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Emiliano Battazzi
Guardare la Premier League dall'alto in basso
06 feb 2017
06 feb 2017
Il dominio del Chelsea distrugge qualsiasi illusione di Wenger e dell'Arsenal.
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Emiliano Battazzi
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Ottavo posto in classifica a 8 punti dalla prima, unica tra le grandi favorite ad avere un distacco così grande; due sconfitte consecutive in due scontri diretti; peggior difesa tra le prime dieci squadre del campionato. Era questa la situazione del Chelsea di Antonio Conte dopo la partita di andata contro l’Arsenal, dopo, cioè, la sconfitta per 3-0 maturata in appena 40 - umilianti - minuti alla fine dello scorso settembre.

 

“Qual è l'apporto di una sconfitta? Una visione più precisa di noi stessi”: Conte è l’applicazione calcistica delle parole di Emil Cioran, e da quella sconfitta ha preso atto di com’era fatta la sua squadra. Il passaggio alla difesa a 3 ha reso il Chelsea una squadra solida difensivamente e la più adatta alla Premier: diretta senza scomporsi, intensa ma con pochi errori, elettrica ma con una copertura maniacale degli spazi.

 

Quasi 4 mesi e mezzo dopo la brutta sconfitta all’Emirates, il Chelsea aveva l’opportunità per prendersi una rivincita e per capire quanto fosse cambiato; ma si trovava di fronte anche uno spauracchio: la paura di tornare indietro, di non sentirsi pronti. Sebbene con 9 punti di vantaggio, anche i Blues non potevano sentirsi psicologicamente sicuri.

 

Per Wenger, invece, era l’ultima chance di rimanere aggrappato all’eterno sogno del primo posto: dopo la sconfitta inaspettata contro il Watford, per l’Arsenal era già questione di dentro e fuori. Soprattutto, per l’allenatore francese, era anche l’ultima grande possibilità di riprendere in mano la sua

, di ripristinare il senso globale del suo lavoro in quella che potrebbe essere la sua ultima stagione ai Gunners. Di non andarsene, insomma, con l’aura dell’eterno perdente.

 

 



 

Dopo il pareggio di martedì contro il Liverpool, ottenuto con un atteggiamento più attendista del solito, si poteva immaginare un Chelsea ancora molto saggio, semplicemente desideroso di mantenere le distanze. Dall’altra parte, l’Arsenal non poteva fare granché, se non alzare i ritmi oltre ogni limite: insomma, giocarsi la partita della vita. E Wenger, a giudicare dalle sue scelte iniziali, sembrava voler sorprendere Conte, passando al 4-3-3 con Sánchez falso centravanti, Özil ala sinistra e Oxlade-Chamberlain mezzala destra, con Coquelin regista difensivo.

 

Forse Wenger sperava in una sorta di spirito magico che riportasse l’Arsenal ai livelli di 4 mesi fa. Nei primi minuti era evidente la pressione organizzata dall’allenatore francese: Özil orientato su Azpilicueta, Walcott su Cahill e Sánchez ad uscire su Courtois così da schermare la linea di passaggio per David Luiz; più indietro, Chamberlain a schermare la ricezione di Matic, Iwobi quella di Kanté.



 

 

Courtois quasi regala un gol per colpa della pressione dell’Arsenal: si notano gli accoppiamenti dei giocatori e la difficoltà del Chelsea di trovare linee di passaggio pulite.





Una tattica aggressiva e ovviamente rischiosa, perché lasciava grandi porzioni di campo al tridente del Chelsea: non si potevano sbagliare i movimenti della pressione, e ad ogni errore toccava correre dietro al treno Hazard-Pedro-Costa.

 

Con il pallone, invece, gli uomini di Wenger non sapevano bene cosa fare: il blocco basso degli avversari, formato da 5 difensori e 4 centrocampisti, rendeva quasi impossibile trovare spazio tra le linee. La circolazione era esclusivamente perimetrale: la partita di Özil è apparsa da subito quasi impossibile, privo com’era di spazi e di rifornimenti; e con un doble pivote senza creatività, la gestione della palla per l’Arsenal era quasi una sciagura. Così, il 4-3-3 si è trasformato ben presto in 4-2-3-1, grazie ai movimenti dei giocatori: l’idea di sistemare Özil in fascia non ha funzionato, con Pedro e Moses in costante raddoppio.

