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Guardiola è tornato a premiare la creatività?
05 dic 2025
Il suo nuovo Manchester City valorizza di più le associazioni tecniche tra i suoi attaccanti.
(articolo)
9 min
(copertina)
IMAGO / Sports Press Photo
(copertina) IMAGO / Sports Press Photo
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Al quinto minuto di Manchester City-Liverpool Jeremy Doku riceve palla nel mezzo spazio sinistro, prova a condurre un po’, cerca di affrontare Gravenberch e aspetta. Sulla sinistra si fa avanti Nico O’Reilly, che riceve e prende il l fondo per cercare un cross abbastanza scadente, subito allontanato da Konaté. Sulla respinta, però, Doku fa uno scatto in avanti e brucia Gravenberch, entrando in area dall’angolo sinistro. Davanti ha Bradley e Szoboszlai che cercano di raddoppiarlo ma lui passa in mezzo con un movimento di gambe talmente veloce che neanche la ripresa TV riesce a cogliere appieno. Recuperata la palla, Doku cerca di girare intorno a Konaté nello spazio di mezzo metro scarso ma il francese ha la reattività di intercettare il pallone e a quel punto MacAllister spara una cannonata col destro e allontana.

Molte delle persone con cui mi è capitato di parlare di questa partita non erano neanche sedute sul divano quando Doku ha iniziato il suo freak show, proseguito nei sei minuti seguenti con un filtrante rasoterra su una transizione che per poco non si accomoda sul destro di Foden dentro l’area e poi con un rigore preso dopo aver fatto sbattere Konaté e Bradley tra loro in area. Potrei andare avanti per molto, anche solo per parlare del destro a giro stupendo con cui ha chiuso una delle partite più importanti della stagione fin qui, ma non è a questo che voglio arrivare.

Dopo i primi mesi a Manchester, Doku in mano a Guardiola sembrava funzionare veramente bene: il suo uso sistematico del dribbling era la soluzione perfetta per creare superiorità in modo autosufficiente. Poi Guardiola ha cominciato a scoprirne anche il prezzo: il belga, d’altronde, è un giocatore che crea così tanto perché nei fatti non ricorre ad altro che al suo stesso dribbling, accettandone i rischi sempre e comunque.

Dopo Milan-Cremonese di inizio stagione, Allegri ha parlato della “percezione del pericolo” che mancava ai suoi giocatori. Naturalmente Allegri lo intendeva in una chiave strettamente difensiva ma questo concetto, pur partendo dalla premessa opposta, si trasla anche sull’evoluzione avuta da Guardiola – e sui suoi eredi, su tutti Arteta – nell’ultimo triennio. Nonostante una narrazione che lo dipinge ancora come un allenatore a tratti spregiudicato, Guardiola ha sempre messo un’attenzione estrema nel contenimento dei rischi e Doku, come prevedibile, ha cozzato molto rapidamente con questo approccio, per cui di lui ci siamo un po’ dimenticati nell’ultimo biennio. Almeno fino allo scorso settembre.

Di ritorno dalla pausa per le nazionali si gioca il derby di Manchester e in questa occasione Guardiola comincia a gettare i semi del suo cambiamento. Doku parte infatti molto largo, come suo solito, ma finisce più spesso a occupare il mezzo spazio di sinistra, lasciando a Nico O’Reilly l’ampiezza su quel lato. Già questa premessa può suonare strana, sapendo quanto Doku sia stato un giocatore che, nel suo fervore dribblomane, tratta il corridoio laterale come il suo binario preferito.

Sul primo gol Doku riceve nel mezzo spazio di destra, accelera in verticale, con una finta si beve Shaw, prende il fondo e crossa addosso a Ugarte ma la palla gli torna indietro e sul secondo tentativo la manda sulla testa di Foden. Sul secondo gol, però, fa qualcosa di diverso: ancora una volta non parte defilato ma si stringe nel mezzo spazio e, su una bella palla filtrante di Foden, la lascia scorrere, usando il corpo per proteggerla dal contrasto di Yoro e con un tocco delicato la manda sulla corsa di Haaland che incrocia col sinistro.

