A 28 anni, Gregorio Paltrinieri conosce il sapore del successo come pochi, pochissimi altri nuotatori italiani (ce lo ricorda il record di medaglie iridate sottratto a Federica Pellegrini) e non, in attività e non. Uno che sa “di essere uno dei nuotatori più forti di sempre”.
Con dodici mesi di grandi appuntamenti all’orizzonte, tra i Mondiali 2023 di Fukuoka e le Olimpiadi 2024 di Parigi, ci siamo fatti raccontare da Greg come sia vivere da dentro tutto questo. Se sia possibile, in qualche modo, “viversela bene”, per usare parole sue; oppure se le pressioni, le aspettative e il carico di allenamento siano troppo ingombranti per riuscirci davvero. E dove si trovino le motivazioni per nuotare tanto forte e tanto a lungo, per quattro Giochi olimpici da protagonista.
Cambiando disciplina? Rivedendo lo stile di gara? Mettendo in discussione se stessi, nonostante tutti quei successi alle spalle? Scelte che Greg ha avuto il coraggio di compiere, perennemente in bilico tra un’insaziabile fame agonistica e la consapevolezza che godersi il viaggio sia importante quanto la destinazione. Qualunque essa sia, Olimpo del nuoto incluso.
Greg, sei il nuotatore italiano con più medaglie di sempre ai Mondiali: ti fa effetto sentirlo dire, o ti sei abituato? Insomma, riesci a realizzare tutto quello che hai fatto?
Dopo tutti questi anni di successo, senti che quella spinta interiore sia cambiata?
E risultati così importanti, a 16 anni, li avresti mai immaginati?
Ci sono stati dei momenti in cui hai vacillato nella sicurezza di voler fare questa vita?
La ricerca di nuovi stimoli ha contribuito, e in che misura, al tuo tuffo nelle acque libere?
Le acque libere piacciono sempre di più ai nuotatori, ma ancora poco al pubblico. Perché?
E lato nuotatore, com’è?
Ti aspettavi i risultati che se riuscito a ottenere in mare?
Praticamente hai dovuto reimparare a perdere, in un certo senso hai quasi cercato quella sensazione.
In passato erano due mondi molto distanti tra loro, oggi meno. Come mai?
“Nuove possibilità”, come quella di diventare il primo a vincere un oro olimpico sia in vasca sia in mare: è un record a cui pensi?
A proposito di record: nella tua carriera, quanto hai pensato ai record del mondo? È mai stata un’ossessione, o conta solo il colore della medaglia?
In passato hai raccontato che, una vittoria dopo l’altra, hai avuto la sensazione che i tuoi risultati venissero dati per scontati, facendoti diventare “prigioniero di un obiettivo da raggiungere”. È una sensazione che avverti ancora?
Negli ultimi anni invece, per quanto la mia immagine si sia ulteriormente elevata, la competizione nei 1.500 si è alzata di livello e io ormai parto quasi da underdog. Non sono mai l’atleta più forte tra gli otto partenti in una finale, e questa situazione mi sta piacendo onestamente. Ci sono continuamente dei nuovi ventenni che vanno fortissimo e io sono un eroe decadente che pare a un passo dall’essere sconfitto una volta per tutte. L’anno scorso è stato palese ai Mondiali: io sapevo di essere in forma, ma è bastata una gara fatta male – la prima tra l’altro, gli 800 – per sentir dire che ormai ero distante dai più forti, e che dovevo farmene una ragione. Per me però non era così, non mi bastava raggiungere la finale: volevo ancora vincere… e ci sono riuscito, quindi forse avevo ragione.
A proposito di pressioni e “fallimenti” nello sport: so che sei appassionato di NBA, vorrei sapere cosa pensi delle parole di Giannis Antetokounmpo sulla stagione dei Bucks e sul loro “fallimento”. È un discorso che senti tuo? Cosa hai pensato, ascoltando quelle parole?
In ogni caso, ammiro come lui sia riuscito a elaborare filosoficamente la sconfitta: se parlate con me dopo una brutta gara, io sono una bestia, sono l’opposto di Giannis. Non mi sentirete mai dire parole del genere, perché non fanno parte del mio modo di essere. Sono intransigente con me stesso e se le cose non vanno come voglio mi incazzo, forse anche più del dovuto, ma è come sono fatto. E non ho paura di dire che una gara è stata un fallimento, se penso di essere andato male.