 

Nei primi 10 minuti, in sostanza, entrambe le squadre si trovavano meglio senza pallone: il Chelsea era ben contento di aspettare (senza sedersi nella propria area), chiudendo ogni spazio tra le linee e attirando l’avversario più in avanti per crearsi profondità; l’Arsenal voleva riconquistare il pallone più in alto possibile, come modalità sia di difesa che di attacco.

 

A rompere l’equilibrio è arrivato il gol di Marcos Alonso più o meno al quarto d’ora del primo tempo, che ha messo in luce le difficoltà dell’Arsenal nel difendere contro il Chelsea, addirittura a livello di principi di base.

 



 

Come al solito, infatti, la squadra di Conte attaccava trasformando il 3-4-3 di base in una sorta di 3-3-4 negli ultimi venticinque-trenta metri di campo, con i due esterni posizionati da ali molto ampie.

 

In occasione del gol, quando Monreal è uscito su Moses, Pedro lo ha attaccato alle spalle, costringendo Koscielny a scalare. A quel punto, in area si è determinato un due vs due, con Costa marcato da Bellerín: non il migliore degli accoppiamenti. Sulla sinistra, larghissimo, Marcos Alonso, che è andato ad attaccare il secondo palo: prima Diego Costa ha colpito la traversa, poi proprio Alonso ha battuto nel duello aereo di nuovo il povero Bellerín (che nell’occasione si è anche infortunato, dopo aver preso una gomitata ed essere caduto male sul terreno).



 

 

Özil si abbassa a regista, visto che non ce n’è uno, e quasi calpesta Chamberlain; anche Sánchez scende e poi prova a servire l’inserimento sulla destra, coperto dal ripiegamento di Hazard. Difficile scardinare il Chelsea in questo modo.





 



 

Da quel momento l’Arsenal è andato in tilt, privo evidentemente di un piano B, e ha perso ogni controllo sulla partita: basti pensare che il primo tiro nello specchio della porta è arrivato al 38’, con un colpo di testa di Gabriel colpevolmente lasciato solo in area (unico errore della difesa del Chelsea, con un movimento a salire casuale). Oltre a non sapere come attaccare, l’Arsenal si è fatto risucchiare nell’imbuto centrale del Chelsea, costruito appositamente per rendere inoffensivi Özil e Sánchez: entrambi tendevano a uscirne per cercare palloni giocabili, rendendo così inoffensiva la costruzione del gioco.

 

Özil non è riuscito a fornire il solito supporto creativo (0 dribbling, 2 passaggi chiave e soprattutto 14 cross), stretto tra Kanté e Matic, i dioscuri di Conte che chiudono ogni linea di passaggio possibile, recuperano palla e attivano il gioco verticale.

 

Wenger non ha utilizzato neppure quei meccanismi offensivi che in alcuni (pochi) casi hanno funzionato contro il sistema difensivo di Conte: i sovraccarichi su una fascia per cercare un uomo isolato sul lato debole; oppure i cross dalla trequarti dietro la linea difensiva con 3 vs 3 a centro area. E d’altronde quella dei cross era un’arma impossibile per i Gunners, senza una vera punta centrale.



 

 

Quando Matic sta per calciare, Diego Costa fa il movimento indietro, Pedro rimane in zona centrale per attaccare in profondità: automatismi. Alonso larghissimo è libero di ricevere perché la difesa dell’Arsenal non riesce a gestire l’ampiezza: palla dietro per Pedro in area. Quasi incredibile che sia avvenuto con tale facilità, perché è “classic Conte”.



 

La recita del Chelsea è stata la solita splendida combinazione di movimenti semi-automatici (come sottolineato da Hazard in una recente intervista: tutti sanno esattamente cosa devono fare), con la ricerca contemporanea di ampiezza e profondità, la verticalità continua, la circolazione rapida del pallone sulla trequarti.

 

In alcuni frangenti il dominio dei Blues è stato quasi imbarazzante per gli avversari, per non parlare della facilità delle transizioni offensive del tridente: anche per questo, invece di un Costa meno lucido del solito, a brillare sono stati Pedro e soprattutto Hazard, che a inizio secondo tempo si è portato a spasso l’intera difesa dell’Arsenal per segnare il 2-0.





 

Le transizioni devastanti del Chelsea: niente marcature preventive, Hazard viene raddoppiato ma senza pressione e così può servire Diego Costa, che accecato dalla passione per il gol non serve Pedro e spreca il contropiede perfetto.



