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Marco Gaetani
La guerra Simoni-Cunego al Giro d'Italia del 2004
29 mag 2024
29 mag 2024
Uno dei momenti più tesi nella storia della "corsa rosa".
(di)
Marco Gaetani
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IMAGO / Isosport
(foto) IMAGO / Isosport
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Per quasi tre anni, dal tentativo di far saltare per aria il Tour de France del 2000 con un attacco folle a 130 chilometri dal traguardo di Morzine, del Pantani eroico non erano rimaste che le scritte sull’asfalto, un ricordo allo stesso tempo potentissimo e ingiallito. Il ciclismo aspettava il ritorno dell’eroe, un’attesa eterna, lacerante. Poi, di colpo, il 23 maggio 2003, l’illusione.

Per la prima volta nella sua storia, il Giro d’Italia affronta il mostro, il Monte Zoncolan. Tutti si aspettano il tracollo di un Pantani crepuscolare, invece "il Pirata" tiene, perde soltanto una quarantina di secondi da Gilberto Simoni. È un segnale, impercettibile, di speranza. Sei giorni dopo, cadendo sui tornanti della discesa del Sampeyre, seduto su un masso gigante ai bordi della strada, Pantani piange le ultime lacrime da corridore che gli sono rimaste. Il 30 maggio, con il Giro praticamente finito e Simoni forte di quasi otto minuti di vantaggio sul secondo (Stefano Garzelli), Pantani prende il volo sulle rampe che portano alla Cascata del Toce. Uno scatto secco, tale da giustificare entusiasmi insensati, a quattro chilometri e spicci dal traguardo. Il primo attacco viene ricucito senza troppi problemi, Pantani si mette in testa a fare l’andatura, rilancia più volte. Alle sue spalle appare la sagoma rosa di Simoni mentre Garzelli inizia ad arrancare. Il terzo scatto sembra quello buono, a 3 chilometri dalla vetta. Non trovando alleati occasionali, Simoni decide di rispondere in prima persona, da tiranno. La vincerà, quella tappa, sigillo finale su un Giro d’Italia dominato.

L’8 maggio del 2004, a Genova, comincia il primo Giro senza Pantani, che se ne è andato qualche mese prima lasciando sotto shock tutti quelli che per anni lo avevano amato, chiedendosi anche, con un pizzico di malinconia, come sarebbe andata se quel giorno Simoni non avesse risposto all’attacco, se avesse concesso in maniera magnanima la passerella al grande campione. Domande inutili, dolorose, persistenti e implacabili. Il Giro riparte, dunque, e "Gibo" è ancora il favorito assoluto, anche se fino a quel momento non ha ancora vinto una corsa in stagione. Ma sulle strade in rosa sta per apparire il fantasma di Pantani. Perché per tre settimane, le più belle della sua vita, Damiano Cunego correrà con la leggerezza del "Pirata", cioè dell’uomo che era stato il suo mito. C’è solo un problema: milita nella stessa squadra di Simoni.

L’avvicinamento

Il 2004 di Cunego è partito bene. Festeggia al Giro del Trentino, al Giro dell’Appennino, al Gran Premio Industria e Artigianato. Ha 22 anni, è descritto in maniera quasi unanime come un talento generazionale. I vertici della Saeco devono maneggiarlo con cura, però, soprattutto in vista di un Giro d’Italia in cui tutto dovrebbe pendere dalla parte di Simoni, uno dei migliori scalatori della storia del ciclismo italiano, all’apice della carriera. "Gibo" è il capitano, Cunego assume da subito i contorni del Piano B. A Simoni, tutto sommato, non dispiace: ha un compagno di squadra di altissimo livello che decide di mettersi in mostra da subito, togliendogli un po’ di pressione.

La vigilia racconta di un probabile duello Simoni-Garzelli, i due principali favoriti. Ma Simoni avrebbe in testa anche un po’ di Tour de France e per questo si avanzano dubbi sulla sua condizione fisica al via. «Ho intenzione di correre il Tour da protagonista, non di esserlo solo in una tappa. Arrivo con minor smalto, sono partito con un ritmo più blando rispetto al passato ma so assumermi la responsabilità: so di essere il favorito. Ma so anche che non sarà una passeggiata», dice prima della partenza da Genova. Cunego è già un elefante nella stanza, ma Simoni non sembra accorgersene: «Damiano è una bella rivelazione. Averlo in squadra è un grande vantaggio per me: non dimentichiamo che il capitano della Saeco sono io e che giorno dopo giorno studieremo le tattiche migliori. A Damiano non si deve chiedere la luna, sta maturando. Noi rivali? Ci mancherebbe altro: vestiamo la stessa maglia, abbiamo interessi comuni. Un anno fa avevo qualche conto in sospeso e ho voluto strafare. Quest’anno mi basta vincere, senza bisogno di dominare».

