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Mauro Bevacqua
Guida ai Playoff NBA
23 apr 2014
23 apr 2014
Dopo una regular season piena di sorprese, questo weekend sono iniziati, finalmente, i Playoff NBA. Analizziamo, uno ad uno, gli scontri decisivi per la stagione 2013-2014.
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Mauro Bevacqua
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EASTERN CONFERENCE

Indiana Pacers - Atlanta Hawks L’ultima volta che si sono viste, Indiana – non era la miglior difesa NBA? – ha concesso agli Hawks il 56.2% al tiro e un irriconoscibile Roy Hibbert – All-Star a febbraio, oggi è in “svendita” su Amazon.com a un centesimo del suo valore contrattuale, sotto la categoria “Centri di 2.18 in bizzarro declino” – ha guardato dalla panchina tutti gli ultimi 30 minuti della partita, impietosamente messo a sedere da coach Vogel. È lo scontro tra due squadre che, nella seconda parte di stagione, hanno clamorosamente tirato un inspiegabile freno a mano – non certo voluto. Avete presente il concetto di “peaking at the right time”? Ecco, Indiana e Atlanta no, anzi, il contrario. Al 2 marzo i Pacers avevano un record di 46-13 (78%), per poi collezionare altrettante sconfitte nel restante mese e mezzo di stagione, a fronte di sole 10 vittorie (43.4%). Dal canto loro, al 1 febbraio gli Hawks erano dignitosamente sopra il 50% (25-21, 54.3%, un lusso assoluto nella Eastern Conference!), per poi andare in picchiata a sud, perdendo 14 delle successive 15 (roba da Philadelphia…) e chiudere l’anno uscendo sconfitti in 23 delle ultime 36. Atlanta è alla settima apparizione consecutiva ai playoff (la striscia più lunga a Est) e ha pure rubato gara-1 sul parquet dei n°1 a Est, ma resto convinto che all’apparizione segua immediata sparizione. Per me, nonostante tutto, passa Indiana, semplicemente più forte.

Miami Heat - Charlotte Bobcats Anche qui: l’ultima volta che si sono viste, è finita con 61 di LeBron James a tabellone, suo massimo in carriera (e pensare che Kidd-Gilchrist è pure un buon difensore). Miami, proprio come Indiana e Atlanta, ha chiuso disastrosamente l’annata (perse 6 delle ultime 8 e 14 delle ultime 25 complessive), facendo di tutto per non finire in testa a Est (e riuscendoci). È la sfida tra due dei più grandi di sempre, LBJ vs. MJ (peccato che il secondo sia in doppiopetto e doppiapancia). Attenzione ad Al Jefferson, cliente scomodo per i lunghi di Miami anche se limitato dalla fascite plantare, ma i bi-campioni in carica hanno già dimostrato più volte di sapere girare l’interruttore quando iniziano i playoff. Pericoloso in generale, contro i Bobcats – già felici di essere arrivati alla postseason – può bastare.

