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Come la Russia sta utilizzando il calcio per occupare l'Ucraina
04 dic 2025
Nelle regioni ucraine occupate il regime di Putin sta provando ad appropriarsi dell'identità calcistica del Paese.
(articolo)
11 min
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Il 16 luglio del 2023 nella sezione B della Vtoraja liga Rossii - in inglese: Russian Second League; l’equivalente della nostra Serie C - vengono giocate due partite anomale. Il FC Sevastopoli batte l’SKA Rostov per 3-1, in casa, e il Rubin Yalta pareggia con il Biolog per 1-1. Cosa c’è di strano? Apparentemente nulla, a parte il fatto che il Sevastopoli e il Rubin Yalta giochino in un campionato russo.

Fino a pochi mesi prima entrambe giocavano nella Crimean Premier League, un campionato creato con il consenso della UEFA, a seguito dell’invasione della penisola nel 2014 da parte dell’esercito russo. La confederazione europea di calcio, con questa mossa, voleva evitare che l’annessione militare venisse legittimata anche nello sport, e soprattutto che il calcio in Crimea sopravvivesse. Le squadre ucraine con base in Crimea, infatti, si erano ritrovate da un giorno all’altro su un territorio che era diventato russo. Che fine avrebbero fatto?

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Il passaggio definitivo del FC Sevastopoli e dello Rubin Yalta alla Russia avviene come effetto collaterale dell’invasione dell’Ucraina, partita nel febbraio del 2022. La FIFA e la UEFA, a seguito dell'azione militare di Mosca, estromettono i club e la Nazionale russa dai propri tornei e spostando la finale di Champions League da San Pietroburgo a Parigi. E Mosca a sua volta reagisce decidendo di non rispettare gli accordi presi sulla Crimean Premier League e iscrivendo di conseguenza i due club al campionato russo.

Se sul campo da calcio il Cremlino cerca di normalizzare l'occupazione, con la diplomazia prova a renderla definitiva. Nelle ultime settimane la guerra in Ucraina è tornata al centro dell’attenzione, a causa della prima bozza del piano di pace, e delle molte discussioni a riguardo. Uno dei 28 punti di questo primo testo, che difficilmente diventerà mai realtà ma che è interessante comunque guardare per capire le volontà del regime di Putin, prevedeva che i territori di Crimea, Luhansk e Donetsk venissero riconosciuti come russi. Proposta che inevitabilmente ha fatto infuriare il governo di Kiev e il suo presidente. «L’Ucraina potrebbe trovarsi di fronte a una scelta molto difficile», ha detto Volodimir Zelensky «Perdere la dignità o rischiare di perdere un partner fondamentale».

Difficile sapere oggi come andrà a finire questa storia, se l’Ucraina riuscirà a mantenere al proprio fianco il proprio alleato più importante (cioè gli Stati Uniti) e con esso anche la dignità. Nel frattempo, però, il progetto di Mosca di utilizzare il calcio come uno strumento di legittimazione territoriale va avanti.

CHE COS'È LA CRIMEAN PREMIER LEAGUE
Subito dopo l'annessione militare del marzo 2014, l'euforia nazionalista russa contagia anche il calcio. Mosca non perde tempo e iscrive tre club della Crimea alla seconda divisione russa: il Tavriya Simferopol, il PFC Sevastopol e lo Zhemchuzhina Yalta. L'obiettivo è quello di trattare da subito la Crimea come un qualsiasi altro distretto federale russo. La federazione calcistica ucraina (UAF) non ci sta e decide di fare appello sia alla UEFA che alla FIFA, denunciando la situazione e sottolineando come il club di una federazione non possa giocare nel campionato di un'altra, senza che la prima lo permetta.

La situazione, per UEFA e FIFA, non è semplice da gestire. Che atteggiamento utilizzare con Mosca? Accettare l’iniziativa della federcalcio russa equivarrebbe a riconoscere l’annessione militare della Crimea, scelta inaccettabile alla luce del diritto internazionale e che indispettirebbe una buona parte delle federazioni che le compongono. D’altra parte, però, mancano soli quattro anni dall’inizio dei Mondiali russi del 2018 e una reazione troppo dura potrebbe far saltare il più importante torneo di calcio del mondo.

Il 4 dicembre 2014 la UEFA vieta ai club della Crimea di partecipare alle competizioni organizzate dalla federazione calcistica russa. Ma la decisione più importante riguarda il futuro di queste squadre. La Crimea viene infatti designata come "zona speciale per il calcio" ("special zone for football purposes", nel comunicato in inglese). Cosa significa? Da quel momento il calcio nella penisola sarebbe stato gestito dalla UEFA, che avrebbe anche finanziato lo sviluppo giovanile. È un compromesso che cerca di non ferire nessuno ma che allo stesso tempo decreta l’isolamento del calcio della Crimea. I club non sono più ucraini, ma neanche russi. Diventano, calcisticamente parlando, apolidi.