La Novi Ligure-Pontremoli, seconda frazione in linea del Giro, sembra disegnata per Cunego, che incassa il via libera di "Gibo". Damiano brucia Philippe Gilbert e Bradley McGee, che aveva già vinto il prologo genovese e si riprende la maglia rosa ceduta solo per un giorno a Olaf Pollack. «Resto con i piedi per terra, questa vittoria arriva per il grande lavoro svolto dalla squadra. Il mio compito è stare il più possibile vicino a Simoni», dice Cunego con quella faccia da ragazzino che gli varrà il soprannome di "Piccolo Principe".

È una partenza di Giro anomala per quelli che sono gli standard di quel periodo, le prime salite arrivano subito, il circoletto rosso degli esperti è piazzato sulla tappa che arriva al Corno delle Scale, dopo quasi tredici chilometri di ascesa: «Damiano è un ragazzo scaltro ma onesto, abbiamo accordi e strategie precise», garantisce Gibo alla vigilia. E Cunego stavolta lavora effettivamente per Simoni, a tre chilometri dal traguardo piazza uno scatto che fiacca le gambe del gruppetto rimasto in testa. Gilberto resiste e scappa via, andandosi a prendere tappa e maglia rosa. Cunego, però, è convinto di avere le gambe necessarie per resistere: non ci prova nemmeno a rispondere, ma capisce che questo Giro d’Italia potrebbe essere l’occasione della vita. In classifica generale, al secondo posto, c’è proprio Cunego.

A far nascere il dubbio, a seminare l’insidia, è quello che succede dopo la tappa. «Se Damiano avesse avuto la gamba buona, sarebbe venuto via con me. È giovane, ha firmato un contratto che lo lega per altri due anni alla Saeco. Arriverà un giorno in cui gli insegnerò come si vince un Giro d’Italia», dice Gibo. Simoni ha rifilato a Garzelli 34 secondi oltre all’abbuono, è un piccolo mattone sulla strada che può portare alla vittoria finale. Ma appare molto nervoso, specialmente quando gli chiedono per quale motivo non abbia controllato l’eventuale presenza di Cunego alla sua ruota: «Avevo paura di Popovych e Garzelli, non certo di Cunego, che in questi tempi vincendo mi ha tolto tante castagne dal fuoco. A tre chilometri dal traguardo non hai tempo per pensare, vai e basta». Cunego incassa silenzioso, il ruolo lo impone: «Ho aperto la strada a Simoni e sono rimasto a controllare Popovych e gli altri».

Il piano della Saeco prevede che il simbolo del comando non rimanga troppo sulle spalle di Simoni. Il giorno del passaggio di consegne è il 15 maggio, settima tappa in linea, 214 chilometri da Frosinone a Montevergine di Mercogliano. Giuseppe Martinelli, direttore sportivo della Saeco, prende da parte Cunego, gli mostra per l’ennesima volta il finale di tappa. Prevede un arrivo a gruppetto ridotto, una dozzina, 15 corridori al massimo: il terreno ideale per uno come Cunego, al punto che Simoni partecipa all’attacco del compagno, lo prepara persino. Tutto va come deve andare. È il giorno in cui la Saeco affronta la tappa con una bizzarra maglia bianco e nera a bande orizzontali, "da carcerati", titolano i giornali: sul petto svetta la scritta "Legalize my Cannondale", in riferimento alle bici realizzate dallo sponsor che fornisce i mezzi anche alla Saeco, ritenute troppo leggere e per questo motivo fuorilegge dall’UCI.