Toronto Raptors - Brooklyn Nets Qui le cose si fanno divertenti. Perdendo 4 delle ultime 5, i Nets sono riusciti nell’intento di scivolare al sesto posto per evitare i Bulls al primo turno, indigesti il giusto (vedi playoff 2013). L’hanno notato – oh, se l’hanno notato – anche a Toronto, dove devono avere gradito il giusto l’idea di essere squadra “morbida” per quelli capitanati dal russo gazilionario. Mentre il tabloid cittadino usciva col titolo “Raptors vs. Dinosauri” (ironizzando sull’età di Garnett e Pierce), riassumeva tutto nell’arringa prepartita all’esterno dell’Air Canada Centre il GM di Toronto: “Fuck Brooklyn” (e contestuale assegno di 25.000 $ versato nella casse della Lega). Le due squadre non si amano, e i motivi non mancano: il playmaker dei canadesi, Kyle Lowry, è convinto che a New Orleans, allo scorso All-Star Game, avrebbe dovuto essere tra i convocati a Est. Al suo posto tra le guardie, invece, c’era un certo Joe Johnson, che ora ritrova da avversario. Si ritrovano anche i due allenatori, Dwane Casey e Jason Kidd. Assieme hanno vinto un titolo NBA, a Dallas: il primo era assistente, il secondo era il suo playmaker. Quello tra Raps e Nets, come già accennato, è uno scontro che si può facilmente riassumere in gioventù vs. esperienza, con Lowry, a 28 anni, veterano del suo quintetto ma sempre più giovane dei vari Deron Williams, Joe Johnson, Paul Pierce e Kevin Garnett. A proposito: questi ultimi due, da soli, hanno in archivio 267 partite di playoff, quando ne conta 24 tutto il quintetto dei Raptors e 156 l’intero roster. In America è chiamata “second season” – perché coi playoff cambia davvero tutto, quello che va in scena sembra a tratti un altro sport – e le vecchie volpi dei Nets ci arrivano sulla scia di un 2014 fantastico (33-13 se si eccettuano le sconfitte programmate dell’ultima settimana). Non da meno però i Raptors, che da Natale in poi hanno collezionato 37 vittorie e solo 18 sconfitte (67.3%), trovando una magica alchimia interna dopo la dipartita della loro presunta superstar Rudy Gay. Altri motivi per scegliere questa serie sul vostro League Pass? Per “The Truth”, sempre (controllare gli ultimi minuti di gara-1). Per vedere DeMar DeRozan, in grande crescita durante l’anno, al momento della verità. Per Shaun Livingston, alla sua miglior stagione nella Lega sette anni dopo il tremendo infortunio che ha rischiato di non farci mai vedere uno dei talenti più puri dell’ultimo decennio. Per il duello tra Garnett e Valanciunas: KG storicamente “odia” i lunghi di provenienza europea e il lituano sembra preda gustosa (ma occhio a non sottovalutarlo). Detto tutto questo: una previsione? Difficile, davvero. In stagione Toronto e BK si sono divisi, due per parte, le quattro sfide dirette, tre delle quali decise da un totale complessivo di sette punti. Sembrerebbe la serie perfetta per rompere la monotonia del “passa il più forte”, pronosticando l’upset degli esperti Nets contro i canadesi. Si sorprenderebbero in pochi, ma io vado controcorrente: per una volta la gioventù batte l’esperienza, la spunta Toronto. O forse no.

Chicago Bulls - Washington Wizards Solo quattro giorni fa avrei avuto pochissimi dubbi: passa Chicago, non si discute. E non perché non mi piacciano quelli della capitale, anzi. Son giovani, carini ma avrei detto presto disoccupati. La ricetta del successo Bulls? La solita: la rocciosa difesa organizzata da coach Thibodeau attorno al Difensore dell’Anno Joakim Noah e a un’esperienza maggiore nei ruoli chiave. Nessuno discute il talento – soprattutto offensivo – di Wall&Beal (per dire: sicuramente superiore a quello della coppia dietro Hinrich-Butler dei rosso-neri) ma lo scotto dell’esordio in postseason storicamente si paga e se c’è una squadra che non fa sconti quella è Chicago. Oggi, dopo aver violato due volte su due il parquet dello United Center, tutti i pronostici devono andare in direzione Wizards, ma per coerenza fatemi restare aggrappato alla mia idea iniziale: miracolosa rimonta Bulls e upset scampato. Certo che con così poco talento a roster, lontani comunque non possono sperare di andare. WESTERN CONFERENCE