Al di là di tutto questo, poi, Giannis ha fatto un brutto paragone e ha messo in una brutta situazione il giornalista che gli aveva fatto quella domanda. E onestamente mi è spiaciuto per il giornalista, perché stava facendo il suo lavoro e tra l’altro gli ha detto quello che tutti pensavano, cioè che quella dei Bucks fosse un’annata fallimentare. Il paragone col giornalista non c’entra niente, perché è impensabile che uno lavori ogni anno per una promozione, mentre Giannis lavora ogni anno per vincere il titolo. Insomma, capisco il significato del suo messaggio e lo condivido, ma non credo abbia senso tutto quello che ha detto, almeno per me. È un bel messaggio e un esempio positivo quello che ha dato, però non credo che il giornalista abbia esagerato parlando di “fallimento” e non credo che lui avrebbe dovuto rispondere così.
Un fallimento della tua carriera: se ti chiedo una gara che vorresti rifare, a quale pensi?
Quella gara negli 800 è stata brutta perché era l’anno post-olimpico, dopo aver vinto l’oro a Rio, e nella mia testa c’era l’idea che se non mi fossi riconfermato in quei Mondiali, sarebbe iniziato il mio declino. Mi sembrava fondamentale riconfermarmi, e ai tempi non facevo ancora fondo. Per quanto ci ero arrivato preparato e carico, è stata una gara completamente sbagliata, troppo istintiva e poco razionale. Quel giorno mi ha insegnato tanto, ho capito che i dettagli fanno la differenza e che si può mandare tutto all’aria con poco. Stavo bene, ma ho sbagliato la gestione e sprecato un’opportunità.
È nata lì la spinta per imparare a gestire diversamente le gare? E anche qui: quanto ha a che fare questo cambiamento con la ricerca di nuovi stimoli?
Dopo tanti anni e soprattutto tanti successi, non è scontata la disponibilità a mettere in discussione le proprie certezze.
Al di là di tutto, comunque, i riscontri sono stati abbastanza buoni fin qui, ma continuo a decidere di gara in gara la strategia da adottare. Nei Mondiali dell’anno scorso, ad esempio, la posta in gioco era molto alta e ho preferito gestirla come ho sempre fatto. Negli 800 agli Europei di Roma, invece, mi è tornata comoda questa alternativa, per come si stava mettendo la gara: siamo partiti abbastanza piano, poi negli ultimi 400 sono riuscito ad accelerare e vincere in modo diverso rispetto alle mie abitudini. Cerco di essere pronto per avere più opzioni nelle gare importanti.
Quindi ai Mondiali di Fukuoka e poi ai Giochi di Parigi. Come vedi la concorrenza?
E dopo Parigi? Quante bracciate senti di avere ancora davanti a te?
Michael Phelps in passato aveva raccontato la sua “depressione post-olimpica”. È una cosa che hai sperimentato?
Tutte le vicissitudini (leggere: mononucleosi) avute a Tokyo ti hanno lasciato un senso di rivalsa? Ti ha aiutato a superare il vuoto post-olimpico di due anni fa?
Il risveglio del giorno dopo al ritiro: ti fa paura, o è un momento che in qualche modo stai aspettando?
Ci sono stati dei sacrifici costosi, a livello umano, per poter inseguire questa vita?
E il rovescio della medaglia?
Quanto si parla della gestione di questi momenti, nel mondo del nuoto?
Nel tuo caso quali sono le principali difficoltà che hai dovuto affrontare?
Nel nuoto, così come in qualsiasi altra cosa della vita, ci sono tante cose che ti possono condizionare: i pareri esterni ti depistano, e anche se non dovresti darci retta, li senti e lasci che ti portino fuori strada. È una dinamica e un problema che abbiamo sperimentato tutti nella vita. Mi dico e mi ripeto di prenderla alla leggera, perché se ci penso veramente so che è un gioco e che faccio tutti i giorni quello che mi piace. A prescindere dal vincere o perdere, godersi il viaggio è la cosa più importante ed è quello che rimane nel tempo.
Quanto ci hai messo a trovare questa serenità?
Si ringraziano Francesco Caligaris, Erminio Alessandro Gus e Luigi Razzano per il prezioso contributo.