È anche il giorno in cui Mario Cipollini paga lo scotto di una brutta caduta e decide di lasciare il Giro, di fatto l’ultimo della sua carriera se non si considera la comparsata al prologo di Reggio Calabria del 2005, corso esclusivamente come passerella. Nei 17 chilometri di ascesa verso il santuario di Montevergine, Cunego francobolla Figueras, che prova tre volte a scappare via, senza riuscirci. E lo stesso fa con Garzelli, attaccandosi alla sua scia nel momento in cui è Simoni a forzare la mano. Quindi, a duecento metri dal traguardo, parte dal gruppetto come un tappo di champagne la notte del 31 dicembre, bruciando McGee, Pellizotti e Figueras. Cunego è raggiante, Simoni è interdetto: «Finora Damiano è andato fortissimo, mi auguro che riesca anche ad andare piano e che, nei prossimi giorni, mi restituisca la maglia rosa». Il nuovo leader della classifica generale tiene il profilo basso: «Quando il Giro entrerà nella fase cruciale, mi metterò a disposizione di Gilberto. Per vincere occorrono esperienza e maturità fisica, cose che lui ha già, non a caso di Giri ne ha vinti due. Io devo crescere e maturare, ho la fortuna di avere un capitano come lui: pedalandogli accanto cerco di imparare». È la prima maglia rosa della sua vita, raggiunta a soli 22 anni.

Il piano sembra chiarissimo: la terrà, tappe alle mano, fino alla cronometro di Trieste, tredicesima frazione del Giro 2004. In mezzo, una distesa di arrivi progettati per esaltare la potenza di Alessandro Petacchi, che vince tre volte e centra un secondo posto in cinque tappe. L’unica che prende una strada diversa è quella con arrivo a Cesena, nel giorno del ricordo di Marco Pantani. La Saeco controlla una tappa vinta da Emanuele Sella con margine tollerabile (al traguardo saranno 49 i secondi sul gruppo maglia rosa) e mette persino in difficoltà Garzelli, che è sesto in classifica generale, con l’andatura imposta per evitare che l’attacco di Sella generasse un gap troppo ampio.

Come facilmente prevedibile, la crono di Trieste sconquassa gli equilibri. La tappa se la aggiudica Honchar, che per soli tre secondi non prende la vetta della generale. Il nuovo leader è Yaroslav Popovych, ucraino di Kalinov, l’inizio di carriera a dodici anni in pista e l’abbandono repentino («Non potevo permettermi i guanti»), un altro astro nascente del ciclismo mondiale, terzo sulle strade in rosa l’anno precedente alle spalle del duo Simoni-Garzelli e destinato all’approdo in Discovery nel 2005, la corazzata di Lance Armstrong. "Gibo" scivola in discesa, perde 2’31” da Honchar e si ritrova a 1’27” dalla maglia rosa, Cunego 3’02”, finendo così a 1’48”. Nulla di compromesso in termini di classifica generale, ma comunque una bella mazzata. Simoni è convinto di avere in mano il Giro: «In montagna ci divertiremo».

La resa dei conti

Dopo la crono ci sono altre due tappe progettate per aumentare il bottino di Petacchi ma il 25 maggio si torna a salire: San Vendemiano-Falzes, 214 chilometri in cui si annida il desiderio d’imboscata. I giornali sono convinti che Cunego si metterà al lavoro per Simoni. Il Passo Furcia è la terza asperità di giornata dopo Forcella Staulanza e Falzarego-Valparola, le pendenze toccano il 16%, ma tra la vetta e l’ultimo passo di giornata, il Terento, ci sono quaranta chilometri malcontati di discesa e falsopiano. Non si vince da soli. Martinelli vuole affondare il bisturi nell’indecisione di Popovych, che teme soprattutto Simoni, e prepara la strategia insieme a Claudio Corti. Eddy Mazzoleni e Andrea Tonti vengono infilati con acume nella fuga del mattino, dando ordine a Simoni e Cunego di dare battaglia sul Furcia, lì dove Popovych rimane senza compagni e ricuce in prima persona il tentativo iniziale di Gibo, coadiuvato da Honchar e Belli. Quando parte Cunego, a 59 chilometri dal traguardo, nessuno ha le gambe per stargli dietro. A quel punto, Mazzoleni e Tonti si fermano, in maniera plateale, per aspettare il capitano in pectore. Scollina sul Furcia con 1’28” sul gruppetto di Popovych e Simoni, in discesa si fa scortare, sul Terento supera tutti i fuggitivi e arriva da solo al traguardo di Falzes.

