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Marco Lai
Guardiola è diventato difensivista?
05 apr 2023
05 apr 2023
Come spiegare la scelta di giocare con 4 difensori centrali di ruolo.
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Marco Lai
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Siamo abituati a pensare a Guardiola come al padre del bel gioco, l’uomo in grado di coniugare nel calcio il pragmatismo della vittoria con la ricerca dell’estetica. C’è stato, allora, di che rimanere increduli quando contro il Crystal Palace prima e Red Bull Lipsia poi, il Manchester City si è presentato in campo con ben quattro difensori centrali di ruolo. Cosa vuol dire all’interno della continua evoluzione del gioco di Guardiola questo passaggio? Come giocare con 4 centrali difensivi si concilia con la sua idea di calcio incentrata sul possesso palla e su un raffinato gioco offensivo? I risultati, sembra, gli hanno dato ragione: col Palace è arrivata una vittoria per 1-0, mentre con il Lipisa uno storico 7-0 che sembra fare a pugni con una squadra che schiera quattro difensori centrali. Ma, oltre i risultati, è interessante capire i motivi di questa scelta da parte di Guardiola. Partendo da lontano si può dire che nel calcio dell’allenatore catalano il possesso palla è sempre stato più una strategia difensiva che una offensiva: se il pallone lo abbiamo noi, dice, gli altri non possono segnare. Ovunque è andato ad allenare, Guardiola ha sempre aggiunto qualcosa di nuovo al suo gioco: nel Barcellona ha sviluppato un possesso palla alla catalana, facilitato dalla presenza di giocatori come Busquets, Xavi, Iniesta e Messi; al Bayern Monaco ha mostrato maggiore cura a come organizzare le transizioni difensive per rispondere alla velocità con cui le squadre tedesche sfruttano il contropiede; al City invece ha lavorato più sulla tensione verticale del suo calcio, tipica della Premier League di questi anni. In questo senso, il City 2022/23 è figlio di ciascuna di queste tappe evolutive. La voglia di dominare il pallone non è mai andata via, la cura per le transizioni difensive non è mai stata così maniacale e l’arrivo di Erling Haaland obbliga Guardiola a una addirittura maggiore verticalità. Proprio l’arrivo del norvegese ha spinto l’allenatore catalano a cercare dei compromessi per sfruttarne l’atletismo e le qualità sotto porta, senza perdere il controllo del campo e del pallone. La sua squadra l’anno scorso aveva raggiunto un livello di sofisticatezza altissimo grazie alla rinuncia totale a un riferimento offensivo in avanti: la costruzione veniva eseguita con un 4+2 dove Bernardo Silva – vero tuttocampista della squadra – a inizio azione si abbassava al fianco di Rodri, per poi alzarsi alla ricerca della posizione migliore in una struttura a metà tra 3-2-5 e 3-1-6 in cui il ruolo del centravanti veniva svolto a turno da Foden, de Bruyne o dallo stesso Bernardo Silva. I concetti chiave erano fluidità posizionale e superiorità numerica in zona palla.

La costruzione 4+2 tipica del Manchester City nella stagione 2021/2022. Terzini molto larghi, Bernardo Silva si abbassa al fianco di Rodri. Una volta consolidato il pallone, nell’ultimo terzo la struttura diventava estremamente fluida con continui cambi di posizione centralmente.

All’inizio di questa stagione, per favorire l’inserimento di Haaland, Guardiola è passato a un 2-3-5 che vedeva Cancelo e Walker stringersi ai fianchi di Rodri, con un centrocampista – solitamente Gundogan, ma a volte anche De Bruyne– che giocava molto vicino al norvegese per nascondere i suoi presunti limiti associativi, cosicché potesse focalizzarsi solo sull’attacco dell’area e sul far gol. La strategia sembrava efficace: pur toccando pochissimi palloni, Haaland stava viaggiando al ritmo folle di due gol a partita (20 nelle prime 10).

La soluzione proposta a inizio stagione da Guardiola per aiutare Haaland: costruzione 2+3 con terzini dentro al campo, un giocatore da numero 10 puro (e non nel mezzo spazio come accadeva lo scorso anno) molto vicino al norvegese per permettergli di focalizzarsi solo sull’attacco dell’area.