Questa prestazione di Doku non l’aveva vista arrivare nessuno ma è stata la prima di tante in cui non solo ha ricominciato sistematicamente a incidere nel gioco del City ma lo ha fatto con uno stile fino ad allora mai visto.

Come succede spesso con Guardiola, i suoi aggiustamenti tattici non sempre vengono colti nell’immediato ma quando il suo Manchester City comincia a ingranare danno un senso di naturalezza che quasi ci fanno interrogare sul perché non ci avesse pensato prima.

La partita contro il Bournemouth di inizio novembre ha presentato il contesto ideale per manifestare le sue novità. La squadra di Iraola propone infatti in maniera consolidata un sistema con linea alta e aggressione uomo su uomo. A questa strategia Guardiola ha risposto con un notevole cambio di paradigma, concentrando tutta la sua trequarti nella fascia centrale del campo. Per gran parte della partita Foden, Cherki e Doku si sono mossi tra il corridoio centrale e i mezzi spazi, con l’ampiezza presa da uno dei due esterni difensivi. Bernardo Silva, che molti potevano tracciare come l’esterno alto a destra, nei fatti si è trovato a fare il secondo costruttore al fianco di Nico Gonzalez, producendo una sorta di 4-2-3-1 che ibrida in un 3-2-4-1 ma su un campo molto più stretto di quello a cui siamo abituati.

Accentrando tutta la sua trequarti, Guardiola è riuscito quindi completamente in tilt le marcature del Bournemouth, Adams e Scott – due dei centrocampisti più brillanti di questa stagione – si sono trovati infatti sistematicamente presi in mezzo tra i movimenti incontro dei trequartisti e i due centrocampisti che, in teoria, dovrebbero avere come riferimento.

L’azione del primo gol di Haaland nasce su un pallone pulito dal norvegese, Doku stringe dalla destra e attira Tyler Adams, mentre Scott cerca di prendere Nico Gonzalez e Diakité segue lo stesso Haaland. Il risultato è che Cherki rimane libero nel mezzo spazio destro e, quando Nico Gonzalez lo serve, Senesi prova ad accorciare ma viene anticipato dal colpo di testa del francese, che manda Haaland ad attaccare in serenità la verticale.

Non troppo diversa è la dinamica del secondo gol, in cui è un movimento incontro di Foden a portare fuori posizione Tyler Adams e giocare di prima su Cherki, che di nuovo trova la traccia verticale per Haaland.

Quando Spalletti, ai tempi del Napoli, parlava di spazio tra i corpi anziché di spazio tra le linee alludeva a questo tipo di problema. Come fare a conquistare superiorità posizionale se i blocchi difensivi si modellano sempre più sui riferimenti fisici che su quelli spaziali? Ci è voluto un po’ ma forse Guardiola ha trovato la risposta.

In un momento di parziale risacca del gioco di posizione come lo abbiamo conosciuto e in cui un approccio più strettamente relazionale fatica ad attecchire, Guardiola sembra aver sintetizzato i due approcci in qualcosa di nuovo. Stringendo dentro il campo due giocatori che danno il loro meglio in spazi stretti come Foden e Cherki, il catalano è riuscito a esaltare le loro qualità in modo libero e non a inquadrarle, più o meno a forza, in un sistema rigido. Di riflesso ne ha beneficiato anche Doku, che non ha lo stesso approccio al gioco dei suoi compagni ma per lo stile che ha sa muoversi bene anche negli spazi stretti.

Insomma, la superiorità posizionale è ancora un concetto chiave ma la sua declinazione è cambiata e pertanto anche la strategia con cui affrontarla deve cambiare. E Guardiola, non per la prima volta, ha trovato una soluzione semplice a un problema complesso. Se il problema sono gli spazi tra i corpi, la soluzione è allargare questi spazi condensandoci dentro più corpi. Negli anni abbiamo visto le squadre di Guardiola irrigidirsi attorno ai propri riferimenti fino a costruire squadre in cui la fascia centrale fa quasi da passacarte ai due/tre singoli (generalmente gli esterni) che devono accelerare praticamente dal nulla. In questo approccio è tornata al centro la fluidità dei movimenti.