È la terza vittoria di tappa nel suo Giro, quella che sposta gli equilibri. Simoni è nero: «Purtroppo è andata come pensavo. Io volevo un’altra corsa. Sfortunatamente, tutti hanno fatto quello che mi aspettavo. Avrei potuto scriverlo stamattina come sarebbe andata. L’eroe non è lui, ma tutti i compagni di squadra. Ci tenevo a vincere il Giro, ora l’importante è che finisca nelle mani della Saeco». E poi se la prende con Popovych e i suoi compagni: «Se avesse chiuso, avrei risposto io e gli avrei dato una bella legnata. Quando stamattina è partita la fuga dei 17 e nessuno dei loro si è mosso ho capito che rinunciavano a difendere la maglia rosa. Non va bene: la maglia devi difenderla e in questa corsa ci sono stati tatticismi e bluff. Non mi aspettavo che Garzelli e Popovych cedessero così». Gibo è ancora quarto in classifica, a 2’38” da Cunego. Il discorso non è ancora chiuso, almeno in teoria. Cunego dedica la vittoria a Pantani: «Era il mio idolo, vorrei dedicargli questo successo. Ho avuto fortuna perché "Gibo" era controllatissimo e mi ha lasciato via libera. Adesso faremo corsa parallela e vincerà chi andrà più forte. Lo vedo pedalare bene, resta un grande campione in corsa e fuori, un corridore che ha il senso della squadra».

La San Vendemiano-Falzes in versione condensata.

Mentre tutti dormono, a Falzes, godendosi il giorno di riposo previsto per il 26 maggio, i NAS fanno irruzione nelle camere di otto corridori. Due, Mazzoleni e Spezialetti, sono della Saeco. Gli altri sono Galletti e Scirea (Domina), Muraglia (Formaggi Pinzolo), Marzoli (Acqua&Sapone), Sacchi (Fassa Bortolo) e Masciarelli (Vini Caldirola). Le perquisizioni non portano a nulla. «Mi sono trovato davanti cinque agenti, dicevano: “Sapete cosa cerchiamo, dateci la roba”. Uno ha cominciato dal bagno, gli altri dalle valigie», racconta Scirea, quarantenne, il più “anziano” della carovana rosa. Alla stessa ora, alle quattro e mezza del mattino, i NAS si sono presentati anche a casa della moglie, e hanno fatto lo stesso anche con gli altri.

Il giorno di riposo vede dichiarazioni soft di Cunego e Simoni, che cercano di spegnere il fuoco creato attorno alla Saeco. Corti e Martinelli, invece, non parlano. Aspettano il responso delle grandi montagne: si parte giovedì 27 maggio con il Passo Mendola e la salita verso Fondo Sarnonico, il giorno successivo il tappone che vede il Tonale, il Gavia e Bormio 2000, quindi il sabato la sequenza di Mortirolo, Vivione e Presolana. Il dubbio è chiaro: Cunego, per quanto in grande forma, reggerà lo stress di una tre-giorni da incubo? È soprattutto questo interrogativo a tenere aperta la corsa, perché nessuno pensa che Simoni possa andare all’attacco fratricida. È il gigantesco, perenne paradosso del ciclismo, sport individuale che si corre con il supporto dei compagni: una dinamica persino difficile da comprendere per chi non ci finisce dentro.

Il profilo delle tre tappe decisive nell’infografica del Corriere.

La prima scivola via in maniera tutto sommato indolore, il caso nazionale diventa Pavel Tonkov, il vincitore della tappa. Il russo, 35enne, trionfatore del Giro 1996 e grande rivale di Ivan Gotti nel 1997 e di Marco Pantani nel 1998, arriva da solo al traguardo e si produce in un inequivocabile gesto dell’ombrello: «Mi avevano dato per finito, mi sono voluto riscattare, non avevo la fiducia di nessuno. Tutti pensano che sono vecchio e non ho più la condizione. Invece in questi anni ho avuto tanta sfortuna e adesso sono contento». Per Cunego c’è solo un piccolo spavento, un problema tecnico che lo costringe a rientrare faticosamente grazie all’aiuto di Mazzoleni: proprio in quel momento, Garzelli tenta un allungo che gli regala un vantaggio illusorio di trenta secondi, immediatamente riassorbito. Crolla, invece, Giuliano Figueras, che paga a caro prezzo i problemi di stomaco che lo hanno colpito nella notte: perde 14’ ed esce da una classifica generale che lo vedeva quinto alla partenza.