 

In quell’azione, il belga ha realizzato ben 3 dribbling, registrando una performance complessiva mostruosa: 10 dribbling riusciti su 10 tentati, con Walcott e Chamberlain che hanno sempre avuto difficoltà a controllarlo e ad aiutare il terzino destro nei raddoppi.

 

L’impossibilità di attaccare il Chelsea in fase di difesa posizionale ha frustrato completamente le speranze dell’Arsenal (che ha dominato il possesso senza sapere cosa farne, 59%-41%): un’aridità ben impersonata da Sánchez, che è riuscito a toccare un solo pallone nell’area avversaria (defilato, quasi verso l’angolo), e costretto a girare al largo dalla zona centrale.

 

 



 

Con l’aerea svuotata, l’Arsenal non è riuscito a creare pericoli neppure nel secondo tempo, quando anzi la supremazia del Chelsea è apparsa ancora più impressionante. Solo al 65’ Wenger ha intuito di dover cambiare qualcosa, inserendo Giroud al posto di Coquelin, e pochi minuti dopo Welbeck al posto di Walcott. L’Arsenal si è sistemato a quel punto con un tridente (Alexis largo a destra e Welbeck a sinistra), riuscendo a calciare più volte in porta negli ultimi 15 minuti che in tutto il resto della partita, segnando anche il gol della bandiera con un colpo di testa di Giroud (cross dalla sinistra di Monreal dietro la linea difensiva).



 

 

I giocatori del Chelsea sembrano davvero rendere al massimo delle loro possibilità: qui basta una palla alta di David Luiz, addomesticata da Diego Costa, per far scatenare Hazard. Coquelin cade al tappeto come un bambino, Koscielny ha paura e attende troppo.



 

Con questa vittoria il Chelsea elimina l’Arsenal dalla lotta al titolo (12 punti di distanza), e grazie alla vittoria dell’Hull anche il Liverpool di Klopp sembra tagliato fuori (meno 13). In scia, per modo di dire (meno 9 punti) c’è solo il Tottenham di Pochettino: i campionati non si vincono a febbraio, ma la squadra di Conte ha iniziato una vera grande fuga, che può potenzialmente proseguire fino ad aprile, cioè fino al prossimo scontro di alta classifica (contro il City).

 

La qualità del lavoro di Conte - resa evidente dagli automatismi semplicissimi da notare in campo e dalle qualità dei singoli messe in risalto - è impressionante: quella che doveva essere la Premier League più equilibrata degli ultimi anni sembra già potersi concludere a inizio febbraio. Tottenham, City, Arsenal, Liverpool e Man Utd sono tutte racchiuse in 5 punti: effettivamente l’equilibrio c’è, semplicemente il Chelsea sta viaggiando a un’altra velocità, è fuori scala.

 

Adesso ci sembra quasi inevitabile, ma va ricordato che l’anno passato questa squadra si era classificata al decimo posto in Premier: e gli unici nuovi acquisti titolari sono David Luiz, Alonso e Kanté. Conte ha saputo capire meglio di tutti come funziona il calcio inglese e come adattare i suoi principi di gioco al contesto e ai giocatori a disposizione: anche grazie alle sconfitte di inizio anno, e rischiando con la difesa a 3, uno strumento poco utilizzato in Premier.

 

Dall’altro lato, questa sconfitta rappresenta probabilmente la fine della grandiosa parabola di Arsene Wenger come allenatore dell’Arsenal: “enough is enough”, come si leggeva nel cartello di un tifoso durante la partita. È triste che un grande allenatore come il francese possa concludere da indesiderato questo lungo percorso: ha davvero mantenuto i Gunners a un livello competitivo d’elite (in quasi 21 anni mai più in basso del quarto posto: un record condiviso con il solo Bayern Monaco), oltre a diventare il manager più vincente della storia del club.

 

In tutto ciò, Wenger ha creato anche uno stile Arsenal, una maniera di giocare a calcio che difficilmente si poteva vedere in Premier prima del suo arrivo: chiedere a Guardiola quanto sia difficile seminare un calcio differente in Inghilterra. Quello tra i Gunners e Wenger forse è stato un amore troppo lungo, in cui a un certo punto si è avuta paura di divorziare, quando forse era necessario e giusto: adesso rimangono negli occhi dei tifosi prestazioni come questa, con una squadra semplicemente impreparata, addirittura incapace di gestire i punti forti dell’avversario.

 

A differenza di Conte, forse il problema di Wenger è che non ha saputo imparare dalle tante delusioni degli ultimi 10 anni: per essere vincenti sul serio bisogna capire il significato delle sconfitte.

 

 

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