuochi d’artificio, anzi: il Bologna ha ceduto il suo giovane migliore - Federico Di Francesco - e il suo giocatore migliore - Simone Verdi - e ha deciso sostanzialmente di non rimpiazzarli. Una squadra quindi che fondava la propria pericolosità offensiva sui propri esterni offensivi ora ne farà del tutto a meno. Gli investimenti più importanti si sono concentrati su due punte centrali, anche se diverse per caratteristiche: Diego Falcinelli e Federico Santander.

 

Il primo è un attaccante versatile, che ha avuto il momento migliore della carriera a Crotone, muovendosi in un attacco a due. Santander è invece una nuova scoperta del nostro campionato. Ha 27, è nato in Paraguay, ha alle spalle una carriera modesta e un’interpretazione del ruolo peculiare. Ha i capelli lunghi, un bel grugno e l’assenza di collo gli dà un’andatura di corsa un po’ ingobbita. Lo scorso anno, al Copenaghen, ha segnato 12 gol, più di testa che di piede. Non ha piedi finissimi ma è generoso nel lavoro senza palla e nel gioco spalle alla porta. Santander è l’archetipo del centravanti sgobbone, che pensa più di ogni altra cosa al bene della squadra. Forse non c’è giocatore in grado di esprimere meglio le idee del nuovo corso di Filippo Inzaghi.

 


Santander preferisce inginocchiarsi di testa anche quando potrebbe colpire di piede.


 

A rappresentare al meglio la fine del vecchio ciclo c'è invece la posizione precaria di Mattia Destro, che ha abbandonato il numero 10 e con lui l'idea di essere centrale nel Bologna. La società sta cercando di cederlo negli ultimi giorni di mercato, provando magari a prendere un sostituto (si parla del gigantesco ex Benevento Cheick Diabaté).

 

Un importante investimento è stato fatto anche sul portiere, Lukasz Skorupski, arrivato dalla Roma per 9 milioni. Un portiere non certo moderno, a dir poco grezzo nel gioco con i piedi, ma fenomenale tra i pali e quindi adatto a una squadra che non si lascerà molto campo alle spalle per difendersi.

 

L’acquisto dalle prospettive più promettenti è invece forse Mattias Svanberg, svedese di 19 anni per cui i rossoblù hanno speso 4 milioni e mezzo. Svanberg è una mezzala molto dinamica, dalle discrete qualità tecniche e con un tiro da fuori interessante. Per la verticalità con cui attacca lo spazio col pallone ricorda un po’ Donsah, che sembrava poter andare via ma che invece è rimasto in rosa.

 

In difesa è uscito Masina, comunque deludente nelle ultime stagioni, sostituito dal modesto Mitchell Dijks. Sono arrivati anche Arturo Calabresi - che viene da una stagione difficile ma che a 22 anni ha già una discreta esperienza in Serie B - e Nehuén Paz, un centrale argentino mancino che Inzaghi sta usando come terzo a sinistra della difesa a 3. Stiamo parlando di un difensore di 25 anni, già formato nei suoi pregi e difetti: a disagio quando deve correre all’indietro, aggressivo in avanti e con un discreto piede per impostare da dietro (in Argentina era abituato ad avviare l’azione). A mettere un po' di spessore è arrivato Danilo dall'Udinese, che però è un altro difensore lento che si aggiunge a un reparto di per sé macchinoso, e che ha i propri anni migliori alle spalle - e allora non sarebbe così improbabile vedere Mbayé adattato terzo di difesa a destra. Le gerarchie, insomma, sono ancora tutte da definire.

 



È proprio il reparto difensivo forse quello da cui dipenderà molto della stagione del Bologna. Non solo per l’attenzione di Inzaghi alla fase difensiva, ma anche perché il tecnico responsabilizza molto i suoi difensori con il pallone tra i piedi. Il materiale a disposizione non è certo di prima qualità e starà quindi a Inzaghi costruire un sistema il più possibile adatto ai suoi giocatori, più a loro agio con poco campo da difendere alle spalle.

 

Ciò nonostante nel pre-campionato il Bologna ha alternato fasi di difesa posizionale a momenti di pressing organizzato, eseguito con un sincronismo promettente, anche grazie alla naturale disposizione di giocatori abituati a questo tipo di lavoro, come Santander e Palacio.

 

È col pallone tra i piedi che il Bologna sembra ancora indietro. La circolazione palla molto manovrata è spesso lenta e senza sbocchi. Con il Venezia, Inzaghi alzava molto gli esterni per dare ampiezza, aprendo i corridoi poi occupati in maniera perfetta dal resto dei giocatori. Il Bologna sembra ancora indietro nell’assorbire questi principi, soprattutto non riesce ancora ad occupare bene il campo.

 


De Maio gestisce il possesso da dietro, gli esterni rimangono alti per dare ampiezza ma i centrocampisti si distribuiscono male sul campo, già troppo avanti e vicini all’attacco, oppure nascosti dietro agli avversari. De Maio non ha linee di passaggio.