San Antonio Spurs - Dallas Mavericks Derby texano, ma tant’è, non posso farci niente: delle splendide otto a Ovest per me i Mavs sono la squadra meno sexy del lotto – e speravo, speravo, speravo in Phoenix fino all’ultimo e invece no. Vabbé, poco cambia, entrambe sarebbero state vittime immolate a quella gioiosa macchina di pallacanestro chiamata San Antonio Spurs. Già, a mani basse, la miglior squadra dell’anno (75% abbondante di vittorie, con un successo in più – a quota 63 – avrebbero eguagliato la loro miglior stagione di sempre), dall’All-Star Game in poi sono ulteriormente saliti di colpi: 24-5 il record (quasi l’83%), un assurdo net rating di 9.9 e l’impressione, nel mentre, di non sforzarsi neppure (nessuno sopra i 30 minuti a partita di utilizzo in stagione, perché i “Big Three” hanno un’età, si sa). No, neppure WunderDirk capace di scalzare “Big O” Oscar Robertson dalla top 10 dei migliori marcatori all-time della Lega potrà farci nulla. Gli Spurs avanzano al secondo turno.

Oklahoma City Thunder - Memphis Grizzlies L’abbiamo sentita molte volte la storia che gli OKC Thunder sono stati costruiti per cercare di replicare il cammino dei San Antonio Spurs. Ora: playoff 2011, Spurs testa di serie n°1, Grizzlies n°8. Ve lo ricordate com’è andata a finire? Oggi Memphis si presenta con la n°7, OKC con la 2, ma poco cambia – e se non è puzza, un vago odore di upset si respira, nell’aria. A dire il vero, poi, in quel 2011 fu proprio OKC a eliminare in sette combattutissime partite i sorprendenti giustizieri degli Spurs ma se è per questo non più tardi dell’anno scorso i Thunder hanno dovuto dire addio alle speranze di titolo proprio per mano di Z-Bo e Gasol. Oggi tutti, e giustamente, fanno notare come dodici mesi non fosse in campo Russell Westbrook (messo K.O. dal tackle di Patrick Beverley al primo turno), ma che i Grizzlies possano essere cliente scomodo non si può negare. I miei personali riflettori sono puntati proprio sul californiano n°0 di OKC – nei 48 minuti in campo e poi pure in quei 5/10 di post, al tavolo della conferenza stampa (facci divertire, Russ!). L’ago della bilancia della serie a mio avviso sarà lui: sotto esame la sua capacità di giocare all-out ma allo stesso tempo sotto controllo, la sua abilità nell’alternarsi in maniera intelligente a Durant nel guidare la squadra, il suo rendimento nel duello di ruolo contro l’ottimo Mike Conley. Poi rimangono tutti da vedere, in ordine sparso: lo show di KD35 ogni volta che tocca palla (rapida capatina su youtube per vedere il canestro da tre con fallo realizzato in gara-2, in caduta, col corpo orizzontale al parquet, dall’estremo angolo di campo); la sfida tra pesi massimi sotto canestro (Randolph/Gasol vs. Ibaka/Perkins); la furia di Tony Allen in difesa; la caccia al record di Robert Horry di Derek Fisher (se va a referto in quattro gare diventa il giocatore con più partite di playoff disputate nella storia della Lega); lo scontro tra due stili di basket diversissimi (terzi per numero di possessi a partita i Thunder, che vogliono correre e alzare il ritmo, ultimi i Grizzlies) e quello tra un allenatore esordiente (Joerger) e uno già più abituato ai playoff (Brooks). No, questo upset 7-batte-2 non dovrebbe succedere: quelli del Tennessee, solo l’anno scorso la miglior difesa NBA con l’eccezione degli ovvi Indiana Pacers, pur restando tosti a questo giro concedono 5 punti in più di media agli avversari (scusante: a lungo hanno dovuto fare a meno di Marc Gasol). Contando che pure in attacco non ricordano i Lakers dello Showtime (sempre su 100 possessi, segnano 5 punti in meno dei Thunder), il pronostico dovrebbe essere più chiuso di quello fin qui fatto immaginare. Ma sono già alla sesta previsione su otto serie e non ho ancora sfoderato un upset. Vado? Vado. Passa Memphis e l’eliminazione di OKC è un’atomica sul progetto Thunder, che salta totalmente per aria (via Brooks, nessun punto fermo per il futuro tranne l’ovvio Durant). Dite che ho esagerato?