A inizio stagione era difficile inquadrare un giocatore entropico come Cherki nel City ultra-razionale degli ultimi anni. Con questa soluzione, Guardiola ha adattato la sua squadra alle qualità del francese piuttosto che il contrario.

Guardiola ha poi riproposto lo stesso approccio una settimana dopo, contro il Liverpool e, pur in maniera meno manifesta, ha ottenuto un risultato simile: sovraccaricando la zona centrale con i suoi giocatori offensivi ha messo in crisi i riferimenti dei giocatori del Liverpool. In questo caso la circolazione del City ha impattato maggiormente sul lato sinistro del campo, per cui a brillare non è stato tanto Cherki quanto Doku, autore della prestazione di cui sopra.

In questo senso il lavoro sulla tattica si è saldato con quello sull’individuo. Doku, anche nel suo inizio di carriera, è stato sempre un giocatore che si muove benissimo negli spazi stretti e la sua qualità in dribbling è auto-evidente anche quando deve sgusciare in mezzo a tanti corpi. Ora però stiamo vedendo anche un lavoro sulle sue scelte nel passing game: la palla per Haaland nel derby di Manchester e quella per Foden contro il Liverpool sono due esecuzioni tecniche che Doku ha sempre avuto ma a cui, per il suo stile, non ha attinto spesso come sta facendo ora.

Il contraltare a tutti i miglioramenti che Guardiola sta trovando in questo momento è che questo sistema non sembra adattarsi proprio a tutti i suoi giocatori. A fine ottobre contro l’Aston Villa, solo una settimana prima del match contro il Bournemouth, il City si è disposto con un approccio più simile a quella che abbiamo visto negli scorsi anni, con due esterni puri – Savinho e Bobb – a fissare l’ampiezza e con Matheus Nunes con compiti da falso terzino. Il risultato è stata una maggiore rigidità del City, che ha prodotto poco soprattutto in termini di qualità ed è uscito sconfitto per 1-0.

Un mese dopo è stato il Newcastle a infliggere un’altra sconfitta al City, stavolta insistendo sugli scompensi del nuovo sistema di Guardiola. Avendo concentrato la sua trequarti nella zona centrale, il City ha infatti indebolito la sua capacità di coprire le spalle dei due terzini, avendo per altro due centrocampisti marcatamente offensivi come O’Reilly e Matheus Nunes in quei ruoli. Howe ha quindi sfruttato le opportunità offerte da questo squilibrio usando due esterni molto atletici e diretti come Barnes e Murphy, che infatti sono stati a più riprese pericolosi nelle transizioni lunghe, con il primo anche autore della doppietta che ha dato la vittoria al Newcastle.

Tre giorni dopo, in Champions League, Guardiola si è scontrato anche con la poca riproducibilità di questo sistema. Contro il Leverkusen ha infatti proposto un turnover totale, mettendo in panchina tutta la sua trequarti titolare in favore di Reijnders, Bobb e Savinho. Il risultato è stato un City comunque produttivo – sarebbe probabilmente uscito con una vittoria se non fosse stato per la partita strepitosa di Flekken – ma in maniera più quantitativa che qualitativa, con molto meno coinvolgimento della catena centrale.

Quest’ultimo aspetto è cruciale per capire i margini di replicabilità di questo sistema: Cherki, Foden e Doku assieme possono produrre giocate di livello straordinario con le loro qualità di tocco, le loro intuizioni e la loro associazione nello stretto ma non è ancora chiaro quanto queste dinamiche si possano riproporre sugli altri giocatori offensivi della rosa del City.

Resta anche da capire quanto impiegheranno gli avversari a trovare nuovamente delle contromisure adeguate a questo sistema – banalmente cercando un approccio simile a quello proposto dal Newcastle di cui sopra – ma intanto Guardiola sembra aver fatto di nuovo un passo in avanti rispetto ai suoi colleghi, anche in un momento in cui la sua carriera sembrava aver intrapreso un naturale declino.

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