Qualcosa però non funzionava. Il Manchester City aveva perso la sua proverbiale fluidità, gli attacchi erano prevedibili, il pallone girava più lentamente e con meno precisione, aumentando di riflesso i momenti della partita in cui la squadra era costretta a correre all’indietro. Per cercare di limitare le transizioni avversarie e avere più controllo (parola chiave) della partita, Guardiola ha compiuto alcune scelte inconsuete: fuori Cancelo dall’undici titolare (e in generale dalla squadra) e dentro un centrale come Aké sulla sinistra, per passare ufficialmente a una difesa a tre pura in costruzione. Inoltre ha limitato i minuti per Foden e addirittura De Bruyne, pur rimanendo un giocatore fondamentale, parte più spesso dalla panchina. L’idea di fondo è che l’arrivo di Haaland ha di fatto tolto al City un giocatore in più in mezzo al campo che potesse muoversi in maniera fluida creando superiorità numerica in zona palla, aumentando la qualità del fraseggio o trascinando fuori posizione i giocatori avversari per creare lo spazio per l’inserimento di un compagno. Il risultato è che in alcune partite di questa stagione è stata particolarmente evidente la mancanza di soluzioni offensive rispetto al passato. Spesso, quando Haaland non segna, la partita per il City sembra complicarsi tremendamente. A dimostrazione di questa percezione, nella scorsa stagione ben sette giocatori del City hanno segnato almeno 8 gol in campionato, con De Bruyne miglior marcatore con 15 reti. In questa stagione dopo Haaland a 28 c’è Foden con 9 (la tripletta nel derby d’andata con lo United aiuta) e poi Alvarez e Mahrez con 5. Nella ricerca quasi ossessiva di Guardiola di avere in campo una squadra con il giusto equilibrio tra giocatori di controllo (Bernardo Silva, Rodri, Gundogan) e giocatori di accelerazione (KDB, Foden), l’innesto di Haaland – l’acceleratore per eccellenza – ha creato un importante sbilanciamento. Tale squilibrio ha portato Guardiola a togliere dal campo calciatori verticali e propensi al rischio come Cancelo, Foden e a volte persino De Bruyne, favorendo invece giocatori avversi al rischio come Bernardo Silva e Gundogan, o appunto schierando quattro difensori, lasciando il compito di accelerare quasi tutto sulle spalle di Haaland. Come detto questa ricerca di controllo ha raggiunto il suo picco contro Crystal Palace e Lipsia. In entrambe le gare la difesa titolare è composta da Stones, Akanji, Dias e Aké, ma in fase di costruzione Stones andava vicino a Rodri per formare una struttura 3+2. Contro la squadra di Vieira il City ha fatto fatica, trovando il gol vittoria solo al 78’ con un calcio di rigore di Haaland; contro il Lipsia, invece, non c’è stata storia.

La nuova soluzione di Guardiola: difesa a tre con tre centrali puri, Stones parte da posizione di terzino destro ma si accentra al fianco di Rodri per creare il 3+2. Due centrocampisti nei mezzi spazi, esterni in ampiezza e Haaland come riferimento centrale.

Nessuna delle due partite va presa come esempio del periodo o più in generale della stagione del City, ma le difficoltà realizzative incontrate contro il Crystal Palace non sono né un caso, né una novità. Dando uno sguardo ai numeri, la squadra di Guardiola produce molti meno Expected Goals rispetto alla scorsa stagione (da 2.13 a 1.83), pur mantenendo una media gol pressoché identica grazie alla precisione sotto porta di Haaland. I dati difensivi sono rimasti invariati, ma c’è un cambiamento importante tra il City pre-Mondiale e quello post-Mondiale: gli xG concessi sono passati da 0,73 a 0,64, mentre gli xG concessi per tiro sono passati da 0,10 a 0,08 (dalla 16a peggior prestazione del campionato alla migliore), a dimostrazione di una ritrovata solidità difensiva con il passaggio al nuovo sistema. Quindi, è stata una buona mossa quella di Guardiola? È difficile rispondere, perché molto dipende da quali sono i reali obiettivi del Manchester City. In una competizione lunga come la Premier League produrre più Expected Goals degli avversari – come avveniva più di frequente, paradossalmente, senza Haaland - genera i suoi frutti. In competizioni brevi a eliminazione diretta invece le cose sono ben diverse. La singola partita in cui tutto va storto e che in campionato può essere recuperata con il tempo, in Champions League rischia di mandarti fuori. È esattamente ciò che è successo alla squadra di Guardiola nelle semifinali della scorsa stagione contro il Real Madrid, ma anche nella gara secca contro il Lione del 2020 o contro il Tottenham nel 2019. Le competizioni internazionali sono crudeli, non lasciano spazio a errori e spesso premiano le squadre che difendono meglio, specialmente se a questa efficacia difensiva aggiungono un attaccante in grado di segnare in qualsiasi momento della partita. Chissà, forse Guardiola è rimasto scottato dalle sue eliminazioni (specialmente l'ultima con il Real Madrid, nella sua assurdità) e si è deciso a cambiare approccio per arrivare preparato a questa Champions League. La sua idea di giocare con più difensori per correre meno rischi può essere letta in questo modo. Guardiola avrà pensato che tanto, se non prendi gol, prima o poi quello lì davanti lo zampino ce lo mette.

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