Viene quindi creata la Crimean Premier League (CPL), un campionato composto da otto squadre che devono incontrarsi quattro volte durante la stagione, per dare vita a un numero sufficiente di partite. I club non si possono qualificare alle competizioni europee e i giocatori non vengono inclusi nel transfer system della FIFA, il sistema digitale del calciomercato globale. A tutti gli effetti si tratta di un campionato fantasma, che tra l'altro per paradosso viene tenuto in vita solo grazie ai finanziamenti sottobanco della Russia.

Inevitabilmente però la qualità delle partite e delle infrastrutture lascia molto a desiderare. Senza la prospettiva di misurarsi con l'esterno, il livello tecnico crolla e gli stadi si svuotano. Nel 2024 l'affluenza media scende a 328 spettatori a partita. Il TSK-Tavriya è la squadra più seguita e gioca davanti a una media di 900 persone. Altre squadre, come l'Inkomsport, attirano una cinquantina di spettatori. Numeri da calcio amatoriale. «Oggi il calcio in Crimea esiste semplicemente, ma non si sviluppa», dichiara nel 2022 Valery Chaley, amministratore delegato del FC Sevastopol. 

Insomma, è difficile considerare la Crimean Premier League un successo. Se lo si guarda da un punto di vista sportivo almeno. Ma lo sport non è ciò che interessa alla Russia per questo progetto. Tant’è che lo ripropone molto simile per scopi che non hanno nulla a che fare con il calcio.

LA CHAMPIONSHIP SODRZHESTVO
Annunciata nel 2022 e operativa dal 2023, la Championship Sodruzhestvo è di fatto un campionato che riunisce i territori conquistati dalla Russia negli ultimi anni di guerra. Nella sua assurdità è un’entità che ci permette anche di fare un esercizio complesso: guardare le cose dal punto di vista russo.

Il nome Sodruzhestvo evoca la "comunità degli Stati indipendenti" post-sovietica, conosciuta con l’acronimo SNG (Sodruzhestvo Nezavisimykh Gosudarstv), formata dalle repubbliche socialiste sovietiche che si distaccarono dall’URSS dopo il suo collasso. In questo caso, come detto, fa invece riferimento ai territori conquistati dalla Russia di Putin. Quindi le squadre di Donetsk, Luhansk, Crimea, Kherson, Zaporizhzhia, e poi le regioni separatiste georgiane di Abkhazia e Ossezia del Sud, in Georgia.

Per Mosca, tutte queste regioni fanno ormai parte della Russia, anche se non lo sono formalmente e non sono riconosciute come tali dalla comunità internazionale. Tra l’altro, nemmeno internamente le cose sembrano funzionare troppo bene, perché a questo campionato hanno preso parte solo le squadre ucraine e non quelle georgiane (per motivi che non sono riuscito a ricostruire).

Ma come si gioca a calcio in una zona di guerra? La maggior parte delle partite della Championship Sodruzhestvo non si disputano negli stadi di casa delle squadre. Donetsk e Luhansk sono troppo vicine al fronte; Kherson è solo parzialmente sotto controllo russo, ma ancora sotto tiro. Così, la lega è diventata una sorta di circo. Le squadre sono "nomadi", costrette a giocare le loro partite casalinghe in Crimea (spesso a Yevpatoria) o nelle regioni russe di confine, come Rostov.

Il 10 ottobre scorso si è conclusa la terza stagione della Championship Sodruzhestvo. La vincitrice, con 49 punti conquistati su 54 disponibili, è stata lo Shakhter Donetsk. Sì, Shakhter e non Shaktar. Quella “e” non è un errore di battitura.

LE SQUADRE "CLONI"
Sì, perché tra gli strumenti utilizzati dalla Russia per legittimare la propria conquista attraverso il calcio c’è anche quello del furto dell'identità dei club storici ucraini. Mosca di fatto non vuole cancellare la memoria del calcio ucraino: vuole appropriarsene e riscriverla a proprio piacere.

Partiamo dallo Shakhtar Donetsk, il gioiello del calcio ucraino, squadra che eravamo abituati a vedere nelle partite di Champions League. Vincitore della Coppa UEFA nel 2009, dominatore del campionato ucraino e fabbrica di talenti. Dal 2014, per via della guerra che nel frattempo ha portato i russi a controllare la città di Donetsk, è un club in esilio. Ha dovuto giocare a Lviv, a Kharkiv e a Kiev. In questa stagione sta giocando le sue partite casalinghe di Conference League a Cracovia, in Polonia. E mentre lo Shakhtar cerca in tutti i modi di sopravvivere, a Donetsk la Russia ha creato un clone, lo Shakhter Donetsk per l’appunto.