 

Il centrocampo del Bologna è molto dinamico ma, come lo scorso anno, sembra mancare di qualità. Tanto nell’uscita palla da dietro - dove Pulgar è ormai un enigma di discontinuità - quanto nelle mezzali. Poli assicurerà la solita corsa, e dall’altra parte Donsah è all’ennesima prova di maturità (ma l’infortunio che lo terrà fuori per due mesi ne ha compromesso di nuovo l’impatto). Chissà se sarà questo l’anno in cui renderà più costanti le prestazioni monstre con cui ogni tanto ribalta la Serie A.

 

Anche sugli esterni Dijks e Mbayé sono una coppia fisica ma tecnicamente povera, in un ruolo che ha una grande influenza nel gioco di Inzaghi. Chissà che questo non possa essere l’anno del riscatto di Krejci, che con Donadoni è stato a proprio agio quando schierato esterno a tutta fascia. Sull'esterno è invece arrivato Federico Mattiello, che viene da un'ottima stagione alla SPAL e si giocherà il posto con Mbayé ma può giocare anche a sinistra.

 

Il ceco non è l’unica possibile sorpresa dall’anno: senza Donsah per i primi mesi, il Bologna deve trovare una soluzione tra le mezzali. Giocherà molto Dzemaili, ma non è detto che Svanberg non possa trovare spazio, e anche Orsolini, nel precampionato provato da mezzala per innestare un minimo di qualità a un reparto arido.

 

Saranno quindi le punte a dover garantire spessore al Bologna, sia nell’offrire linee di passaggio ai difensori che nella produzione offensiva vera e propria. Palacio è stato riempito di parole al miele da Inzaghi nel pre-campionato, e sembra - per l’ennesima volta - in grande condizione. Quest’anno avrà un ruolo tattico meno ingrato della scorsa stagione, quando ha giocato spesso punta centrale del 4-3-3. La sua intelligenza senza palla e la sua qualità col pallone saranno fondamentali in questa stagione.

 

A Bologna si vocifera che il presidente Saputo sia stanco, e che il calciomercato senza guizzi di quest’estate ne sia un po’ la conseguenza. L'impressione generale è che il Bologna stia tornando indietro. Anche Inzaghi ha parlato di ambiente “troppo pessimista”, ma si è anche detto fiducioso. Il Bologna sembra fare all-in sul suo allenatore, un tecnico giovane ma dalle idee forti: starà a lui creare un sistema che moltiplichi le qualità di una rosa piena di lacune e che ha deciso di rimpiazzare il proprio giocatore migliore con la forza di gruppo.

 

L’ambiente rossoblù ha tutte le ragioni ad affrontare la stagione col profilo più basso possibile. E quest'anno, più che nel passato, l'obiettivo sarà non lasciarsi impantanare troppo nella lotta per la salvezza, magari giocando un calcio coerente. Il Bologna ha bisogno, più di ogni altra cosa, di una strada tracciata per cominciare a vedere un futuro. Di una stagione finalmente convincente nella forma, ancor più che nei risultati.

 

Nella conferenza di presentazione Inzaghi ha confidato un aneddoto: «Scherzando ho detto al presidente che prima o poi mi piacerebbe portare il Bologna in Europa League». A Bologna si augurano che prima o poi certe cose si possano dire senza ironia, anche se di certo non è questo il momento.

 



Se vi piace l’usato sicuro c’è il pacchetto Santander, Palacio, Dzemaili. Da loro dipende la possibilità che il Bologna segni dei gol. Se però vi piacciono gli acquisti visionari spendete un credito per uno tra Orsolini e Svanberg, specie in un Fantacalcio a 10 o a 12: al 90% saranno dei flop, ma tirano molto in porta. Non si sa mai.

 



Non bisogna mandare sprecata questa coincidenza cosmica che vede un giocatore di nome Paz, il diminutivo di

, arrivare a giocare proprio nel Bologna, la città adottiva di Andrea Pazienza. Must have.

 



Filippo Inzaghi, tra le ironie di internet, riesce davvero a formare una mentalità “cholista” nel Bologna. Tutti decuplicano le proprie potenzialità: Mbayé diventa un esterno totale, Palacio fa 8 gol nel girone d’andata, Orsolini da mezzala vola. La difesa è incomprensibilmente imperforabile. Alla fine del girone d’andata il Bologna è settimo, è la grande sorpresa dell’anno, si parla di doping. Dopo un calo nella seconda parte della stagione la squadra arriva dodicesima, ma tra l’ottimismo dei tifosi, che a quel punto vedono per la prima volta un futuro migliore del passato.

 



Tra conferenze stampa dai toni sempre più esasperati, i risultati faticano ad arrivare. La squadra si rivela non all’altezza della Serie A. Il Bologna non subisce molti gol ma non segna mai, veramente mai. I tifosi impazziscono per il quarto anno consecutivo di brutto calcio e contestano la società, assolvendo Inzaghi, che però viene cacciato a novembre, con la squadra in zona retrocessione. Ritorna Donadoni, inviperito: «Come sempre sono venuto a togliervi dalla merda». Dopo una piccola scossa iniziale, però, l’ambiente esplode definitivamente. Serie B.

 

 

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