La tappa con arrivo a Bormio 2000 è quella che potrebbe decidere il Giro. Garzelli prova a far saltare il banco andandosene sul Gavia, a una sessantina di chilometri dal traguardo finale. Il gruppo dei fuggitivi di giornata è sgretolato, Garzelli trova qualche compagno occasionale sulla discesa, ma non è un’azione che può durare. La Saeco corre da padrona e non potrebbe essere altrimenti, azzerando la fatica di Garzelli. Si sale verso Bormio 2000, dunque, ed è Simoni a provarci. Cunego, ovviamente, non può rispondere: sarebbe troppo. "Gibo" crea un margine minimo e allora è Dario David Cioni, divenuto l’uomo di punta della Fassa Bortolo, a farsi carico dell’inseguimento. Cunego si mette educatamente a ruota con Honchar e Perez Cuapio, l’azione di Simoni, appena nata, è già finita. Si procede in fila verso il traguardo, a un certo punto Cunego si mette addirittura a tirare, ma a 200 metri dal traguardo riceve l’ordine di partire da Martinelli e piazza la stoccata che serve per vincere la tappa. "Gibo", all’arrivo, è furioso. Si avvicina a Cunego agitando un dito: «Ignorante! Sei un bastardo!». I due vengono divisi da Federico Borselli, uno dei meccanici della Saeco. Simoni non vuole parlare ai giornalisti, lascia solo un comunicato per conto terzi: "Gilberto fa sapere che le cose non sono andate come voleva, che avrebbe voluto vincere la tappa e che è contento solo per il risultato di squadra".

Cunego riceve i complimenti persino da Lance Armstrong, che in quei giorni sta preparando il Tour e si sta allenando sul vicino Mortirolo. I paragoni che lo travolgono in quelle ore sono pesantissimi, si va da Pantani a Merckx. C’è un’altra tappa di montagna, la Bormio-Presolana (122 km), il vantaggio su Honchar è di 1’31”, su Simoni di 3’07”. Sa di doversi guardare le spalle, perché adesso Simoni è un animale ferito. Sul Mortirolo è Garzelli ad attaccare: a ruota si ritrova subito una maglia rossa della Saeco, una dichiarazione di guerra. Cunego non muove un sopracciglio: è il leader della corsa a una tappa dal traguardo finale di Milano ma non può rispondere all’agguato di Simoni, il capitano designato a inizio Giro. «Martinelli mi diceva che tutto era sotto controllo», confessa a fine tappa. Ma in quei momenti deve assistere da lontano all’attacco a tre – c’è anche Valjavec con Garzelli e Simoni – e sperare che non succeda nulla di irreparabile.

In vetta al Vivione il vantaggio del terzetto lambisce i due minuti, il contro-golpe sembra possibile. Ma in discesa Cunego trova un alleato in Popovych, che si mette a fare l’andatura, e sulla Presolana a scortarlo a ritmi alti è Cioni, che vuole difendere a tutti i costi il quarto posto in classifica generale. Simoni rimane con un pugno di mosche: non vince la tappa, che va a Garzelli, e non sale nemmeno al secondo posto in classifica generale, con Honchar che resiste stoicamente mantenendo solamente tre secondi di vantaggio. Cunego gestisce il dopo-tappa con la serenità di chi sa di aver appena vinto il Giro: «Gilberto ha giocato la sua carta, mi spiace che non abbia centrato i due obiettivi. Gli insulti di Bormio? Ha avuto un momento di nervosismo, ci siamo chiariti, è inutile tornarci». Stavolta Simoni parla in prima persona: «Ci sono rimasto male quando mi è scattato in faccia. Ha voluto stravincere e non era proprio il caso. Visto come è andata la tappa di oggi, avrei dovuto fare la stessa cosa sul Gavia, seguire Garzelli: il Giro avrebbe potuto prendere un’altra piega. Non credo di aver fatto nulla contro Damiano. Ma certamente non è bello stare dietro e vedere la gente davanti che va. Io ero come incatenato. La costante di questo ciclismo però sono io: due Giri li ho già vinti». Anche a Milano mastica amaro, torna sull’epilogo di Bormio - «Con quello sprint ha voluto umiliarmi» - e sulla giornata di Falzes - «Quel giorno l’impresa l’hanno fatta Mazzoleni e Tonti che l’hanno aspettato» - ma poi sul podio alza il braccio di Cunego in segno di trionfo, a riconoscerne la vittoria.

Simoni arriverà secondo al Giro del 2005, battuto da Paolo Savoldelli, e non riuscirà a centrare il terzo Giro d’Italia della sua comunque straordinaria carriera. Cunego non vincerà mai più una grande corsa a tappe: farà suo per tre volte il Lombardia e una volta l’Amstel Gold Race, oltre all’argento mondiale nel 2008. Nella sua autobiografia ha raccontato anche il rapporto con Simoni. "Nessuno lo sa, ma i passeggini che ho utilizzato con i miei figli erano quelli che Gibo aveva utilizzato con i suoi: me li aveva regalati. Altro che rancore, una cosa del genere la fa solo il più leale degli avversari".

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