Sembra un’operazione di plastica con poca aderenza alla realtà ma per chi vive, e soprattutto per chi vivrà in quelle regioni il discorso cambia radicalmente. Per un bambino di Donetsk di dieci anni che non ha mai visto il calcio prima del 2014 il "vero" Shakhtar non sarà quello costretto a giocare lontano da casa, ma quello di cui invece sente parlare ogni giorno. D’altra parte il calcio è troppo legato alle sue radici territoriali: quanto può sopravvivere, almeno nella forma attuale, una squadra costretta a giocare lontano dalla propria città?

Dopo lo Shekhtar, c’è la storia della Zarya Luhansk. Anche in questo caso la differenza è minima, una lettera soltanto. Zarya invece di Zorya. Una sfumatura che è soprattutto linguistica, e quindi anche politica, soprattutto nel contesto della guerra in Ucraina: entrambe le parole significano "alba", ma Zarya segue la grafia russa, mentre Zorya quella ucraina. Il vero Zorya Luhansk è il terzo club più importante ucraino. Anch’esso in esilio, costretto a giocare le partite lontano da casa.

Quello che colpisce di più della storia dello Zarya Luhansk, quindi il suo clone russo, è il fatto che alla sua creazione abbia contribuito Stanislav Oganov, l'ex direttore generale del “vero” Zorya, quello ucraino. Oganov ha lavorato con il club ucraino fino al 2022, per poi decidere di disertare e tornare a Luhansk per mettere la sua esperienza al servizio degli occupanti. Il tradimento, però, non ha pagato: i risultati sul campo sono stati disastrosi. Lo Zarya ha concluso la stagione al penultimo posto con soltanto 2 vittorie e 2 pareggi.

Poi c’è il caso del Tavriya Simferopol. Squadra storica del calcio ucraino, la prima a vincere il titolo nazionale dell’Ucraina indipendente, nel 1992. Traguardo ancora più importante se si considera che nei tre decenni successivi il campionato sarebbe stato un duopolio tra Shakhtar Donetsk e Dinamo Kiev. Dopo il 2014 il club è stato costretto a fuggire in esilio a Beryslav, nella regione di Kherson, diventando il club dei rifugiati della Crimea e costretto a ripartire dal campionato amatoriale. L'invasione del 2022, però, ha portato via anche le ultime speranze di sopravvivenza. Il vero Tavriya non è stato in grado di andare avanti e ha cessato di esistere. In Crimea, intanto, è nato il TSK-Tavriya, che ne ha preso i colori, lo stemma e lo stadio dei vecchi proprietari e ora è a tutti gli effetti l’unico Tavriya esistente.

PROPAGANDA E REALTÀ
Tutte queste sono operazioni politiche, abbiamo detto, ma quali risultati stanno producendo sul campo? La Russia è riuscita a creare un ecosistema mediatico autosufficiente. Per il consumatore medio di notizie russo, la narrazione è coerente. Ora le squadre dei territori conquistati non giocano più per il campionato ucraino e i club cloni servono a colmare il vuoto. E se nella proposta definitiva del piano di pace il punto menzionato all’inizio dovesse essere ancora presente, dalle parti di Mosca potrebbero dire che tutto quello fatto tramite il calcio ha funzionato.

Se guardiamo alla realtà sportiva e sociale, però, l'operazione è un fallimento totale. I dati sull'affluenza sono una cartina tornasole. 300 persone a partita in Crimea, stadi vuoti nel Donbass. Inoltre, le squadre "integrate" sono di livello basso. D’altra parte, stiamo parlando di zone di guerra che hanno pagato un costo enorme sia da un punto di vista umano che economico. Come si può sviluppare il calcio in questa situazione? Ci vorranno anni e non abbiamo ancora un accordo di pace. Il Rubin Yalta, che è il meglio che la Crimea può offrire, al momento è una squadra di Serie C russa. Lo Shakhter è una squadra amatoriale. La regione del Donbass è stata ridotta a una periferia calcistica irrilevante. Nonostante i tentativi del governo russo, nessun club di spicco (Zenit, Spartak, CSKA) ha accettato di giocare ufficialmente in Crimea o nel Donbass.

L'integrazione è avvenuta solo al livello più basso, dove sarà difficile far sopravvivere il calcio senza le sovvenzioni statali. E anche se la guerra dovesse fermarsi domani: quanto vorrà investire la Russia in queste squadre? E per quanto tempo? Una volta che la propaganda avrà esaurito i suoi compiti di cartapesta difficilmente rimarrà qualcosa di concreto.

La guerra si combatte per il controllo fisico del territorio, ma ci si dimentica che contemporaneamente quel territorio lo distrugge, lasciando ben poco spazio per le cose più futili che compongono l’essenza della vita, come il calcio. Mosca oggi pensa di poter usare il calcio per estendere il proprio controllo sulle regioni orientali dell’Ucraina e magari qualcuno le farà anche credere che sia una buona idea. Nel frattempo però il calcio vero, insieme a tutto il resto, sarà già scappato via da queste regioni, martoriate da un’invasione brutale.

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