Los Angeles Clippers - Golden State Warriors Per me il derby californiano è la serie più sexy di tutto il primo turno. Le statistiche parlano del primo attacco NBA (i Clippers, oltre 109 punti su 100 possessi) contro la terza miglior difesa (i Warriors — non ve l’aspettavate, eh? — un filo sotto i 100 subiti, sempre su 100 possessi). Ma per giustificare l’assunto d’apertura bastano due nomi, quello di Chris Paul e di Steph Curry — e l’idea che spesso si ritroveranno direttamente uno di fronte all’altro. Quando ha visto la maglia n°30 dei Warriors, il primo in stagione ha banchettato (28, quasi 13 assist e 4 recuperi di media, col 47% al tiro) ma conosciamo tutti la capacità di prendere fuoco e risolvere una partita di Mr. Curry (e del suo compagno di reparto Klay Thompson). Probabile che a risolvere la serie siano gli altri — e allora facciamo i conti. Gli angeleni possono contare su Blake Griffin (primo nome in lista dietro la coppia Durant-James nella corsa a MVP stagionale?), su un migliorato DeAndre Jordan e su una coppia di scorer/tiratori che perfino gli altri potrebbero invidiare, come Jamal Crawford & J. J. Redick. All’ombra del Bay Bridge, invece, devono fare a meno (costola fratturata) di Andrew Bogut, unico vero giocatore capace di dare una presenza ‘dentro’ alla squadra, e si ritrovano pure un Andre Iguodala un po’ acciaccato e un Harrison Barnes mai più tornato ai livelli dei playoff 2013 (non che sia escluso un revival per l’edizione 2014, però). Dal 1 gennaio, solo gli Spurs (e per un’unica vittoria in più) hanno fatto meglio dei Clippers in tutta la NBA: io un secondo turno di playoff senza i Velieri non riesco a immaginarlo.

Houston Rockets - Portland TrailBlazers Uno dei miei giocatori preferiti (“il Barba”, James Harden) contro una delle mie città USA preferite (maledetti, hanno tolto la NBA da Seattle e prima ancora da San Diego…). Anzi, le peluria incolta del primo, combinata a una coolness senza eguali nella Lega d’oggidì — unico possibile erede dell’indimenticato e indimenticabile Baron Davis — potrebbero valergli le chiavi della città dell’Oregon dove “young men go to retire”. In generale, questo scontro 4 vs. 5 è una serie che dovrebbe far divertire tantissimo se si ama più il basket offensivo che quello difensivo. Houston in particolare ha il terzo miglior attacco NBA, è nella top 5 per ritmo offensivo (numeri di possessi) e guida la Lega per punti ricavati da situazioni di contropiede. Il tutto avendo Dwight Howard — ehi, we’re talking about Dwight Howard! — in quintetto (se sentite un fischio, è lo stesso che rimbomba nelle orecchie di Mike D’Antoni). Gli altri — almeno fin quando tutto ha funzionato alla perfezione, ovvero prima del nuovo anno (25-7 nel 2013, seguito da un ben più modesto 29-21 nel 2014) — non sono stati poi così lontani da queste vette di eccellenza, ai primi posti per produzione offensiva e incidenza del tiro da tre punti in tutta la Lega. Nelle pieghe ci sarebbe da seguire anche l’entrata in società di Sir Damian Lillard e la sfida dei big men, LaMarcus Aldridge vs. “Superman” Howard. Dopo i 46&18 (!) del primo all’esordio nella serie, il soprannome del primo potrebbe essere “Kryptonite”, ma la serie è lunga e prevederne l’esito è quasi impossibile. Dico Houston in sette, con tanta fatica, ma potrei facilmente essere smentito. Non sarebbe la prima, né l’ultima volta.

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